La disciplina dell’anima dell’accordo del pensiero con la volontà e della volontà col pensiero è TUTTA la Via! Chi non voglia illudersi sa – per esperienza interiore – che non vi è altra Via. Massimo Scaligero ammonisce – ricordando le enigmatiche parole di Lao Tsu – che la Via che conduce alla mèta non è la via ordinaria, ossia non è la via egoica, non può essere la via comoda, nella quale si è deciso in partenza di procedere al risparmio, di non andare sino in fondo, di praticare la Via sino a prima del punto in cui essa comincia ad essere dolorosa per la natura inferiore in noi. Non si percorre la Via per star bene, perché la natura in noi stia meglio, e noi con lei, bensì per esaurire la natura: per destabilizzare, demolire e dissolvere l’infida natura.
Nella stessa “Filosofia della Libertà”, Rudolf Steiner mette in evidenza come l’attività del pensare volitivo sia dissolvitrice dei processi della natura naturata, e Massimo Scaligero sottolinea come questa natura oramai cristallizzata tenti con ogni energia e astuzia di sottrarsi a tale azione dissolvitrice. Per questo la Via non ordinaria, la Via assoluta, non può essere che la Via diretta: nella via retta e in quella lunga si può scorgere un evitare il confronto diretto e serrato con tale natura, confronto e lotta con essa sentiti come dolorosi, e per questo rimandati nel tempo.
Per taluni questa può anche essere una necessità, e per tale necessità vengono aiutati ad aspettare. Ma un tale aspettare non è la Via: E’ ancora un cercarla, o un cercare il coraggio per percorrerla. Ci si accorgerà poi che l’avere aspettato non ha fatto aumentare il coraggio, anzi. Ci si accorgerà che l’aver preso tempo non ha veramente fatto maturare e non ha accresciuto le forze: non ha reso lo scontro con la natura avversa meno aspro, meno difficile, meno pericoloso.
Anche a me Massimo disse: “Non ho nessuno a cui trasmettere la fiaccola”. E sicuramente uno dei motivi di tale impossibilità di trasmettere è il dedicarsi di quasi tutti al risparmio delle forze interiori accomodandosi nella via retta e in quella lunga, è la carenza dei coraggiosamente disperati che non vedono per sé altra Via che il percorrere con ogni forza – anche con il coraggio di errare assai: quasi fatale in una landa selvaggia senza pietre miliari – l’aspro sentiero della resurrezione volitiva dell’atto pensante.
E’ il sentiero al quale consacrare l’intera vita, al quale sacrificare ogni contingenza, indifferenti al successo o all’insuccesso di un tale ostinato praticare: facendo così della concentrazione motivo a se stessa, praticandola – con asciutto amore – per amore della concentrazione stessa, e non di concupiti risultati, l’attesa dei quali scema presto nella dedizione silente, ostinata e fervida all’azione interiore, o fa scemare l’azione interiore stessa, e la fa deviare alla ricerca delle comodità delle molteplici vie egoiche dalle seducenti promesse.
L’aridità, affrontata da questo ostinato pensare volitivo, asciuga la mucillaginosa emotività, e dislega dall’impetramento del sonno somatico un volere di profondità prima ignoto. Si conquista così una continuità nell’azione interiore che trasforma l’intera vita nel Rito della resurrezione del pensiero e fa del conoscere – come dice Rudolf Steiner – una offerta sacrificale interiore dell’uomo agli Dèi e al Mondo Spirituale.
Arrivare al pensiero puro significa arrivare ad avere (cosciente) il pensiero da cui si sta movendo verso il pensiero puro: questo muovere è il pensiero puro, che tutti, considerando un punto d’arrivo, dialettizzano. Il punto d’arrivo è il punto da cui si parte.
Il vero pensiero non è quello che pensa il mondo e perciò si lascia modellare dal mondo, ma quello che trascende il mondo, lo nega, lo trasforma, lo interiorizza, lo materializza. Quello che si pensa non è il mondo che appare, ma un mondo diverso, interiore, non esistente ma essente. Cosí la realtà risorge nell’interiorità umana, ed è la vera realtà, non quella che s’impone dal di fuori e asserve a sé il pensiero. Cosí il Pensiero sorge come interiore vita del mondo, ed è il tessuto di Luce del mondo, cioè la segreta forza d’Amore del mondo: che deve divenire un evento individuale per essere Amore creatore.
Il miracolo è sempre il pensiero piú forte di ciò che ci aggredisce come fatto, realtà esistente: il pensiero che è il contenuto reale della realtà: senza il quale questa sarebbe un nulla. Questo pensiero diviene forte, si carica della sua realtà, realizza la sua verità, che è l’universale affiorante verità: questo pensiero si crea, crea se stesso, per essere realtà, la vera realtà, perché l’uomo non ha altro modo di fare sua la realtà che il conoscere: la forza del conoscere deve divenire potere diretto.
Non trascendere il pensiero, ma entrare nella sua trascendenza: lí si trova l’essenza del mondo, il germe della verità del mondo. Intorno, tutto preme vorticoso. E tuttavia al centro poniamo il pensiero che conta: il Logos, l’opera di fraternità, il dovere di ogni momento, perché l’esistere sbocchi nell’eterno da cui si trasse.
Tutto preme logorante e vorticoso, tuttavia al centro è l’ispirazione ordinatrice del pensiero. Elfi, gnomi e puri esseri elementari tessono la connessione di ogni contingenza con la sfera degli Angeli. Intorno, vige la logica, che è sempre il prodotto di un razionale come di un irrazionale: è ancella. Può esprimere potenza o impotenza. Non è essa che decide, come vuole la dialettica, o la cultura del tempo.
Assumere tutta la forza è ritrovare la scaturigine della logica, il Logos. La realtà non è logica, ma è presentabile o accostabile mediante logica. Occorre superare la logica per entrare nel tessuto della realtà, comprendere quale potere rechi il pensiero in quanto flusso di vita non ancora caduto nella forma logica. Esso cerca, esige la propria forma di vita, piuttosto che la sua morte logica: esige il potere della sua entrata nel mondo, la sua espressione immediata, cosí come il suono, il calore, la vita.
Hans Werner Zbinden nacque a Basilea il 14 ottobre 1899. Per tutta la vita svolse una intensa attività come medico antroposofico, e in modo particolare come medico scolastico all’interno delle iniziative pedagogiche antroposofiche.
Egli era il più piccolo di tre fratelli nati dal matrimonio di Rudolf Gottlieb Zbinden con Lydia Stuerchler. Frequentò le scuole primarie e il ginnasio umanistico – corrispondente al nostro liceo classico – e già in questo periodo scolastico egli poté osservare il sorgere, sulle colline nei dirtorni di Basilea, di un meraviglioso edificio, il primo Goetheanum, che veniva fatto costruire da Rudolf Steiner. Tra i suoi compagni di studi vi erano Paul Jenny e Curt Englert-Faye. Quest’ultimo aveva già avuto modo, malgrado la giovanissima età, di ascoltare le conferenze di Rudolf Steiner, alle quali poi indirizzò lo stesso Zbinden.
Nel periodo universitario – durante la frequentazione della Facoltà di Medicina – Hans W. Zbinden frequentò regolarmente le conferenze di Rudolf Steiner, e venne profondamente impressionato dalla serietà, dal clima di veracità e di autentica ricerca della Conoscenza presente nelle conferenze del Dottore. Partecipò, ventiquattrenne, alla fondazione della Libera Università di Scienza dello Spirito, in occasione della “Fondazione di Natale” del 1923.
Durante il periodo universitario, una grave malattia lo portò in fin di vita, e mentre era ricoverato conobbe una infermiera di nome Olga Knoepfel, che si dedicò con infinità dedizione alle sue cure. In seguito, ella divenne la sua fedele sposa, che rimase sempre al suo fianco e lo sostenne in tutte le non facili vicende della sua vita. Dalla loro felicissima unione nacquero due figlie e due figli.
