COME PENDAGLIO TRA GLI OCCHI

(Incisione religiosa biblica antica del XVIII secolo – Tefillin o filatteri ebraici)

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Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi  e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

(Deuteronomio)

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Chi abbia esperienza del processo pensante, può constatare come la condizione riflessa del pensiero sia il momento soggettivo, in cui il pensiero subisce necessariamente i limiti della mediazione fisiopsichica: momento però superabile mediante la coscienza stessa  del momento soggettivo. Il coneguimento di questa coscienza non è soltanto un atto conoscitivo, ma simultaneamente ascetico: nella formazione cosciente del pensiero, conoscenza e ascesi coincidono.

(Massimo Scaligero)

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Studio e fascino. Due parole, significati differenti.

Lo studio ha a che fare con la conoscenza.
Il fascino ha a che fare con l’oggetto di studio.

Il fascino (o i sensi) è mezzo che porta allo studio, mezzo di cui l’uomo si libera o si dimentica nel momento in cui si immerge nell’oggetto.

L’oggetto rivelato, conosciuto, viene consegnato agli altri uomini.

Di nuovo viene rivestito di fascino. Da oggettivo che lo scienziato aveva ricostituito il dato, la soggettività torna a ghermire di nuovo il fenomeno. L’opera dello scienziato, ossia la vita donata all’oggetto fugge di nuovo via da esso che, cadavere, può essere inabitato a piacere da qualsiasi altra “cosa”.

L’oggetto torna ad essere interpretato, usato, mercificato in tutte le forme.

Il pensiero, esatto nell’uomo quando si fa scienziato, è tornato ad essere quello suscettibile d’essere ghermito e trascinato via da qualsiasi vento.

Il fenomeno viene addotto a prova e dimostrazione dei pensieri più svariati e trasformisti.

Il frutto di questa fedele, ferrea e codificata logica è la situazione sociale attuale della umanità.

Considerando in maniera distaccata e al di fuori questo meccanismo, si può notare che la capacità di pensiero innalzatasi dal consueto livello soggettivo e riflesso, condizionato, a quello di esattezza e oggettività, torna ogni volta a cadere in processi schematici e dialettici automatici associativi, in processi codificati come realtà e certificati come reali mezzi di indagine.

Si può riconoscere la “eccezionale” (possiamo dare a questo aggettivo sia la caratteristica di “una tantum”, ossia di “ fuori della norma”, che quella di elevatezza qualitativa) capacità dell’uso del pensiero, dell’intelletto umano. Nello stesso tempo si riconosce anche la difficoltà e incapacità di mantenimento continuativo di siffatto straordinario pensare nella nostra vita di veglia o coscienza ordinaria.

Più giustamente si può osservare che l’uomo scinde nel tempo e dunque separa e distingue l’azione percettiva del mondo da quella dell’auto-percezione-coscienza di sè.

Il collegamento o coincidenza tra i due stati di essere è ciò che nel suo stabilirsi permette l’investigazione e i suoi risultati, unione ed attività che però nell’uomo attuale avvengono nell’incoscienza.

La coscienza ordinaria permette di esaminare e constatare l’attuale livello evolutivo dell’uomo, il suo limite (qui inteso nella sua accezione di potenziale stimolo al suo superamento), ossia permette una verifica a posteriori, un pensare sul pensato.

Sempre cercando di rimanere al di fuori nella osservazione di questo quadro, possiamo distinguere, in senso qualitativo, il passato dell’uomo dal suo presente.
Se prima egli, pur tentando e desiderando di dare un disegno e un fine agli eventi, si ritrovava con fatalità a considerare l’ineluttabilità di una legge superiore che genericamente possiamo chiamare Karma, attualmente riesce a percepire, seppure confusamente, che “qualcosa”, intesa come forza e potenzialità, può riferirsi più direttamente a lui, in quanto la sente più intima, dentro di sè.

Steiner definisce questo stadio evolutivo dell’uomo come quello dello sviluppo dell’anima cosciente.

Se prima un ordine, una legge, una morale, bastavano e soddisfacevano l’uomo, pur nella loro non perfezione, ora l’uomo sente, anche se oscuramente, che c’è qualcos’altro di più intimo e appartenente a sè che non è la solita speranza del nuovo che s’aspettava sempre dall’esterno, quando una situazione non più soddisfacente abbisognava di nuovi interventi correttivi e migliorativi.
L’uomo comincia a fare i primi passi verso una “cosa” completamente nuova, che prima gli era estranea totalmente: La Sua Libertà.

Il nome che l’uomo dà alla protagonista di questi nuovi tempi ancora rientra nei metodi conosciuti di investigazione e determinazione nominale e dialettica. Non è fase negativa, piuttosto fase essenziale (quando non diventa stato di permanenza per scelta e chiusura di indagine) e concreta, che quando riconosciuta necessaria impedisce di ricorrere ulteriormente all’astrattismo, come terreno di percorso, e permette di difendersi da questo.
Riconoscere di essere nella dialettica è gia potenziale superamento di essa, possibilità di dirigere i propri sentimenti e impulsi verso la verità, ossia per la ricerca della vera realtà del fenomeno, in zona pre-dialettica.

La coscienza è potenzialità di autocoscienza.

L’impresa superumana è dare una sostanza di vita a questa potenzialità, a questo nome: Libertà, impresa che può ricondurre, ri-Unire, il risultato della percezione al suo percipiente nell’autocoscienza.

Perdersi nel dato e lì permanere, inficia non solo la possibilità di ricordarne e conseguirne la fonte ma anche impedisce la possibilità dell’ulteriore collegamento tra le cose, perciò la sofferenza dell’umanità, che pur nella sua eccezionalità è arrivata a superare i limiti del passato, assume nuova forma e drammaticità nel suo passare e ripassare – sbattendo, come una falena disperatamente nei riflessi, tra risultato e risultato – in una logica antiumana, convinta che nel fenomeno e nella sua quantità sia contenuto il segreto della vita, quella Verità, o Realtà che la Filosofia dell’uomo ha sempre tentato, impotente, di conseguire.

La madre di tutte le ferite è lo squarcio immenso e profondo tra lo Spirito dell’uomo (che è la nostalgia della Vita del pensiero) e la meravigliosa affascinante “realtà” del mondo fuori di noi, compreso il mistero umano allorchè lo consideriamo come oggetto di conoscenza.
Di questa grande archetipica ferita l’uomo conosce la sofferenza e non altro (a parte brevi illusioni di guarigione), se non un eco di racconto, affascinante, ma pur sempre solo racconto, di cui percepisce solo una atmosfera simile a quella che prova il bambino mentre, scivolando nel sonno, sente la voce familiare del genitore narrante una bella storia.

Quando l’uomo riuscirà a immettere la vita in ciò che ora gli è accanto e dentro come morto nome, come morta parola, come astrazione e dialettica, scoprirà che tra lui e la libertà altro non c’è che la morte dell’illusione, l’ accettazione e assunzione totale di questa morte, perchè la Resurrezione del pensiero sarebbe un concetto irragionevole e privo di senso senza la sua previa Morte.

Percorrere individualmente, ognuno di noi, dal livello più basso e prossimo, in ascesa, il proprio pensare è tendere con veracità alla veracità.

Dalla Morte alla Vita.

In questo senso – se obiettivamente vogliamo riconoscere un valore universale all’onestà – il messaggio di Steiner, e di Scaligero, sulla educazione ed esercizio del proprio pensare, è il pendaglio quotidiano che dobbiamo tenere sulla nostra fronte. Una scelta dell’individuo, attraverso l’esercizio della Concentrazione, che potenzialmente così può permettere di trovare il vero se stesso e non un qualsiasi personaggio di una fiaba, forse bello, sì, ma solo nella fantasia.

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L’ARCHETIPO-OTTOBRE 2024

MOMENTO PRE-CEREBRALE DEL PENSIERO (di M. Scaligero)

Particolare Trittico di S. Michele – 1510 – Vienna – Kunsthstorsches Museum

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Disse Massimo Scaligero  durante una riunione negli anni ’70:

“Non siamo all’inferno, siamo in luogo in cui si apre un varco verso la zona vera della vita in quanto veramente si è capaci di affrontare il mistero della nascita e della morte.”

“C’è una forza che veramente ci libera, che veramente ci fa superare la barriera.  Ma non si tratta di una conoscenza, si tratta di una forza”.

“La Via è una Via eroica.”

“Noi sappiamo che il sistema ritmico, che è la chiave di questo passaggio, di questa riconquista dell’equilibrio dell’Io e del corpo astrale,  è quello in cui affiora il Logos; il sistema ritmico è quello in cui il Logos afferra il pensare e il volere dell’uomo.”

“Il pensare lo abbiamo nella testa ma è Luciferico. Il volere lo abbiamo nelle membra e nel sistema del ricambio ma è dominato da Arimane.”

“Il sistema ritmico come veicolo del Logos è la chiave di questo. Però al sistema ritmico non si arriva concentrandosi nel cuore o forzando la vita del sentire, perché la porta é chiusa.

Dove? Nella testa.

E’ nella testa che si combatte la battaglia. Perché  nella testa noi abbiamo la barriera del cervello.

La porta è chiusa e un detto iniziatico dice: <Entra, la porta è aperta e tu diventerai un vero uomo, ma se non entri da quella porta mai diventerai un vero uomo.>”

“Ora, quella via che noi seguiamo, è la via perché possiamo ristabilire il contatto con la sede mediana; e qui, per poter dare una indicazione pratica, stiamo parlando della via di Michele, perchè è Michele che apre la via dalla testa al cuore.

Se è aperta quella via allora è aperta la via al Logos.

Allora c’è il trasferimento del senso dell’Io nel sangue, allora si ha un sentire che è un sentire divino, che è il sentire della devozione, è la Iside-Sophia, che però non è contaminato da Lucifero, tuttavia è nel regno di Lucifero; ma Lucifero ubbidisce al Logos: se Lucifero è dominato dal Logos allora diventa un servitore del Logos.

Ed è questo il compito dell’uomo.”

 

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MOMENTO PRE-CEREBRALE DEL PENSIERO

Pochi autentici coraggiosi oggi sono capaci di sapere che il massimo male dell’uomo di questo tempo, è la mancata conoscenza della luce pre-cerebrale del pensiero, come via cosciente al Sovrasensibile: essendo irregolare la ripetizione di antiche vie, che non pativano il condizionamento della cerebralità e perciò non potevano esigere il suo superamento.

La dipendenza del pensiero logico-scientifico dall’esperienza sensibile, generante ogni volta un contenuto conseguito non dai sensi, ma mediante i sensi, e tuttavia ignorato come obiettiva struttura interiore: questa dipendenza, che quotidianamente nell’uomo moderno esprime leggi fisiche, ma contraddice le leggi della coscienza e pertanto assurge a Scienza, Cultura, visione del mondo, divenendo la fonte della nevrosi generale umana, è alimentata soprattutto dal fatto che i responsabili intellettuali, inspiegabilmente, mancano dell’impulso a conoscere il momento pre-cerebrale del proprio pensiero. Si può dire che l’organo cerebrale condiziona in essi talmente l’indagine, da renderla inconscia servitrice della corporeità, che è dire della vita istintiva. Nel mondo moderno, invero, la razionalità muove inevitabilmente condizionata dalla vita istintiva. Ciò dipende da assente coscienza della realtà extra-fisiologica, o pre-cerebrale, della razionalità. La Scienza, più che al servizio dell’uomo, è al servizio dell’uomo fisico, ossia della sua animalità.

L’espressione “luce del momento pre-cerebrale” della conoscenza, non è retorica: si riferisce a una forza reale. Questa in verità ogni volta si accende nell’atto del conoscere, come per esempio allorché lo scienziato intuisce una legge. Preoccupante è che l’intelletto in lui non avverta il proprio movimento, non si riconosca produttore della verità logica o matematica: ignori la propria realtà, che è la base della realtà che esso attribuisce alle cose.

L’attuale sperimentatore che si ritiene empirista, perché deliberatamente tiene a far coincidere la propria indagine con i processi sensibili, senza immettervi nulla di arbitrario, non avverte l’arbitrio grave nel quale incorre, venendo meno alle leggi dell’empiria, allorché nel quadro dei risultati ignora il pensiero che egli introduce come nucleo centrale del fenomeno o della legge, dando senso obiettivo ai dati dell’esperienza. Egli sub-consciamente teme di scoprire di essere il produttore del contenuto reale dei fenomeni, che è contenuto di pensiero, perché dai dati sensibili non può venire alcun contenuto che non sia attività ideale. Paventa di poter concepire i nessi non sensibili dei fenomeni: di sentirsi responsabile, come soggetto pensante, dell’identificazione della verità: che non è un’obiettività già esistente a cui il pensiero passivamente debba adeguarsi, ma qualcosa che il pensiero genera, in base ai dati sensibili. Teme soprattutto scoprire la zona in sé, in cui il momento cognitivo del sensibile e la vita dello Spirito sono un identico movimento.

L’uomo, per vie spontanee della natura fisio-psichica, non può vedere la luce pre-cerebrale, o l’essenza del pensiero: ma la logica stessa delle sue operazioni razionali, ove egli veramente acquisisse consapevolezza del processo che le rende conseguenti, lo porterebbe a quella essenza. In tale direzione però egli incontrerebbe una barriera nell’organo cerebrale necessario alla forma dialettica. È la barriera che attende da lui di essere conosciuta e superata mediante un atto volitivo, attingente allo stesso volere a cui egli fa appello per l’iniziale operazione cognitiva.

Se vuole veramente portare a compimento il proprio indagare, il moderno sperimentatore in effetto deve superare la propria natura cerebrale. Ove giunga a superarla, scopre che essa non gli consente la percezione della luce interiore dell’indagare, perché è obiettivamente dominata da un’entità che dalla sfera fisica ha il potere di ridurre al proprio livello tutta l’interiorità umana, “abitando” l’organo cerebrale. Per via di quest’organo, il corpo di luce dalla cui zona superiore sprizza ogni volta inizialmente libero il pensiero, viene di continuo sottratto alla visione dell’indagatore. Egli vede come realtà solo la materia, perché gli sfugge la luce eterica con cui incontra le cose, e parimenti il cosmo eterico extra-spaziale di continuo operante nelle forme spaziali viventi, tipicamente nella pianta: cosmo il cui processo si accende in lui ogni volta che volitivamente conosce.

Solo il sagace empirista, ossia l’empirista coerente, o consapevole, può capire che non è vero empirista, se non decide di vedere la luce del corpo eterico, che si accende ogni volta nel conoscere. Può vedere oltre le barriere della natura animale, o ahrimanica, perché in realtà le supera senza avvertirlo, ogni volta che consegue verità logiche o matematiche. Il non sapere ciò che pur fa, lo rende ciecamente dipendente dai risultati dell’indagine. In questi egli riconosce la verità e non nell’attività interiore di cui è stato capace, e che è il vero contenuto della Scienza.

Allorché sprizza la luce del momento pre-cerebrale, per attimi tutto l’uomo è in stato di verità, perché in quegli attimi l’Io domina il corpo astrale, l’eterico e il fisico, secondo ordine originario. La corrente evolutiva che può dare modo all’uomo di superare il limite animale e che taluni cercano romanticamente nella Tradizione, affiora negli sperimentatori capaci dell’atto superiore di volontà, grazie al quale possono contemplare il momento pre-cerebrale del conoscere. Essi percepiscono la polarità del volere opposta al pensare e tuttavia pronta a fluire nella corrente del pensare voluto.

