AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI (29 SETT. 2022)

 

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI

(29 SETT. 2022)

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1/18061

ORO SOVRAMENTALE

 

NEBBIE ESALATE DALL’AURA DEI FEGATI

IN CUI DOMINA OSSESSIVA LA CERTEZZA MATERIALISTA

DEL TROPPO UMANO RAZIONALIZZARE NELLA FANTASIA MALATA.

 

NEBBIE CEREBRALI IN CUI L’ARROGANZA DELLA CERTEZZA ANIMALE

PERMETTE OGNI CONTORSIONE MORALE

FRA LE BRAME SCATENATE NEL BESTEMMIARE FISICAMENTE.

 

USANO I CORPI FISICI E LE LORO ENERGIE

PER RIBELLARSI CONTRO LE ARMONIE CELESTI.

 

TUTTA UNA MASSA DI PERSONALITA’ IMPAZZITE

PERCORRONO I SENTIERI DELLA FOLLIA URLANTE

TENTANDO DI EVOCARE INFERNI CUI PALLIDAMENTE SENTONO DI APPARTENERE.

 

INFERNI IN CUI VOGLIONO SPROFONDARE.

 

SI AGITANO INTENSAMENTE CERCANDO DI IMMETTERE

NEI PENSIERI COLLETTIVI QUANTO DI ORRENDO E DI DEFORME LI ATTRAVERSA E LI MUOVE.

 

EPPURE LE LORO VERTEBRE DI ENERGIE ABISSALI SI TORCONO SQUASSATE QUANDO UN RAGGIO DI SOLE LE ATTRAVERSA.

 

LE COLPISCE.

 

LE PORTA AL COSPETTO DELLA SOVRUMANA SANITA’.

 

IMPREVISTE E IMPREVEDIBILI FOLGORI SORGONO E SCOCCANO DALL’IMPOSSIBILE RISOLLEVARSI DELL’UMANO IN CUI LA TRACCIA DELL’IDEA GIUNGE A SFIORARE LE ARMONIE CELESTI.

 

ARMONIE MORALI.

 

RISORTI CIELI CHE LE POTENZE ARCANGELICHE CONCEDONO A QUELLA PARTE DI UMANITA’

CHE NEL SOVRAMENTALE SI RICONSACRA.

 

AVE AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI.

 

UNICA ARMA ED UNICO RITO.

 

FOLGORE DEL PENSARE CHE CONTEMPLA IL PROPRIO UNIRE LOGICO

NELLA POTENZA DA CUI SORGONO I CONCETTI.

 

ARCANGELICA VITU’ CHE INNALZA SINO AL SOLE LOGOS.

 

OPERATIVO ORO SOVRAMENTALE.

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 2/18062

NEL CENTRO DEL PENSARE

 

NELLE OSCURE PIEGHE CEREBRALI SI ACCUMULA L’INFERNO.

LA CARNEA ENERGIA DEL NEGARE.

 

DENSA VOLONTA’ CHE FINGE DI NON CREDERE A NULLA

MENTRE DEVOTAMENTE BRAMA L’APPIATTIRE NEL BESTIALE.

 

PIEGHE CEREBRALI : PIAGHE DI MEMORIA

IN CUI VIENE RIBADITA

– COME FOSSE EVIDENZA –

L’AMARA VIGORIA DELLA RABBIA CHE CALPESTA E OSCURA.

 

PIAGHE DI MEMORIA IN CUI SOLO L’OCCULTO FETORE

RIEMPIE I VUOTI DELLA OTTUSISSIMA INDIVIDUALITA’.

 

E’ L’AFFIORARE DEI SEMI DI VERGOGNA

ENUCLEATI NEL FISICO VIVERE COLMO DI DISPREZZO.

 

I SENZA DIO CHE ADERISCONO ALL’ESCA DELL’OPPOSITORE.

 

EPPURE TUMULTUA FORTE E TREMA IL CORO DEGLI INFERNI

QUANDO DALL’ALTO VI SI ABBATTE UNA FORZA CHE LI VEDE

LI VIVE

E CHE LI ARRESTA.

 

IMPOSSIBILE APPARE E AGISCE L’INCOMPRENSIBILE FULGORE.

TENUISSIMO ATTO DI TEMPESTA CHE RIMANIFESTA IL SOLE.

 

OVE IL DECORO ILLUMINA L’ALTARE E LI CANCELLA.

 

 

UNA CORRENTE DI VOLONTA’ UNITIVA

SCONVOLGE I POTERI DELLA BASSA CEREBRALITA’ NEGANTE.

 

OVE IL FARFUGLIARE FISICO DEVE CEDERE IL PASSO AL  SILENZIO IN CUI IL SIGNIFICATO DI UN CONCETTO RICORDATO :

MANIFESTA UNA POTENZA CHE PURIFICA REINNALZA E LAVA.

 

SPAZZANDO VIA LE DENSITA’  :

LUCE IMPOSSIBILE REINTESSE LE ARMONIE MORALI

REALIZZANDO ACUME CONSACRATO.

 

ATTO DELLA FOLGORE NEL FUOCO DELL’IDEA.

 

ATTO DELL’IO NEL CUORE DELL’ARCANGELO.

 

OVE IL PENSARE GIUNGE A FARSI RITO

POICHE’ NELL’ALTA SINTESI LA LOGICA E’ DEL LOGOS.

 

ATTO COSCIENTE DEL PENSARE CHE CONTEMPLA IL NUCLEO DEL CONCETTO

DIVENUTO A TALI ALTEZZE :

FORZA FORMANTE IN CUI LA RAREFATTA INTELLIGENZA E’ CUORE.

 

METEORA CRISTALLINA DEL VOLERE

NEL MISTERO DELL’INTELLIGENZA.

 

AVE  NEL CENTRO DEL PENSARE :

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI.

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 3/18063

FERREO CONTEMPLARE

 

I DENSISSIMI VOLTI INTERIORI DEGLI APPIATTITI NEL BASSO PENSARE.

 

CADAVERI DALLE VIVENTI CARNI

CHE SI MUOVONO SENZA SCOPO

ENTRO MASSE DI PAROLE CEREBRALI CAOTIZZATE.

 

BLOCCHI DI PAROLE CEREBRALI SI  URTANO E SI FONDONO

MENTRE L’ASSENZA DI VITA INTERIORE

OSSERVA QUELLO SCENARIO DI FOLLIA

E CREDE DI PARTECIPARE AD UN VIVERE

DEL QUALE SUBISCE SOLTANTO I MUTAMENTI SEMPRE PIU’ BLASFEMI.

 

INDIVIDUI TOTALMENTE SEPARATI DALLE FORZE ETERNE DELLA PROPRIA INTERIORITA’ :

SI IMMERGONO IN UNO SCENARIO DI AUTOMATISMI RAZIOCINANTI

IN CUI VI E’ SOLO ACCUMULO DI MENZOGNA  ED ERRORE.