Nel 1926 venne fondata a Zurigo una “Libera Associazione Scolastica in memoria di Walter Wyssling”, che aveva come scopo la fondazione di una scuola a indirizzo antroposofico, il che si realizzò nel 1927. Curt Englert-Faye ne divenne il direttore pedagogico, Paul Jenny fu il presidente dell’Associazione Scolastica, e Hans Werner Zbinden, che nel frattempo aveva concluso i suoi studi universitari di medicina, ne divenne il medico scolastico. Il fraterno sodalizio tra i tre antichi compagni di scuola durò finché essi vissero, e per tutta la vita lo Zbinden fu il medico scolastico della iniziativa pedagogica zurighese.
Nel corso degli anni trenta dello scorso secolo, Marie Steiner si accorse del giovane medico basilese, la cui attività medica era solo una parte della sua fervida azione all’interno del Movimento e della Società Antroposofica. Nel 1935, assieme a Walter Bopp e Friedrich Husemann, si trovò al vertice della Sezione Medica della Libera Università del Goetheanum. Allorché, in seguito, egli si schierò – senza compromessi di sorta – a difesa di Marie Steiner, a difesa dell’integrità dell’Opera di Rudolf Steiner e della Verità, egli non poté più mettere piede nel Goetheanum.
Marie Steiner, nel 1942, chiamò Hans Zbinden a far parte del “Nachlass”, ossia del “Lascito” di Rudolf Steiner, che doveva difendere l’Opera del Dottore dallo scempio che ne stavano già facendo Albert Steffen e Guenther Wachsmuth. Dopo la morte di Marie Steiner, egli guidò il “Lascito” praticamente sino alla propria scomparsa, che avvenne a Zurigo il 25 maggio 1977. Se oggi abbiamo l’Opera Omnia di Rudolf Steiner – la “Gesamtausgabe” in lingua tedesca – quasi oramai completamente pubblicata, lo dobbiamo alla instancabile azione di lui e dei suoi fedeli collaboratori.
Hans Werner Zbinden scrisse poco: egli agiva invece moltissimo nel colloquio diretto con le persone, colloquio che per lui era sempre indirizzato a stimolare l’amore per la Verità, e il consequenziale retto agire.
Una sua caratteristica particolare è da rilevare: egli venne varie volte in Italia. Svolse conferenze sulla medicina antroposofica a Milano, e anche a Roma, nella cerchia del “Gruppo Novalis” che si riuniva attorno a Giovanni Colazza. Ho documenti che lo comprovano. Il Dott. Zbinden conosceva bene la lingua italiana, e Marie Steiner lo pregava spesso di conversare con Lei in quella lingua, che Lei definiva musicale, che tanto amava, e nella quale secondo Lei – che a Bologna, agli inizia del secolo, era stata allieva di Giosuè Carducci – meglio si potevano esprimere le realtà dello Spirito. L’Opera mirabile di Massimo Scaligero ne è la prova più luminosa.
“Nacqui a Monaco di Baviera il 16 maggio 1871, da Ernesto Morgenstern, pittore di paesaggi e figlio di Christian Morgenstern, pittore di paesaggi e da Carlotta Schertel, figlia di Giuseppe Schertel, pittore di paesaggi.”
Con evidente umorismo Christian Morgenstern inizia una sua autobiografia.
La madre morì quando ebbe 10 anni e in quell’epoca (lo dice lui stesso) iniziò a sentire potenze ostili nel mondo e in sé stesso. Era fisicamente di complessione delicata ma di intensa energia dell’anima: ciò lo spingeva a cercare incessantemente una “ via nelle altitudini della vita, ove la morte ha perduto il suo aculeo e il mondo ha ritrovato il suo senso divino”.
A 16 anni conobbe Schopenhauer e la saggezza orientale, poi a 20 Nietzsche: la tormentata ricerca del vero, sotto tali influssi, fu sostanza dello sviluppo interiore. Nel 1898 inizia la conoscenza e l’amicizia personale con Ibsen, di cui tradusse il Brandt e il Peer Gynt.
“A 35 anni” scrive “ vissi l’esperienza fondamentale della mia vita. La natura e l’uomo si spiritualizzarono definitivamente per me. E quando una sera aprii il Vangelo di Giovanni, mi parve di comprenderlo per la prima volta”.
Vennero poi anni di maturazioni, resi difficili da incerte condizioni fisiche e finanziarie. Nel 1908 conobbe sua moglie. Nel medesimo tempo venne in contatto con gli insegnamenti della Scienza dello Spirito e del suo fondatore, Rudolf Steiner: ciò influenzò fortemente la sua interiore crescita. Morì a Merano il 31 marzo 1914.
Morgenstern fondò la rivista Theater che ebbe forte influsso nella drammaturgia e nella scenotecnica germanica, pubblicò raccolte liriche: InPhata’s Schloss (1895), Auf vielen Wegen (1898), Ich und die Welt (1899). Poi volge a composizioni brevi: in una sorta di interiore impressionismo crea stati d’animo simbolici, come Ein Sommer, Melancholie, ecc. Nel 1910 compone i celebrati Galgenlieder e Palmström.
La sua fama è sovente legata alle poesie di queste due raccolte: strane, burlesche; molti sono i “non-sense” con arditi chimismi verbali generando esseri e realtà fantastiche e impossibili. Con intensa passione per l’inesprimibile, egli si lancia contro il borghesismo e il razionalismo della stagnante poesia, esprimendosi anche con impressionanti crudezze. I Galgenlieder (Canti forcaioli) furono spesso imitati ma mai giunsero alla perfezione ritmico-musicale degli originali.
Guardando i ritratti del Nostro scorgiamo un precipuo carattere di bontà, quasi stupita, fanciullesca. Gli occhi sono metallici, sono crudeli: riflettono il cercatore interiore inflessibile verso ogni inganno o compromesso: pronto ad ogni sacrificio per l’affermazione del proprio messaggio al mondo. Il suo motto fu “Vitam impendere vero”.
Aforismi
Chi rinunzia a Dio, spegne il sole per camminare alla luce di una lanterna.
Solo le forme cambiano. Le anime dei morti ritorneranno a dormire nel seme di una nuova forma, più perfetta di quella precedente.
Il “dio personale” non è altro che la gigantesca ombra che noi gettiamo sul velo dei misteri eterni.
Guarda come la lampada del tuo tavolo proietta la sua ombra sul soffitto. Così proietti tu te stesso sul muro che è fuori di te. Tu chiami “mondo” il modo come vedi te stesso su di esso, e la coscienza di questo vederti così la chiami “concezione del mondo”.
Il mondo non è che una forma dell’uomo.
Guardando seriamente il cielo stellato, bisogna confessarsi che Iddio, il Creatore, è stato il più grande pensiero che poteva nascere in mente umana; ma Dio, il Giudice morale, è stato davvero uno dei pensieri più gretti. Ma, come è certo che questo secondo pensiero è stato meditato fino in fondo innumerevoli volte, altrettanto è dubbio che il primo pensiero abbia mai afferrato e distrutto, con la sua inaudita potenza, il cuore e la mente degli uomini.
Il vivere consiste in un nulla che cerca qualcosa.
Esiste forse forma più bella di “pensare a qualcuno”, piuttosto che “ricordarlo ogni giorno nelle nostre preghiere”? Eppure abbiamo abbandonato questa forma…
Non esiste che un solo comandamento: Puoi fare quello che vuoi, ma bada bene che lo fai a te stesso. Se credi di poterlo fare a te stesso, fa anche l’estremo. Questo comandamento non impedisce nessuna creazione e nessuna distruzione. Questo comandamento ti farà libero di fronte a tutto, eppure ti renderà saggio.
Bisognerebbe inoculare negli uomini il veleno di una continua inquietudine. Troppo poco essi vogliono trascendere sé stessi. Hanno in sé troppo poca crescita. Essi credono di aver trovato sé stessi a trent’anni, e chiamano ciò: essere adulti, e già si siedono a riposare con sé stessi. Essi non sapranno più fare né dire nulla d’inaspettato, eppure bisognerebbe aspettarsi qualcosa d’inaspettato da ogni uomo e in ogni ora. Si potrà calcolare il loro corso come se essi fossero qualcosa di molto comune: eppure sono la cosa più straordinaria del mondo, e cioè sono uomini, e portano in sé la cosa più incalcolabile del mondo, e cioè un’anima capace di ogni cosa inaudita. Hanno dimenticato tutto o non hanno mai compreso di essere Dio, s’accontentano d’essere il signor Tizio o la signora Caia e di vivere e morire come tali e soltanto come tali.
