L’ARCHETIPO-DICEMBRE 2023

Anno XXVIII n. 12

Dicembre 2023

In questo numero:

LOGICA DEL LOGOS E ASCESI DEL PENSIERO (di H. de’ Paganis)

Logica del Logos e Ascesi del Pensiero

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Vi è logica e logica. Vi è una logica, invero, “illogica”, ossia una logica falsa, perché staccata dal Logos, ed è la dialettica. E vi è, invece, una logica vera, una logica autentica, una “logica dell’essenza” – come la chiama Massimo Scaligero – che è la verace logica: quella che scaturisce dal Logos. Solo quest’ultima è vera logica, ed ha il diritto di esser chiamata logica.

 

La Via dei Nuovi Tempi

 

Massimo Scaligero nel suo breve scritto, compreso nell’aureo opuscolo La Via dei Nuovi Tempi, Roma, s.d., ma pubblicato nella seconda metà degli anni Settanta del trascorso secolo, con un linguaggio semplice e piano, cosí descrive – ne verrà qui messa in evidenza in grassetto una parte importante – nel capitoletto La Via del Pensiero, a pagina 10, l’essenza della Via solare indicata dalla perenne Scienza dello Spirito per l’uomo di questa travagliata epoca:

 

«La via “occidentale” di cui sono espressione i cinque esercizi, include in sé e supera quella “orientale”: essa cura che, parallelamente all’addestramento interiore, il discepolo svolga un’energica disciplina del pensare. Ciò dipende anzitutto dal fatto che il pensare è l’attività mediante cui lo Spirito, come Io, ha immediatamente presa nella coscienza. Inoltre il pensare ha una proprietà che le altre facoltà non hanno. Ogni facoltà interiore muove sul piano in cui sorge, senza superarlo, anche se scaturisce da livelli superiori. Si può dire che ogni livello ha le sue proprie percezioni. V’è un’attività, invece, che si muove simultaneamente nei vari mondi. Dal fisico, all’animico, allo spirituale, ed è il pensiero cosciente. Un pensiero logico che sia veste cosciente di una verità, risuona, anche se non lo avverte, nei mondi superiori, come una reale forza. La disciplina da noi indicata addestra prevalentemente il pensiero, trasformandolo in una forza cosciente di ascesa. Il pensiero, divenendo autonomo, si congiunge con le correnti superindividuali del sentire e del volere, costituendo un’unica forza reintegratrice di quel che nell’uomo è originario».

 

In queste parole, nella loro asciutta sinteticità, vi è l’indicazione e l’essenza dello studio come primo gradino dell’Iniziazione rosicruciana, ossia della elaborazione meditativa e non certo intellettuale dei testi della Sapienza Santa, dei testi della Scienza dello Spirito, nonché della pratica della Concentrazione e della Meditazione. A questo pensiero essenziale – pensiero “logico” secondo il Logos – si contrappone come sua contraffatta caricatura il morto pensiero cerebrale, l’esangue pensiero riflesso, lo stupidissimamente intelligentissimo pensiero dialettico, che di tutto si vuole impadronire senza nulla veramente cogliere, senza nulla voler concretamente afferrare, senza nulla mai voler autenticamente vivere. Per cui, se una parvenza di vita un cotale morto pensiero dialettico deve mostrare, questa è la corrotta vita proveniente dalla sognante sfera emotiva e dalla torpida, guasta ed arrogante sfera della volontà istintiva: zone da millenni fatalmente dominate e manovrate da Deità ostili all’uomo: Deità ostacolatrici e distruttive. E siccome la natura istintiva di ciascuno è al contempo uniforme e varia (mi si passi l’ossimoro), è inevitabile che la soggettività psichica personale di uno venga a contrapporsi a quella altrui, fomentando e accrescendo l’impulso radicale del­l’avversione con cui l’Oscuro Signore giuoca e domina il debole, il poco accorto, il non consapevole uomo psichico, sempre piú nevrotico e sempre piú dominato dall’animalità. Infatti, Massimo Scaligero cosí – anche in questa citazione verranno messe in rilievo alcune parole, che il benevolo lettore è invitato a ben meditare – scrive poco oltre, a pagina 11 del suddetto opuscolo:

 

«La relazione originaria tra concetto e concetto è la reale forza del pensiero e risponde alla reale relazione delle cose, ma il pensiero scisso del razionalista di questo tempo, la sostituisce con la relazione stabilita dall’esterno, che ha la parvenza della verità nella forma logica: onde esistono molte logiche: ciascuno dispone della logica necessaria alla propria limitata verità, che però afferma come tutta la verità. Ed è l’errore. Ciascuno ha la logica del proprio pensiero alienato. La disciplina del pensiero porta invece il discepolo dal pensiero scisso o riflesso, al pensiero che, come forza, vive simultaneamente nel mentale e nel sopramentale, essendo l’essenza delle cose: la logica vera.

 

L’uomo non è libero, finché non consegua la liberazione del pensiero, o la congiunzione della corrente viva del pensiero con l’Io, secondo il metodo proprio alla «via cosciente», o via occidentale, cui fanno riferimento gli accennati esercizi».

 

Appare evidente come esista un solo pensiero autentico, un solo pensiero verace, ed è il pensiero che scaturisce dal Logos, e la logica di questo pensare è la logica dell’essenza, proprio perché la sua essenza è il Logos stesso. Pensiero non de-via-to, pensiero vero, e pensiero vivo, poiché solo il Logos poté affermare – ed eternamente afferma – come in Giovanni 12, 44 (che cito dalla Riveduta del valdese Giovanni Luzzi): «Io Sono la Via, la Verità, la Vita». L’altro pensiero, quel pensiero dialettico che ha soltanto la forma logica, ma che è privo di autentico contenuto, è un falso pensiero, ossia non è autenticamente pensiero, bensí è menzogna, una ipocrita menzogna, che ha solo una illudente parvenza di verità. Quindi pensiero s-via-to o de-via-to, pensiero falso, pensiero morto e mortifero: apportatore di morte, perché la menzogna è apportatrice di morte. E il Signore, parlando a scribi e farisei, in Giovanni 8, 44, cosí dipinge l’Oscuro Signore e i suoi assecli: «Voi siete progenie del diavolo, ch’è vostro padre, e volete fare i desiderî del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando parla il falso, parla del suo, perché è bugiardo e padre della menzogna».

 

Nell’ultimo incontro che alcuni di noi ebbero con Massimo Scaligero la sera di venerdí 25 gennaio 1980 – dunque poche ore prima che ci lasciasse – egli cosí caratterizzò il mortifero pensare riflesso e dialettico che emana dall’Oscuro Signore: «Arimane mente anche dicendo la verità». Per cui, non è sufficiente che i pensieri siano formalmente corretti, e logicamente ineccepibili, non è affatto sufficiente nemmeno che siano pensieri “antroposofici”, perché sfuggano alla mortifera presa dell’Oscuro Signore. Se sono meri pensieri riflessi, dialettici e cerebrali, se sono al massimo lucifericamente sentimentalizzati, ma non per questo vivi, essi non escono dalla cerchia inesorabilmente dominata dal Signore della Morte.

 

Occorre vincere la morte, ossia occorre vincere lo stato di morte del pensiero prigioniero nella tomba della cerebralità, ma questo non si realizza senza un aspro e faticoso lottare. A livello spirituale non è concesso vivere di rendita, per cui la liberazione del pensare dalla condizione di abiezione, che è quella del suo servaggio alla corporeità, al sistema nervoso, alla cerebralità, non è un gratuito e comodo dono, ma frutto di duro lavoro e di coraggiosa lotta. Lo stesso Siddhârtha Gautama, il Buddha Śākyamuni, affermava che, sí, gl’Illuminati indicano la Via, ma che poi ognuno la deve voler percorrere e conquistare con le proprie forze. E come dice l’antico adagio: aiutati che il Ciel t’aiuta! Il Mondo Spirituale non aiuta sicuramente gl’ignavi, i pigri, gli opportunisti, i vili. Per questo scomodo ma eccellente motivo, la Via del Pensiero donata da Rudolf Steiner, e che Massimo Scaligero ha rimesso al centro come filone aureo dell’eterna Scienza dello Spirito, non può essere altro che la “Via del sublime eroismo”, perché in essa il discepolo lotta coraggiosamente contro lo stato di morte dell’anima, lotta temerariamente contro distruttrici Deità ostacolatrici, delle quali sfida e vince l’infero potere mortifero.