 

I NON VIVENTI AGITATI DALLA BREZZA DEGLI INFERI :

VOCIFERANO IL NULLA CHE LI CONTRADDISTINGUE

MENTRE SEGUONO IN BRANCO LE ORME DELLA BESTIA.

 

SOLO UNA CATASROFE PUO’ ESTINGUERE QUEL BALBETTANTE CRETINISMO MALIGNO.

 

SOLO UNA CATASTROFE O UNA LUCE TANTO INTENSA DA FORARE QUELLE NEBBIE.

 

ED INFATTI E’ UNA FOLGORE CIO’ CHE QUEL DIFFUSISSIMO RETORIZZARE MALIGNO

CHIEDE OCCULTAMENTE.

 

FOLGORE SCATURITA DAGLI ATTI DELL’ASCESI.

 

COLORO CHE NELL’ATTIMO GIUNGONO A SFIORARE

–         SECONDO DEGNITA’ –

IL COSMO DELL’ARCANGELO.

 

NELLA VOLONTA’ SPESA PER MANTENERE EVIDENTE IL SIGNIFICATO DI UN CONCETTO.

 

OLTRE LA BARRIERA CEREBRALE L’ORIZZONTE E’ COLMO DI SPLENDORE CHE CONSUMA E SOVRASTA OGNI DENSITA’.

 

FRA OSSEE POTENZE OSTACOLANTI CHE VENGONO CONSUMATE.

 

FORZE FORMANTI SI IRRAGGIANO DAI LUOGHI INTERIORI

IN CUI IL SILENZIO CONTEMPLA IL POTERE DEL RICORDO.

SINO AL CREARE ARMONIE IN SENO ALLA TEMPESTA CHE PURIFICA.

E CHE INNALZA.

 

SANITA’ RIESCE A PROGREDIRE POICHE’ SQUASSA E INDEBOLISCE LE FORZE DELLA MALATTIA INTERIORE.

 

ESPANDENDO I LUOGHI OCCULTI IN CUI L’ESSENZA LOGOS

PUO’ IMPRIMERE

SECONDO LIBERTA’ D’ASCESI

IL SUO REDIMERE SUPREMO.

 

ARCANGELICO FERREO CONTEMPLARE NEL CENTRO

DEL PENSARE.

 

ESSENZA UNITIVA DEL CONCETTO CHE GIUNGE A FARSI RITO SOLARE.

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 4/18064

RESPIRO DEI CIELI

 

NELL’ALTO PENSARE SI UNIFICA IL VOLTO INTERIORE.

E RISORGE.

 

LA VERA QUALITA’

(IMPOSSIBILE E NEGATA NEL PLAUSIBILE MENTIRE CEREBRALE)

SI IMPRIME E SVELA E MANIFESTA IL SUPREMO VALORE.

 

LE RAZIONALITA’ SORRETTE DAL TANGIBILE VIVERE NEL MONDO FISICO :

SI SVELANO ATTRAVERSATE E DOMINATE  DA UNA CORRENTE CHE BRAMA PIATTEZZA E PESO.

 

FRANTUMATE E BALBETTANTI VITE INTERIORI

IN CUI LE BANALITA’ RAZIONALI SONO ASSEDIATE E MOSSE DALL’ANTIAMORE.

 

 

TUTTO CIO’ NELL’ATTO DELL’IDEA :

E’ COME SE VENISSE POSTO DINANZI AL RISORGERE DEL POTERE DI CUI ERA LA NEGAZIONE.

 

RESURREZIONE CHE IN QUANTO SI MANIFESTA

URTA CONSUMA E CANCELLA QUANTO LA ODIAVA.

 

NELL’ATTIMO IN CUI LA SINTESI RIESCE AD ATTUARSI

E PUO’ ESSERE CONTEMPLATA :

SORGE  NELL’ACUME L’ESSENZA DI UN VALORE

CHE FRANTUMA L’ANIMA PERVERSA DEL NEGARE  INTERNO AL RAZIOCINIO.

 

IL METRO DI OGNI VALORE SI CREA RISORGE E AGISCE NEL RITO DELL’IDEA.

 

E L’INTIMA VIRTU’ DELLE ARMONIE FOLGORA.

 

ATTO DI ACUME NEL FERRO CELESTE DELL’ARCANGELO.

 

STRENUA VOLONTA’ SPESA INNALZANDO I LIVELLI DEL PENSARE.

 

SINO AL CONSACRARE IL CUI RESPIRO GIUNGE SINO AI CIELI.

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 5/18065

INCENDIA L’ORIZZONTE

 

DENSI PENSIERI CARNEI GIUNGONO A FARSI OSSEI.

PEGGIORANDO.

 

RIGIDA NEL DISPREZZO L’ARIDA CORRENTE DEL MALEDIRE :

QUASI TANGIBILE COME CORRENTE DI ENERGIE :

SOMMERGE GLI INFETTATI PORTANDOLI AL DELIRIO.

 

EPPURE MASSE STERMINATE DI OTTUSI NELLA RABBIA :

PERDONO POTERE.

DIVENGONO ACCESSIBILI AGLI STRALI DEL DESTINO RETTIFICATORE.

VENGONO COLPITI DAL DISVELARSI DEL LORO MENTIRE.

 

VI E’ LUCE SACRA CHE COME FORZA DELL’ALTRUI ACUME

ORA LI FERISCE E LI RENDE VULNERABILI.

 

CROLLANO SECOLARI BASTIONI DI PERFIDIA E DI MENZOGNA.

 

LA TELLURICAMENTE FERREA ALBIONE ORA ARRUGINISCE.

 

AFFILATISSIMA INTANGIBILE MISTERIOSA FORZA DI VERITA’ :

ORA COLPISCE GLI ASTUTISSIMI DEMENTI.

 

NEI PIU’ RAREFATTI ALTISSIMI LAMPI DELL’IDEA :

TENUISSIMA LAMA DELL’ARCANGELO IMMETTE CORRENTI DI VERITA’.

 

NEL MONDO DELLE FORZE ORA UN IRRADIARSI DI METALLO CELESTE HA LA FACOLTA’ DI RISVEGLIARE NUMEROSI MOTI DI ACUME.

 

NEL FUTURO ORO E NELL’ACCIAIO.

 

NEL PURISSIMO LAMPEGGIARE

IN CUI DALLA LIBERA VOLONTA’ NASCE L’INCANTO.

 

VERITA’ VIVENTE CHE SEPPURE NON COMPRESA NELL’UMANO :

AGISCE ALL’ORIZZONTE.

 

SCULTOREO IMMETTERSI DI ARMONIE MORALI.