Mediante la concentrazione, tali sperimentatori immettono nel pensiero la volontà e scoprono che la luce del conoscere è il fluire stesso dello Spirito al quale un tempo, in vite precedenti, andavano incontro mediante samadhi, o estasi. Tale fluire, intercettato oggi nell’uomo dall’organo cerebrale, si presenta come una corrente di vita paralizzata: come la luce del Sole oscurata dal frapporsi della Luna, quando si verifica l’eclissi. L’analogia è reale, perché all’eclissi della luce cosmica prodotta dall’organo cerebrale nell’uomo, risponde una sorta di tregenda degli istinti: qualcosa di simile a ciò che su un altro piano avviene sulla Terra durante l’eclissi totale del Sole: i demoni inferi si scatenano e tendono a sopraffare l’umano.

Scopo vero della concentrazione profonda è ritrovare la luce pre-cerebrale del pensiero: questa luce diviene tanto più intensa e in sé potente, quanto più in essa fluisca l’impersonale volere. Ritrovare la luce del pensiero, mediante la concentrazione, significa realizzare come potenza il conoscere, per il quale l’organo cerebrale è dato come un mezzo. Ma occorre, a un dato momento, prescindere da tale mezzo: non si tratta di sapere, o di conoscere intellettualistico (questo, se mai, può costituire solo impedimento), ma di percezione del contenuto pre-dialettico, o pre-cerebrale, del conoscere. Per esempio, si può ridestare il momento intuitivo di una legge o di un fenomeno, sì da farlo nuovamente balenare nella coscienza, indi riprodurlo indipendentemente dalla sua determinata veste dialettica: sino a contemplarlo come imagine, o segno, o simbolo. Giova insistere e riposare in tale contemplazione.

Si può giungere direttamente a riprodurre il contenuto dinamico di un concetto, o di una tesi, senza necessità di ricostruire il processo formale, anche se la ricostruzione esatta del processo formale è una preliminare sana disciplina, che ogni tanto giova ripristinare. Si può avere l’esperienza diretta della luce. Questo però occorre, per così dire, meritarlo. Si è al livello in cui il potere interiore può essere accordato solo dal Mondo Spirituale, pur rispondendo a un’operazione della individuale decisione autocosciente. In realtà ogni conquista sovrasensibile autentica è sempre un dono decretato dai Maestri invisibili: esige però l’iniziale determinazione individuale, il coraggio della personale intrapresa.

Attraverso tali operazioni esoteriche, lo sperimentatore entra in contatto nella sfera pre-cerebrale con un’Entità cosmica che domina con legittima autorità la vita interiore dell’uomo dell’attuale tempo. È l’Entità che reca all’uomo un nuovo rapporto con il Divino, rispondente alla mutata condizione interiore di lui, ossia al muovere di lui da un’autocoscienza libera, indipendente dall’antico “Dio-Padre”, spirituale legislatore, ispiratore della tradizionale religiosità e sacralità. L’autocoscienza formatasi sulla base dell’intelletto razionale, mediato dalla cerebralità, può ritrovare il suo rapporto con il Sovrasensibile, grazie all’entità rappresentata nella Gnosi e nel mito come Arcangelo Michele. Per recare all’uomo moderno la connessione attuale con l’intelligenza cosmica e la perennità del Logos, tale entità deve in un certo senso contraddire il rapporto trascorso dell’uomo con il Logos, mediato dal Lucifero celeste: un rapporto che si fondava sul sentimento e sull’ispirazione trascendente, e che non può dire più nulla all’uomo cerebrale del presente tempo. Nell’uomo intellettualmente cerebrale oggi si scatena, in forma ancora confusa, la libertà, la possibilità della nuova connessione con il Divino.

Proprio grazie al prevalere dell’impulso intellettualistico, tuttavia, nel retroscena immediato del divenire umano, si verifica un allarmante fenomeno. Della corrente del Logos recata da Michele all’uomo cerebrale, si può impossessare l’Entità che domina l’uomo fisico mediante il sistema nervoso, in quanto egli manca di coscienza del momento pre-cerebrale del pensiero. La libertà di lui nasce compromessa: la “vera luce”, la nuova, l’autentica, non più luciferica, non viene conosciuta da lui.

Ahrimane domina, obbliga l’uomo: Michele non può dominarlo. Michele non può operare se non mediante l’uomo che attui la propria libertà e gli vada incontro, superando il limite cerebrale: non può obbligare l’uomo. La sua corrente cosmica fluisce verso l’uomo, come potere del Logos tendente ad incarnarsi nell’Io di lui e in particolare nella volontà cosciente, cioè realmente libera. Sino a ieri la potenza del Logos fluiva nel sentire dei puri devoti ed esplodeva oggettiva e imperiosa nei miracoli della fede, a condizione di escludere l’autocoscienza pensante: aveva un tale potere di accensione delle forze originarie del sangue, che giungeva a possedere spiritualmente l’essere fisico, squassandolo, illuminandolo e distruggendolo. Il Santo o il mistico poteva vincere Ahrimane, ma non era il suo Io a vincere: lucifericamente, ossia passivamente, egli doveva dar modo al Logos di agire attraverso lui.

Il tempo presente è caratterizzato dall’esigenza che l’Io incarni il Logos. I secoli recenti hanno preparato l’uomo razionale-positivista, capace di realizzare a tale livello l’autocoscienza. Solo l’autocoscienza, infatti, ha la possibilità di esprimere per la prima volta direttamente la propria originaria luce, il principio che non le è esteriore, né trascendente, perché essa nel volersi lo realizza.

Ciò che sembra un regresso, il Materialismo, in realtà è la prova che l’uomo moderno deve attraversare, vincolando la coscienza al sistema nervoso e perciò alla cerebralità, per acquisire definitivamente indipendenza dall’antica psiche dominata dal sangue e dalla razza: per avere un’esperienza del reale, unicamente mediata dai sensi e dalla razionalità: un’esperienza di cui l’Io assuma la responsabilità dal più elementare livello terrestre. Un Io capace di tale discesa nella terrestrità, reca in sé la forza di riconoscere il Logos: avverte che può esprimerlo, se esprime la propria essenza. In seguito potrà riprendere il dominio del sangue.

L’Io individuale, che un tempo era l’ostacolo all’Universale, oggi è il punto di partenza per l’esperienza dell’Universale: quanto più puramente sia individuale, cioè se stesso, libero di psiche, tanto più essenzialmente attua l’Universale.

Ma l’Io individuale inizialmente non può non essere cerebrale: gli è inevitabile preliminarmente la dipendenza dal sistema nervoso. Non può nulla sul sangue, in cui rigurgitano gli istinti e si agitano le passioni, che regolarmente sommergono ogni volta il sistema intellettuale della cerebralità. L’Io, mediante il sistema dei nervi, deve sviluppare un proprio potere individuale, grazie al quale riprendere il dominio cosciente del sangue: superando perciò la mediazione nervosa che gli è inizialmente necessaria. Deve superare l’inganno del supporto nervoso, perché il suo vero supporto è il sangue: non deve soggiacere alla psiche illegittimamente condizionata dal sistema nervoso; a sua volta dominato dal sangue, cioè dagli istinti.

L’arte è l’autocoscienza che sia capace di sorreggersi sul proprio fondamento interiore, indipendente dal sistema nervoso e in particolare dall’organo cerebrale, a cui deve solo la formazione del suo elemento individuale. L’autocoscienza che realizzi la propria liberazione – secondo una direzione inversa a quella dell’attuale Cultura, codificante la dipendenza dell’Io dal sistema nervoso e perciò dagli istinti – riprende il dominio del sangue, in quanto supera la mediazione cerebrale: ritrova la giusta cooperazione con il cuore.

L’esperienza di luce del cuore, che un tempo veniva realizzata dal mistico, o dal bhakta, o dall’orante realmente devoto, ormai è possibile unicamente grazie alla corrente superiore della volontà, che nel veicolo del pensiero muova consapevolmente oltre la barriera cerebrale. È questa volontà che ridesta l’originario potere di vita della Luce nel sangue.

In quanto Michele opera mediante le forze del cuore, ha bisogno soprattutto di incontrare l’uomo ai confini del mentale, là dove l’intelletto è capace di superare coscientemente la barriera cerebrale, cioè il limite ahrimanico. Per aprire la via al cuore, la corrente di Michele investe l’uomo nella testa, là dove egli, mediante volontà, può attingere il momento pre-dialettico del pensiero. Solo un moto libero della volontà può dare modo all’uomo di andare incontro alla corrente di Michele. Tale volontà tuttavia egli può mettere in moto unicamente nel veicolo del pensiero. La funzione del pensiero non ha in definitiva altro senso: divenire corrente della volontà. In tale corrente è presente la luce di Michele, nella quale è presente la folgore del Logos.

La lotta vera per il dominio dell’uomo si svolge là dove il pensiero umano ha radici nel suo originario impulso cosmico. Ciò che l’uomo di questo tempo soffre nella psiche e nel sistema nervoso è la conseguenza di questa lotta, per ora dominata dal nemico dell’uomo, salvo naturalmente il caso delle rare personalità sacrificalmente osservanti la via di Michele, la direzione del Logos solare. Là dove la luce pre- cerebrale fluisce dalla potenza di Michele all’uomo, questi normalmente non è ancora desto: dovrebbe invece, logicamente, essere desto, consapevole. Almeno le comunità spiritualiste dovrebbero coltivare l’esigenza di tale consapevolezza: ma la dialettica limita la loro visione riguardo alla missione dello Spirito del Tempo, l’“Antico dei giorni” della Bhagavadgita, Michele. Non riescono a scorgere l’Arcangelo del Tempo.

In sostanza avviene che l’Entità ahrimanica, più vigile che l’uomo, ai confini della cerebralità, può appropriarsi della luce cosmica del pensiero destinata da Michele all’uomo, prima che questi la faccia propria, salvo appunto i rari casi accennati. Lo sviluppo spirituale dell’uomo consiste nella sua possibilità di scoprire come venga privato della fonte del pensiero con cui pensa, e ingannevolmente orientato.

La via interiore può essere veridicamente indicata dal Maestro che solo al mondo conosce il Mistero di Michele e per primo lo ha rivelato all’umanità, compreso appena da rari discepoli. Discepolo vero è colui che riesce a identificare l,insegnamento di tale Maestro, o la chiave attuale di esso. Lo abbiamo sempre indicato come Maestro, anche quando talora abbiamo consapevolmente rinunciato a dire il suo nome, per dare modo al lettore di essere libero di riconoscerlo da sé. E tuttavia lo abbiamo nominato sempre. Coloro che riescono a leggere senza prevenzioni, possono riconoscere facilmente come noi esprimiamo in ogni capitolo della nostra opera il rapporto con Rudolf Steiner, chiamandolo il “Maestro dei nuovi tempi”: il maestro più irriconosciuto, persino dai suoi, perciò il vero.

L’Entità ahrimanica trova facile il compito d’impossessarsi della luce pre-cerebrale del pensiero, soprattutto per il fatto che l’umana anima razionale, attualmente condizionata dalla cerebralità, presume essere interprete dei contenuti spirituali, pur permanendo nella zona della obsolescenza dello Spirito, cioè senza minimamente percepire lo Spirituale, del quale ha solo la dialettica, o l’enfasi sentimentale.

Tale insufficienza spirituale, propria all’anima dialettica dell’attuale cultura, dà modo ad Ahrimane di spadroneggiare al limite cerebrale. Solo superando questo limite, l’uomo potrebbe incontrare direttamente la luce di Michele, contemplare il potere cosmico del Logos di cui Michele è portatore. Ahrimane invece s’impossessa agevolmente dell’intelligenza cosmica fluente verso la cerebralità umana e la elabora come propria sostanza, dando all’uomo cerebrale l’escreato dialettico già pronto e logico, accettabile perché non richiedente il moto originario del pensiero e soddisfacente gli istinti, pienamente accordandosi con la natura animale dell’uomo. Le dottrine materialiste, che sembrano venire dal mentale umano, sono in realtà l’elaborato delle entità che si esprimono compiutamente nel processo delle forme terrestri animali e dominano l’uomo mediante il sistema nervoso.

In definitiva, oggi, Ahrimane, ai confini del suo dominio fisico, illegittimamente riesce a impossessarsi del pensiero nel momento del suo farsi cerebrale e lo trasforma in propria struttura, dissimulandone l’illegittimità, col far sì che essa appaia rispondente ai canoni umani della teoretica, della logica, della meccanica, e a tale livello ai canoni etici e religiosi, come a tutti i sistemi sociali che hanno il còmpito di eliminare la libertà individuale.

Il Materialismo è già un pensato di Ahrimane: i suoi interpreti non hanno che da assumere lo stato del pensiero qual è: riflesso dalla cerebralità. In questa sfera non sono confutabili, perché tutti i processi base della percezione e del pensiero si svolgono realmente quale i fisiologi e i moderni gnoseologi dimostrano. Il momento cerebrale del pensiero e il suo incontro con il dato percettivo dei sensi sono condizionati dalla struttura fisiologica dell’uomo e perciò hanno carattere soggettivo. Ma non esisterebbero scienze del mondo fisico, se l’uomo non fosse capace ogni volta di superare il limite soggettivo, scoprendo leggi e principi obiettivi. Purtroppo, egli non è scientificamente consapevole di tale superamento: perché la conquista di simile consapevolezza è un’esperienza dello Spirito, che egli non riesce a scorgere, essendo affissato ai risultati esteriori delle sue operazioni interiori.

L’uomo è capace di qualcosa di quotidiano, essenziale, di familiare, mirabile, che tuttavia non avverte: è capace di superare il limite soggettivo mediante il concetto, l’idea, l’universale del pensiero, ma può anche, mediante disciplina interiore afferrare il momento pensante del pensiero. Questo momento si sottrae all’azione di Ahrimane: da tale livello l’uomo può dominare Ahrimane, può superare l’umano- animale. Perciò, dallo Spirito, gli è dato il pensiero: ma egli deve conoscere che cosa è veramente il pensiero.

Lo sperimentatore può attingere a un elemento adamantino, immortale, incorporeo, di continuo affiorante, sconosciuto, nel concetto. Gli occorre scoprire che cosa di nuovo è entrato nella storia dell’uomo con il concetto. Se sa farlo affiorare, sino al suo darsi cosciente, può conoscere il primo moto del Logos in lui, anche se ignora il nome del Logos: può incontrare in sé l’universale che congiunge l’umano al Divino, l’indicazione trascendente di Michele, l’idea come forza pura, sperimentabile.

Il concetto è il darsi dello Spirituale che ovunque preesiste al sensibile, o al contenuto a cui corrisponde: il darsi dello Spirituale che l’uomo non avverte, onde crede che il concetto gli sorga come sintesi di rappresentazioni. Questa sintesi è bensì vera, ma, se egli la sperimenta con rigore cosciente, scopre che è la forma di cui si veste in lui l’essenza della cosa contemplata, esistendo prima di questa. Il concetto è la forma intellettuale di cui il Logos si veste nella coscienza umana, perché tale coscienza liberamente possa ricongiungerla con le cose, restituendo l’unità del mondo.

L’uomo antico aveva, ad esempio, la rappresentazione del cavallo: vedeva diversi cavalli, ma la loro anima di gruppo, l’entità unitaria, la percepiva nel Sovrasensibile, come una divinità. Così il fiume, il bosco, il monte, ecc.: di ogni ente egli percepiva la deità in alto: non gli necessitava il concetto. L’evento nuovo è che l’uomo moderno conquista l’universale sovrasensibile come concetto che egli stesso produce: egli sperimenta un universale mentale, che a torto crede filosoficamente sia una sintesi soggettiva tratta dal sensibile. Questo universale che si presenta identico ossia uno con il pensiero, muove sempre, come in antico, dal Sovrasensibile: ora è il trascendente che si fa immanente, fluendo nel pensiero, così identico ad esso,che l’uomo crede sia la sintesi intellettuale compiuta da lui, perché ad esso arriva mediante questa sintesi. Una tale sintesi, invero, è necessaria, è sacrosanta, è il primo moto dell’uomo verso la libertà, verso il Logos: anzi, è il primo moto del Logos in lui.