Pare che l’uomo del novecento abbia visto maturare una nuova virtù: la conoscenza di quel che è borghese. Chiamo borghese la capacità umana di scordare che egli è il mistero dei misteri, la capacità di collocare sé stesso fuori di sé…e di rimanere in quello stato.
Io posso giungere alla conoscenza di Me stesso soltanto per mezzo della lotta e della sofferenza, e fa parte di questa sofferenza che colui che soffre non sappia della sua parte maggiore che Io soffro, ma senta sé stesso come auto-sofferente; cosicché io, quantunque sia io stesso “quello” che soffre, contemporaneamente faccio soffrire indicibilmente. Come compensare questa terribile eppur necessaria via, se non per mezzo dell’amore? Amore non per me stesso, ma per ciò che non sono ancora, dunque per tutto il mondo in divenire. Come potrei aver accettato il mondo, se non rifugiandomi in quella volontà di riprendermelo in cuore nel futuro?
Il miracolo è l’unica realtà, e non vi è nulla all’infuori di esso. Ma se tutto è miracolo, ossia completamente incomprensibile, non so perché non si dovrebbe dare il nome di Dio a quest’uno e grande Incomprensibile che è tutto.
Se prima l’uomo veramente interiore doveva lottare con la Chiesa, ora deve lottare con la scienza. Un Dio che contempla sé stesso non può mai esistere se non come eretico.
Io e te, scritti una volta con la maiuscola ed una volta con la minuscola, sono la formula del mondo: Io e Te, io e te.
In ogni evenienza domanda a te stesso: “Cristo l’avrebbe fatto?” Ciò basterà.
Vorrei essere più debole e non lo sono; vorrei essere più forte e non lo sono, ed è questo che mi spezza: che non sono più debole o più forte di quel che sono.
L’uomo deve essere rovinato, di quando in quando.
La cosa più alta non consiste tanto nell’oggetto dei nostri pensieri quanto nello stesso fatto di pensare. Solo esso ci garantisce con matematica certezza il Dio concreato in noi.
“Puoi dirmi che cos’è che separa l’uomo dal Cristo?” “Certo che lo posso: è la piccola borghesia che è in lui”.
Non esiste l’amore a buon mercato. Nel cosmo della Croce non esistono conquiste facili: se fosse diversamente, esse non sarebbero degne del maestro e del suo scopo.
Voi tutti vorreste avere l’amore per quel che è possibile. Io non ho che l’amore dell’impossibile.
L’uomo di nobile ceppo dice: “Faccio questo o quello, perché lo debbo a me.”
Chi non sa essere anche malvagio, chissà se può essere veramente profondo?
Per un’infinità di uomini non v’è che una sola medicina: la catastrofe.
Solo chi conosce, vive.
Perchè la pietà non è nulla? Perché ti distoglie da te stesso, rivolgendoti ad altro. Ma devi badare a perfezionare te stesso e non un altro. Chi, compreso dalla propria profondità si rivolge all’interno, si libera dalla pietà come da una accidia.
Se v’è qualcosa in Cristo che io possa comprendere, è questo detto: “Ed egli li abbandonò e si recò nel deserto”.
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Ricordo che il Dottore suggerì ad antroposofi di “adottare” l’anima di Morgenstern come genio tutelare dei loro gruppi…
Sono ore di attesa del segno mediante cui nel cristallo del tempo si franga il segreto della Luce, che deve aiutare i cercatori a vincere il momento del demoniaco. Tutte le vie verso lo Spirito sono in pericolo: una perdita di contatto si è già iniziata, come introduzione al vaglio degli esseri fedeli, dei decisi, degli eroi solari. In questo momento v’è necessità di decisione assoluta, di un’adesione perfetta per rispondere all’appello del Mondo Spirituale.
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Occorre ascendere la vetta d’Iruna, dove sfolgora il Graal, il nobile castello, per ritrovare il sigillum Rosae Crucis. La luce del Graal viene dall’antico impegno degli Iniziati Solari di recare all’uomo, di ridestare nell’uomo, la virtú dell’ “Unigenito del Padre”: l’aurea luce che trasforma la sede della brama, la piú inconscia, da cui domina l’eros. È necessaria una guarigione profonda dall’impronta dominante della specie. L’arte del Sacro Amore è la vita ridestata di questo antico impegno, riguardante l’imminente evoluzione dell’uomo. Un cammino che è la via della purità creatrice, secondo l’originario arcano del Logos. La luce aurea trasforma ciò che ancora umanamente appartiene alla specie, anche nei migliori. Il Sacro Amore dona l’intuito di questo opus micaelita.
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La realtà dell’anima è il suo riconoscersi come una sostanza che non appartiene alla Terra e come tale reca in sé tutte le Potenze del Cosmo: l’anima non lo sa, si crede terrestre, soffre l’illusorio condizionamento terrestre e prepara di continuo il proprio male: non sa che cosa realmente è. Il segreto è il suo avvertire se medesima: la propria animadversio: operazione profondamente semplice, ma perciò sommamente difficile. Occorre restituire all’anima la mneme divina, la memoria cosmica, la consapevolezza del suo potere immortale: che è, sostanzialmente, il Sacro Amore. Continuità, identità, controllo della “rotta”, animadversio del sentire, connessione con la Forza prima: questo è il senso del procedere e del tenore interiore. Nel profondo una fedeltà assoluta all’impegno micaelita, al vincolo segreto con l’Ordine invisibile da cui origina il tracciato dell’azione, il còmpito sacro dell’azione: che non è azione esteriore, bensí la vera azione, quella causale, sovrasensibile.
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Questa fedeltà è identica a quella per il Sacro Amore. L’azione pura esige animo eroico, perché l’anima si scioglie del tutto dalla inferiore natura e l’ha di fronte a sé come un doppio che assedia di continuo l’essere libero: l’assedia con il cupo rimprovero, con l’oscurità bramosa e l’ira, l’infedeltà, la tortuosità.
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L’azione è pura, ma deve richiamare a sé tutta la Forza, per vivere del suo respiro e alimentarsi della sua segreta beatitudine.
Non cesserà mai di essere la luce della fedeltà assoluta, ma le occorre il cibo aureo della Forza, il fiammeo coraggio dello Spirito, l’essere assoluto dell’Io: che nell’essere assoluto, nel realizzare la sua assoluta natura, si avviva, dal proprio profondo, del Christo.
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Massimo Scaligero
Da una lettera del febbraio 1972 a un discepolo. Grazie a L’Archetipo
La conoscenza del rapporto tra le forze luciferiche e quelle arimaniche non è semplice da penetrare. Per vari motivi. Secondo la storia del divenire cosmico dell’uomo, l’azione delle potenze luciferiche sull’essere umano è molto più antica di quella arimanica, essendo iniziata già nella remota epoca lemurica, mentre quella arimanica iniziò ad operare nella tarda epoca atlantica. Ma ancora nell’antichissima epoca paleoindiana, su un tipo umano che vedeva l’apparire fisico del mondo come una “maya” illusoria operante sui sensi, della quale era necessario liberarsi, l’azione arimanica era pressoché inesistente. Troppo forte, addirittura struggente, era la nostalgia dell’antico indiano per la perduta patria spirituale dalla quale si sentiva esiliato, perché l’impulso materializzante dell’Oscuro Signore potesse operare efficacemente. Solo nelle epoche successive un tale impulso è andato – con molta gradualità – affermandosi nel corso dei millenni, sino a cancellare in una parte dell’umanità ogni percezione spirtuale, anche elementare, e a recludere ed irrigidire l’essere umano nella prigione-tomba, come nell’Ellade veniva chiamata da Orfici, Pitagorici e Platonici, corporea.
Via via che l’impulso del Principe dell’Oscuro Pensiero – di Angra Mainyush, o Ahriman, come lo chiamava Zarathustra – si è andato affermando, si è andata pure saldando una sorta di nefanda “collaborazione” tra i due Ostacolatori: tra Lucifero e Arimane. Ma ambedue, in realtà, operano sia nella corrente abelita che in quella cainitainvolute e degenerate. Mentre – come scrive più volte Massimo Scaligero – còmpito dell’uomo è quello di scompaginare l’alleanza tra i due Ostacolatori, rendere operante l’inimicizia tra loro, ed usare l’uno contro l’altro.