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 HELIOS FK AZIONE SOLARE

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https://www.ecoantroposophia.it/2014/07/arte/fk-azione-solare/ascesi-del-pensiero/

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“A VOLTE UNO SCHIAFFO SALVA UNA VITA” (di Rastignac)

Certo, ognuno ha la propria rispettabile storia, ma sarebbe offensivo se dicessi che probabilmente 1 o 2 anni d’antroposofia sono troppo poco, non tanto in termini di tempo convenzionale quanto nel senso di conoscenza e del livello di questa?

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Comprendere è lunga e pugnace impresa, così è difficile comprendere con qualche lettura d’attacco che l’antroposofia sia una corrente iniziatica, cioè un evento spirituale mediato nel mondo tramite eccezionali figure umane operanti concordemente a esseri sovraumani.

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Il fatto che essa sembri accessibile poiché è facile reperire testi, non dovrebbe trarre in inganno: come in fondo è sempre stato, la Scienza dello Spirito è “moderna” nella misura in cui si è voluto che essa fosse adeguata ai tempi e, cosa più importante, alla struttura della coscienza umana contemporanea.

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Coscienza che dapprima, leggendo i testi magari senza impegno, capisce poco rispetto ai molti livelli che si aprono in perfetta corrispondenza al pensiero che diventi attivo, insieme al sentire e al volere. Un paragone concreto e comprensibile del divario iniziale potrebbe venir dato dall’esercizio di “asta e filetto” che si eseguiva in prima elementare e che precedeva gli iniziali tentativi di scrittura. Scambiare l’asta e filetto con il saper scrivere porta a pasticci senza fine.

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Pur nel rispetto dei sentimenti di tanti, mi sembra che troppo sovente si sia scambiata la Scienza dello Spirito per uno dei tanti spiritualismi all’acqua di rose della new age e se non lo si è fatto spesso si fa il possibile per farlo sembrare.

Ridurre o tradurre l’antroposofia a schematizzazioni, farne dei “Bignami”su cui per sopraggiunta pure discutere, è possibile e molti l’hanno già fatto: sapendo tutto senza aver capito nulla.

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Se dico che l’antico Saturno fu una massa di calore che si evolse in una massa gassosa che chiamiamo antico Sole, non faccio sintesi spirituale ma esprimo un contenuto simile a: «Luigi l’altro ieri ha mangiato cinque biscotti e ieri ne ha mangiati sei». E il prodotto è solo una caricatura che non porta da nessuna parte.

Quello che mi domando è: cosa si legge veramente? Non di certo le opere dedicate al Metodo conoscitivo goethiano o La Filosofia della Libertà – sono troppo difficili con il loro linguaggio filosofico – ma almeno Teosofia… dove però il Dottore ricorda che la comune lettura «non vale per questo libro» in cui «ogni pagina, spesso anche pochi periodi dovranno essere conquistati con sforzo» poiché «chi si limiti a scorrerlo, non lo avrà affatto letto», e aggiunge che quanto in esso viene comunicato, va pure “sperimentato”.

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Oppure La Scienza Occulta dove, poveri noi, nella sua caratterizzazione (1° Capitolo) l’Autore sottolinea l’importanza primaria dell’attività psichica, «ché il lettore perviene ai fatti descritti solamente se riesce a svolgere egli stesso, in modo adeguato, tale attività».

Ecco: mi sono permesso di usare il Dottore (e di ciò mi scuso) per affermare che lo studio dell’antroposofia non può, per il carattere dei suoi contenuti e per lo scopo che si prefigge, essere ‘facile ’e neppure ‘facilitato’.

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L’apparente facilità con cui possono venire letti i Testi è il primo, occulto, ostacolo che si presenta all’anima del ricercatore. Il Dottore già in un testo complessivo come La Scienza Occulta dice tutto ed è già la perfetta sintesi di ciò che può venire afferrato dalla ragione e quanto può manifestarsi al ricercatore dello Spirito.

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Ma dico: chi, di fronte ad un testo in latino medievale o ad una complessa dimostrazione matematico-geometrica o davanti all’Etica di Spinosa, chi potrebbe pensare di capire evitando gli sforzi necessari?

Persino per farti diventare uno con la divisa, ai Centri Addestramento Reclute, ti facevano marciare otto ore al giorno per tre mesi! L’uovo di Colombo consiste in uno sforzo disciplinato, in un pensiero che si rianimi dalla passività del percepito sensibile adeguandosi al contenuto della lettura, al suo percorso: riattivandolo con una attività logico-immaginativa per iniziativa nostra ma strettamente conforme all’architettura di ogni singolo rigo del testo. Questo è il primo lavoro che andrebbe fatto, proprio per “motivarsi” e non perdere tempo.

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È scorretto, sbagliato (questa l’ho sentita), confrontare L’Iniziazione con il Manuale. L’Iniziazione di Steiner non è una semplice somma di indicazioni, ma un complesso dialogo su come e cosa l’anima debba sperimentare nel lungo cammino che la separa dalla condizione ordinaria sino alla soglia di una totale reintegrazione spirituale a cui sono chiamati pochissimi, e nessuno nel breve tempo di una singola esistenza.

Ciò nondimeno le indicazioni più elementari che il ricercatore trova nelle prime pagine del testo sono tutte condizioni necessarie, come avere le gambe per camminare.

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Il Manuale, invece, è ciò che il suo titolo suggerisce: un manuale. Scaligero, voglio ricordare, nell’arco di oltre vent’anni aveva scritto già 15 libri che non trattavano ippica o cucina. Poiché da un lato eravamo un po ’scemi e dal lato opposto qualcuno era ormai attivo e preparato, scrisse con il Manuale un testo d’uso, rivolto, in primis, a chi già operava avendo compreso cosa fosse la Via del Pensiero di cui, a parer mio, i primi capitoletti sono comunque una splendida sintesi molto concreta. Studiarli e comprenderli alla radice offrono all’anima il terreno più solido che possa presentarsi.

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L’antroposofia è una Scuola di vera vita interiore ma non deve essere una imitazione della scuola in cui, pigramente, si chiede al compagno la risposta su di un argomento che, per inettitudine o indolenza, non si è studiato. Così si va qua e là e si chiede a qualcuno di dare una risposta facile ad interrogativi che non dovrebbero nemmeno esistere se almeno si possedesse il prodotto più ottuso dello studio antroposofico: il nozionismo relativo alle Opere fondamentali. In questo campo l’orientatore deve sviluppare la massima comprensione ma non una sorta di buonismo ideologico che diviene complicità, poiché in tale modo sorregge e dignifica difetti e mancanze: l’opposto dell’atto morale di cui, a sproposito, si parla spesso.