 

La logica contro l'uomo

 

Un libro come La logica contro l’uomo di Massimo Scaligero, stampato per la prima volta nel 1967 dalle Arti Grafiche Scalia per la prima editrice Tilopa, è un libro d’Iniziazione. Proprio nel senso “tecnico” del libro di Rudolf Steiner Iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? Tutti i suoi libri in realtà lo sono, e solo questo vogliono essere. E, da sempre, l’Iniziazione è stata, ed è tuttora, come negli Antichi Misteri della nostra Età Classica, un affrontare e vincere la prova della morte. Certo, La Logica non è affatto un libro facile, come facile non è e non può essere l’Iniziazione, e come facile non è neppure la vita, per chi veramente voglia vivere vivo e non morto. Un libro come La logica contro l’uomo è un libro che esige moltissimo dal lettore: esige ch’egli sia un praticante interiore, un asceta operante. Massimo Scaligero lo scrisse in modo che il lettore dovesse fare nel percorrerlo, pensiero dopo pensiero, il giusto e necessario sforzo. Il leggerlo more rosicruciano, ossia concentrativamente, meditativamente, deve essere per il volenteroso lettore, appunto, una forma di àskesis, una forma di ascesi, che deve dar luogo ad un allenamento interiore, deve realizzare una fisioterapia delle forze infiacchite o paralizzate dell’anima troppo torpidamente adagiata nella vita corporea, troppo preda nel sistema nervoso e della cerebralità, troppo ipnotizzata dalla falsa concretezza dell’apparire sensibile: di quella illudente irrealtà che gli Orientali chiamavano mâyâ. La logica contro l’uomo di Massimo Scaligero è un libro d’Iniziazione che, come negli Antichi Misteri, vuol far attraversare al discepolo la kàtharsis o purificazione, il photismòs o illuminazione, e l’ènosis o unificazione con l’Uno, con il Logos, che è il risultato autentico della teletè o compimento, o perfezione (nel senso classico di perficere), ossia – latinamente – l’Iniziazione.

 

Un tale libro non si può dire certo che sia stato amato negli ambienti antroposofici, e lo è stato abbastanza poco anche – salvo le non molte eccezioni che è giusto riconoscere – all’interno di quella “Comunità Solare” alla quale Massimo Scaligero donò, consacrò, per una vita tutte le sue forze. Un sintomo doloroso di una tale incomprensione da parte del milieuantroposofico “ufficiale” – e dispiace doverlo rilevare – è la recensione che apparve sulla rivista antroposofica tedesca Die Drei, nel n° 7 del 1992, da parte di Renatus Ziegler, recensione che, tradotta, fu pubblicata una trentina di anni fa anche nella rivista milanese Antroposofia. La recensione dello Ziegler mostra, purtroppo, tutta l’incomprensione cui può portare un partito preso nato da un pregiudizio. Si può veramente dire che allo Ziegler, per tale motivo, sia davvero sfuggito l’essenziale.

 

Die Logik

 

La Logica di Massimo Scaligero era apparsa in tedesco col titolo Die Logik als Widersacher des Menschen. Der Mythos der Wissenschaft und der Weg des Denkens, tradotta da Georg Friedrich Schulz, e con l’introduzione di Michael Kirn, edita dalla Verlag Urachhaus di. Stoccarda nel 1991.