L’alleanza tra i due Oppositori è esiziale per l’uomo, mentre la loro reciproca inimicizia è, invece, salvifica per lui. Massimo Scaligero in Dallo Yoga alla Rosacroce, Perseo, 1972 – consiglierei di leggere l’edizione originale, non quella arbitrariamente manomessa e malamente “ortopedizzata”, edita successivamente da una casa editrice romana – nel capitolo Deità Ostacolatrici, descrive bene il giuoco dei due Ostacolatori, e come scompaginarlo, rendendo operante e fruttuosa tale inimicizia.
E’ corretto affermare che l’Eloha Jahve-Jehova sia all’origine dell’impulso abelita, ma oggi tale entità opera ancora nella corrente decadente, involuta, regrediente, di tale impulso, e la sua azione viene compromessa dall’intromissione dei due Ostacolatori.
La redenzione dell’impulso abelita, e delle stesse forze luciferiche, avviene nella Via Rosicruciana attraverso l’opera di redenzione del pensiero, di resurrezione del pensare dalla prigione-tomba somatica nella quale oggi esso è recluso. Ed è ancor più giusto e corretto affermare che il Logos, operante nell’Io e nell’anima cosciente dell’uomo separa ed equilibra le due Potenze Ostacolatrici, e le pone al servizio del Divino.
(IL PRESIDENTE WOODROW WILSON arriva a Parigi nel 1919 per la Conferenza sulla Pace ed è accolto dai soldati americani a destra)
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Caro Massimo,
(purtroppo) che cosa rende le donne insoddisfatte nell’attuale evoluzione tanto da farle diventare femministe (… ?) e scordare il loro ruolo spirituale?
Ottimo.
Ma micaè colpa delle donne, è colpa degli uomini; ma non gli uomini maschi, gli uomini come umanità. Eh, equindi le donne.E le donne fanno parte dell’umanità eh, fino a prova contraria… ci si può dire…
E allora, se andiamo all’origine di questo fenomeno troviamo tutto quello di cui ci siamo occupati in questo periodo perchè il femminismo è un fenomeno tra i molti, ma mica c’è solo quello, intanto che… siccome la domanda è fatta dobbiamo pur dire qualcosa e … dopo questa domanda ce ne è una che mi aspetta al varco e che parla del dramma del pensiero riflesso.
Il pensiero riflesso è il segno ultimo della caduta dell’uomo; è la codificazione scientifica, ideologica, dialettica, razionalistica, matematica, perfetta, dell’impotenzapeccaminosa in cui l’uomo si trova.
A quel livello è possibile tutto,infatti è una serie di eventi cheli vediamo ogni giorno, e c’è una gran fatica per fotografarli, fare odeon, tantambre… per poterli portare al pubblico e dire “Ma si’, questo è umano” ma è un umano un pò bestiale. Beh, non insultiamo le bestie.
E’ un umano che, veramente, possiede la razionalità.
No, la razionalità è un pretesto. Il razionalismo è un veicolo, è una codificazione, una via di codificazione. E tutto è codificato, quindi il femminismo ha ragione.
Ha ragione anche l’antifemminismo: non sono le famose antinomie: è il livello in cui l’uomo è perduto, però siccome è il livello del pensiero riflesso è il livello anche dell’uomo libero che può anche risorgere.
A quel livello il pensiero riflesso… ma perciò è libero anche di essere potente.
Non abbiamo niente contro il femminismo, perchè ognuna delle ragazze che marciano col cartellone, basterebbe che incontrasse un potente appuntato di finanza siciliano, un bel fusto e gli cadrebbe tutto perchè si farebbe una bella passeggiata. E basterebbero degli anticorpi in un senso che voi potete capire e immediatamente il femminismo crollerebbe.
Se mi sente qualcuno!
Qua però veramente è un fenomeno da prendere sul serio,ma allora a ugual titolo c’è da prendere sul serio tutto ciò che va avanti coi cartelloni.
Voi sapete la a storia di quello che partecipò al corteo della fame.
Abbiamo fame! Equello che portava il cartello era un ciccione grosso che ogni tanto però aveva dei giramenti di capo perché mangiava troppo; allora proprio nel momento in cui passava davanti casa sua, la poesia del mio amico poeta romanesco, non mi ricordo come si chiama, diceva che a un certo punto lei andò sulla porta co’ le ciavatte e nel momento in cui passava davanti gli prese uno sturbo e cadde per terra, soccorso la moglie va lì con le ciavatte e je fa’: ” Magna meno, te possino ammazzà!”.
Portava il cartello “Abbiamo fame” invece era caduto perchè aveva mangiato troppo.
E’ come il corteo per la pace, la pace a costo di tagliare la testa a tutti vogliamo la pace, è la stessa cosa.
Comunque non ce la vogliamo cavare così facilmente e adesso vedremo strada facendo di riprendere la dignità del discorso.
Allora, passaggio dal pensiero riflesso al vivente e da qui proseguire le altre perchè sono vicine a questo tema.
Dunque noi abbiamo questa distinzione tra pensiero riflesso e vivente, la conoscete forse meglio di me però dobbiamo, l’argomento, averlo sempre vivo perché il sapere qualcosa é proprio quello che ce lo fa perdere: quando uno sa una cosa, ormai la sa e che c’è più bisogno che la abbia viva o la sa?
Ora il pensiero con cui noi pensiamo non è mai voluto e quello è il pensiero espressione della impotenza di cui dicevamo prima, della distruzione dell’uomo perché esprime la corporeità e il male psichico.
L’impotenza, gli istinti e il pensiero sta lì a essere come il servetto però c’è un pensiero che può essere voluto ed è quello della concentrazione.
Lì questo fenomeno della distruzione della caduta del male che si serve del pensiero si arresta e però non è che le cose cambino molto perchè il pensiero voluto, ci dobbiamo rendere conto che questo volere il pensiero è transitorio, è un mezzo, se noi voluto il pensiero poi insistessimo a volerlo, impediremmo al pensiero di volere lui in noi quello che viene da una zona più alta dell’umano.
Quindi volere il pensiero per impedire che il pensiero sia alla mercè dei flussi triviali della psiche. Una volta conquistato questo, e veramente voluto il pensiero di contro, contro, in opposizione alla psiche e al corpo, proprio contro la nostra propria natura, posseduto il pensiero, allora poi l’arte èdi farparlare il pensiero. Allora il pensiero è il veicolo dello spirito, ossia se il pensiero non voluto è il veicolo del male umano, questo pensiero non voluto perchè riconquistato al proprio movimento, porta il bene dell’uomo: diciamo bene per intendere diverse cose.
Noi ci dobbiamo rendere conto di questo dramma terribile che è quello che ci fa soffrire quotidianamente in tutte le forme: dal male psichico al male fisico eccetera, ai mali sociali eccetera… che il pensiero con cui noi pensiamo quotidianamente è il contrario del pensiero in cui si può esprimere il vero uomo, è l’opposto.
Quando noi facciamo l’esercizio e seguiamo la disciplina del pensiero, la disciplina della concentrazione, dobbiamo lottare a lungo per capire che cosa dobbiamo fare dopola concentrazione, a che cosa dobbiamo arrivare mediante la concentrazione, perché si tratta di… ad un certo punto capire che dobbiamo guardare ad una direzione opposta a quella da cui viene il pensiero, e allora si trova che da questa direzione opposta viene la volontà.
Allora scopriamo che continuamente noi ci opponiamo alla volontà, ossia al volere puro, e noi possiamo scoprire che il pensiero riflesso è l’inverso del volere vero dell’uomo, perché non è voluto dall’uomo, non è mai voluto dall’uomo.