Nel primo momento dialettico legato alle rappresentazioni, il concetto è invero una sintesi astratta, condizionata dai mezzi sensibili e sovrasensibili mediante cui si forma, ma tale sintesi non sarebbe essa stessa possibile, se una dynamis interna con l’impeto della verità non la guidasse: una dynamis che dialetticamente la esige, in quanto già la possiede pre- dialetticamente. L’elemento adamantino del concetto è il potere micheliano fluente come forza superiore del volere umano: perché il concetto non si dà, se non è voluto. Deve essere deciso dallo sperimentatore l’atto di volizione del concetto: il cui elemento adamantino invero non si dona gratuitamente, in quanto nasce cosciente nel volere, che mediante pensiero lo vuole. E questo è il senso della concentrazione: muovere con il pensiero nella zona della libertà voluta, o della volontà libera.

In questo volere fluisce il potere con cui l’uomo costruisce la sua Civiltà e la sua Cultura, sostanzialmente realizzando il quantum che può accogliere dal Logos: sia che l’abbia, come avveniva in antico, trascendente e rivelato, sia che l’abbia, come è necessario nei tempi moderni, quale conquista del pensiero realizzato volitivamente, in momenti eccezionali, attraverso rare menti geniali, oltre quel limite soggettivo al quale si sono arrestate le filosofie occidentali, idealistiche e materialistiche. Il quantum del Logos non è tutto il Logos, ma solo ciò che di esso l’uomo può sostenere, senza venirne folgorato.

È inevitabile che il pensiero sia conosciuto dapprima condizionato dai veicoli psico-fisiologici, mediante cui si esprime, ma questo non è ancora il vero pensiero: che non può essere neppure la proiezione idealistica della sua possibilità teoretica meramente rappresentata, ma non uscente dalla sfera della soggettività. Il vero pensiero è quello che lascia intuire se stesso in quella zona pura in cui esso muove indipendente dai veicoli psico-fisiologici e dialettici: deve essere sperimentato nella zona in cui nasce dal “cosmico nulla”, cioè dal non umano, dal non antropomorfico, cioè dove ritrova in sé il Divino.

Massimo Scaligero

da “KUNDALINI D’OCCIDENTE”  il centro umano della potenza

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PREGHIERA A S. MICHELE ( poesia di Rosaria Di Donato)

Ida Di Pierdomenico in alta montagna con il suo gregge di pecore – 1972 – A Cusciano di Montorio al Vomano- (Te) – Abruzzo. Foto di Nicola Jobbe

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A questa roccia benedetta

con il mio gregge giungo

e il cumulo depongo di antiche pene

o san michele che squarci le tenebre

principe degli angeli

accogli la mia prece

e i doni che ti porgo benedici

se pur umili e semplici

vengo dagli alti monti pel tratturo

che fino al mare giunge in piano

e come vele ho immaginato le tue ali

lungo il viaggio a proteggermi

non sarei qui se la tua spada

non avesse il varco aperto tra i perigli

non sarei qui riconoscente a offrire

povere parole e latte e cacio e le mie cioce

consunte come vita che le stagioni

insegue a suon di zufolo o zampogna

o ciaramella son pastore

e il gregge guido tra scampanii di luce

san michele che difendi il mondo dai demòni

a te m’inchino e prego che m‘aiuti

contro la malasorte l’infermità l’invidia

che il serpe antico sparge senza tregua

ferocemente barbaramente intorno.

*

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI (29 SETT. 2023)

🟠

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI

(29 SETT. 2023)

 

1/18065 bis

FERREO OPERARE IN IDEA

 

 FLUSSO DEL NEGARE DENSO

FRA ENERGIE CONVINTISSIME DI SE’.

 

POTENTE POICHE’ OTTUSO E QUINDI CIECO

VERSO PIU’ VASTI PAESAGGI IDEANTI.

 

TALE NEGARE NON CONCEPISCE CHE IL BENE POSSA ESISTERE.

POSSA MANIFESTARSI.

POSSA RESISTERE AL SUO ODIO.

 

 EPPURE E’ CIO’ CHE ACCADE :

 

 UN MONOLITE DI GIALLASTRA BLASFEMIA BARCOLLA.

SQUASSATO DA CIO’ CHE NON POTEVA ESISTERE.

 

GLI EVOCATORI DELL’ASINO CHE INTRALCIA : VENGONO INTRALCIATI.

 

FLUSSI DI SCATENATA ENERGIA NEGANTE VENGONO ASSALTATI.

 

UN AFFILATISSIMO AFFERMARE LUMINOSO

PERCORRE QUELLE VOLTE ENERGETICHE

PROMANATRICI DI SPORCIZIA E DI MISERIA.

 

LE PERCUOTE E LE INCIDE COL POTERE UNITIVO DELL’ERIGERE.

 

 LIMPIDA NELL’ALTO UNIRE

LA POTESTA’ DELL’ANGELO RACCOGLIE VASTITA’ DI LUCE

E LE IRRAGGIA.

SCULTOREA.

ERIGENTE.

NITIDISSIMA.

 

E’ GLORIA.

 

E IN ESSA IL FUOCO IL TEMPO E LA SPERANZA

AGISCONO CONCORDI PER SCOLPIRE IL GRANDE INCENDIO

IN CUI LA FACOLTA’ DELL’ORO ETERICO

ISPIRA FRA LE GENTI.

 

RISCHIARANDO.

 

IL FUOCO DI UN ALTO ANELARE

IN CUI IL TEMPO E’ PERCORSO A RITROSO

E PURIFICATO

OTTENENDO SPERANZA

OSSIA FIDUCIA NEI CIELI

OSSIA DEVOZIONE

OSSIA RISPETTO CHE E’ AMORE.

 

INTENSO IL POTERE UNITIVO

CHE CONTEMPLA IL RICORDO IN IDEA

RACCOGLIE POTENZE DI LUCE

E LE SCAGLIA LADDOVE LO ZOLFO NEGAVA.

 

REGREDISCONO PIAGHE MENTALI

MENTRE UN POTERE ERIGENTE

IMPRIME ESSENZE SCULTOREE

LA CUI ANIMA E’ ACCIAIO DI PURISSIMO AMORE.

 

AVE

NELL’ALTISSIMO UNIRE

ARCANGELICA LONTANISSIMA ESSENZA

NEL FERREO OPERARE IN IDEA

CHE TALVOLTA RIUNISCE LE FOLGORI

E  –  REDIMENDO –

LE LASCIA OPERARE

OVE FRA GLI UOMINI

L’ASCESI OTTIENE ETERNE AZIONI VIVENTI.

____________________

 

  

2/18067

NELL’ALTO AFFERMARE

 

 I MIASMI DELLA BESTIA.

OVE AL VUOTO INTERIORE SI AGGIUNGE LA BLASFEMIA.

 

L’OTTUSO CHE BIASCICA MENZOGNE

SORRETTE DALL’ONDA DEGLI INFERI CHE LO INFERVORA.

 

GORGHI DI ENERGIE SORREGGONO IL FARNETICARE.

 

IL DESERTO DELL’INDIVIDUALITA’ MORTA

IN CUI BRANCOLA IL CADAVERE CHE IMPRECA.

 

MASSA DI CARNE SENZA DEGNITA’

IN CUI ABITA LA BESTIA CHE RIPETE IL SUO LAMENTO.

 

LA VANITA’ SOSTIENE LA BESTEMMIA CHE SI VORREBBE PRONUNCIARE.

 

MEDIANICO PROCEDERE A TENTONI FRA LE ROCCE DEGLI INFERNI GORGOGLIANTI.

 

MA INFINE L’OSSESSO OTTUSO INCONTRA LA VERGOGNA.

 

VIENE SORPRESO NEL PROFONDO DA CIO’ CONTRO CUI INVEIVA

E CHE NON CREDEVA POTESSE MANIFESTARSI.

 

LUCE FOLGORA LE IENE.

 

 AVVIENE UN GRAN TRAMBUSTO IN CUI IL DIAVOLO PERDE LA CORONA.

 

AVVIENE

–  LONTANISSIMO  –

IL FOLGORARE DI CIO’ CHE ANNIENTA IL MALE.

 

PER ATTIMI PROLUNGATI :

NEGLI APICI DELL’IMPOSSIBILE :

IL POTERE SCULTOREO DEI CIELI

AVVAMPA DI LUCE CHE FERISCE IL PROFONDO NEGARE.

 

AVVIZZISCONO INFERNI ED I LORO PROFETI.

 

RESPIRANDO NELL’ALTO AFFERMARE

POTENZE DELL’UNITIVO COSCIENTE OPERARE IN IDEA :

TRAGGONO VITA DAL NULLA TRAFITTO

E RISPLENDONO DEGNE.

 

POSSONO VIVERE A NUOVO

    –  RISORGONO  –

MOLTEPLICI VETTE IN CUI VERITA’

MANIFESTA IL VALORE SANANTE CHE MUTA I DESTINI

E LI ELEVA.

 

NEL CUORE DI LUCE CHE IMPRIME POTENZE FORMANTI

IN CUI LA VOLONTA’ INCIDE IL SUO OPERARE.

 

CUORE DI METEORA IN CUI OPERA L’ARCANGELICO FERRO.

 

E NEGLI APICI

VI E’ LUCE CHE EDIFICA IL VERO.

 

AMORE CREANTE CHE IN FUTURO GIUNGERA’ NEL SENTIRE.

_____________________

 

 

 3/18068

CREANDO LUCE

 

LA CEREBRALITA’ IMPRECA NELLO ZOLFO

MENTRE E’ PERCORSA DALLE POTENZE DEL REGREDIRE.

 

NON VUOLE PENSARE MENTRE NE RECITA L’APPARENZA.

 

BRAMA RATTENERE FRA ENERGIE CORPOREE

IN CUI ALLEVA IL DESERTO DI OGNI VALORE.

 

COMPRIME OGNI SUA FORZA ENERGETICA

FRA NUBI DI ZOLFO IN CUI IMPRECA E MALEDICE.

 

EMANA INCREDULITA’ E DENIGRA

NEL PESO E NELL’APPIATTIMENTO.

 

E’ COME UN CADAVERE CHE AGITA LA PROPRIA MORTE INTERIORE

QUALE ARMA PER DESERTIFICARE LE COSCIENZE.

QUALE VELENO PER SPEGNERE LE ANIME.

 

VORTICE CHE ATTIRA LE POSSIBILITA’ DEI RETTI PENSIERI

FRANTUMANDO IN UN SALINO SINGHIOZZO

OGNI CONTINUITA’ LOGICA DELL’INTUIRE.

 

SONO I FORZATI DEL CORTO PENSIERO

IN CUI INFURIA LA MENZOGNA

ED IN CUI TUTTO E’ TENEBRA

CHE RICONDUCE AL MALE OGNI MOMENTO.

 

ZAVORRA MOLTO CREDIBILE NELLA BASSA CEREBRALITA’:

OTTIENE DI ESSERE DISSOLTA E SVELATA NEGLI ATTI DELL’IDEA

CHE NEGLI APICI DELLA CONTINUITA’ IN CUI UN CONCETTO E’ CONTEMPLATO

PUO’ EFFICACEMENTE SOVRASTARE QUEI GORGHI

SEPARANDOLI DALLA PROPRIA ESSENZA IN CUI LA SINTESI RESPIRA.

 

 –  IN CIO’ CREANDO LUCE  –

 

 IN CIO’ DISVELANDO L’ESISTENZA DI UN COSMO

IN CUI LA VERITA’ E’ UN VALORE OPERATIVO

STRUTTURATO DI RESURREZIONE.

 

LUCE SCULTOREA CHE IRROMPE NELLE ANIME

REINTESSENDO IL COSMO MORALE

NELLE RIACCESE EVIDENZE INTERIORI.

 

E’ LUCE E RESPIRO DI LUCE.

RICONNESSIONE AL VERO

CHE E’ SACRITA’.

 

NEL CUI INTENSO ATTUARSI VOLUTO

FRA CONTINUAMENTE RINNOVATI LAMPI COSCIENTI

CHE RIATTINGONO AL RICORDO :

ARCANGELICHE ESSENZE RENDONO IL PENSARE :

 LAMA OPERATIVA DELL’ALTARE.

COSICCHE’ IL SOLE LOGOS PUO’ ESSERE INTUITO NEL VIVENTE.

 

ATTUANDO L’IMPOSSIBILE RISORGERE.

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4/18069

NUOVE FISIONOMIE

 

 LA SALINA EBBRA SUPERBIA IRRIDENTE NELL’ENTE ARIMANICO

NON E’ SORRETTA DA RAGIONAMENTI

MA E’ UNA PROFONDA ALTERAZIONE DELLE SENSIBILITA’ INTERIORI

IN CUI VIENE A PREVALERE UNA CORRENTE DI FORZE CORPOREE

ATTINTE FRA LE ENERGIE SUBPERSONALI DELL’ODIO CONTRO I CIELI.

 

SONO GLI INADATTI AL BENE.

 

I SEMPRE PRONTI ALL’INVASAMENTO ISTERICO.

I DESIDEROSI DELLA FURIA ARIMANICA

CHE SPUMEGGIA DAL TORBIDO.

 

EMANANO STORDIMENTO CHE TENTA DI SPEGNERE IL PENSARE

MENTRE BRAMA COINVOLGERE NELL’ULULATO DEI DEMENTI.

 

UNA GENIA DI VIGOROSE SCIMMIE ANIMICHE

CHE VIVONO NELLA VOLONTA’ DI SOSTENERE IL MALE

IN CUI LA FUTURA PELURIA

PER ORA GRAVA SUI CUORI.

SPEGNENDO OGNI LUCE SUPERIORE.

 

I FORZATI DELL’ULTIMA CENERE

SU CUI SI ESTENDE IL MALIGNO.

 

COSTORO ATTENDONO SOLTANTO DI ESSERE SVELATI

DA FORZE COSCIENTI

CHE SAPPIANO VIVERE IL LORO ACCECAMENTO

MENTRE LO DISSOLVONO.

 

MENTRE INDEBOLISCONO E CONSUMANO

LA RABBIA DEGLI OTTUSISSIMI E STRIDENTI INEBRIATI.

 

FOLGORE CHE DISSOLVA OGNI FORZA DI SUPERBIA IN LORO.

 

AMPIO E’ IL RESPIRO DEGLI ATTI DELL’IDEA

E LUMINOSO NEI CUORI DELL’ETERICA MAGIA :

PUO’ SCOLPIRE E IMPRIMERE NUOVE FISIONOMIE SACRE

OVE IMPERAVA IL FETORE DELLA BESTIA.

 

NELLA RAREFATTA SINTESI IN CUI CHI CONTEMPLA

E’ PROSSIMO ALL’IMPOSSIBILE SANARE :

SI IMPRIMONO LE FORZE DELLE VERE FISIONOMIE ANIMICHE.

 

LE NUOVE.

 

CONSACRATE NEL LIMPIDO INTENSO

–  FERREO  –

CONNETTERE

IN CUI ARCANGELICHE ESSENZE RESPIRANO.

 

NEL COSMO ETERICO DEL LOGOS

CHE L’UOMO PUO’ SFIORARE

INSERENDO IL SOVRUMANO NEI DESTINI DELLE GENTI.

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5/18070

NUOVI VOLTI PER L’ETERNA BELTA’

 

 OVE IL NEGARE CEREBRALE POTENZIA I FLUSSI DELLA CHIUSURA ANIMICA

AVVIENE IL BRUCIANTE DILAGARE DELLA NAUSEA ESISTENZIALE.

 

MASSE DI INDIVIDUI ACCOMUNATI DALL’ORRORE DISGUSTATO.