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So che queste righe possono sembrare dure (il che non vuole assolutamente essere): possono essere sentite persino come rimproveri o schiaffi; però mi si lasci passare nell’anima un’osservazione di Scaligero: «A volte uno schiaffo salva una vita».

 

LUCE E TENEBRA DEL SILENZIO (di M. Sagramora)

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Stare da soli con se stessi sembra non essere piú una cosa piacevole e ricercata. Si desidera la presenza dell’altro, degli altri, magari con il telefonino, in chat, sui social, nelle mail o anche guardando la Tv, ascoltando la radio o la musica in cuffia. In strada si vedono persone camminare parlando a voce alta, a volte agitando le braccia per sottolineare il discorso.

Ho assistito, involontariamente alla fine di un amore, mentre mi recavo a fare la spesa mattutina. Una giovane donna in lacrime chiedeva spiegazioni del perché veniva lasciata, cosí, per telefono: uno strano modo di interrompere una relazione, da lontano, senza guardarsi ne­gli occhi, forse per impedire una possibile riconciliazione.

Restare in silenzio con se stessi è corroborante: si recuperano quelle forze che continuamente vengono disperse nella nostra partecipazione con altri all’impegno quotidiano.

Dobbiamo sempre rendere conto del nostro operare alle persone che ci circondano, ne subiamo il giudizio, espresso o sottaciuto, anche se a volte ne condividiamo volentieri azioni e pensieri. Siamo esseri sociali, e non dobbiamo isolarci. Ma riservarci dei momenti di silenzio fisico e mentale ci restituisce il giusto equilibrio per tornare a collaborare senza tensioni o avversioni. Distaccarci per rimettere al centro il nostro “Io”.

E se durante questo distacco inseriamo la disciplina interiore, torneremo a operare con energie rinnovate e una serenità di spirito che coinvolgerà le persone vicine a noi.

Esperienza vissuta durante un recente viaggio aereo verso la Scozia: alla partenza si era imbarcata una nutrita comitiva di italiani che si recavano a Glasgow per un evento ciclistico internazionale. C’erano i partecipanti alle gare che sarebbero state disputate, con accompagnatori, tecnici e familiari. Tutti chiacchieravano festosamente, e anche piuttosto rumorosamente. Si scambiavano i posti, chiamavano ripetutamente la hostess per richieste di vario genere. Quando il carrello con le vivande e le bibite è passato, molti hanno chiesto alcolici e brindato allegramente, altri invece discutevano animatamente.

La cosa sarebbe continuata cosí fino al termine del volo, se non ci fosse stata una improvvisa turbolenza, con la voce del comandante ad imporre di restare seduti e di tenere allacciate le cinture. Anche le hostess e lo steward hanno interrotto il servizio e si sono seduti. L’aereo continuava a dare forti scossoni e vuoti d’aria. Un silenzio è calato all’interno del velivolo. Tutti in quel momento sono rientrati in sé. Passati cinque minuti o poco piú, l’aero ha ritrovato il suo assetto e tutto è tornato alla normalità. Ma l’atmosfera era del tutto cambiata. Quel ciarlare precedente non è ripreso, e all’arrivo le persone che si erano imbarcate in maniera chiassosa sono scese composte e tranquille. Il loro “Io” era tornato al centro.

Il silenzio e il raccoglimento in sé, anche di pochi minuti, è una terapia, e quando è fatto insieme, rappresenta una feconda terapia di gruppo.

C’è però un silenzio che ha un profondo aspetto negativo, ed è il silenzio di chi non parla ad altre persone, persino nel proprio ambito famigliare, chiudendosi in un mutismo che pesa e intende colpire, che mostra un aperto disinteresse, un voluto isolamento che gli altri cercano di superare ma non riescono a scalfire. Molti drammi di questo genere si consumano nelle case o negli ambienti dove si vive a stretto contatto.

C’è il silenzio di figli che non visitano e neppure telefonano ai genitori da anni, per una colpa a loro attribuita che non riescono a perdonare. Quel mutismo si sbocca a volte solo dopo la loro morte, e allora ci si chiede perché non si era fatto quel passo, non si era interrotto quel duro silenzio accusatore.

Un tempo la religione aiutava a vincere questi blocchi. Si andava dal confessore e questi suggeriva di agire con carità e compassione anche verso chi si presumeva avesse sbagliato. Citava il vangelo e la parabola del Cristo nel discorso della montagna: «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello».

Ora si va dallo psicologo, un confessore laico, e per di piú a pagamento, il quale, se non è un illuminato, non farà che sviscerare traumi subiti nell’infanzia, fissazioni attuali e pregresse, incontri sbagliati che hanno lasciato ferite non ancora cicatrizzate, colpe dei genitori o dei partner incontrati e lasciati. Tutto ciò non aiuterà certo a trovare un equilibrio, e a tentare una necessaria riconciliazione.

Ne hanno fatto di danni questi presunti aiutatori, in realtà spesso persone che hanno scelto tale disciplina perché a loro volta disturbate e cariche di quei “complessi” da cui presumono liberare i loro pazienti!

Cosí scrive Massimo Scaligero in quel mirabile libro che ogni serio e sano psicologo o psicanalista dovrebbe conoscere, Psicoterapia – Fondamenti esoterici: «Dagli Psicoterapeuti del presente tempo la dimensione metanoetica della coscienza invero è stata ignorata, onde si sono scientificamente coltivati nella psiche impulsi d’autonomia non riferibili al loro fondamento, bensí alla corporeità, epperò si è confusa la fenomenologia della libertà con quella della istintività. Le psicologie, le pedagogie e le filosofie hanno cessato di conoscere l’organismo dell’uomo come struttura sorretta da gerarchie di forze estrasensibili, operanti parimenti nella Natura e nel Cosmo, secondo un ordine che tende a manifestarsi nella coscienza e la cui conoscenza è il reale principio della Psicoterapia».

Lo psicoterapeuta dovrebbe quindi essere una sorta di novello sacerdote, per poter aiutare a sciogliere nodi, a salvare dal silenzio colpevole e a riportare serenità nei rapporti famigliari e sociali.

L’immagine che mi diede un giorno Massimo, rimasta indelebile nella mia mente, è quella di un calmo lago che riflette il cielo. Lo psicologo che fruga nel passato del paziente alla ricerca di drammi e colpe da attribuire, è come un agitatore della mota che giace sul fondo del lago, facendola salire in superficie a intorbidare l’acqua: questa non rifletterà piú il cielo, cosí come il paziente non farà che rimuginare sul torbido del suo passato, che deve invece restare là dove è decantato, lasciando libera la psiche di affrontare, con luminosa trasparenza, il presente e il futuro.