Studiatelo in voi stessi e scoprirete che non c’è un momento del giorno in cui questo pensiero sia voluto. E allora vi spiegherete il perchè noi indichiamo la via data dallo Steiner come la via solare perchè è l’unica via che indica la possibilità di riconquistare il vero volere dell’uomo e quindi scoprire che tutti i metodi che non indicano questa via ingannano l’uomo; perché si tratta veramente di uscire da questo pensiero che non è nostro ma è degli ostacolatori, è suggerito da loro, è argutissimo, è matematico ma per soddisfare bisogni fisici, istinti, non solo: ma essendo l’opposto del pensiero vivente ossia del volere pensante è il pensiero dell’avversione, quindi da questo pensiero non può venire fraternità. E’ inevitabile che sia il pensiero della lotta, della contestazione, dell’opposto dell’esercizio della positività, della continua polemica contro l’altro, della impossibilità della fraternità. Dal pensiero riflesso non è possibile che venga fraternità, e quindi non è possibile che venga socialità. Voi traetene le conseguenze, ma questo è sperimentare veramente la situazione del pensiero.
Ora nei tempi moderni c’è stato un filosofo che ha sentito il dramma del pensiero riflesso. Noi possiamo dire che Hegel ha dedicato tutto il suo filosofare al tentativo di superare questa dimensione; però Hegel non sapeva che lui operava mediante un pensiero che era un residuo di un antico modo di avere la chiaroveggenza come pensiero e questo voi lo trovate, guardate questo, posso dire, scusate parlo di me, come una mia intuizione personale, ma passarono degli anni e poi trovai ne “la mia vita” dello Steiner un’espressione bellissima che mi fece capire che era giusto quello che avevo intuito; ossia che lui disse “Vidi in Hegel l’ultima luce di un sole che tramontava”. E infatti poi è finito, perché se voi guardate perfino i materialisti inglesi precedenti Kant per esempio gli empiristi eccetera, sono simpatici perchè hanno un pensiero nervoso, potente, che dice delle grosse ingenuità ma le dicono con forza.
Si può dire che tutto il pensiero prima di Hegel ha delle fila sottili di chiaroveggenza. Cartesio era formidabile, si dice che fosse un Rosacroce, Renato Cartesio, RC, RTC, poi lui parlò della ghiandola pineale eccetera….
Comunque dico questo per richiamare la vostra attenzione sul fatto che finito Hegel e finiti gli hegeliani che echeggiarono il suo lato positivo, siamo caduti dopo nell’assoluto dialettismo prima di vita, ossia nel pensiero riflesso assoluto: in una prigione senza uscita, in un meccanicismo di pensiero privo di vita e che ha cominciato a creare dei drammi terribili perchè l’uomo ha bisogno di sentire lo spirito che é stato perduto dal pensiero e allora ci sono tutti i tentativi celebralistici e poi tutte le nevrosi e poi tutti i drammi di un sentire che non si sa più collegare con le forze vere dello spirito. E come si supera? Dice l’amico.
Si tratta veramente di capire il senso di questo pensiero riflesso, di capire che il pensiero vivente viene da una zona che continuamente irrora l’anima dell’uomo di forze, e queste forze continuamente si perdono per il fatto che l’uomo non vuole conoscere le fonti del pensiero riflesso con cui edifica la propria cultura riflessa; e questo è gravissimo perchè lo spirito matematico funziona, lo spirito logico funziona in questo dialettismo, ma cessa di funzionare quando si tratta di portare l’empiria, lo spirito… l’empirismo logico, di portarlo verso l’indagine del pensiero. E questo è chiarissimo: perchè se noi pensiamo a un aspetto degli ostacolatori, Lucifero e Arimane, é questo: che i due sono gelosi, terribilmente gelosi della libertà dell’uomo. Sono degli esseri che sono capaci di dare un grande aiuto all’uomo purchè l’uomo rinunci alla propria libertà
Guardate che il mondo antico sapeva, conosceva che c’erano degli dei che li aiutavano, che però erano gelosi delle verità superiori a cui l’uomo volgeva il culto. E allora l’uomo antico aveva la saggezza di offrire sacrifici a queste divinità inferiori per placarle, però venne un tempo in cui questo non funzionò più, e l’uomo fu sempre più preso dalla massima deità inferiore, che è Arimane, e da allora… perché come dice Pascarella: “er foco tu coll’acqua sì lo smorzi, ma l’acqua, dimme un po’, con che la smorzi Quindi Arimane col dialettismo non lo smorzi. Però bisogna anche conoscerlo, e la misura dell’accesso al mondo spirituale è la conoscenza di questi due ostacolatori.
Comunque, siccome non ho finito di rispondere, e mi trovo qui altre domande che riguardano lo stesso… proseguo con queste domande.
Che relazione c’è tra quello che si chiama tradizione occidentale, Gioacchino da Fiore, Sant’Agostino, San Tommaso?
In parte abbiamo risposto a questa.
Che relazione c’è fra il pensiero puro e Michele, e il potere di sintesi del pensiero con il Christo?
E qui c’è un… potrei unire anche questa domanda: l’azione pensiero sintesi dell’io volontà che si riconosce nel quotidiano, sia quello micro personale sia quello macro personale e mondiale dev’essere autonoma e solo tale o può essere concordata tra più autonomie fuori discussione senza discussioni?
La relazione la troveremo, tra queste domande. Perché qui abbiamo già riportato il pensiero alla sua relazione con il volere. Ora la… l’impulso di Michele riguarda la Volontà. Michele è il portatore della volontà pura. Però Michele ha bisogno di operare mediante l’uomo libero. Tant’è vero che il Dottore ci presenta così, dice: mentre gli altri Arcangeli sono loquaci, parlano all’uomo, lo aiutano, gli dicono, specialmente Raphael in questo periodo, Michele è silenzioso perché non vuole influire sull’uomo, lo vuole aiutare ma in quanto lui sia libero, voglia lui l’aiuto, perché minimamente che influisse sull’uomo la missione di Michele verrebbe meno. Perché il bene dell’uomo è l’essere libero, e l’essere libero si fa strada attraverso l’opposizione alla natura umana. Questa natura umana che viene così… eh… poeticizzata, eh… esaltata, posta come fondamento, è proprio ciò di cui ci dobbiamo liberare, è proprio ciò che dobbiamo superare, è proprio ciò che dobbiamo riedificare. E questa riedificazione avviene inizialmente attraverso il pensiero, perché il pensiero per pensare anche dialetticamente ha bisogno di paralizzare qualcosa del cervello.
Esiste un rapporto della psiche con il cervello che è importante ricordare. Noi abbiamo nella testa, nell’organo cerebrale abbiamo processi metabolici, ossia processi di ricambio, che rispondono all’attività della volontà; abbiamo minimi processi chimici, ossia processi respiratori. Nella testa noi abbiamo minimi, sottilissimi processi di respirazione. E questi… questi processi di respirazione corrispondono al sentimento. Mentre il pensiero si svolge nell’elemento nervoso puro: ossia dove noi abbiamo processi di ricambio e processi ritmici nel cervello non abbiamo pensiero ma abbiamo il contrario, ciò che dalla corporeità inferiore, dalla vita istintiva afferra il pensiero e lo rende proprio strumento. Con il pensiero riflesso lo può fare, e lo fa malgrado che il pensiero riflesso, quando è logico, quando è un pensare che ha un minimo di logica, eh… deve, per poter diventare cosciente – non c’è altra parola – paralizzare o distruggere o eliminare, paralizzare forse è la parola più adatta, l’elemento nervoso puro, mediante un processo che è anche fisico ma che fisicamente non è individuabile. Non ci sono strumenti per registrare questo processo che tuttavia c’è, e chi sa fare la Concentrazione e andare oltre se ne accorge, perché si accorge che il pensiero deve trivellare certe zone se vuole andare oltre certi limiti. Ora, che cosa avviene? Che… immaginiamo che uno faccia la Concentrazione e abbia, conosca la disciplina eccetera, eh, e si accorge che tutta la lotta avviene nella testa: tutto ciò che è vittoria su nella zona del cuore, nella zona della volontà, si prepara nella testa. E si prepara come? Mediante… riafferrando la forza del pensiero e cercando di attingere alla corrente di volere del pensiero. Allora che cosa avviene? Che questa corrente si apre il varco nella s… nel cervello, nell’organo cerebrale, come? Distruggendo processi fisici ma aprendosi dei canali in cui poi, in un secondo tempo, irrompe la volontà.