 

SFIDUCIA RABBIOSA CHE GIUNGE AL BRUCIANTE CORRODERE IL TESSUTO ANGELICO DELLE ANIME.

 

I SENZA FUTURO POICHE’ ANCORATI AL RANCORE DEL NULLA.

 

PARALISI PULSANTE CHE ATTENDE LA FOLLIA

MENTRE ALIMENTA IL PROPRIO DISPERARE.

 

SENZA PENSIERO POICHE’ SENZA IDEALI

OSSIA POICHE’ PRIVI DI AMORE

INVEISCONO NELL’OSCURITA’ CHE LI TORMENTA.

 

NEO PRIMITIVI IN ATTESA DELLA BESTIA.

 

TROPPO CEREBRALI PER POTER SCORGERE ARMONIE :

VIVENDO NEL RANCORE IMMOTIVATO OTTENGONO I DESERTI.

 

OCEANI DI FIELE NERO PER L’IMMENSA FUTILITA’ DELLA FALSA INTELLIGENZA SENZA ACUME.

 

MA ALTI APICI NELL’IMPEGNO DELL’ASCESI

POSSONO APRIRE VARCHI AL SOLE DELLE ESSENZE.

 

PURA LUCE INTENSA CHE

–  IMMATERIALE E OPERATIVA  –

CONTIENE E IMMETTE POTENZE DELLA FORMA.

 

POTENZE UNITIVE NELLA LOGICA DEL PENSARE

ACCENDONO AL PROPRIO INTERNO IL VALORE VIVENTE DELLA VERITA’.

 

POTENZE UNITIVE NEL CUI CENTRO OPERA IL LOGOS.

 

NUOVI VOLTI PER L’ETERNA BELTA’.

 

ARMONIE SORRETTE DALL’IMPETO VOLITIVO DEL CONNETTERE

CHE IMPREVISTO E LIBERAMENTE ATTUATO :

L’IMPOSSIBILE OCCULTO VALORE SOLARE RIACCENDE.

 

LUNGO I SENTIERI DELLA MERAVIGLIA ALATA.

 

IN CUI IL PENSARE CONTEMPLATO

GIUNGE A FARSI VITA DI ARMONIE SOLVENTI.

 

CROLLA IL RANCORE E SI CANCELLA OVE

–  VOLUTO NELL’IMPOSSIBILE  –

L’UNICO VERO SI CREA E RISORGE.

 

NELL’ARCANGELICO FERRO IN CUI MUTA IL FUTURO.

 

ED IL PASSATO

–  RIVISSUTO IN ESSENZA  –

PROGRESSIVAMENTE SI RIEDIFICA.

 

NELL’ESTREMO SLANCIO IN CUI

IL PENSARE CONTEMPLA LONTANISSIME ESSENZE

DI CIO’ CHE HA CONCEPITO :

TALVOLTA PUO’ ESSERE CONCESSO

CHE LA FOLGORE RACCOLGA E IRRAGGI

QUANTO E’ STATO SPESO PER IL NUOVO SOLE.

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 HELIOS FK AZIONE SOLARE

 

https://essenze-scultoree.webnode.it/

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 http://folgoperis.blogspot.com/

 http://lampisilenti.blogspot.it/

https://www.ecoantroposophia.it/2014/07/arte/fk-azione-solare/ascesi-del-pensiero/

 http://folgoperis.blogspot.it/2014/07/ascesi-del-pensiero.html

DI LÀ DAL DRAMMA DELL’ ANIMA (di F. Giovi)

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La costituzione che ognuno di noi ha, grosso modo dobbiamo tenercela per tutta la vita. Purtroppo poiché due correnti distinte e quasi mai in armonia tra loro concorrono alla nostra formazione storica: quella che cammina dai nostri antenati fisici e che prosegue in noi e quella che viene nel mondo dalla nostra entità spirituale. La prima riduce, comprime abbastanza (troppo) la seconda.
Il risultato è sempre una deformante contrattura della nostra entità complessiva. I casi di un equilibrio tra le due correnti rappresentano delle eccezioni più uniche che rare (es. riceviamo in eredità un sistema nervoso scassato e si combatte una eterna guerra di trincea per almeno contenere il “danneggiamento”).

La scienza dello spirito è consapevole della situazione in cui si trova l’uomo moderno.

Per questo essa ci conduce, nonostante le mille difficoltà contingenti, nonostante la massività del sensibile e dei fatti, a divenire consapevoli del Pensiero, cioè dell’unica attività operante nell’umano che può essere reale e vera oltre ogni male dell’anima e del corpo.

Altroché concentrazione! Con essa o prima di essa. Il fatto che il pensiero esista, che possa essere percepito e che possa venire “compreso” come una realtà non meno reale di tavoli o sedie è, alla fine dei conti, assai diverso dal sapere una cosa del tipo: “ so che in Africa crescono le banane”. Ma ciò può essere dimenticato o mai compreso compiutamente.

insisto su questo, perché è la chiave per ogni esercizio interiore che poi si può compiere: non secondo ciò in cui psichicamente o fisicamente si è immersi, ma secondo un’attività in ogni momento capace di nascere indipendentemente dalla situazione psichica o fisica. Insisto su questo, perché nel futuro avremo lotte e prove senza respiro e sarà necessario attingere a una forza inesauribile e assolutamente incondizionabile dalla situazione corporea-animica.
Se si afferra che una formula matematica può essere pensata vera di là dal dramma dell’anima oppure oltre ogni guasto corporeo, si può fortificare al massimo questo pensiero…questo non può avvenire gratuitamente ma ogni volta dev’essere un atto di volontà” (M. Scaligero, 6 aprile 1970).

E’ una consapevolezza per nulla mistica, non è un sentimento ma un fatto da rievocare spesso nella coscienza, nella comune luce di sé.

E’ il primissimo, elementare “adamantino” che chiunque di noi può realizzare in ogni momento. E’ ancora un nulla antecedente qualsiasi opera interiore: “il triangolo ha tre lati, qualsiasi sia la sua forma o la sua grandezza, qualsiasi sia l’incazzatura che ho preso, l’ingiustizia che ho subito, il dolore che mi morde la spalla, la vita di m…a che sto vivendo”. Non è un mantra, una preghiera o un mini-rito e, discorsivamente non vale niente. Discorsivamente è solo una traccia.

Ma indica, se si vuole, l’unico, tosto modo, di uscire dagli sbrodolamenti, sacri o profani.

Almeno secondo la “matematica rosicruciana dello Spirito”.

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LA GUERRA SPIRITUALE (di M. Scaligero)

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Le influenze della sfera spirituale, per poter agire nel nostro mondo, hanno bisogno di basi adeguate, anzitutto nell’ordine psichico e poi in quello strettamente fisico: occorre ad esse un sistema analogo a quello che, nella sua costituzione e nella gerarchia dei suoi elementi, presenta l’organizzazione corporea. Ora avviene che se tali influenze, ad un dato momento, per una qualunque ragione, si ritirano dalle precedenti basi “fisiche”, patrie o regioni o razze che siano, queste possono tuttavia restar cariche di forze psichiche, che saranno tanto piú persistenti, quanto piú potente fu il principio spirituale che di esse fece uso. Ne consegue che il caso relativo a centri spirituali di valore decisivo per la storia dell’umanità, spiritualmente estintisi da un tempo piú o meno lungo, è quello cui si connettono i maggiori pericoli, soprattutto perché nuove influenze invisibili, ma appartenenti al mondo inferiore, possono impadronirsi di quei veicoli psichici per manovrarli secondo la direzione e gli scopi che a loro interessano. Si può dunque verificare il fatto che tutta la cultura e la dialettica di un corpus tradizionale, che ebbero origine come espressione di significati di un mondo in verità trascendente, vadano a rivestire il complesso gioco di forze anti-spirituali, in cui anche i cosiddetti “uomini in buona fede” divengano inconsapevoli pedine.

Nel mondo moderno le forze pure ed eterne della tradizione esoterica vanno ricercate attraverso una liberazione individuale, di là da ogni cristallizzazione culturale e da ogni consunzione dialettica mediante “metafisica pura”, mediante “pensiero puro”. E si spera che, almeno da qualcuno, tali espressioni non vengano fraintese.

Una tradizione deviata sino al punto da render possibile ogni abuso da parte di forze anti-spirituali, sino all’alleanza con quel mondo materialistico contro cui dovrebbe schierarsi, è davvero morta come tale, quanto quella di cui non sussista alcuna continuazione visibile. Oggi, si assiste al fenomeno di una “compensazione” o filosofica o scientista, come via per la soluzione della crisi spirituale che consegue a simili morti.

L’ultima fase del periodo filosofico va divenendo un forzoso prolungamento dei motivi per cui essa non può essere altro che l’ultima fase. Si assiste al riversarsi di una sorta di “precipitato psichico” dell’ultima dialettica filosofica: serie di sottoprodotti di una impotenza del pensiero a ritrovarsi come valore cosciente di qua dalla serie delle ragioni: esistenzialismo, neo-realismo, progressismo. E se si tien conto che ogni forma di spiritualismo che rimanga nella negazione formale di un tale precipitato psichico in definitiva mostra di patirne il vizio profondo e di essere soltanto un aspetto esteriore, sentimentale, semi-cosciente, della paura che esso genera, si può concludere che esistenzialismo, neo-realismo e progressismo hanno una sostanza comune con certo misticismo di moda, con certe ”vie di salvezza” estremamente facili, con certe manie collettive di redenzione.

La confusione in tal senso non ha limiti. All’uomo attuale non importa piú che una cosa sia vera, ma soltanto che possa essere dimostrata. In tal senso egli “pensa”, ossia si illude di pensare. In compenso agisce illimitatamente, senza un controllo, senza una vera consapevolezza di ciò che compie. A lui, avanzare verso una qualsiasi direzione interessa in forma morbosa: che cosa sia poi questa direzione e quale il suo intimo valore, egli nemmeno si chiede: cosí la dispersione continua del suo mondo psichico è la conseguenza inevitabile di ogni forma della sua azione.

Occorre riconoscere che la necessità di un incessante agitarsi esteriore recata alle conseguenze piú esasperanti, senza alcuna nozione del senso finale di esso e del risultato ultimo dell’orgia di attività semplicemente caotiche, pone l’uomo fuori del suo centro e lo porta al tradimento della propria originaria natura, che dovrebbe essere conforme al principio di libertà cosciente.

In correlazione con il potenziamento sistematico delle facoltà esteriori dell’uomo, si verifica una sorta di paralisi delle capacità superiori, quelle che danno ad esso il diritto di riconoscersi al vertice sovrasensibile, individuante, del processo proprio alla natura naturata. Non soltanto egli rinuncia ad essere libero, ma diviene il pervertitore del mondo della necessità naturale. Divenendo meno che uomo e movendosi nel sub-umano, non rinuncia tuttavia a giustificare mediante logica e a confermare con la scienza questo suo decadere. Continua a considerarsi aristócrate, essendo divenuto uno schiavo: e proprio perché ha l’anima del servo – evidente soprattutto quando rinuncia a pensare da sé – cerca all’esterno una libertà che non riesce a conquistare nel proprio mondo interiore. È significativo in tal senso l’inturgidimento dialettico di tutti gli attuali assertori e ricercatori della libertà. Quando tanto se ne parla, allora veramente è soltanto un flatus vocis: allora il mondo è pronto perché gli impotenti a darsi una libertà (che è libertà interiore) impongano al mondo la forza solidale della loro schiavitú. Non resta allora, agli ultimi uomini liberi (il che è dire: ai primi oltre la sfera della necessità) che sparire nella inviolabilità del “silenzio” e operare secondo princípi che trascendono i programmi umani piú o meno scientificamente elaborati.

Qualunque cosa sia per ora detta nel senso di un vero di cui non esiste neppure la nozione nell’ordine intellettuale, è destinata a perdersi nella confusione di tante ideologie e di tante retoriche. Pure, l’appello è permanentemente lanciato da chi sa perché occorre resistere e può essere ancora raccolto da chi comunque ha deciso di non venire ad alcun compromesso. Questa direzione puramente e coscientemente rivoluzionaria di contro alla marea della sovversione conservatrice, falsamente religiosa o progressista, alimentata dall’accidia dell’anima “borghese”, è l’ultima difesa e al tempo stesso il primo fondamento di un ordine spirituale alla cui perdita si deve l’attuale dramma dell’uomo.

Allorché il nominalismo ritorna sotto forma di dialettica o spiritualistica o marxistica o scientistica, è difficile uscir fuori dalla confusione delle parole. Viene allora scambiato il concetto di “universalità” con quello di “internazionalizzazione”. L’influenza dell’ordine inferiore usa per sé gli stessi concetti e gli stessi nomi che si riferirono all’ordine celeste, in vista di un “possesso” in profondità del sistema umano a lei legato mediante frenetico desiderio e oscurità di coscienza. Se si analizzano certe forme democratiche e demagogiche dell’attuale politica dominante, non si può non avvertire un’influenza del genere: il culto del popolo e l’idea che in esso stia il principio e la sanzione di ogni autorità, non sono che inversioni di una giusta comprensione del valore “popolo” e in definitiva agiscono come motivi di degradazione e di peggiore oscuramento di questa collettività. L’insorgere organizzato della quantità, la cui possibilità di scatenamento sotto etichetta umanitaria e socialitaria non è che un elemento del dominio di quell’ordine inferiore; cosí l’insofferenza per ogni giusta autorità o per un dirigente che non abbia tratti affini al tipo dei tribuni del popolo o ai dittatori promettenti la redenzione del proletariato per meglio aggiogarlo o incatenarlo: sono aspetti di un capovolgimento di valori rispondente a un sistema “tellurico” che da invisibile oggi tende a divenire visibile, non senza prima aver giocato l’umanità mediante un falso uso dei suoi maggiori ideali: libertà, fratellanza, giustizia e simili.

Fede e scienza: antitesi dialettica, retoricamente risolta mediante la contraffazione dello spirituale. Qui, incapacità metafisica e falsa religiosità, pari per impotenza dinanzi alla diabolicità del mondo moderno, in sostanza si conciliano con il mondo della materia deificata e meccanizzata. Il religioso “tradizionalista” va di buon accordo con il positivista piú o meno professante ateismo, perché questi non lo disturba, non tenta piú di invadere con concetti metafisici il suo dominio, anzi lo lascia padrone assoluto nel campo della fede e del dogma. Allo stesso modo il positivista ateo va di buon accordo con il professionista della religione ufficiale, perché questi già da lungo tempo ha rinunciato a conoscere la realtà esteriore da un punto di vista essenziale. Il moderno religioso segue la moda, pronto a piú supini riconoscimenti delle verità dell’esperienza e della realtà conoscibile matematicamente, incapace di offrire una giustificazione superiore di questo mondo di concretezza, e lascia il positivista della scienza sovrano assoluto nel suo campo, cosí l’impotente della scienza stringe la mano all’impotente della fede. Essi poi sono sempre pronti a formare un fronte comune contro chiunque li disturbi, contro ogni dottrina che non si rassegni a questa doppia rinuncia e affermi il diritto di un principio superiore sia al limite della fede sia al limite della scienza, un principio cioè di spiritualità solare, sintetica e dominatrice.

Questa spiritualità superatrice ad essi non può che presentarsi rivoluzionaria e portatrice di un nuovo senso eroico della vita. Contro di essa dunque viene scatenata una guerra che da un lato assume l’aspetto di “tradizione” che vuol conservare se stessa e dall’altro assume l’aspetto della rivoluzione popolare ed è la rivoluzione della materia contro lo spirito, quella che spesso abbiamo chiamata la “falsa rivoluzione”. Le due impotenze sono dunque sempre pronte ad allearsi e ad opporre il mondo della loro potenza, che è ormai il veicolo e la base delle influenze dell’ordine infero, contro ogni autentica rivoluzione dello spirito che dall’alto tenda ad agire verso il basso, secondo leggi proprie non sempre riducibili al livello dello sterile razionalismo umano.