Ognuno è il vero e unico costruttore di se stesso, senza appigli informatici, telematici o psicoterapeutici. Nel silenzio della propria interiorità, lontano dalle eccessive stimolazioni esteriori – spesso ricercate per tacitare quella che in altri tempi veniva chiamata “la voce della coscienza” – si ritrova la centralità del proprio essere e la soluzione a problemi spesso risolvibili con una generosa disponibilità verso l’altro: si attiva la forza del perdono.

Sulla porta dello studio di Via Cadolini Massimo mi chiese di scrivere con il pennello giallo, sulla porta verniciata di verde, una frase che alcuni ricorderanno, e che intendeva suggerire la giusta atmosfera interiore a chi arrivava: «Pax et bonum. Silentium!».

Marina Sagramora

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per gentile concessione de L’Archetipo

https://www.larchetipo.com/2023/09/socialita/luce-e-tenebra-del-silenzio/

AUTUNNO (di M. Scaligero)

(“Autunno nel villaggio” di M.Chagall)

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AUTUNNO

Un venticello autunnale

spira tra i pallidi rami

mentre la foglia già frale

quasi da molli richiami

tratta di dolce usignolo

si stacca e tremula e lenta

va a riposare sul suolo.

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Già son le foglie appassite,

già gli arboscelli son spogli,

co’ pampini s’erge la vite,

sorgono nuovi germogli

pe’ fertili ed umidi campi

vi regna il porifero autunno

calcatis sordidus uvis.

🍁

2 agosto 1919 (Massimo Scaligero)

Lettera APOCRIFA di Goethe dal suo Viaggio in Italia (di R. Arcon)

(UN “FALSO” PRELIBATO (SPECIALMENTE PER CHI CONOSCE QUALCOSA DI SCRITTI GOETHIANI.
E SE VI PIACE RINGRAZIATE RENZO ARCON, NON ME. Franco Giovi)
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Lettera APOCRIFA di Goethe dal suo Viaggio in Italia
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Mentre sempre più chiaro si delinea ai miei occhi quanto in questo viaggio ho appreso intorno al mondo minerale e vegetale, mentre ormai le meraviglie di bellezza che finalmente ho potuto ammirare sono parte di me e da me rifluiscono come forze vive che daran frutti al mio ritorno, trovo il tempo ancora di sviluppare le mie osservazioni sulla natura per sciogliere gli ultimi veli di cui essa pudicamente s’avvolge.
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Ho raccolto, malgrado il mio proposito di non gravarmi di pesi di tal genere, svariati campioni di minerale ed osservato che la conoscenza di essi non può che limitarsi al mero constatarne la presenza, la pluralità e le intrinseche qualità che pongono ciascun aspetto di essi in relazione agli altri, sicché il fenomeno della loro esistenza si esaurisce in rapporti spaziali e nulla di più è dato sapere di essi se non ch’essi esistono e interagiscono tra di loro.
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Non così mi si presenta quanto a ciò che riguarda l’essere delle piante, della vegetazione. Già vi scrissi come s’andò formando in me il pensiero che vi sia alla base d’ogni aspetto e d’ogni fenomeno riguardante il mondo vegetale una tal “pianta primigenia”, la quale va trasformandosi in infinite metamorfosi, dando origine e alle singole parti d’una specie e alla loro diversità in relazione all’ambiente in cui viene ad agire. Sicché, come già vi dissi, con questa pianta primordiale posso ben comprendere ogni essere vegetale e inventarne di nuovi che, ove certe condizioni d’ambiente lo permettessero, potrebbero bene configurarsi e svilupparsi ed essere del tutto reali.
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In una lettera ricordo d’avervi detto che questa mia teoria non solo giustifica l’aspetto e la diversificazione delle piante, ma è applicabile agli altri organismi come gli animali e infine anche all’uomo. È l’“animalità” nell’animale che produce le varie specie, che io intendo essere appunto specializzazione di certi caratteri sugli altri in maniera più o meno perfetta, e da cui mi par cogliere il motivo per il quale vi sono esseri complessi e semplici, tutti dotati di precise caratteristiche, così che ad esempio ci par il cavallo nato per la corsa, il pesce per il nuoto, gli uccelli per il volo e il cane per fiutare.
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Né mi sfugge che l’uomo stesso deve essere connesso a questo “tipo” o entelechia animale e che in quanto essere organico porti a sviluppo ed armonia quelle caratteristiche che la totalità delle specie animali esprime, così che la sola capacità di ragione è nell’uomo privilegiata e le altre concorrono tutte a dar spazio e giustificazione a questa.
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M’è altrettanto chiaro che la ragione, che dagli altri esseri organici distingue l’umano nell’uomo, è fondata sulla capacità di formare giudizi, e che questi son risultato della capacità di pensare. Ma questo pensare mi pare assomigliare a quel diversificarsi della pianta primigenia ove unico è il fondamento e complesse e diverse le sue determinazioni: noi passiamo da un concetto al successivo dimenticando i precedenti e tuttavia in ogni seguente determinazione accogliendo tutto lo svolgimento del processo, sicché il pensare è come un essere di continuo germogliante secondo un’entelechia interna al pensare stesso.
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Ma questo svolgersi dei concetti l’un dopo l’altro e il contenuto degli stessi dipende strettamente e dall’oggetto cui si volge il pensare e dal soggetto che pensa, così che, nel suo apparire, diverso sembra il pensiero da un uomo all’altro, pur uguale permanendo la sua scaturigine.
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Che quest’osservazione sia vicina al vero mi par evidente dalle matematiche, ove essendo presupposto uguale l’oggetto ed il soggetto facendosi uno con esso non v’è ragione che non concordi con esso e in esso non riconosca un identico processo. Se noi constatassimo come la foglia sia nell’essere vegetale il principio di tutte le metamorfosi, e come ogni aspetto di esso non sia che modificazione di quella, avremmo trovato la matematica relativa al mondo vegetale.
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Ma l’entelechia nei vegetali non è già la foglia bensì ciò che la determina ed il principio interno che la fa esser tale e ne produce i mutamenti. Così è nel pensare. Io credo che qui l’uomo possa afferrare la sua umanità ove scopra dove il “pensare primo” agisce nel passare da un concetto al successivo esprimendo se stesso secondo necessità del suo stesso essere: dove l’uomo è un essere per così dire divino.
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Renzo Arcon

L’ARCHETIPO-SETTEMBRE 2023

Anno XXVIII n. 9

Settembre 2023

In questo numero:

FIGURE INTOCCABILI NEL PANORAMA ANTROPOSOFICO (di F. Giovi)