Noi possiamo dire che: il pensiero distrugge, la volontà edifica. Se noi siamo capaci di disciplina del pensiero da principio noi distruggiamo processi naturali dell’organo cerebrale e apriamo dei vuoti, dei varchi sottilissimi, e in un secondo momento lì penetra la volontà, che è la volontà che conquista la psiche. Ecco, per esempio uno che avesse, eh, nevrosi, anche ossessiva eccetera, potrebbe benissimo guarirne conoscendo questo processo, ma è difficile che riesca a dominare il pensiero, ma se ci riesce capisce come guarire, e qualch… si tratta in questi casi per esempio di aiutare qualcuno, preso da forme ossessive, a insegnargli la concentrazione e fargliela fare sotto la propria guida e responsabilità: una concentrazione ossessiva positiva, ossia se lui è preso da ossessioni che lo tormentano, non gli fa… non lo fanno dormire… : insegnargli un pensiero semplice a cui dedicarsi con tutte le forze, in modo che comincia in lui a rifluire la corrente del volere che si può dire – abbiamo detto nelle volte scorse – contiene la forza riedificatrice dell’umano. E lì comincia la guarigione. Ora noi qui, abbiamo… dobbiamo dire questo, che quando il, il pensiero razionale opera questa distruzione, guardate: un professore di matematica, un professore di scienze naturali, uno studente di chimica, normalmente ha, fa, compie quest’operazione, di… nel momento in cui si applica col pensiero distrugge. E sarebbe bello che lui lo sapesse perché se non lo sa, e quindi non fa un esercizio di re-integrazione del pensiero, la parte dis… nella zona in cui ci sono quei vuoti dovuti alla distruzione si inseriscono gli istinti, sale una corrente del volere che è il volere già deviato. Ecco perché malgrado la loro matematica poi sono presi da qualcosa che non gli dà pace. Mentre noi sappiamo che c’è la possibilità di dare a questo pensiero il contenuto di cui si priva per pensare dialetticamente. Che è un contenuto di volontà, cioè che è la corrente della volontà.
Tra parentesi noi qui dobbiamo dire che questa corrente del volere è la corrente del Logos, per cui se lo sperimentatore fosse un un positivista, materialista, e tuttavia avesse l’onestà di sperimentare il pensiero secondo i i principi che… da cui nasce persino anche la logica, incontrerebbe una corrente di forza, e se portasse il suo empirismo oltre, scoprirebbe un potere che si affaccia nell’Io e che ha in pugno l’universo. Scoprirebbe il Logos, scoprirebbe il Christo. Ora, noi abbiamo la ventura di conoscere la Scienza dello Spirito, e quindi sappiamo che c’è la Via, e questo è la Via del pensiero puro.
Qui si dice la relazione che c’è tra il pensiero puro e Michele. La relazione è questa: noi mediante il lavoro interiore, la disciplina de pensiero arriviamo alla liberazione del pensiero, arriviamo anche alla percezione di ciò che è opposto alla corrente del pensiero che è la corrente della volontà. Possiamo anche arrivare alla connessione delle due forze e questo già, però è già una bella conquista però si è ancora in pericolo di tradire se non si congiunge questo con la forza che amministra l’intelligenza celeste, laddove diventa umana e dove diventa umana l’uomo corre continuamente il pericolo che prima di impossessarsi lui di questa intelligenza, se ne impossessano gli Ostacolatori e quindi gli danno già il pensiero pensato da loro e questo è il pensiero dialettico. La connessione con Michele è una connessione sacrale che non possiamo accettare per fede ma per esperienza interiore e il Maestro dei nuovi tempi dà tutto perché questa esperienza si svolga senza ricorrere ai Vangeli e senza ricorrere a nessuna fede ma per positiva esperienza interiore si arriva ad un certo punto a scoprire il principio dinamico dell’intelligenza super individuale, super cerebrale.
Rimane a dire il rapporto tra la tradizione occidentale, Gioacchino da Fiore, Sant’Agostino, San Tommaso. La tradizione occidentale non è quella di cui ci parlano i tradizionalisti… i maestri del tradizionalismo moderno: perché nessuno di questi ha capito il segreto del pensiero vivente; anche se alcuni si sono serviti di forze eteriche del pensiero, e perciò sono arrivati ma non c’è niente di peggio che disporre di queste forze eteriche e poi dire che “Maestro che sono io” e poi interpretare tutto secondo lo schema che per loro è un presupposto, non è un atto di pensiero puro; perché partono dallo schema tradizionalistico che è già un pensato. E non si rendono conto che non c’è niente di vita interiore del cosmo e dell’umano che non sia un processo interiore.
La tradizione subisce una crisi all’inizio dell’epoca dell’anima cosciente, la quale comincia nel 13mo secolo, siamo proprio nell’epoca qui accennata. Queste figure… Gioacchino da Fiore è già sulla linea di una nuova via, lo stesso… Sant’Agostino è anteriore però è una figura che bisognerebbe isolare da queste due, perché… rappresenta un tentativo che fallisce, un tentativo di spiegare il cristianesimo secondo una … un inquadramento in cui cominci a valere il principio della libertà interiore, ossia il vero principio cristico. E Sant’ Agostino seguì questa linea con una certa fedeltà alla quale poi reagì quando si pose contro il manicheismo, e lì lui ebbe paura, e ricadde nel dogmatismo più pedestre. Però la grandezza di Sant’Agostino la si vede proprio in questo contrasto tra un momento in cui lui intuisce il Cristo e un altro momento in cui lui lo fa ritornare Jehova.
Gioacchino da Fiore e San Tommaso sono dei preparatori. Gioacchino da Fiore era molto vicino alla Rosacroce. San Tommaso ebbe un carico all’interno del cristianesimo alla vigilia della… dellastruttura teologica del cattolicesimo e quello che lui operò in occulto fu più importante di ciò che fu la sua Summa Teologiae. Comunque, e… essi ebbero il… specialmente Tommaso, ebbero il merito di indicare la via del pensiero, senza però avere il coraggio di portarla in fondo in quanto non ebbero la forza di vedere nell’idea lo Spirito stesso, che invece collocavano aldilà dell’idea, come qualcosa a cui occorreva prestare solo fede e naturalmente si ricadde nel dualismo che poi… non era questo il compito di Tommaso: il compito di Tommaso fu quello di combattere l’averroismo, in questo lui riuscì.
Peró dobbiamo tenere conto che siamo alla vigilia dell’epoca dell’Anima Cosciente, che comincia nel tredicesimo secolo, cheperó si concreta umanamente all’inizio di questo secolo, quando comincia l’epoca di Michele.
Abbiamo seguito queste domande sacrificando qualcun’altra che vedremo la prossima volta, per potere avere una specie di filo unico conduttore, speriamo di non avere disturbato nessuno… E troviamo che il discorso, il filo ci conduce consequenzialmente a questa immagine che ci viene data, ci viene suggerita, che suona cosí: in questo periodo di grandi prove, qual’é il significato di percepire dentro di sé il comando: “Lazzaro, vieni fuori!”?
Ecco, perché abbiamo detto filo unitario? Perché… ritorniamo al pensiero: Il pensiero é il segreto di tutta l’Opera, é il segreto per il sentire, se vogliamo il sentire divino dobbiamo passare per il pensiero, se vogliamo giungere alla devozione trasfigurante dobbiamo passare per il pensiero, se vogliamo percepire le forze dei grandi del misticismo, dei santi cristiani, come San Francesco, San Francesco di Paola, dobbiamo avere il potere della meditazione.
In questi giorni …. (debbo abbreviare, allora non posso dire, no, vediamo un po’…) degli amici mi hanno detto dei libri in cui si parla di un misticismo cristiano, cattolico, molto puro, meraviglioso, che ha come centro Maritain, e c’é una figura che si chiama Van Der Meer, e ho letto queste pagine e sono stato commosso dalla profonda sacralità, santità, devozione. Peró a un certo punto ho sentito che dopo… ma… che cosa possono fare questi con la demonía del mondo attuale? Perché é tutto un offrirsi misticamente al Cielo, un ritirarsi in una specie di eremo nella montagna, tra i ghiacciai, e lí vivere il rapporto col Cristo, e questo rapporto non deve essere solo sentimento: la Via dell’Uomo é conoscere, non ci si deve lasciare ipnotizzare dal sentire, il quale é importante, ma bisognache passi attraverso la conoscenza, altrimenti non si sa che i demoni sono due, Lucifero ed Arimane, e non si conosce qual’é il rapporto tra i due: perché é un rapporto importantissimo, e non si capisce che cosa ha a che fare lo spirito religioso con Lucifero, e non si capisce che cosa significa l’economia che prevale sul mondo attuale, prevale come il massimo interesse: é tutto.