Chi non sa scoprire il messaggio latente in questa immane sofferenza dell’uomo, in questa inversione di valori e in questo sovversivismo mistico-materialistico, non ha raggiunto ancora la dignità interiore necessaria per divenire un combattente consapevole della guerra spirituale, della guerra sottile, che ovunque agita l’umanità.

Massimo Scaligero

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Selezione da: «Architrave» anno I, n. 4, Maggio 1948

Immagine: G. Doré «Vittoria di Michele sui nemici dello Spirito»

Grazie a Marina Sagramora per la gentile concessione

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IL MAESTRO (di M. Scaligero)

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IL MAESTRO

Un insegnamento riguardo alla capacità di riconoscere la «via», o il «maestro», ci viene dalla storia di Nārota, asceta tibetano del X-XI secolo, che, durante il noviziato, errando di con­trada in contrada alla ricerca del proprio maestro, Tilopa, si lascia sfuggire una serie di occasioni di ritrovarlo, perché ogni volta incontrandolo non lo riconosce: giunge talora persino a scaglia­rglisi contro. Nārota viene giocato dai più legittimi stati d’animo, in quanto il maestro gli va incontro in vesti inaspettate, non rispondenti al cliché che egli se ne è fatto, epperò non appagante il suo sentimento umano: che è dire la sua  brama.  Non diversamente si comportano oggi coloro che cercano lo Spirito nella forma con cui preventivamente se lo sono rappresentato o l’hanno appreso nei testi: lo respingono, se si presenta nella veste da essi non prevista.

Questo non riconoscere il maestro, o avversarlo, tuttavia, è positivo dal punto di vista intemporale dello Spirito, poiché comporta che tutta la vita del discepolo sia una continua cor­rezione del suo discernimento: che in tal modo diverrà un giorno strumento  della scelta cosciente. Nārota infine trova Tilopa. L’Iniziazione è un trascendimento dell’umano: dell’umano che, in quanto tale, in profondità rifiuta il proprio trascendimento, e per tale rifiuto è dotato di molta logica. Il discepolo può avver­sare il Maestro che invece dalla profondità della coscienza cerca: può in tal senso persino mobilitare argomentazioni esoteriche: ma è sempre la dialettica, espressiva dello stato di  caduta,  di cui l’Iniziazione è reintegrazione.

Nei tempi in cui la dialettica è la misura dell’umano, è difficile che il punto di partenza del discepolo sia il ricono­scimento del Maestro. Nei tempi dell’autocoscienza razionale, dell’individualismo, dello gnosticismo incapace di scindere da sé il sensualismo costituzionale al tipo umano moderno, tale rico­noscimento è decisivo per l’esperienza interiore. Non si tratta infatti del rapporto con un’opera o con una dottrina, bensì con una corrente di forza. Secondo il Sataro Don Marco, nel nostro tempo vi sono uomini che, per quanto cercatori dello Spirito, pure soltanto dopo la morte possono riconoscere il proprio Maestro: contro il quale possono anche aver combattuto tutta la vita.

Le confusioni, indefinitamente possibili, sono nullameno necessarie, se servono a obiettivare l’errore, del quale un giorno sarà dato cogliere, oltre la forma transitoria, il contenuto di realtà. Sono cosi comprensibili le finzioni di «maestrato», di personaggi che possono persuadere se stessi, epperò gli altri, circa un maestro incontrato, come tutta la popolazione di cer­catori dei filoni segreti o perduti della Tradizione, continua­mente giocati da qualcuno che lascia intravvedere se stesso come depositario di tale filone: un giuoco continuo di assog­gettamenti reciproci, di cui il più delle volte l’Inconscio come corrente sub-individuale tiene le fila, manovrando i presunti cercatori del superindividuale, la cui capacità di entusiasmarsi dinanzi al balenìo di una qualsiasi luce artificiale che appaia la trascendente luce della Gnosi, pur testimoniando di una qualche vocazione, lascia intendere quanto manchi l’indipen­denza interiore, o la capacità di reggersi da sé, che è il segno dello Spirituale, ma soprattutto quanto manchi una educazio­ne del pensiero, la consapevolezza dei mezzi di conoscenza occorrenti all’impresa dello Spirito.

A questa popolazione di cercatori sarebbe saggio fornire un metodo di formazione dell’organo del pensiero, piuttosto che suggerire una scelta, o indicare la figura di un Maestro, o parlare in nome del «proprio maestro» come di un garante delle specu­lazioni filologico-esoteriche ammannite. Nell’anima del cerca­tore viene metafisicamente indotto il limite del realismo primi­tivo, se gli si suggeriscono rappresentazioni mediante cui riconoscere la figura del Maestro, o intuire i valori in cui si esprime il suo insegnamento, o la sua influenza. La questione che piut­tosto si pone in tal caso, è stabilire a chi appartenga l’iniziativa, se al discepolo o al Maestro: se il discepolo trova il Maestro perché lo ha cercato, o piuttosto perché il Maestro ha deciso di andargli incontro. L’arte di ravvisare il Maestro è indubbia­mente in relazione al grado di sviluppo del discepolo. Ma se il Maestro è una realtà sostanziale del cammino del discepolo, è evidente che, ad ogni momento di tale cammino, egli è in rap­porto con il Maestro: questi agisce su di lui anche col non apparirgli, con il lasciarlo a sé in solitudine, in assoluta libertà. Il non comparire del Maestro può essere l’aiuto essen­ziale per il discepolo, perché egli possa veramente muovere da sé (ex se) a ritrovarlo.

Se maestri spirituali circolano ancora tra gli uomini, è difficile che nell’epoca della politica e della pubblicità essi siano abbordabili e indicabili. Già accade che talune personalità oc­cidentali in momenti di crisi interiore, per via aerea si rechino presso accoglienti āśhram indiani, in cui vengono forniti di mantra, āsana, temi di meditazione, tecniche del prānāyāma ecc., e poi tornino fiduciosi e discepoli. Il guru in molti casi sta sostituendo lo psicanalista.

Ogni reale ricercatore è un discepolo, e, in quanto disce­polo, è già in relazione con il proprio Maestro. Ma la situazione dell’uomo contemporaneo è tale che la direzione del mondo spi­rituale esige un estremo rigore per non venir compromessa da velleità umane. Infatti, il livello in cui è possibile che abbondino gli pseudomaestri, i facili predicatori e salvatori, la serie dei propinatori di tecniche yoga, o i rilucidatori della Gnosi, è quello dell’intellettualismo mistico contemporaneo, capace di soddisfa­re le immediate esigenze logiche della ricerca e l’istanza psichi­ca, piuttosto che la  richiesta reale dell’Io.  Questa richiesta non viene riconosciuta. Così, la recezione di una «trasmissione» che, pur presumendo trascendere la coscienza razionale, non diviene atto dell’autocoscienza del celā, è so­stanzialmente il persistere di un intellettualismo che pone l’«in­fluenza spirituale» di là dal soggetto che solo può sperimentarla. Se il soggetto è lo Spirito, non è certo l’ego: perciò la reale esperienza non è quella che esclude il soggetto, come nei casi in cui la coscienza diminuisce sino alla medianità, bensì quella in cui il soggetto è tanto consapevole da avvertire il proprio fondamento e da non concepirne altri fuori di sé.

Un discepolo che concepisca l’Ātman dovrebbe avvertire che non lo concepisce fuori di sé, anche se ancora non lo realizza: dovrebbe evitare di cadere nell’intellettualismo che ela­bora fuori di sé un «principio», o un «assoluto», semplicemente rappresentandolo, o ideandolo. Problema che non si poneva un secolo fa, né alla fine del secolo scorso o agli inizi di questo, ma oggi si pone come fondamentale, perché nella struttura psico­fisiologica dell’uomo, come risulta a una serie di indagini con­cordanti, qualcosa è cambiato: egli è divenuto definitivamente un cerebrale. La tentazione di identificare il semplice pensiero intuente, con quello che Guénon chiama «intelletto puro», il cui ordine è sopraindividuale, è il segno della inconsapevolezza di un simile mutamento.

A coloro che seguono i sentieri dell’Oriente, va ricordato che il tema dell’Ātman o del Jīvātman si regge soltanto su quello della essenziale soggettività, in senso vedantico e non in senso filosofico idealistico: ma perciò esso oggi è ravvisabile, in rap­porto a una  v i a  occidentale,  o  «moderna», come esi­genza di una metànoia, o di una conversione del pensiero razio­nale. Il superamento del limite del pensiero riflesso, è in sostanza la chiave della relazione con il Maestro. V’è un tratto del sentiero che congiunge discepolo a Maestro, che  d e v e  essere percorso dal discepolo: dipende solo da lui, dalla sua iniziativa, o dalla sua libertà, il percorrerlo. Si tratta infatti della sfera della razionalità ferreamente in sé conclusa e, per la sua stessa struttura,  opposta  a qualsiasi influenza spirituale: è la barriera che non può essere superata dal Maestro, ma da colui che all’interno di essa è prigioniero. È prigioniero, ma dispone di un veicolo interiore che muove simultaneamente entro e fuori la barriera: il pensiero. Tale veicolo può condurre lo sperimentatore cosciente, che libera­mente voglia, oltre il limite di chiusura: egli può pensare, perciò può giungere a contemplare il pensiero.

Dovrebbe essere evidente a ogni ricercatore che il pensiero razionale, in quanto è il gradino più basso della conoscenza, è perciò il primo della risalita. Non v’è pensiero che, per quanto arido e mediocre, non rimandi alla sua fonte interiore: il non riconoscere tale possibilità e il voler trascendere il pensiero mediante una qualsiasi azione interiore che ignori il punto in cui l’interiorità subisce il vincolo razionale, è la causa del fallimento di ogni impresa dello Spirito in questo tempo.

 

Massimo Scaligero

da “YOGA MEDITAZIONE E MAGIA”

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IL FAUST DIETRO LE QUINTE

«Io, Johann Faust, dottore, dichiaro che, dopo aver intrapreso lo studio degli elementi […] ho fatto voto di sottomissione a […] Mefistofele». – ‘L’alchimista’, di William Fettes Douglas. 1853

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Spregia pure il sapere e la ragione,

queste supreme facoltà dell’uomo.

Lascia pur che lo Spirito bugiardo

sempre piú t’irretisca in artifici

d’inganno e di magia.

E senza via di scampo,

nelle mie grinfie t’avrò stretto alfine.

Chiuse in costui la sorte

un indomato spirito

che disfrenatamente lo riscaglia

di mèta in mèta sempre piú lontano,

e nell’impeto suo precipitoso

tutte scavalca le terrene gioie.

Ebbene: quello spirito indomato,

io lo trascinerò per la piú matta

bestialità del vivere bestiale:

per squallidi deserti

di frivolezze vane.

Ei si dibatterà tra le mie panie,

per ivi irrigidirsi

ed invischiarsi affranto.

La sua sete inesausta e la sua fame,

alle labbra dinanzi

prendere si vedrà bevande e cibi:

ma inutilmente implorerà ristoro

a sete e a fame. E pur se non si fosse

al demonio di già legato in patto,

precipitar dovrebbe in perdizione.

(Mefistofele/Faust-Goethe)

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“Il dott. Johann Georg Faust (1480 – 1540) fu un alchimista tedesco nato nel villaggio di Knittlingen, Württemberg (si sostiene anche che potrebbe essere nato a Roda nella provincia di Weimar o anche a Helmstadt vicino a Heidelberg nel 1466). È stato conosciuto alternativamente con i nomi “Johann Sabellicus” e “Georg Faust”. Nel 1507 Johannes Trithemius di Sponheim scrisse che Faust era un truffatore e un vagabondo che si approfittava dei creduloni, fu allontanato da un posto di insegnante a Kreuznach dopo aver lì molestato diversi ragazzi.

Potrebbe poi aver proseguito gli studi all’Università di Heidelberg, dove nel 1509 ottenne la laurea in teologia, e poi essersi trasferito in Polonia, dove un amico di Martin Lutero, Filippo Melantone, affermò che Faust studiò magia all’Università di Cracovia. Melantone è stato un teologo e riformatore tedesco, seguace di Lutero della prima ora, il suo pensiero si caratterizza per le sfumature mistiche, i toni concilianti e la svalutazione di dogmi e rituali, caratteristiche che lo resero molto apprezzato negli ambienti riformatori italiani per la sua ricca cultura umanistica, per la sua possente preparazione teologica e per le sue posizioni vicine all’adiaforismo erasmiano (e valdesiano), divenendo così un interlocutore privilegiato per gli “spirituali” e per i cattolici non intransigenti.

Si narra che Martin Lutero e Filippo Melantone abbiano sostenuto che Faust intrattenesse abitualmente rapporti con il diavolo.

Dopo di che appare all’Università di Ehrfut nella Germania centrale. Si narra che quando teneva lezioni su Omero evocasse gli eroi di Omero per i suoi studenti.

Fu espulso da Ehrfut dal monaco francescano Dr. Klinge (che fu predicatore della cattedrale dal 1520 al 1556). Il Dr. Klinge chiese il pentimento di Faust. Faust rifiutò l’offerta di intervento del monaco e ammise di aver firmato un patto con il Diavolo, e disse che si fidava del Diavolo più che di Dio.

Nel 1523 si racconta che abbia frequentato la taverna di Auerbach a Lipsia, dove fece uscire il vino da un tavolo e cavalcò una botte di vino. Goethe visitò spesso la stessa taverna da studente secoli dopo.

(Illustrazione: Johannes Faust esce a cavallo di una botte dalla cantina di Auerbach)

Da quel momento in poi, man mano che la sua fama di genio cresceva, cresceva anche la sua notorietà e fu espulso da diverse città.

Si dice che Faust avesse predetto che il vescovo di Münster (Franz von Waldeck) avrebbe conquistato la città di Münster e che avesse correttamente previsto l’esito della spedizione venezuelana di Philipp von Hutten.

Una volta, mentre era in prigione, in cambio di vino si offrì di mostrare a un cappellano come togliersi i peli dal viso senza usare il rasoio. Il cappellano gli fornì il vino e Faust gli diede un unguento di arsenico, che gli tolse sia i peli che la carne.

Faust morì nel 1540 o nel 1541. La leggenda narra che fece una fine terribile nei pressi di Wittenberg, dove il diavolo lo fece a pezzi e lo lasciò su un mucchio di letame, con gli occhi incollati a un muro.”

Dalla storia alla leggenda

“Nel 1587 fu pubblicato un libro in poemi “Historia von D. Iohan Fausten” sui peccati di Faust, che fu presto tradotto in inglese, il quale ispirò Christopher Marlowe. Il Dottor Faust di Marlowe fu studiato da Johann Wolfgang von Goethe (che potrebbe aver letto anche la versione tedesca) e la leggenda di Faust crebbe.

Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) scrive il suo monumentale poema Faust dal 1772 al 1832, in un arco di tempo lungo sessant’anni. Il contenuto narrativo si ispira a un personaggio realmente vissuto tra la fine del Quattrocento e la fine del Cinquecento in Germania: Johannes Georg Faust, un ciarlatano che millantava di saper praticare le arti magiche e di poter evocare il contenuto di opere mai rinvenute di autori come Platone e Aristotele.

Attorno alla figura di Johannes Georg Faust e alla sua vita avventurosa e ammantata di mistero, sorgono numerose leggende già quando l’occultista è ancora in vita. Sono di poco successive le diverse rappresentazioni che affrontano la storia di Faust in forma più esplicitamente fantastica: la più celebre è sicuramente la Tragical History of Doctor Faust del drammaturgo inglese Christopher Marlowe (1564-1593), la cui prima rappresentazione attestata è del 1594, ma che è stata composta nel 1588. Anche Marlowe porta in scena caratteri ed episodi che vengono poi mutuati da Goethe, come la tragicità insita nel personaggio o l’amore per Elena di Troia.