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Sembrano esserci, nel panorama antroposofico, figure che sono intoccabili, che se le sfiori con un pensiero che non sia di devota adesione, sei condannabile per blasfemia! Persino se scrivi e riscrivi che i Testi, ben oltre la lettura, sono operativi e dunque da trattare con rispetto e non con bramosia culturale infastidisci Tizio o Caio o chi non può fare a meno di gridare in piazza.
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Amici, documentatevi con cuore ed intelletto: e scoprirete che i migliori discepoli di Steiner furono quelli che seppero mantenere una ferma (persino feroce!) autonomia e capacità critica nei confronti suoi e dell’opera sino a quando la loro stessa esperienza confermò le indicazioni del Dottore: ma è questione di autonomia interiore, di intuirne il valore. Se questa manca parlo al vuoto.
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Però il polverone è conturbante e potrebbe essere esaminato alla luce delle abbondanti indagini del dottor Freud riguardanti le pulsioni verso das Mutter più che con i mezzi della Scienza dello Spirito.
Comunque, a chi sta davvero fuori dalle beghe di bottega, pare piuttosto che si tratti di un fenomeno di antroposofismo misticizzato e inchiodato, ridotto (pure quello!) a chiesismo: chiesismo ruzzolato nei settarismi esasperati dove ricerca e conoscenza sono astrazioni dissacrate, ammazzate e ben sepolte.
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Ho potuto constatare nel nostro Paese, un po’ dappertutto, come tante anime intrise di cattolicesimo, scivolino senza alcun mutamento interiore verso ammaestramenti scientifico-spirituali: il risultato è un ircocervo che trasmette il peggio del primo nei secondi.
Si è giunti ad un punto tale di ipogeica bassezza che chi ascoltò per molti anni il verbo della saggezza, oggi irride chi sa meditare nella propria stanza o, se volete, nella yurta o nel teepee (all’aria aperta, probabilmente, il giudizio non cambierebbe) snaturandone la realtà come se chi medita contemplasse inebetito il proprio ombelico.
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Però vige ancora e sempre la speranza che arrivi qualcuno che sia portatore di una rinascenza, come un vento di freschezza giungente magari da Berlino o da Singapore. Che arrivi da fuori e da lontano. Mi dispiace.
Così l’Io che si è, anche se non pare molto, viene sempre lasciato indietro: certamente sembra che non abbia dato granché…eppure piano piano una consapevole dedizione e una grandissima pazienza sarebbero già il miracolo che non arriva mai quando lo si cerchi fuori e a caso: meglio il tripudio panico no?
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Se si attinge al coraggio di guardare la situazione come essa sia, senza fantasie consolatorie, non dovrebbe essere impossibile realizzare quanto la via sia stata percorsa poco e male. E chi ha svolto poco e male il compito dovrebbe tacere!
Piuttosto pare che l’idea dell’azione consista nel tenere ben chiusi gli occhi davanti le stramberie e lo strame accumulati dal bulimico ossesso di turno sui Testi di Steiner, di Scaligero – in effetti su qualunque malcapitato tema, riuscendo persino a sfregiare e ridicolizzare le discipline della Scuola Esoterica – ed invece a fare da appassionati campioni degli “occultologi fuori di testa” (termine apparso su giornali) e dei volponi venditori di corsi di puzze fritte. Questa è l’azione?
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Amici interdetti si chiederanno in cosa queste ultime righe abbiano a che vedere con gli scritti di Steiner e Scaligero: potrei rispondere: poco o molto o niente del tutto: dipende dal punto d’osservazione.
Questo ambaradan di cui certo malamente scrivo, si presenta come parte del quadro che davanti la conoscenza (Steiner) o nell’esperienza (Scaligero) non dovrebbe neppure esistere: adesione alle fantasie della psiche e fede in ciò che è il rifiuto o l’oblio della conoscenza o esperienza che, in alcuni momenti in talune figure, forse almeno come direzione, inizialmente ci furono.
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Oggi però costoro paiono ricordare ciò che resta dopo aver bevuto a garganella dalla spumeggiante acqua del Lete. Il pensiero della testa, nel vero esoterismo, non è sufficiente.
Cercare costantemente in altro ciò che urge nell’Io è il capovolgimento dell’assunto apicale della moderna Scienza dello Spirito.
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A meno che non risulti una strutturale incapacità di discriminare tra ego e Io, tra anima e spirito. Allora si sparano continue bordate contro l’uno o l’altro solo per questioni di carattere, che, per analogia è soltanto la carta, la confezione e non l’oggetto. Con quale metro si invalida tutto? E dietro una sottile facciata di comprensione più falsa di Giuda, vedi tutti i colori umorali che si sventagliano dal risentimento per passare all’antipatia sino al livore più radicale.
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Il nocciolo del problema resta sempre una questione di livello: rigorosamente distinto dalla sfera in cui si esplica il proprio inutile monologo discorsivo, vuoto di morale poiché si bramerebbe moralisticamente che il proprio modo di sentire potesse venir riversato nelle altre anime.
Genericamente, i detrattori grandi e piccini della via del pensiero, mancano di disciplina interiore, né conoscono neppure l’ombra di cosa sia il volere transpersonale.
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Questo lo scrivo con sicurezza certa: sbertucciatemi pure ma so che è così: se non avessi realizzato il silenzio dell’anima potrei semplicemente percepire un distaccato disgusto verso i plotoni di pupari e pupi: corrotti dalla lunga frequentazione (fornicazione intrecciata) di personalismo e antroposofismo: scienza dello spirito subordinata ai propri fini.
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Con le chiacchiere si è così lontani dalla vera Scienza dello Spirito che nemmeno si concepiscono le esperienze che il ricercatore trova lungo il cammino interiore che – santa pazienza! – è davvero un cammino su gradini illuminativi di percezione verso il riequilibrio degli eteri presso il cuore: da dove ascende in quieto, gioioso e inarrestabile impeto la potenza cosmica del Logos: mahâkâly ânanda.
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E’ la forza che fluisce nel centro come nelle lontananze: si sperimenta nella più intima realtà di noi stessi come essa sia l’illimitata portatrice di salvezza, redenzione e trasformazione dell’uomo e del mondo sino alla mineralità di questi: giungere ad essa è azione vera, tentare di giungere ad essa è azione vera.
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Le discipline portano l’operatore ascetico ben oltre i limiti e i luoghi conosciuti dagli uomini ma non ci mondano interamente dalla nostra infamia quotidiana: lo fa la Forza che si dona, che sboccia: qui, in Occidente, possiamo chiamarla col nome antico di Misericordia.
Le discipline che investono tutto l’essere divengono la retta domanda: solo alla retta domanda risponde il Cielo.
Ma anche nel suo minimo, nei più timidi vagiti, è questione di spirito, non di anima quando e se questa viene confusa con il calderone di istinti, vitalismi e passioncelle personali e talvolta di volgare benché astuto plagio. Che confusione, amici miei!
E’ sempre una questione di livello, ma chi è prigioniero della propria anima, non sa di che parlo.