Il pensiero é il presupposto dell’azione spirituale, il presupposto assoluto, il primo, il piú puro, non si sfugge. Volete attaccare la Via del Pensiero? Dovete pensare. Volete costruire una tradizione mediante simboli e miti? Dovete pensare. Dovete pensare che Vishnú é grande, che Vishnú é il massimo? Dovete pensarlo, avere dei pensieri. E questo pensiero poi a un certo punto lo trovate nel profondo della vostra vita, perché é tutto pensiero. Una malattia pensa se stessa con intensitá, e se noi fossimo… siamo capaci di un pensiero piú potente, allora noi sciogliamo la malattia.
E quando noi leggiamo libri in cui il pensiero é vivo, e siamo capaci di riconoscere questi libri, tipo Filosofia della Libertà, e … libri in cui il pensiero é vivente, perché é stato sperimentato nello spirito, nello scriverlo, nello scriverli, noi non pensiamo solamente col cervello: questo pensiero arriva nelle ossa, noi pensiamo con la forza delle ossa, perché la massima opposizione al pensiero non é soltanto l’organo celebrale, ma il sistema osseo, e qui devo concludere: dobbiamo al sistema osseo che noi possediamo una matematica e una fisica, perché tutta la sapienza delle ossa é matematica e fisica, e coloro che sono stati grandi – Cartesio, Newton, eccetera- nella matematica e nella fisica, hanno attinto alla sapienza delle ossa, peró ci hanno dato una scienza di ció che é morto.
E allora qui veniamo alla immagine, con cui dobbiamo concludere, purtroppo, c’é un’immagine dei Rosacroce che suona cosí: “Contempla lo scheletro e troverai la morte, contempla ció che é interno allo scheletro e troverai il portatore della Resurrezione”.
Quindi questo mondo matematico-fisico va superato, occorre andare oltre, perché all’interno delle ossa – ecco perché al Cristo non furono spezzate le ossa – c’é il Risuscitatore. E quando noi parliamo di pensiero vivente parliamo proprio di un pensiero che appartiene alla Resurrezione. É il Cristo che rende… dà all’ uomo la possibilità della resurrezione del pensiero, e questa resurrezione giá appunto é simboleggiata mirabilmente in questo comando: “Lazzaro, vieni fuori!”
Sono una pietra e non una pecora Per il fatto di poter stare, o Cristo, presso la tua Croce Ad assistere goccia dopo goccia alla lenta effusione del tuo Sangue Senza piangere?
Non hanno amato così quelle donne Che ti hanno pianto con tanto dolore; Non così Pietro che ha pianto amaramente dopo essere caduto, Non così è stato toccato il ladrone;
Non così il Sole e la Luna Che nascondono il loro volto in un cielo senza stelle, Un orrore di grande oscurità nel pieno del mezzogiorno – Io, solo io.
E tuttavia non rinunciare, Cerca la tua pecora, vero Pastore del gregge; Più grande di Mosè, voltati e guarda ancora una volta E colpisci la roccia.
Con il Venerdí Santo si è giunti al momento della illuminazione definitiva di Parsifal, il preludio della riconsacrazione del Graal. Ognuno di noi deve affrontare questo nella propria vita: attraversare i momenti della Passione, procedendo verso il Mistero della Resurrezione; conoscere l’oscurità che precede l’aurora, cosí da sentir nascere infine la certezza della perennità dell’accordo celeste-terrestre.
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Una grande calma scende allora dalle corone stellari sul nostro cuore, perché l’anima sia concorde limpidamente con le altre anime in questo cammino terrestre.
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È la realizzazione del dono recato dal Cristo con la sua azione folgorante. Era ormai disegno divino far vincere all’uomo la reclusione nella sua soggettività, grazie a un Amore che lo svincolasse dall’affettività espressiva del sangue, degli istinti, dell’ego, della consanguineità, e tuttavia lo lasciasse libero, secondo l’impulso della libertà suscitato in lui da Lucifero. Christus, verus Luciferus. Alla forza dell’Amore legata al sangue congiunse il puro impulso dell’Io libero: il principio del Sacro Amore, del Graal. L’Amore cosí scorre da anima ad anima: il sangue versato sul Golgotha libera le originarie forze del sangue: congiunge con l’Io eterno l’Io individuale. Questo è il senso dell’incontro piú sottile dell’anima con l’anima.
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Nella Pasqua il Cristo risorge. Sempre risorgerà. Ogni giorno il cuore deve farlo risorgere, perché la vita non sia smarrita nel nulla, ma dia il suo vero contenuto alla Terra, al Cielo, alle Stelle, a se medesima.
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Massimo Scaligero
Da una lettera datata Pasqua 1975.
Grazie a Marina Sagramora
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Immagine: Beato Angelico «La Resurrezione» Museo San Marco, Firenze.
La Madre di Gesú e le pie donne vanno al sepolcro e lo trovano vuoto. Un Angelo dice loro: “Egli non è piú qui, è risorto…”.
Le piante emanano aria pura. Esse sono pure, senza brama, disinteressate; perciò ci si sente bene in mezzo al mondo vegetale: esso emana vita. Ma col suo respiro l’uomo comune reca morte nell’ambiente. Per mezzo di una vita pura, morale, disinteressata, egli deve trasformare il suo respiro in un respiro puro, pieno di vita, e per via degli esercizi interiori egli deve portare ritmo nel suo respiro. Egli deve poi imparare ad emanare nel respiro la sua individualità, ad imprimerla nel mondo; per effetto di ciò, egli dà vita all’ambiente. Grazie a una continua educazione di questo genere, il discepolo impara a librarsi al di sopra di ciò che è puramente fisico, a porsi nell’elemento eterno.
Per questa via egli ascende agli eterni, imperituri archetipi delle cose, che non nascono e non periscono; egli si unisce anche con il suo proprio archetipo. Fisicamente l’uomo viene ad esistenza e perisce, ma per ciascun uomo c’è un archetipo che è eterno. Se il discepolo impara ad unirsi con l’archetipo, egli è allora salito al mondo eterno dello Spirito, si libra al di sopra del perituro. Questo è lo stato di cui viene detto che l’uomo riposa allora tra il roteare del grande uccello, del cigno dell’AUM.
L’AUM è il trascendere retrospettivamente dalle immagini all’archetipo: l’elevarsi all’imperituro. Questo elevarsi all’eterno, l’unirsi con gli archetipi, viene anche espresso nel Mantram delle Upanishad:
Yasmai jasam jagat sarvam, yasminn eva praliyate
yenedam dhriyate chaiva, tasmai jnanatmane namah.
Questo è ciò che sta nel pensiero pasquale. È la resurrezione dell’uomo dal suo legame con ciò che è perituro e materiale nelle religioni eterne degli archetipi. La natura serve quale simbolo di ciò. Come a Pasqua sboccia ovunque nuova vita dalla terra, dopo che il granello di seme si è sacrificato e si è decomposto nella terra per dare alla nuova vita la possibilità di sussistere, cosí nell’uomo deve morire tutto quanto è inferiore. Egli deve sacrificare la natura inferiore per potersi elevare agli eterni archetipi delle cose. Perciò anche la Cristianità festeggia in quest’epoca del risveglio della natura dal sonno invernale, la morte e la Resurrezione del Redentore.
Anche l’uomo deve prima morire per sperimentare poi la resurrezione nello spirito. Solo chi supera il legame con ciò che è perituro, può diventare imperituro come gli eterni archetipi, può riposare tra le ali del grande uccello AUM. Poi l’uomo diventa tale da collaborare al progresso del mondo. Egli riplasma poi il mondo per una futura esistenza: dalla sua piú profonda interiorità egli opera magicamente nel mondo.
