(Incisione religiosa biblica antica del XVIII secolo – Tefillin o filatteri ebraici)
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Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.
(Deuteronomio)
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Chi abbia esperienza del processo pensante, può constatare come la condizione riflessa del pensiero sia il momento soggettivo, in cui il pensiero subisce necessariamente i limiti della mediazione fisiopsichica: momento però superabile mediante la coscienza stessa del momento soggettivo. Il coneguimento di questa coscienza non è soltanto un atto conoscitivo, ma simultaneamente ascetico: nella formazione cosciente del pensiero, conoscenza e ascesi coincidono.
(Massimo Scaligero)
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Studio e fascino. Due parole, significati differenti.
Lo studio ha a che fare con la conoscenza.
Il fascino ha a che fare con l’oggetto di studio.
Il fascino (o i sensi) è mezzo che porta allo studio, mezzo di cui l’uomo si libera o si dimentica nel momento in cui si immerge nell’oggetto.
L’oggetto rivelato, conosciuto, viene consegnato agli altri uomini.
Di nuovo viene rivestito di fascino. Da oggettivo che lo scienziato aveva ricostituito il dato, la soggettività torna a ghermire di nuovo il fenomeno. L’opera dello scienziato, ossia la vita donata all’oggetto fugge di nuovo via da esso che, cadavere, può essere inabitato a piacere da qualsiasi altra “cosa”.
L’oggetto torna ad essere interpretato, usato, mercificato in tutte le forme.
Il pensiero, esatto nell’uomo quando si fa scienziato, è tornato ad essere quello suscettibile d’essere ghermito e trascinato via da qualsiasi vento.
Il fenomeno viene addotto a prova e dimostrazione dei pensieri più svariati e trasformisti.
Il frutto di questa fedele, ferrea e codificata logica è la situazione sociale attuale della umanità.
Considerando in maniera distaccata e al di fuori questo meccanismo, si può notare che la capacità di pensiero innalzatasi dal consueto livello soggettivo e riflesso, condizionato, a quello di esattezza e oggettività, torna ogni volta a cadere in processi schematici e dialettici automatici associativi, in processi codificati come realtà e certificati come reali mezzi di indagine.
Si può riconoscere la “eccezionale” (possiamo dare a questo aggettivo sia la caratteristica di “una tantum”, ossia di “ fuori della norma”, che quella di elevatezza qualitativa) capacità dell’uso del pensiero, dell’intelletto umano. Nello stesso tempo si riconosce anche la difficoltà e incapacità di mantenimento continuativo di siffatto straordinario pensare nella nostra vita di veglia o coscienza ordinaria.
Più giustamente si può osservare che l’uomo scinde nel tempo e dunque separa e distingue l’azione percettiva del mondo da quella dell’auto-percezione-coscienza di sè.
Il collegamento o coincidenza tra i due stati di essere è ciò che nel suo stabilirsi permette l’investigazione e i suoi risultati, unione ed attività che però nell’uomo attuale avvengono nell’incoscienza.
La coscienza ordinaria permette di esaminare e constatare l’attuale livello evolutivo dell’uomo, il suo limite (qui inteso nella sua accezione di potenziale stimolo al suo superamento), ossia permette una verifica a posteriori, un pensare sul pensato.
Sempre cercando di rimanere al di fuori nella osservazione di questo quadro, possiamo distinguere, in senso qualitativo, il passato dell’uomo dal suo presente.
Se prima egli, pur tentando e desiderando di dare un disegno e un fine agli eventi, si ritrovava con fatalità a considerare l’ineluttabilità di una legge superiore che genericamente possiamo chiamare Karma, attualmente riesce a percepire, seppure confusamente, che “qualcosa”, intesa come forza e potenzialità, può riferirsi più direttamente a lui, in quanto la sente più intima, dentro di sè.
Steiner definisce questo stadio evolutivo dell’uomo come quello dello sviluppo dell’anima cosciente.