PUO’ L’ UOMO USCIRE DAL TURBINE…? (di F. Giovi)

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Riesce dunque l’uomo ad opporsi o a sfuggire alle immagini (e ai sentimenti) che lo assalgono con la furia e la velocità dei predatori naturali, piombando in lui da luoghi oscuri ed ignoti, o piuttosto trascorre la vita subendo l’incessante dominio di forze scaturenti fuori dalla sua coscienza e comprensione?
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Secondo l’osservazione della vita animica dell’uomo in quanto desto e autoconsapevole, la pratica della Concentrazione può configurarsi come l’istanza conoscitiva più estrema: guadagnare una condizione da cui sia possibile vedere cosa sia il conoscere, ed afferrarlo.
La Concentrazione non è tanto una sorta di esercizio mistico o magico, quanto l’urgere di una coerenza epistemologica che ancora non c’è o va perdendosi poiché manca l’umano. Invero domina il subumano a cui siamo stancamente abituati, fatto salvo un senso d’irrealtà e disagio morale verso la sceneggiata quotidiana, quale che sia la sua parenza di valore.
Siamo immersi in una sfera di sottocoscienza in cui libertà, impulsi morali, conoscenza, il vero o il falso sono le rappresentazioni fantasmatiche di una entità umana che non pensa ma viene pensata, che non sente ma viene sentita, i cui istinti sono scambiati per volizioni.
È un livello in cui non può reggere alcuna verità e alcun giudizio sull’azione che l’uomo compie, poiché, ad essere sinceri, non sappiamo da chi e perché le azioni sono state compiute.
Tutti sono innocenti, anche gli esseri più abbietti, dato che essi, al pari dell’uomo dabbene, sono mossi dallo sconosciuto altro-da-sé. L’essere umano contemporaneo è, di norma, un medium inconsapevole della propria medianità.
L’ordinario fatto che tutti combattano tutti a fin di bene e con giusta causa, traendo il senso di sé dal risentimento e dall’avversione, persino nelle cosiddette comunità spirituali, dovrebbe almeno indurre a qualche riflessione che difficilmente trova coincidenza con le magnifiche e progressive sorti.
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Quando il ricercatore dello Spirito inizia l’esercizio interiore, si muove da una situazione animica non dissimile, poiché non è più desto degli altri uomini, né possiede organi per conoscere la giustezza della sua scelta. L’ottemperanza alle minime regole interne alla tecnica della concentrazione porta l’uomo interiore a modificazioni essenziali che (ben oltre gli occasionali fenomeni estranormali) verranno colte quali trasformazioni dell’anima dopo tempi lunghi di maturazione.
Predeterminare una linea di pensieri o un unico pensiero da pensare, limitando solo a ciò tutta l’attenzione cosciente di cui si sia capaci, attiva il circuito di una forza celata dal volere e mai prima avvertita, in spazi d’anima sconosciuti a qualsiasi precedente autosservazione. Il dazio da pagare per chi si rende capace di ripetere tale operazione sarà sempre un pesante tributo alle difficoltà generali che sembreranno moltiplicarsi o assumere carattere di sacrificio.
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L’uomo, dal momento in cui si predispone ad una definita coscienza terrestre, è privo della capacità di concentrarsi volitivamente, almeno in una misura degna di nota. Molti credono di concentrarsi quando vengono afferrati da un’idea che s’impone nell’anima trasportandoli lontano dalle sensazioni immediate. Allo stesso modo, quando l’imponenza e la bellezza di forme e colori naturali cattura la coscienza nel percepito, alcune nature giudicano a posteriori d’avere vissuto una esperienza mistica o cosmica: non impossibile ma improbabile, almeno per chi si attiene alla robusta concretezza dei veri mistici, che non sono fantasiosi. Osserva con sagace senso pratico Teresa d’Avila, nel suo Castello interiore: “Sono convinti che si tratti di arrobamiento (estasi) ma io lo chiamo abobamiento (ottusità).
Al contrario, chiunque potrebbe provare in qualsiasi istante che gli è impossibile mantenere l’attenzione per un significativo periodo di tempo su un qualsiasi particolare di quanto lo attornia. Come se qualcosa lo obbligasse a spostare di continuo occhi e coscienza da un particolare ad un altro, a un altro ancora. Senza posa.
Numerose Logge, Congreghe, Officine, Conventi ecc. detengono tecniche, tra loro assai simili, capaci di scantonare nei riguardi delle forze di coscienza dei nuovi tempi e di quanto a queste possa o debba corrispondere. Quando il tutto non si riassuma in una liturgia di simboli noti e persino ingenui, e in riassunti di approfondimento su incastri alfanumerici, beninteso gabbati come preziose reliquie dell’“antica Sapienza egizia”, il nocciolo del lavoro interiore corrisponde sempre a sistemi propizianti l’ipnosi o la trance autoindotta. Il restante, quello che gira liberamente e con ampia diffusione, è in unico blocco l’espressione tout-court della trionfante riforma spiritualistica dipendente dal subumano.
A chiarimento di cosa si stia parlando, prendo,  purtroppo a caso, una rivistina patinata e di buona grafica che impudicamente si titoleggia in copertina come “Itinerari dello Spirito”, riportando l’incipit dell’articolo principale: «Ho incontrato molte persone che mi hanno detto: “Ho provato a fare meditazione ma non ci riesco”. Impossibile, dico io, meditare è la cosa piú facile che ci sia. Il problema è che c’è un enorme malinteso. Meditare non vuol dire concentrarsi, costringere la propria mente a pensare questo o quello. Gli esercizi di concentrazione servono, in teoria, a prepararci a meditare, ma non sono meditazione. Anzi secondo me sono inutili, se non dannosi. Inutile tentare di impedirsi di pensare, è una cosa impossibile. Se penso di non pensare sto comunque pensando…lo scopo della meditazione è quello di rilassare il cervello, farlo riposare… pensando ci sforziamo. Bisogna smettere di sforzarsi a pensare. Essere pigri, sonnolenti, sornioni…».
Il tanto suesposto vale per tutta la marea del consimile su cui considero perfettamente inutile il giudizio. Per giungere a tali realizzazioni basterebbe un buon sonno o qualche molecola della famiglia delle benzodiazepine, ma giacché la coscienza comune chiama sognare sé ed il mondo col nome di veglia, l’ardimentoso spiritualismo confezionato per tale coscienza osa di più: vorrebbe fare dell’uomo un essere che dorma da sveglio. L’occultista sa che questa è una spaventosa ma realistica possibilità. L’alternativa comune all’uomo non ancora robotizzato consiste nel venire continuamente dominato da una sorta di natura emotiva autonoma che è il centro motore dei suoi pensieri ed azioni; essendo per giunta del tutto impreparato a dominarla.
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Cosa potrebbe fare allora il povero apprendista mago? Egli cammina, come tutti gli altri uomini, per le strade della vita, subendo una impollinazione incrociata tra sogno e veglia, e ciò avviene anche quando, seduto in silenzio, crede di meditare. Forse, prima di concentrarsi con sperabile profitto, il nostro motivato apprendista dovrebbe sospettare che il suo attuale mondo è sognato; a dirla tutta, anche per quanto crede di sapere sui mondi occulti, soprattutto su quanto concerne lo Spirito.
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Come fa a svegliarsi da sé uno che sogna? È un mistero. Ma forse, se il sognatore si addensasse in se stesso, se non temesse per attimi di dirsi io, IO e nient’altro? Proprio così. Distinguendosi, con uno scatto intimo, da pensieri, valori, abitudini, caratteri ai quali si attribuisce sempre una identità con se stessi, questo potrebbe essere il piccolo germe di un risveglio.
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Se qualcuno decidesse, con studio, comprensione e dedizione, di tentare la strada dell’Infinito e della Libertà, gli occorrerebbe, quanto prima e sempre troppo tardi, realizzare la più ovvia delle verità, ossia l’indiscutibile fatto che il dominatore e la cosa dominata non possono essere identici.
Con un’immagine presa a prestito: cavaliere e cavallo sono due, non una cosa sola. Finché non si impara a dominare il cavallo, non sarà possibile riconoscere con chiarezza chi è il cavaliere. Il cavallo (l’animale) è certamente forte ed esigente: non gli bastano tutti i pensieri del mondo. Non è disposto a cedere quei pochi minuti che con la disciplina interiore si cerca di sottrarre al suo avido potere.
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Non appena evocato un tema di concentrazione, uno sciame di pensieri aggredisce lo sperimentatore portandolo a dimenticare il tema proposto (e anche cosa sta facendo lì seduto). Il carattere di tali pensieri è la capacità di farsi pensare con l’urgenza prepotente dei più importanti pensieri del mondo. In quel confuso campo di battaglia della nostra sbrindellata coscienza, dove il buon cavaliere perde sempre, è forse possibile un barlume di resistenza, una futura rivincita? In una sola esistenza? Forse sì o forse no. Personalmente lo credo possibile, ma sono solo un pessimista che esercita la positività.