Goethe ha modo di avvicinarsi al Doctor Faustus di Marlowe già in giovane età, durante uno spettacolo di marionette (i tradizionali Puppenspiel tedeschi). La storia dell’alchimista, metafora del rapporto dell’uomo con la conoscenza e con il senso ultimo della vita, attraversa tutta la vita del poeta e drammaturgo tedesco, dalle prime bozze del 1772 fino all’edizione definitiva del 1831. Nel suo Faust Goethe fa confluire tutte le suggestioni storiche, estetiche e culturali del suo periodo, fondendole con la cultura classica (soprattutto nella seconda parte dell’opera) e delineando una vicenda universale di ricerca, perdizione e redenzione. I tratti romantici dell’Urfaust, che risentono delle teorie di Herder e Hamann e dell’influsso dello Sturm und Drang, si rintracciano ancora nella tensione titanica verso l’infinito del protagonista, ma vengono anche mescolati con temi più tipicamente classicheggianti, come la riflessione sul rapporto tra bellezza e piacere, sulla funzione dell’arte e dell’agire umano, sui limiti della nostra conoscenza.

Centro dell’epopea di Goethe è il rapporto tra Faust e Mefistofele, che attraversa tutta l’opera e che è sottoposto a tensioni ambivalenti. Da un lato Faust, nella sua tensione all’ignoto, nella sua urgenza di ampliare la propria conoscenza o il proprio potere, è il motore degli eventi e – in accordo con il principio romantico dello Streben – è sempre insoddisfatto dei risultati acquisiti, nonostante gli infiniti doni di Mefistofele. Il diavolo, d’altro canto, persegue un suo fine specifico – la conquista di un’anima e la vittoria sull’ordine divino – che lo mette in antitesi contro il principio stesso del cambiamento che anima Faust: la dimensione del tempo (che è quella che permette a Faust di evolvere e di vivere anzi più esistenze diverse) e del mutamento è quella che Mefistofele non comprende, perché essa rimanda al miracolo divino della Creazione. Mefistofele nel finale dell’opera, proprio quando si interroga sulla futilità della “creazione” e proclama la sua fede nel “vuoto eterno”, si vede sottrarre dagli angeli il premio della sua scommessa, ovvero l’anima di Faust.

La conclusione positiva dell’opera goethiana – molto discussa dalla critica – può essere allora interpretata come un’accettazione positiva dell’etica di Faust, che, pur tra mille difficoltà ed errori, giunge infine alla rivelazione dell’obiettivo più alto (l’attivismo benefico per gli altri) dell’aspirazione romantica all’Assoluto.

L’interesse nei confronti di Faust è determinato molto probabilmente dal clima religioso della Germania di inizio Cinquecento che, a seguito della riforma luterana, vede nella brama di conoscenza dell’alchimista un atto di superbia che viola chiaramente l’ordine del mondo e la volontà divina. Alla sua morte, infatti, persino il teologo Filippo Melantone (1497-1560), amico di Martin Lutero (1483-1546), sostiene che non sia trapassato naturalmente ma per opera di forze demoniache.  Risale al 1587, invece, la prima pubblicazione anonima sulla sua vita. In questo testo, ricco di citazioni dalla Bibbia e riflessioni di stampo religioso-moraleggiante, vengono raccolti diversi racconti che saranno poi ripresi da Goethe, dal patto col diavolo, alla necessità dell’uomo di indagare l’ineffabile e arrivare al termine ultimo della conoscenza anteponendo filosofia e magia alla ricerca teologica.”
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“Ora ci è chiaro che il vero Dr. Faust, su cui Marlowe ha basato la sua opera, non era affatto un mago, ma piuttosto un incredibile spaccone e imbroglione. Le sue storie sono state nutrite nelle locande tedesche del sedicesimo secolo, un ambiente descritto da EM Butler come un luogo in cui giocolieri, ciarlatani di ogni genere prosperavano…, il terreno di coltura ideale per quegli inganni grossolani e quei trucchi disonesti associati al vero Faust”.
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“Il Dr. Faust era noto per pubblicizzarsi come il capo di tutti gli astrologi, il chimico più colto di tutti i tempi, un chiromante, un osservatore di cristalli e un uomo che poteva compiere miracoli più grandi di Cristo. Sfortunatamente per Faust, non fu mai in grado di realizzare nessuno di questi miracoli (a meno che non si voglia sostenere che un uomo del genere che raggiunge una buona laurea in teologia sia un miracolo in sé).
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Gli unici fatti documentati che avrebbero potuto dargli credibilità come mago, tra i suoi compagni di bar, erano cose che ora sembrano banali. Tra queste, eventi come il fatto di tenere un cane con sé durante i pasti (nel XVI secolo generalmente si riteneva che i demoni si travestissero da cani), la sua capacità di procurarsi occasionalmente selvaggina fuori stagione e la minaccia a un gruppo di monaci con un poltergeist perché gli avevano dato del vino cattivo. Ogni volta che affermava di riportare in vita qualcuno, aveva sempre bisogno di un paio di giorni per prepararsi, senza dubbio per assumere gli attori giusti e creare un pubblico entusiasta.
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Il dottor Faust non è stato reso famoso e immortalato nella letteratura da autori come Marlowe per le sue azioni straordinarie, ma piuttosto perché la sua incredibile quantità di millanterie ha fatto sì che le storie false diventassero esagerate nel tempo. In verità, il vero Faust sembra più il Falstaff comicamente vanaglorioso di Shakespeare che l’uomo rispettabile incapace di evitare la tentazione creata da Marlowe.
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La leggenda di Faust crebbe, tuttavia, fino al punto del suo esilio dalla città di Ingostadt, per essere considerato un indovino. A differenza del Faust dell’opera di Marlowe, il vero Faust fece di tutto per informare le persone del suo patto con il diavolo.”
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Nella figura di Mefistofele di Goethe è stata “inconsapevolmente” contratta la funzione dei due ostacolatori: Lucifero ed Arimane. Ego e Materialismo anche oggi sono stretti in un abbraccio mortale, difficilmente separabili. Nel vero Faust, ciarlatano e forse pericoloso operatore di magie, l’attaccamento alla propria falsa immagine culturale, al culto della propria persona e la sfrenata brama di materializzazione di un potere spirituale si sposano. Nello spiritualismo di oggi lo stesso Massimo Scaligero ha indicato i pericoli del falso esoterismo accanto a quelli della vecchia scuola cristiano cattolica (https://ecoantroposophia.it/2024/05/scienza-spirito/eco-admin/aspetti-deleteri-di-un falso-spiritualismo-di-m-scaligero/#comment-5796).

Goethe ha voluto positivamente vedere nel Faust l’uomo che fiduciosamente, “viaggiando” nelle epoche, si concede il tempo per evolvere e giungere alla perfezione, dunque alla salvezza. 

Non si deve però, nello stesso tempo, mai dimenticare ciò che il Dottor Steiner indicò: La Via diretta  è la più sicura.

Accanto a Lui Massimo Scaligero ne indicò il metodo ma insieme anche le difficoltà, i ritardi e la possibilità di mancare il grande importante compito che proprio in in questi particolari tempi, con gli strumenti a disposizione, possiamo affrontare: ossia con lo strumento del pensiero astratto e logico razionale, traghettante in quanto trascendibile, non da conservare stanziale, trattenente, permanente e definitivo: la vera permanenza essendo solo la vita del pensiero.

La libertà contempla la salvezza ma anche il fallimento, la sconfitta, così come fu sconfitto il “vero” Faust, quello che calcò realmente il suolo tedesco. Un giusto Inizio che i mondi spirituali gradiscono sopra ogni altra cosa è il Rispetto, la Reverenza e la Devozione verso I Maestri, verso il Divino, solo allora Essi si aprono a noi e riversano i loro doni. Mancando il Rispetto, la Reverenza e la Devozione meglio affidarsi al karma, al tempo e alle reincarnazioni, evitando nel frattempo di commettere errori gravissimi e forse irreparabili come tradimenti nei confronti dei Maestri,  errori come menzogna, raggiri nei confronti di molti che, incapaci di discernere, vengono distolti dalla Via e dalla Verità: non è obbligatorio divenire Iniziati in questa vita, nè mancare l’appuntamento è una vergogna, ma se lo si vuole allora bisogna prepararsi per stare di fronte alla Verità con sentimenti sacri.

Che il Faust di Goethe ci sia di speranza e il ciarlatano Johann George di monito.

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library.weschool.com/
http://web.archive.org/web/20070205123822/
http:/virtual.park.uga.edu/cdesmet/tiffany/faustus4.htm

L’ARCHETIPO-SETTEMBRE 2024

L’ESERCIZIO CHE STAI FACENDO (di F. De Pascale)

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Ripetere con pervicace ostinazione sempre le stesse cose! E perché mai? Per la semplice – ma non facile da superarsi – ragione e limite che il Visconte di Lapalisse esprimerebbe dicendo: “Se si sta fermi, non ci si muove: non è possibile muoversi, stando fermi”.

A dire il vero, io trovo la ‘lapalissiana’ enunciazione niente affatto comica, semmai drammatica nella sua veracità, e persino tragica, se consideriamo i compiti ai quali individui e Comunità – che dovrebbero essere spiritualmente operanti – vengono meno, con colpevole faciloneria, pressappochismo, latitanza, diserzione e turpissima viltà. Mentre il mondo è in fiamme, mentre accadono nel mondo immani tragedie, quelli che dovrebbero essere degli audaci e fervidi praticanti interiori sono fermi – per usare un termine sportivo – ai “blocchi di partenza”, ove giocherellonamente e pazzerellonamente ‘giuocano’, si dànno agli ‘scherzi’, ai ‘lazzi’, alle ‘ciarle’, alle inutili ‘ciane’! E, con ogni evidenza, se son fermi ai “blocchi di partenza”, non “corrono”, non si muovono. Si aspettano, stupidamente le tragedie, per cominciare – con colpevole ritardo – a muoversi affannosamente, disordinatamente, nel tentativo di recuperare tempo e occasioni perdute.

Perché si ripetono – con lodevole e pertinace ostinazione – sempre le stesse cose? E per fortuna che le si ripetono, per fortuna che vi sono dei ‘fracassoni’ dell’altrui inerte quiete, nella quale si adagia, si acquieta e placidamente si addormenta la vilissima accidia di coloro che in luogo di cercar – come tigri affamate – lo Spirito, si dànno a quei ‘passatempi’, a quei divertissements (come li chiamava Blaise Pascal), che possano rendere piacevole l’indisturbata trantranquillità quotidiana piccolissimo-borghese e vilissimo-borghese!

Di fronte a cotanta turpe e comodissima viltà, ben vengano le più strazianti tragedie nell’umano esistere, ben vengano le più dolorose catastrofi, che spazzino via tale comoda, vigliacca e turpe menzogna! Forse la più grande vittoria, e il miglior strumento per ottenere tale infausta vittoria, l’Oscuro Signore – il Signore dall’Oscuro Pensiero, Angra Mainyush, come lo chiamavano gli antichi Persiani – è stata quella di aver narcotizzato, ‘attufato’, spento sino a completo ottundimento, il senso tragico della vita: tale ‘narcosi’ funziona meglio del Valium e del Prozac nel desensibilizzare il passivo e pavido ‘ometto’ di questa epoca oscura, malvagia e profondamente stupida, portandolo ad una visione ad una banalizzazione nella visione del mondo e della vita, che per molti diventa una condizione di paralisi senza uscita, se non attraverso grandi tragedie, immani dolori e disastri e la morte. Tragedie, dolori, disastri e morte che – nella visione unna del mondo e della vita – sono oltremodo benvenuti e graditi, se servono a spazzar via il marciume della menzogna esistenziale del pavido ometto piccolissimo-borghese avido di mediocrità e di banalità! Come diceva Friedrich Nietzsche: “A me non fanno paura le acque oscure: a me fanno paura le acque poco profonde“, perché nelle acque poco profonde facilmente l’acqua ristagna, e marcisce.

Una volta che eravamo da lui, Massimo ci parlò, con vivide immagini evocatrici, della tragicità che si manifestava nell’esistenza e nell’animale coscienza del lupo, indicandoci tale ‘lupesca’ tragicità come un sentimento o una qualità dell’anima, che dovevamo avere sempre presente e viva di fronte al mondo e agli accadimenti della vita, suscitando nei miei giovani e intemperanti la più sconfinata gioia. E ci parlò più volte del far sorgere nell’anima il tragico atteggiamento della tigre, invitandoci a perseguire la realizzazione della Via del Pensiero, “come tigri affamate di Spirito“: questo l’antidoto potente, ch’egli ci dette contro la corrodente banalizzazione del ‘quotidiano’, che fiacca, sfilaccia e spegne forza interiore e fuoco nell’anima!

E’ verissimo che si ripetono sempre le stesse cose, al punto tale, che ci si chiede se le tali instancabilmente ripetute cose, vengano “lette”. E, di nuovo, l’ottimo Visconte di Lapalisse  direbbe che perché tali ripetute cose vengano “lette”, ci vuole un “lettore”, e la tragedia – niente affatto comica – è che chi “dorme” non solo non piglia pesci, ma neppure “legge”, perché perso nei suoi sogni, o nel sonno profondo senza sogni, e trovandosi colui che dorme “fuori”, come dicono a Roma, “non ci sta proprio”, essendo appunto fuori come i balconi.

Si ripetono sempre le stesse cose, perché sempre lo stesso è il problema, insuperato ed insuperabile per l’inerte accidia di coloro che dovrebbero essere dei fervidi praticanti interiori, ed invece sono degli sciocchi e vanitosi ricamatori di vuote parole o addirittura si diluiscono e si perdono nella banalità quotidiana.

Si ripetono sempre le stesse cose, perché il pensiero è sempre riflesso, anemico esangue, sfilacciato, inconsistente. Perché – pur dicendo che siamo esseri spirituali, degli Io tutt’uno con l’Io dei mondi, scintille del medesimo fuoco che ha generato ed anima l’Universo – sempre siamo portati a spasso come scodinzolanti cagnolini al guinzaglio, nella nostra accidiosa passività e comodità dagli stati d’animo, da passioni peggio che mediocri e scontate, da istinti automatici, sino a rasentare spesso e volentieri il ridicolo o il veramente tragico.

Si ripetono sempre le stesse cose perché sempre la stessa – l’UNICA – è la soluzione: la concentrazione, fatta ripetuta, ossessivamente ri-ripetuta, disperatamente tentata e ritentata, voluta allo spasimo, per superare lo stato di morte del pensiero, di sonno catalettico dell’anima, di mortale paralisi della volontà vera.

A nulla – o a poco – serve fare la concentrazione, se la si sente come un inevitabile, faticoso, e fastidioso dovere – come il dover zappare e dissodare un campo o fare un uggioso compito in classe a scuola – da compiere operando al risparmio, con vegetante re-ripetitiva routine. Ma se si coglie in maniera inattenuata la tragicità, la precarietà – e la pericolosità – dell’attuale condizione umana, si può con coraggio e disperazione trarre dalle profondità dell’anima l’impeto e dall’essere stesso del pensare le forze per compiere il Rito della concentrazione come un atto assoluto: come una questione di vita o di morte. Anche se lunghi possono essere i periodi di aridità nei quali è necessario il più ostinato insistere, anche se per lunga tratta – persino dopo ‘vittorie’ ottenute lottando sino all’agonia – apparentemente ci sembra di aver perso quanto sì duramente conquistato, anche se unico conforto nell’arida oscurità è proprio la ‘disperazione’, che non permette di accontentarsi e di acquietarsi.