 

Si può considerare, invece, una felice eccezione quanto scrisse Karen Swassjan nella sua recensione, pubblicata a Dornach su Das Goetheanum nel febbraio 1992. In essa lo studioso armeno, normalmente residente a Basilea, mostra una rara spregiudicatezza conoscitiva, un’ampiezza ed una profondità di vedute invero non frequenti, e vale la pena di ripropor tale recensione ancora una volta alla lettura e alla riflessione del ricercatore spirituale. Essa – tradotta alla lettera – cosí suona:

 

“Un libro conforme allo spirito delle origini”: Massimo Scaligero, La logica come avversaria dell’uomo (Die Logik als Widersacher des Menschen).

 

La reincarnazione dei libri esiste. Forse cosí si dovrebbe comprendere il vecchio detto “habent sua fata libelli” (anche i libri hanno il loro destino), sebbene questa verità non sembri esser stata presa in considerazione fino ad oggi. Chi avrebbe l’audacia di scrivere oggi una storia della filosofia come una sequenza ritmica di incarnazioni di una determinata serie di libri? Per esempio, partendo da De principiis di Origene circa il suo ulteriore destino in De divisione naturae di Erigena, in De vita rerum naturalium di Paracelso, nelle Opere scientifico-naturali di Goethe, fino a La filosofia della libertà di Rudolf Steiner. Il passaggio a una tale storia della filosofia, considerato sotto l’aspetto scolastico e tradizionale, verrebbe senza dubbio accompagnato dalla sensazione, come la dovrebbe vivere un botanico, quando questi venisse liberato su un prato in fiore dopo una lunga reclusione in un deposito di legname. Non è un caso, che io abbia scelto la sopraccitata serie di libri. La stupefacente opera di Massimo Scaligero mi ha riempito di sicurezza, già dalla prima pagina, che quella serie di libri è stata continuata nei nostri tempi, e se non oso definire questo libro una diretta incarnazione fisica del capolavoro (chef d’oeuvre) di Rudolf Steiner, ne garantisco però senz’altro la connessione eterica (i grandi libri, come le grandi individualità, non si incarnano sempre nel fisico, ma si accontentano anche di un’esistenza eterica o astrale). Forse non ha molto senso presentare tali libri, nel senso di volerli interpretare con parole proprie. Leggendo ci si deve immergere profondamente in essi, e solo allora portarli fuori, non con una propria interpretazione, bensí con i propri pensieri trasformati. Lo dico senza tanti preamboli: l’impressione era inaspettatamente sbalorditiva. La grande filosofia mi sembrava veramente, secondo il testo di Husserl La crisi delle scienze europee… una “per-sempre-addormentata”… Lo stesso Heidegger, malgrado tutti i suoi talvolta sorprendenti raggi di luce, aveva l’aspetto di una cupa mistica nuvola, che copre il gigantesco e direi quasi già invisibile sole. Il libro di Scaligero mi ha accecato nel vero senso della parola, non come un bagliore arabico-newtoniano di un conglomerato meccanico, ma con quella fonte di vita alla maniera di Goethe o di Giovanni. Poi mi venne in mente che non si trattava per niente solo di un’opera filosofica, bensí di un libro-mistero, di una specie di Iniziazione nel sacramento del pensiero. Il titolo del libro, stranamente, non corrispondeva al suo pieno contenuto: “La logica come avversaria dell’uomo” (con una visibile reminiscenza di “Lo spirito come avversario dell’anima” di Klage, secondo me un’allusione superflua, che del resto manca nel titolo originale La logica contro l’uomo), questo concordava solo con la prima parte del libro, ma non alludeva per niente alla seconda, in cui si tratta della trasformazione della logica divenuta morta in una “logosistica” e in cui, quindi, il confronto passa organicamente all’armonia generale: la logica per l’uomo.