Se prima un ordine, una legge, una morale, bastavano e soddisfacevano l’uomo, pur nella loro non perfezione, ora l’uomo sente, anche se oscuramente, che c’è qualcos’altro di più intimo e appartenente a sè che non è la solita speranza del nuovo che s’aspettava sempre dall’esterno, quando una situazione non più soddisfacente abbisognava di nuovi interventi correttivi e migliorativi.
L’uomo comincia a fare i primi passi verso una “cosa” completamente nuova, che prima gli era estranea totalmente: La Sua Libertà.
Il nome che l’uomo dà alla protagonista di questi nuovi tempi ancora rientra nei metodi conosciuti di investigazione e determinazione nominale e dialettica. Non è fase negativa, piuttosto fase essenziale (quando non diventa stato di permanenza per scelta e chiusura di indagine) e concreta, che quando riconosciuta necessaria impedisce di ricorrere ulteriormente all’astrattismo, come terreno di percorso, e permette di difendersi da questo.
Riconoscere di essere nella dialettica è gia potenziale superamento di essa, possibilità di dirigere i propri sentimenti e impulsi verso la verità, ossia per la ricerca della vera realtà del fenomeno, in zona pre-dialettica.
La coscienza è potenzialità di autocoscienza.
L’impresa superumana è dare una sostanza di vita a questa potenzialità, a questo nome: Libertà, impresa che può ricondurre, ri-Unire, il risultato della percezione al suo percipiente nell’autocoscienza.
Perdersi nel dato e lì permanere, inficia non solo la possibilità di ricordarne e conseguirne la fonte ma anche impedisce la possibilità dell’ulteriore collegamento tra le cose, perciò la sofferenza dell’umanità, che pur nella sua eccezionalità è arrivata a superare i limiti del passato, assume nuova forma e drammaticità nel suo passare e ripassare – sbattendo, come una falena disperatamente nei riflessi, tra risultato e risultato – in una logica antiumana, convinta che nel fenomeno e nella sua quantità sia contenuto il segreto della vita, quella Verità, o Realtà che la Filosofia dell’uomo ha sempre tentato, impotente, di conseguire.
La madre di tutte le ferite è lo squarcio immenso e profondo tra lo Spirito dell’uomo (che è la nostalgia della Vita del pensiero) e la meravigliosa affascinante “realtà” del mondo fuori di noi, compreso il mistero umano allorchè lo consideriamo come oggetto di conoscenza.
Di questa grande archetipica ferita l’uomo conosce la sofferenza e non altro (a parte brevi illusioni di guarigione), se non un eco di racconto, affascinante, ma pur sempre solo racconto, di cui percepisce solo una atmosfera simile a quella che prova il bambino mentre, scivolando nel sonno, sente la voce familiare del genitore narrante una bella storia.
Quando l’uomo riuscirà a immettere la vita in ciò che ora gli è accanto e dentro come morto nome, come morta parola, come astrazione e dialettica, scoprirà che tra lui e la libertà altro non c’è che la morte dell’illusione, l’ accettazione e assunzione totale di questa morte, perchè la Resurrezione del pensiero sarebbe un concetto irragionevole e privo di senso senza la sua previa Morte.
Percorrere individualmente, ognuno di noi, dal livello più basso e prossimo, in ascesa, il proprio pensare è tendere con veracità alla veracità.
Dalla Morte alla Vita.
In questo senso – se obiettivamente vogliamo riconoscere un valore universale all’onestà – il messaggio di Steiner, e di Scaligero, sulla educazione ed esercizio del proprio pensare, è il pendaglio quotidiano che dobbiamo tenere sulla nostra fronte. Una scelta dell’individuo, attraverso l’esercizio della Concentrazione, che potenzialmente così può permettere di trovare il vero se stesso e non un qualsiasi personaggio di una fiaba, forse bello, sì, ma solo nella fantasia.
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