Allora si trova quella che Massimo chiamava la “forza più forte”: quella che riesce a vincere il magnetismo potente, che ogni volta riattira alla immedesimazione corporea.

Allora si sa, che non è l’esercizio che farai, ma quello che stai facendo, che può portarti dalla morte alla vita, dal tramortimento al risveglio, dalla paralisi alla volontà magica consacrata allo Spirito.

E’ la concentrazione che fai – non quella che farai – se non la interrompi quando ti senti soddisfatto, ma inizi proprio allora ad immettervi quel surplus di volontà, che non viene dalla natura, dall’essere abituale e abitudinario, che può forzare i limiti della natura e sottrarti alla identificazione corporea.

E’ quando la natura comincia a “gemere” e a “dissolversi” sotto pressione imperiosa dello Spirito, che nella concentrazione vuole, che la concentrazione comincia ad essere vera ed efficace.

E’ quando la concentrazione la facciamo, malgrado la rivolta di tutta la natura in noi, che comincia ad essere autentica, operante, trasformante.

E’ quando – malgrado la condizione di aridità – la concentrazione vogliamo farla, per un amore assoluto in noi, anche se – nell’arida oscurità – non avvertiamo emotivamente tale amore, ma lo vogliamo volere – ripetiamo migliaia di volte una ingrata operazione di concentrazione della volontà nel pensare, indifferenti se l’oggetto-pretesto di essa sia immagine o parole o un misto di esse, sino a che un giorno un lampo ci trapassa l’anima, e per una breve eternità – rimosso il limite cerebrale e corporeo – finalmente veramente si vive, nel pensare che vive in noi, finalmente si è veramente coscienti e non tramortiti, finalmente si è liberi, oltre la quella miserabile e meschina caricatura dell’Io, che è l’ego. Finalmente si realizza concretamente (e non a parole) – sia pure per una breve eternità – lo Spirito.

Sic nos, non nobis. E solo l’impeto, lo slancio, il freddo-incandescente innamoramento per lo Spirito, per l’Assoluto, e il distacco dalla mediocrità divorante della routine quotidiana, che fa sorgere la forza che spezza le catene dell’identificazione somatica, fa sorgere il clima interiore del pensiero puro il quale, a furia di lotte disperanti e di dolorosi spasimi – diventa “memoria” interiore, stato interiore dell’anima cui attingere, ogni volta, forza, dedizione, abnegazione, impeto, per compiere il Rito della concentrazione, indifferenti ai risultati, gratificanti (raramente) o meno (sovente).

Sino al giorno in cui, dall’ “altra sponda”, verrà decretato il superamento definitivo del limite umano, corporeo, cerebrale, contro il quale, malgrado il quale, oltre e senza il quale, si è avuta l’audacia, la temerarietà, la pertinace ostinazione di volere realizzare lo Spirito, nella concentrazione, portandola avanti – come dice Massimo in Kundalini d’Occidente – nella guerra e nella pace dell’esistere, in libertà e per amore dell’azione interiore medesima, indifferenti a risultati che solo lo Spirito può decretare in noi!

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ATTIMI DELL’ IMPOSSIBILE SANARE

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ATTIMI DELL’ IMPOSSIBILE SANARE

1/5931

RESPIRABILE E TERSA

 

 IMPASTO DI VANITA’ BIOLOGICA MISTA AD UNA SENSIBILITA’ FISICA ACUTIZZATA.

 

SONO GLI ENTI DELLA PERFIDIA ISPIRATA.

I LIVIDI DELLA LUNA CHE NULLA SANNO DEL PROPRIO VELENO.

VAGHI E SOGNANTI LO IRRORANO A PIENE MANI.

INCONSAPEVOLI NE SUBISCONO LA TRISTEZZA E IL GELO.

TOLGONO L’INTUIRE ALTO A CHIUNQUE NE FOSSE DOTATO.

LEGANO I PENSIERI ALLE PROFONDE PALUDI DEL LIVORE LUNARE.

OBBLIGANO L’IMMATERIALITA’ PENSANTE A STRISCIARE  NELLE NUCHE.

SPROFONDANO LUNGO LE SPINE DORSALI IL CONCEPIRE SOVRAFRONTALE.

 

SCHEMI DI POTENZA INCATENANO AL FARFUGLIARE CHE RECITA IL PENSARE.

CHE LO IMITA MENTENDO MENTRE IN REALTA’ GEME NELL’ODIO.

 

TERRIBILE CONTROASCESI SPONTANEA NEI LIVIDI MEDIUM.

LA SERIETA’ VOLTA AL SACCENTE RIMPROVERO BLATERA CONTRO IL SOLE.

FLUTTI DI SENSIBILITA’ CHE AMANO LA MORTE DELLA GIOIA : PONTIFICANO.

IRRAZIONALMENTE CERTE DI UNA CREDIBILITA’ MAI CONQUISTATA

MA AUTOATTRIBUITA FRA GORGHI DI ISTERICA STATICITA’ NEL CINEREO.

 

MA IL VERO PENSIERO HA L’INDUBITABILE CALORE DEL PROPRIO PRODURSI :

 

ATTUA IL PROPRIO CONCEPIRE NEGLI APICI IN CUI LA LUCE E’ ANCHE IDEA CHE NASCE.

 

SCOPRE DI ESSERE IMMUNE DA OGNI GELO NELL’ATTIMO IN CUI SORGE.

 

OTTIENE APICI COSCIENTI DI NITIDO NUTRIRSI DEL VALORE DA CUI SORGE.

ATTIMI DI NITIDO RESPIRO FRA LE FOLGORI DEL NASCERE AL CALORE.

 

MANTIENE L’UNIRE LOGICO NEL COSMO IN CUI SOLO E NITIDO VIVE.

INDENNE DA OGNI VINCOLO ALLA DENSITA’ CHE PALPITA NEL MALE.

DAL MALE STRUTTURATA NELLA MISURA IN CUI NON PUO’ PENSARE.

 

E NITIDA SI LEVA ALL’ORIZZONTE DELL’ATTIMO FULGUREO : LA SANITA’ CHE LAVA.

 

CALORE SI GENERA DALL’URTO MENTRE BESTEMMIA IL FANGO SEPARATO DAL SUO NUOCERE.

 

RESPIRABILE E SERENA L’AURA ANIMICA SI LIBERA DAL GELO CHE VISCIDO OPPRIMEVA.

 

NUOVE OPINIONI SORGONO NEL DILAVATO MONDO DELLE IDEE.

IN CUI DI NUOVO LUCE PUO’ COMPETERE COL MALE NELL’ANIMO DEI SANI.

 

SORGE E SOSTIENE LA SANTITA’ DELL’INTIMO CREARE LA NUOVA VOLONTA’ CREATA.

 

NEL COSMO DELLE ESSENZE E’ STATA IMPRESSA UNA SANITA’ CHE NON POTEVA ESSERE PREVISTA.

 

UNA VERITA’ IMPOSSIBILE CHE LIBERAMENTE SI E’ MANIFESTATA DIVENENDO RITO.

 

RITO DELL’IDEA OLTRE LA MORTE .

 

LUCE DELL’IO CHE VUOLE NELLA VIVENTE LOGICA  DELL’AUTO PERCEPIRSI DELL’IDEA.

 

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FOLGORE CONCESSA ALLO SGUARDO DEGLI UMANI

 

2/5962

CHIARO E PURO

 

SONO NELL’ERRORE E NELL’OSCURITA’

MENTRE SOAVEMENTE SORRIDONO

ALLA PRESUNTA SANTITA’ DI OPINIONI MOSTRUOSE.

 

AMMANTATI DI CHIUSURE CEREBRALI AL SENTIRE

SONO TRAVOLTI DA FETIDE VISIONI CHE CREDONO SALVIFICHE

MENTRE IN REALTA’ ATTIRANO MEDIANICHE CATASTROFI CONOSCITIVE.

 

NELLA CORRUZIONE DI OGNI SANITA’

GALLEGGIANO AVVOLTI  DAL PROPRIO INSUPERBIRE

BENIGNAMENTE SORRIDENDO FRA I DEMONI GHIGNANTI CHE LI INVASANO.

 

LA MENZOGNA IN LORO SI FA ARROGANTE E FORTE

TANTO QUANTO SI ISPESSISCE L’OTTUSITA’ IMPERANTE

TANTO QUANTO CRESCE LA BRAMA DI NEGARE LA SOVRUMANITA’ NELL’UOMO.

 

EPPURE LA LUCE STA SORGENDO E LI INTERROMPE NELLA METAMORFOSI ABISSALE.

LUCE INTERROMPE QUEL FARSI DELLE TENEBRE

E PURIFICATRICE LAMPEGGIA IMPRIMENDO LE DIVINE FORME DEL SOLARE.

 

LUCE NELL’ASCESI DELL’IDEA INCONTRA IL LORO NUOCERE FURIOSO

E LO SVELA NELL’ATTIMO LUNGHISSIMO IN CUI MANTIENE FEDELTA’

E TALE SVELARE E’ SVELLERE QUEL MALE MENTRE LO  ATTRAVERSA CON LA FOLGORE.

 

SONO I MINORI E I MENO QUALIFICATI A INGIGANTIRE NEL PIU’ BANALE INGANNO.

CRESCONO NEL MALE GLI INFIMI DEL BENE POICHE’  POCO COSCIENTI NEL RICORDO.

POICHE’  VOLONTARIAMENTE VOLLERO DIMENTICARE CONTORCENDOSI NEL MENTIRE.

 

GLI OSTILI AL SOLE APPARVERO DOTTI NELL’INCUPIRE DI MENZOGNE.

NELLA PROVOCATA OSCURITA’ RIFULSERO I PIU’ PALLIDI .

CREDIBILI NEL GUSCIO CEREBRALE CHE ERESSERO PER DISTINGUERSI DAI CIELI.

 

NOTTURNE IGNORANZE SCAGLIATE CONTRO IL SOLE

IMPRESSERO SCAGLIE DI DURAME MINERALE NELLE MENTI INARIDITE

CHE INFINE CREBBERO IN SUPERBIA E CUPIDIGIA.

 

MA ORA LA FOLGORE E’ CONCESSA ALLO SGUARDO DEGLI UMANI

E SVELA IL METRO DEGLI DEI MENTRE MISURA LE DISTESE DELL’INGANNO

MENTRE COLPISCE GLI ERRORI ACCUMULATI CHE ORA CROLLANO DI SCHIANTO.

 

ORA VI E’ INFINE ORO CHE SI CREA .

ORA VI E’ CALORE CHE DISSOLVE IL GELO ACCUMULATO.

ORA  SI DISPIEGA IL POTERE CHE AGISCE PRIMA CHE IL MALE AVVENGA.

 

LUCE SI DIFFONDE SVELANDO CONTORSIONI DI TENEBRA CHE  MAI GERMOGLIERANNO.

IMPOSSIBILE VERITA’ CHE SI REALIZZA ANTICIPANDO CIO’ CHE VORREBBE CONTADDIRLA.

VERITA’ CHE ANNIENTA CIO’ CHE AVREBBE NEGATO IL SUO MANIFESTARSI.

 

ATTO DELL’ASCESI CHE IMPRIME I NUOVI POTERI DEL SOLARE.

ATTRAVERSO L’IMPREVEDIBILE MOMENTANEA FEDELTA’ ALL’IDEA .

ATTO DELL’UOMO CHE NEL PENSIERO IMMETTE LA VOLONTA’ DEL LOGOS.

 

COSICCHE’ TORNA CREDIBILE IL SOLARE.

E SI IMPRIME.

SINO AL DILAGARE DELLA VISTA SOVRUMANA  IN UOMO.

 

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MAESTA’ DELL’ORO FIAMMA

 

 LA TENDENZA A LASCIARSI OTTUNDERE DALLA LIQUIDITA’ DEL MENTALE INFERIORE.

CUPO GORGOGLIARE DEI PENSIERI FRA DENSISSIME MAREE ACCULTURATE.

 

LE ACQUE INFERIORI IN CUI IL MENTALE GALLEGGIA FRA ONDE DI PERFIDIA.

ONDE DI MISERIA LUNARMENTE INDIRIZZATE.

 

OGNI OPINIONE ESPRESSA O RICEVUTA VIENE FILTRATA DAL LIQUIDO LIVORE.

ALTERATE SENSIBILITA’ PONTIFICANO DA QUEL PANTANO.

 

INTELLETTI ASSERVITI AL SOTTILE DOMINIO DELLA BESTIA

IN CUI OGNI VALORE E’ CAPOVOLTO E L’INTERESSE SCOCCA PER IL MALE.

 

L’INSENSIBILE EBETE COCCIUTO SORRIDE SOTTILMENTE

MENTRE SI FINGE ATTENTO ALL’ALTRUI DOLORE CHE DISPREZZA.

 

MA FOLGORA LA LUCE LA OVE SI POSA L’ANGELO IN IDEA.

MENTRE DEVOZIONE ACCORRE POICHE’ VOLONTA’ SI ACCENDE.

 

SPLENDE LA MAESTA’ DELL’ORO-FIAMMA

OVE LA SANITA’ CONQUISTA L’ALBEGGIARE.

 

E TUTTO CIO’ CHE VIENE RISANATO  : TRASMUTA E SI REDIME

MENTRE LA VISIONE TRAPASSA I MOSTRI INCENERENDO IL MALE.

 

MENTRE IL PANTANO SI VERGOGNA POICHE’ LA LUCE LO DISVELA.

E TACE IL GORGOGLÌO DELLE INFETTE ACQUE DEVASTATE.

 

AUREA PERFETTA PURA

PER ATTIMI LA GLORIA E’ RESA AL GRAN PENSARE.

 

PERDONO LE CALUNNIE IL LORO NUOCERE

IN QUANTO IL NODO DEL MENTIRE E’ SCIOLTO IN CHI LE PROMANAVA.

 

ESAUSTI LUNARI INFETTI  :  ARRETRANO STIZZITI.

NON SANNO DA DOVE PROVIENE IL BENE CHE LI SFIBRA.

 

NON SANNO VEDERE IL SOLE IN QUANTO LA MALATTIA LI ISPIRA.

ED AVVINGHIATI AD ESSA PREFERICONO MENTIRE NEGANDO LA LUCE CHE LI LAVA.

 

NUOVO GIORNO E’ SORTO ETERNAMENTE VIVO.

MA L’ALIMENTO CHE LO IMPONE E’ PERENNEMENTE RINNOVATO.

 

NUOVA BELTA’ SORRIDE AI VERI VISI.

ATTIMI DI LUCE PER OPINIONI REINNALZATE.

 

PIU’ VICINE AL VERO LE COSCIENZE NEL PROFONDO RISANATE.

SANANTI VERITA’ PROFUSE NELL’OCCULTO SORPRENDONO I MALATI.

 

FOLGORI INVISIBILI PERCORRONO I LIBERI SENTIERI DEL CONCEPIRE IDEE.

E ILLUMINANO LE VIE DEL GIORNO CONSACRATO.

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HELIOS FK AZIONE SOLARE

 

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DA ORIENTE A OCCIDENTE (di F. Giovi)

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Può accadere e talora accade che una serpentina musicalità intacchi il cuore, il sangue di un uomo e graffi le catene a cui si era fatto servo. In queste catene egli aveva creduto di amare qualcosa o il mondo, per esse ha dovuto sempre complementarsi con la morte. Piagato dalle catene egli aspira forse alla liberazione: subitamente trovando una genia di maestri, seguaci e succubi: avidi di ghermirlo con le catene dello spirito contraffatto che giganteggia nell’obbedienza, nel sacrificio, nel simbolismo, nella rituale osservanza.