 

Sí, un libro-mistero che conduce il lettore attraverso gli infiniti riti dell’orrore della moderna mancanza di pensiero e lo porta sulla via del pensare. La prima parte – “Il mito della scienza” – sembra essere proprio una specie di kamalokadell’attuale filosofia, in cui l’idolo cartesiano-kantiano che si è appropriato da usurpatore tutti i diritti sull’Io, in una sorprendente panoramica degli eventi postumi è dato alla purificazione di sé. È significativo che la struttura stessa della prima parte è stata trattata, direi quasi, in modo regressivo, cominciando dall’immagine totale delle forme logiche del declino interiore fino al punto di partenza del realismo ingenuo codificato: la nuova logica analitica. In fondo si potrebbe definire tutta questa prima parte anche come una logica e concreta realizzazione delle raccomandazioni che purificano il pensare nella teoria della conoscenza di Rudolf Steiner (del “Maestro dei Nuovi Tempi”, come è chiamato nel libro di Scaligero). Si richiamino alla memoria queste raccomandazioni: «Se ora si dice: elimino tutte le definizioni mentali conseguite mediante la percezione della mia visione del mondo e trattengo solo quello che appaia all’orizzonte delle mie osservazioni senza che io faccia qualcosa, allora ogni malinteso verrà escluso» (Verità e scienza). E ancora: «Se si vuole veramente comprendere il conoscere in tutta la sua reale entità, si deve indubbiamente comprenderlo anzitutto dove è esposto al suo inizio, dove comincia» (sic). Questo suona estremamente semplice e chiaro, ma solo colui il quale ha provato a realizzare quel che è stato detto, sa quale enorme abisso sta nascosto dietro a queste parole. Qui la teoria della conoscenza sperimentò per la prima volta una valenza di mistero iniziatico, perché non posso definire diversamente queste affermazioni di Rudolf Steiner se non come la preparazione del pensiero (in fondo l’abitudine agendo solo come pilota automatico di frasi fatte) all’incontro con il Guardiano della Soglia e la sua vera scaturigine, dov’è attribuito al pensiero incantato da una nomenclatura narcotica, di riconoscere la sua origine in un alto grado angelico. Quindi era quello che era stato espresso in maniera metodicamente cosí dura in questo libriccino Verità e scienza, implicante nient’altro che l’Iniziazione attraverso la morte – la morte di tutte le definizioni pensanti raggiunte tramite la conoscenza – e una riduzione della coscienza al grado zero, cioè a tale vuoto originario secondo cui la conoscenza non poteva essere nessuna sciocchezza di tutti i generi di sistemi e discorsi, bensí solamente un esame eseguito davanti alle Gerarchie, ed una licenza per collaborare con loro alla creazione continua del mondo. In questo modo trovo il motivo per cui il filosofo Rudolf Steiner è stato logicamente passato sotto silenzio dai filosofi del XX secolo – accoglierlo, seriamente parlando, significherebbe pronunciare irrevocabilmente su se stessi una condanna a morte. Forse Husserl era l’unico che osò questa purificazione della coscienza dalle stalle di Augia – stranamente senza avere una pallida idea di Rudolf Steiner e partendo soltanto da una fonte di verità profondamente sentita (del resto a questo punto sarebbe importante seguire la sua relazione intellegibile attraverso la ‘mediazione’ di Franz Brentano). Ma Husserl stesso non si decise ad andare fino in fondo rispetto all’inizio – in modo bello e profondo ha parlato di ciò Michael Kirn nella sua introduzione al libro di Scaligero. Nel sopraccitato libro, questa grande autopurificazione del pensiero si è ora realizzata in modo radicale (“radicale fino al delitto”, come avrebbe detto Nietzsche). Comunque io temo che anche questo libro sarà circondato dal complotto unanime dell’occultamento filosofico. I filosofi si sono abituati strettamente al “comfort” e alla “praticability” del pensare. Se gli psichiatri americani, svolgendo un incarico del rettore di un “college”, sono riusciti a diagnosticare come… schizofrenico l’autore della Fenomenologia dello Spirito, che cosa resterebbe da dire sul probabile destino in questo mondo del libro di Scaligero? Non si dovrà tuttavia perdere la speranza. Non è da escludere che un bel giorno appaiano altri psichiatri profondi, la cui diagnosi sarà totalmente contraria, pressappoco nel modo seguente: tali libri, come quello di Scaligero, non sono per niente trattati filosofici, bensí una “conditio sine qua non” della salvezza animica. Chi rifiuta la purificazione offerta da essi e la Via, si condanna a priori al cretinismo, dal quale nessuna cattedra e nessun premio Nobel potrà salvarlo. Experto crede!