LA BIODINAMICA DA STEINER AL VINO (di F. Giovi)

A proposito dei vini antroposofici.

Non tutti gli antroposofi vedono nelle bevande alcoliche il vero nemico dello Spirito. Mi ricordo che il compianto Salvatore Colonna, invitato ad un meeting internazionale, ci riferì, scandalizzatissimo, che molti tra i partecipanti non disdegnavano il ‘cicchetto’!
È un problema che riguarda sia la Madre che le Figlie – soprattutto le seconde, che spesso ignorano i contenuti antroposofici. Le prove limite me le fornì un buon amico assai attivo nella Società, che riesce a volermi bene nonostante le mie posizioni paurosamente anarchico-eretiche.

Mi raccontò di una visita ad un consorzio agricolo (biodinamico) estero. Tale entità funziona talmente bene da esser divenuta una vera industria, economicamente florida e in ulteriore sviluppo. Entusiasmato per cotanto successo, chiese al manager se vi fosse l’intenzione di stampare testi antroposofici, in particolare dello Steiner. La secca risposta dell’imprenditrice fu, all’incirca: «Steiner chi? Antroposofia? Noi con l’agricoltura biodinamica facciamo ottimi affari, mica libri!».

Non è mia invenzione, e da questo mi sembra di vedere la produzione vinicola come la più lieve delle preoccupazioni. Sinceramente, lo scorretto uso dell’immagine del Dottore è poco a paragone di tutto quello che, ingiustificatamente, è stato scagliato contro la Sua figura.

Fu accusato d’essere massone e antimassone, di essere cripto-cattolico, persino gesuita, e anti-cattolico, filo-ebraico ed anti-ebraico, poi pagano, razzista, filo-germanico e anti-germanico… e se dimentico qualcosa vogliate scusarmi. L’ignoranza, la stupidità e l’avversione non hanno limiti. Forse che la difficile possibilità di intervento sui media possa correggere le… qualità elencate?

Intanto cerco di ricordare che Rudolf Steiner proibì (ai discepoli della Scuola Esoterica) soltanto una cosa: l’alcol.
In tempi più recenti Massimo Scaligero dedicò a questo unico precetto un breve capitolo del suo Manuale pratico della Meditazione.

I ricercatori, mediamente adulti, per coerenza e maturità, si sobbarchino poi l’onere delle proprie azioni. Non siamo, per così dire, nati ieri e sappiamo che non pochi si difendono dicendo: «Io non faccio gli esercizi, dunque questa regola per me non vale; poi la scienza dimostra che un po’ di vino fa bene».

Mentre le Vie allo Spirito hanno sempre saputo, sperimentalmente, che, al di là di particolari e preparatissimi atti rituali, tutto quello che è altro (hetheron) è una privazione per l’Essere, una corruzione che rimanda a uno stato di imperfezione.

Inoltre l’alcol e le droghe sono entità attive: esercitano attivamente una propria azione in contrasto con le forze dell’Io. Allora l’individuo non consiste ma cede e moltiplica le molte passività che lo allontanano da se stesso. Anche senza esercizi (ma si potrebbe rilevare che un’attenta lettura di contenuti spirituali è già un esercizio formativo per l’uomo interiore!).

Forse è più proficuo ricordare due precetti: il primo, antico, ammonisce di non permettere che quello su cui nulla possiamo possa qualcosa su di noi. Il secondo lo troviamo nell’Iniziazione di Steiner e dice che «se sono in collera o mi irrito, erigo un bastione nel mondo animico…». Questa osservazione, del tutto vera, è davvero terribile: basta pensare che possiamo passare intere giornate in uno stato di irritazione anche senza quasi accorgercene.

Per mutare tale stato, spesso cronico, non bastano i buoni propositi. Occorre preparare una zona di calma interiore (mai come atteggiamento ma come risultato, ad esempio, della pratica dei 5 esercizi) per separare la giusta riprovazione dall’avversione e dall’odio che a questa s’accompagnano.

Il Dottore descrive una disciplina assai importante nel suo scritto I gradi della conoscenza superiore, dove indica come tutto quello che viene percepito come falso o ingiusto debba venir sentito e sofferto con intensità, ma separandolo dagli uomini che l’hanno formulato.

Il tipo di calma ‘magica’ conseguente a questa pratica aiuta il divenire dei fatti alla correzione. Da tali attività interiori, che sono esteriormente silenzio, prendono le mosse tutte le più reali forze rettificatrici. Poiché le cause dei fatti sono sempre spirituali, il problema più urgente consiste nella formazione di operatori spirituali che possano sanare le deviazioni alla loro origine.

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