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Tratto dai Quaderni di Scuola esoterica di R. Steiner nella traduzione di M. Viezzoli – per gentile concessione di Marina Sagramora
“Tutti gli esseri, non solo i ragionevoli, ma anche gli animali irragionevoli e la natura che è nelle piante e la terra che li produce aspirano alla contemplazione e tendono a questo fine: tutti lo raggiungono entro le possibilità offerte dalla loro natura.
Ogni azione tende alla contemplazione, tanto l’azione necessaria che fortemente attira la contemplazione verso le cose esterne, quanto quella detta ‘volontaria’ che l’attira meno ma che si compie egualmente per desiderio di contemplazione…
La natura, che alcuni dicono priva di rappresentazioni e di ragione, ha in sé contemplazione e produce quelle cose che produce mediante la contemplazione che, a quanto dicono, essa non ha.
Poiché la natura opera rimanendo immobile e, rimanendo immobile, è una ragione, essa è anche contemplazione.
Difatti le azioni pratiche, pur essendo conformi alla ragione, sono evidentemente diverse da essa: ché la ragione, in quanto è presente all’azione e vi presiede, non è l’azione.
Se dunque non è azione ma ragione, essa è contemplazione; e per ogni ragione v’è una ragione ultima che deriva dalla contemplazione ed è contemplazione nel senso di oggetto contemplato.
La ragione superiore varia col variar degli esseri ed è come l’anima, non come la natura, ma quella che è nella natura è la natura stessa.
Anche questa deriva da una contemplazione? Certamente, da una contemplazione; poiché anch’essa è simile a un essere che si contempla: è infatti il risultato di una contemplazione ed è in quanto un essere contempla.
Ma come essa contempla?
Essa non possiede la contemplazione che deriva da un pensiero discorsivo, da quel pensiero cioè che esamina ciò che contiene in sé.
E se essa è vita, perché non è anche ragione e potenza operante?
Forse perché ricercare vuol dire non possedere ancora?
Ora, poiché la natura possiede, essa, in quanto possiede, anche agisce.
Per lei, essere ciò che è, è lo stesso che agire; essa è contemplazione, e oggetto di contemplazione, poiché è ragione.
Ed in quanto è contemplazione, oggetto di contemplazione e ragione, e soltanto per questo, essa produce.
Così dimostriamo che la produzione è contemplazione; essa infatti è il risultato di una contemplazione che rimane pura contemplazione senza fare null’altro, ma produce perché è contemplazione.”
(Enneadi III, 8, 1-3)
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Quel che il mio Plotino dice sulla contemplazione! Sullo stato interiore di ‘panica’ contemplazione che pervade l’intera Natura, ossia dell’afflato che avvolge, permea, pervade quella Natura, che è il sacro peplo di Iside, l’Unica Dea! Invero, tutta la Natura, tutti gli esseri della Natura, sono in stato di stupefatta contemplazione del Divino, dell’Uno, del Fondamento e, malgrado le tempeste e i furori che possono agitare l’apparire, essi riposano in tale stupefatta e mirabile contemplazione.
Massimo Scaligero, parlando una volta a noi giovani, ci disse che Giovanni Colazza, suo Maestro, chiamava questo stato di contemplante abbandono al Divino, immobile pur nel furore di apparenti scatenamenti di lotte cosmiche, il “riposo divino”!
Come in un immenso ossimoro cosmico, in tale mirabile stato si manifestano al contempo l’immobile riposare nell’identità con il Divino nella contemplazione e il più audace, dinamico e impetuoso donarsi all’azione più trasportante: la contemplazione come immobile principio dell’azione, e l’azione che della contemplazione segretamente si alimenta, manifestandola nell’impeto dell’agire più travolgente e temerario!
Ma come realizzare una tale contemplazione? I vecchi esoteristi ed occultisti d’anteguerra affermavano che ogni insegnamento è un errore finché non si traduce in una pratica corrispondente, ogni conoscenza è illusoria, ossia è mero sapere, se non si incarna in un agire, se – come insegnava Cagliostro – colui che conosce non diviene la cosa conosciuta.
E questo ‘divenire’ è un atto che sempre ‘è’, e non un fatto, una cosa che già c’è, ossia che passivamente, inattivamente, meramente esiste. Questo spiega il fallimento, il tradimento, l’insufficienza, la latitanza, l’inadeguatezza delle Comunità spirituali.
In un momento tragico – di concreto e di estremo pericolo per l’umanità – esse (o i componenti delle medesime se si vuole) si dànno allo spasso, al diporto, al divertissement come lo chiamava Blaise Pascal, ossia – nel senso più etimologico del termine – al di-vertimento, alla dis-trazione. Ma come ammonisce Massimo Scaligero, “il bene è l’idea che si realizza, e il male è l’idea che non si realizza“: in questo sta tutta la nostra responsabilità!
Ammoniva in Ur un amico di Massimo, Abraxa, che “o la vita è un rito o non è nulla“, ossia l’intera vita deve trasformarsi in un esercizio spirituale, in un Rito, e la pratica interiore – e più di tutto la concentrazione – deve essere il centro dell’esistere, la spinta all’esistere, il fine dell’esistere. Perché non è possibile – come fanno taluni, troppi, quando poi lo fanno – vivere 23 ore e 50 minuti della propria giornata nella totale dispersione esteriore e poi pretendere di attuare in 10 minuti uno stato di concentrazione interiore.
Se la pratica interiore, se la concentrazione in primis sono qualcosa di ‘periferico’, di ‘contingente’, di ‘occasionale’ nella propria vita e nella propria giornata, non potranno essere qualcosa di ‘centrale’, di ‘assoluto’, di ‘incondizionato’, la cui forza abbia la capacità di trasformare veramente l’anima, il cui impeto sia così potente da travolgere la mediocrità e la labilità umana.
Come ho avuto già modo di dire ci si alza alle 03.00 la notte per partire a fare una gita o un viaggio qualsiasi, ma non si è capaci di alzarsi mezzora o un quarto d’ora prima per fare una concentrazione in più! Mi diceva Massimo che le Intelligenze Celesti e i Maestri darebbero tutto all’uomo, ma che vengono disgustate e delusi dalla fiacchezza dell’uomo, del sedicente “spiritualista”, dalla banalità del suo stato interiore, dalla tiepidezza del suo cuore, dalla sua approssimazione, dalla sua sfilacciata volontà!
Per molti la Via spirituale è un piacevole passatempo, che porta un po’ di brio e di diversità nella noiosa routine della vita borghese: questi avrebbero bisogno o di passare qualche anno della loro vita a lavorare in una fonderia come quella di Porto Marghera, oppure di molta disperazione. Allora comincerebbero a ‘sfrondarsi’ del troppo inessenziale che ammala il loro spento esistere, e comincerebbero nella fatica e nel dolore a veramente ‘vivere’.
Altri decidono di vivere vivi e non morti, e per questo scelgono – liberamente scelgono – la Via diretta, la più difficile e la più semplice, la più dura e la più faticosa, la più temeraria e la più saggia: l’incessante pratica interiore! La pratica della concentrazione portata al suo estremo: l’estremismo interiore come continua mobilitazione della volontà contro il sonno della coscienza, l’ardore da rinnovare ogni volta nella concentrazione, e poi ancora nella concentrazione, e infine nella concentrazione senza fine.
(Eternal Source Of Light Divine –Sound the Trumpet. Royal Music of Händel & Purcell)
Oggi – un anno fa – Franco De Pascale lasciava il piano terreno. Si ricorda con gioia il dono della Sua amicizia fedele e del Suo esempio spirituale: l’essenziale Sua opera di tessitura della sacra trama universale eterna. Possa il ricordo del Suo entusiasmo continuo per questi valori rinvigorire sempre la nostra fiamma interiore.
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Io ero con voi unita: Restate congiunti in me.
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Noi parleremo insieme nella lingua dell’Essere Eterno.
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Noi saremo operanti là, dove il risultato agisce di quanto facciamo.
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Tesseremo nello Spirito, dove vengono tessuti pensieri umani nella parola dell’Eterno Pensiero.
(R. Steiner)
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“O GIOIA, QUANDO L’UMANA FIAMMA ARDE ANCHE LA’, DOVE RIPOSA!”