Quante sono (e sono state) le creature irretite nel metafisico campo concentrazionario allestito da un mediocre orientalista, disinvolto manipolatore di sacri simboli, quasi antesignano dei tanti strutturalisti e comparativisti che imperano nelle Università? Arido e zelante funzionario dello Stato e dello spirito, minuzioso ragioniere e topologo del sopramondo: dove questo debba o non debba stare… Però geografo di stretti confini: le iniziazioni mariali, gli asceti orientali contemporanei, la spiritualità nipponica, ecc., temi elusi, anzi esclusi per principio o per partito, dalla pedante visione materialistica di questo “indicatore” dello spirito.

E come non ricordare a bilanciamento del primo, l’affascinante figura che accese cuori coraggiosi, trascinandoli nel sogno di perigliose operazioni, mai praticate ma, in compenso, rimescolate con altre pratiche, altre dottrine, nominalmente sempre osteggiate e respinte?

Invero strani maestri di strani discepoli: sempre in formale disaccordo ma sostanzialmente simili nella letargia che gli permette di abbonarsi al metafisico omogeneizzato o alla potenza facile. Nel momento di una tra le più gravi crisi dell’uomo, i primi passano il tempo ad angosciarsi per l’eventuale profanità celata tra le vesti di Pai Chang, dimentichi che “il Dharma fondamentale del Dharma non ha Dharma”, mentre i secondi si smacchiano di ogni contaminazione lunare minacciante la virilità olimpica di individui assoluti, conquistata con l’abbandono ai sentimenti del loro maestro.

Questi erano i grandi scogli di ieri: pericolosi per tutti, mortali per alcuni. Per mantenere la metafora, appaiono ora semi sommersi dall’informe di acque che plasmano a getto continuo semplici riverberi umidi, quasi che gli uomini non meritassero neppure i cimenti rocciosi che hanno caratterizzato buona parte del secolo scorso. Certo, la pletora di ciarpame esiste, è abbondante: iniziati imprenditori, divulgatori di pseudo digesti, blasonati ciarlatori: omiciattoli bidimensionali!

Il ricercatore vero, dotato di discriminazione, sa o sente che un vero esoterismo inizia con la percezione diretta delle Forze, ossia da una posizione dinamica del tutto estranea alla cultura esoterica, al romanticismo esoterico ed al bazar dell’occulto, che non smuove alcun limite al desolato quotidiano, ma anzi ingravida il sordido e l’abbietto di cui è capace l’anima a profondità insospettabili.

E’ possibile dire che dietro lo scenario ingenuamente consolante di un vasto e rinnovato interesse per le antiche vie sapienziali (vedi Yoga e Tantrismo) non ci sia nemmeno una esigenza di tipo mistico-religioso ma piuttosto una larvale tensione psichica verso un mondo trasognato, intermedio, potremo dire “Junghiano” che sia in grado di fornire quelle evasioni a cui altri disgraziati si dedicano esaltando o deprimendo funzioni organiche con la chimica delle sostanze psicotrope.

Il ricercatore sveglio attraversa e supera o evita tali malsane contrade, poiché animato da attitudine più alta, e se orientato ad… Oriente, giunge alle indicazioni sorgive dello zen, dello yoga e parimenti ai più limpidi testimoni contemporanei di tali sentieri: Shri Aurobindo, Ramana Maharshi, Paramansa Yogananda, ecc. V’è un mondo o un sopramondo in cui i giganti dello Spirito possono incontrarsi? Credo di sì: hanno tutti qualcosa in comune: una ricerca individuale senza filologie del Sacro, una illimitata audacia, attinta all’inesauribile sostanza dell’essere. “Il samadhi è un’evasione…” scrive Aurobindo (Guida allo Yoga, pag.58. Roma 1975). In Aurobindo il suo “Yoga integrale” non si fonda sulle note tecniche del Hatha yoga, Jnana yoga, ecc. e la panoplia di pranayama, asana, mudra, mantra.

Yoga integrale è yoga non frammentato, yoga della consacrazione della coscienza, della vita e del corpo alla universale potenza della Vita Divina. Qui, dove l’uomo si trova, incarnato nella fisicità più densa, deve penetrare la Luce: fino alle oscure potenze della vita organica. Tutto va rovesciato e reso strumento della vita supermentale: impresa non contemplata nell’ortodossa ascesi yoghica, né dai coronamenti del Nirvikalpa samadhi né dalla liberazione Kaivalya mukti. “Il fine dello yoga è sempre difficile da raggiungersi, ma il nostro è ancor più difficile di ogni altro; esso è solamente per coloro che… sono risoluti ad affrontare tutto e a correre tutti i rischi…” (Op. cit. pag. 74). “Il fine del nostro yoga non è solo l’unione con la coscienza superiore, ma la trasformazione, tramite il suo potere, della coscienza inferiore, compresa la natura fisica” (Op. cit. pag. 83).

F. Hiebel, formale presenza nell’Edificio, dalle pagine del “Das Goetheanum”, soldatino attento alla propria funzione di astratto teorico dello Spirito, attenendosi all’analisi della terminologia dell’asceta bengalese, contesta ad Aurobindo un indirizzo estatico, dunque incapace di cogliere le esigenze individualizzate dell’uomo “cosciente”. Contento lui… Lasciamo parlare Aurobindo: “ Ciò che noi intendiamo quando parliamo di Vita divina è il compimento spirituale dell’impulso alla perfezione individuale e alla pienezza interiore dell’essere. E’ la prima condizione essenziale di una vita veramente umana sulla terra e ciò giustifica di fare della perfezione individuale la nostra prima preoccupazione. Se la verità del nostro essere è spirituale e non meccanica, allora deve essere il nostro stesso essere a determinare la propria evoluzione. La legge del karma è solo uno dei processi di cui a tal fine si serve. Il nostro Io deve essere più grande del karma. E’ inconcepibile che il nostro spirito sia una macchina nelle mani del karma.”

Su tali parole anche l’occidentale cosciente potrebbe riflettere, laddove l’idea del karma porti ad un passivo (e naturalmente virtuoso) abbandono di sé a quanto succede e trascina.

Indubbiamente è vero che luminose figure come Aurobindo o Ramana si muovano nello spazio dell’uomo orientale che però non sempre coincide con gli ambiti geografici attribuiti a questi o a quelli. Vi sono discepoli che non sopportano le contraddizioni culturali e metodologiche tra l’opera di Aurobindo e quella del dott. Steiner e ciò rimanda più che altro alla mancanza di esperienza e all’incapacità di sentire fiducia nell’azione provvidenziale del Mondo spirituale: mai unica e uniforme ma piuttosto articolata secondo necessità e rispondenze diverse. Il problema di una comprensione vera con simili ascesi non sta tanto nella loro eterodossia ma piuttosto nell’ampia incapacità umana di trovarsi in possesso di talune qualità elementari ed imprescindibili a tali vie.

Però è anche vero che col samadhi non si risolve l’enigma che la coscienza normale offre attimo dopo attimo: tra il conto della spesa e il samadhi non v’è filo che l’Oriente sia in grado di tendere. Autorevoli indicatori quali l’Evola, il Guenon e, su diverso piano Mircea Eliade, Aldous Huxley e altri ancora, hanno scelto il metafisico Oriente abbandonando l’Occidente alla sua compiuta desacralizzazione. Inclini alle manifestazioni culturali dello spirituale, non hanno neppure sospettato che lo Spirito, ridotto da essi ad apparato o cosa, sia vivente. E che non va o viene ma presenzia tutta la realtà e persino quanto in essa sembri esterno ed estraneo. Quando esso venga ridotto a identificarsi in sistemi o rituali, in mancanza dei quali pare non esserci, è il metro realistico della profondità di simili indicatori.

Nel più eccezionale dei casi il limite interiore di tali anime si riassume nel sintetico assunto che la via sarebbe l’arresto delle funzioni mentali. Condizione plausibile prima di Buddha e del Cristo. Poiché evitando le funzioni si evita l’esperienza del loro determinarsi nella conoscenza del mondo esteriore. Infatti il mondo greco, la nascita della filosofia, lo studio artistico del corpo divengono sviluppo delle determinazioni: la logica, la filosofia della natura non si estinguono nella funzione conoscitiva ma sono formative di un’autocoscienza che nasce e cresce da una premessa e verso direzione opposta al senso intimo dell’antico yoga.

In quanto occidentali, sarebbe solo ignoranza prendere posizione contro lo yoga, mentre sarebbe vitale rendersi conto che la dinamica pensante a cui si attinge ora, sia per l’ordinario che per l’iniziale passo nella ricerca spirituale è polare rispetto all’antico conseguimento yoghico di liberazione e alla basale struttura dell’asceta antico. E’ un dato facilmente sperimentabile (specie per anime già operanti in Oriente) il fatto che attualmente con il sadhana si può giungere ad una “trance” povera di coscienza e ricca di fenomeni extrasensibili. I tanti che godono di questa condizione dovrebbero riflettere su quanto può valere una coscienza desta, anche se apparentemente priva di esperienze speciali (è questo il fondamento delle strane paure che poi vengono addebitate alla concentrazione: può succedere che durante i primi tempi della pratica, l’operatore non si accorga minimamente di scivolare dalla destità al trasognamento, situazione superabile con uno sforzo giornaliero e con la moralità intrinseca al pensare).

Tutto questo non inficia l’altissimo valore di asceti del calibro di Aurobindo o Ramana: essi hanno intuito (sperimentato) il mutato assetto della coscienza umana e, di conseguenza, di rinnovate modalità operative: individuando nell’Io il senso delle discipline o percependo che una vera liberazione non dovrebbe eludere la sfera dell’incarnazione.

E’ auspicabile, per l’occidentale moderno, un sentiero che parta dalle sue peculiari condizioni di coscienza, estranee alle nobili forme dell’antica tapasyâ, temporaneamente valide per l’asceta in ritardo o come ricapitolazione di remoti percorsi. Rintracciare in Occidente il filo di insegnamenti autentici può sembrare vano se si ha sonnambolicamente aderito al ripiego orientalistico degli orientatori professionisti: occorre non cadere nell’errore di confondere la Tradizione perenne col prodotto dei sistemologi. Non è solo problema di logica e acuto giudizio, rimanda piuttosto al sentimento di una antica volontà o scelta che si spiega lungo le azioni della vita terrestre. Ciò non dovrebbe essere smorzato!

“non è necessario dapprima che tale evento sia consapevole: l’importante è che esso sorga nell’anima del discepolo nella forma di un intento profondo: di fedeltà alla propria Tradizione interiore, intuita in rari momenti, di cui non gli può essere abituale il ricordo. Come pura Tradizione interiore…essa esprime la sua assoluta indipendenza rispetto alle espressioni riflesse della Tradizione formalmente regolari” (Scaligero, La Tradizione solare).

Chi è debole, perciò bramoso di integrarsi in strutture formali (perpetuando il materialismo interiore), finisce nelle putrescenti braccia dell’apparato cattolico o massonico o magistico. In ciò alcuna critica: non c’è scelta per carenza del soggetto. Inoltre potenze avverse distolgono l’anima dai pochi ispiratori che garantiscono con l’esperienza diretta le indicazioni elargite. In negativo vale come prova la patente di maestro (logicamente insensata) elargita a Evola e Guenon, che furono assai discutibili e totalmente faziosi intellettualizzatori dei testi tradizionali.

Maître Philippe, Rudolf Steiner, Massimo Scaligero: quanti salami di sacrestia hanno torto lo sguardo e tappate le orecchie a questi nomi! Inaccettabili!

E qui mi fermo, perché il resto lo sapete meglio di me.

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L’ARCHETIPO-AGOSTO 2024

Anno XXIX n. 8

Agosto 2024

EURITMIA (di M. Scaligero)

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Ove si educasse l’anima al suo vero rapporto col sistema muscolare, questo acquisirebbe, per virtù cosciente, sempre maggiore autonomia del proprio movimento: la sua forza attingerebbe sempre più direttamente alla sorgente metafisica. E sarebbe esperienza ulteriore dell’anima.

La coscienza è insufficiente al suo rapporto con la corporeità, essendo coscienza dell’organismo fisico: perciò tende a far leva, più che per se medesima, sul rapporto immediato che è il corpo. Con ciò si impedisce di avere un obiettivo rapporto con il corpo: opprime e distrugge il corpo.

L’autonomia della corporeità non è il risultato di una diminuzione della coscienza, bensì di un rafforzamento.

Così l’euritmia è l’arte di ricongiungere il movimento del corpo e degli arti, in quanto manifestazione individuale, con i ritmi del cosmo, la cui vita affiora nello spazio: come movimento. Viene ricongiunto il pensiero che vuole nel movimento del corpo e delle membra nello spazio, con il pensiero originario. Perciò il movimento tende a esprimere la parola originaria da cui è nato l’essere corporeo.

L’euritmia non può essere tecnica: dove essa è soltanto tecnica, la sua arte perisce e le forze del movimento proiettate nella corporeità per via della coscienza riflessa, divengono distruttive.

L’arte dell’euritmia è iniziatica: non patisce adattazione profana, o scolasticismo, potendo essere trasmessa ai discepoli mediante ordinario insegnamento, a condizione che questo, in colui che insegna, sia in veste di contenuto fluente per virtù super-individuale.

La trasmissione dell’arte non è tecnica, ma virtù del maestro che nella sua opera si giova della tecnica, come di una forma vivente, la cui anima è il ritmo stesso della corporeità nel movimento incorporeo: il movimento. Il movimento originario non è spaziale, ma mediante la mobile figurazione della forma umana entra nello spazio e, grazie alla coscienza individuale dello spazio, può fluire dal cosmo nella terra, recando i lineamenti di un volere superumano.

L’euritmia è il meditare profondo immeditato, ma tracciato in figure di luce e di spazio. E’ il meditare che non dà luogo a conoscenza o visione, perché si esprime direttamente nella sonorità della parola e nel movimento. La conoscenza o la visione possono conseguire in altro tempo e silenzio. L’euritmia è il meditare che fluisce immediato nell’individuo corporeo, come incontro dell’essere del tempo con l’essere dello spazio: perciò gli è necessaria la virtù della spontaneità propria al pensiero sorgivo. Tale spontaneità riprende in sé e incanta la potenza degli istinti: la trasferisce in una <<zona>> in cui opera per lo spirito.

La potenza degli istinti, come potere serpentino, che inevitabilmente si sprigiona dalla discesa della virtù del movimento, viene dominata e trasfigurata da colui che insegna l’euritmia, e così dominata e trasfigurata opera nel rapporto con il discepolo. Ma ove manchi l’impegno primo della meditazione nel maestro, l’èmpito serpentino opera in luogo della luce nel movimento. Il movimento come espressione della tecnica euritmica si estrania all’elemento ispirativo, e opera inconsciamente come veicolo di forze istintive: nelle quali si scatena sottile e divoratrice la sensualità.

La magia del movimento è l’espressione immediata del pensiero universo, secondo leggi realizzate nella struttura del corpo: riaffioranti ogni volta nel suo incedere e operare mediante gli arti nello spazio: risonanti nella parola, per un’ulteriore vita.

Il volere originario come parola creatrice si esprime nella corporeità: l’anima dell’uomo può lasciarsi permeare dall’amore originario vivendo nel mistero del movimento corporeo secondo l’arte dell’euritmia e abbandonandosi a una più alta vita, che fluisce perché chiamata a congiungersi con le profondità corporee in cui normalmente si esprime per via di sonno della coscienza.

Ma l’arte dell’euritmia è inseparabile da uno spirito di saggezza e da un’alta moralità che non lasciano all’egoità impossessarsi della tecnica euritmica per esprimersi in brillante geometrismo: questo diviene una distruttiva magia, destinata a paralizzare la vita cosciente dei discepoli sino a forme di alterazione mentale.

 

MASSIMO SCALIGERO

 

da MAGIA SACRA – UNA VIA PER LA REINTEGRAZIONE DELL’UOMO

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