Karen Swassjan

 

Questa recensione è uno scritto che allarga il cuore, proprio perché proviene da uno studioso non direttamente connesso con la Comunità Solare impulsata da Massimo Scaligero, e che tuttavia ha mostrato di possedere una spregiudicatezza conoscitiva ed un coraggio davvero notevoli. A tale proposito, viene davvero da pensare a quel che è possibile leggere nel Vangelo di Marco 9, 38-40, ove il Signore cosí rispose ad uno dei discepoli, il quale gli diceva:

 

«Maestro, noi abbiam veduto uno che cacciava i demonî nel nome tuo, il quale non ci seguita; e glielo abbiamo vietato perché non ci seguitava». Ma Gesú disse: «Non glielo vietate, poiché non v’è alcuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e che subito dopo possa dir male di me. Poiché chi non è contro a noi, è per noi».

 

L’autore di questa bella recensione è Karen Araevič Svas’jan (cosí viene traslitterato scientificamente dai glottologi il suo caucasico nome), nato il 2 gennaio 1948 a Tblisi in Georgia, ma è di origine armena, e si è formato ad Erevan in Armenia, ove ha studiato filosofia, filologia inglese e francese, e si laureò con una tesi sul filosofo francese Henri Bergson. Divenne professore di Filosofia, Storia della Cultura ed Estetica all’Università Statale di Erevan, la capitale del­l’Armenia. Egli curò anche la prima traduzione postsovietica delle opere di Friedric Nietzsche, nonché traduzioni di Oswald Spengler (Il tramonto dell’Occidente) e di Rainer Maria Rilke (I sonetti ad Orfeo).

 

Lo Swassjan negli anni 1993-1994 collaborò come ricercatore con la Alexander-von-Humboldt-Stifung di Bonn in Germania, fu “professore ospite” (Gastprofessor) all’Università di Innsbruck in Austria nel 1997, e dal 1993 vive in Svizzera, a Basilea, ove opera come scrittore e docente.

 

Quel che colpisce della recensione di Karen Swassjan, è l’aver egli còlto il lato “misterico”, e concretamente operativo de La logica contro l’uomo di Massimo Scaligero. Libro che mi è sommamente caro perché fu, assieme a Rivoluzione. Discorso ai giovani, il primo libro che mi donò l’amico L., libro che fu per me motivo della mia connessione con la Via Solare, e soprattutto con chi con immensa generosità ed abnegazione tale Via stava donando al mondo. Su richiesta di Massimo Scaligero, tenni, per quattordici anni, nella mia città un gruppo sulla Logica contro l’uomo, che mutò il destino di molti giovani. Davvero posso attestare che – come mi disse una persona a me moltissimo cara – colui che ti ha fatto conoscere Massimo Scaligero è il tuo piú grande amico: colui che ti ha fatto il piú grande dono!

 

Vorrei proporre, per la sua estrema importanza, al benevolo lettore la meditazione ripetuta e approfondita di tre capitoli della Logica. Sono, nell’ordine, nella prima parte del libro, Il mito della scienza, il capitolo intitolato “Il problema a cui si sfugge”; nella seconda parte, La via del pensiero, il primo capitolo “La ricerca dell’Io”, e il quinto ed ultimo “L’«Io Sono»”. La meditazione – ripetuta e approfondita –  di questi tre capitoli della Logica ha un valore formativo fondamentale sulla maturità dell’anima, valore che difficilmente potrebbe essere esagerato, e che quindi non può, e non deve, essere affatto trascurato.

 

Voglio porre termine a queste considerazioni con quanto scrive Massimo Scaligero, alle pagine 269 e 270 in chiusura della Logica:

 

«Coloro che cercano il vero, cercano lo spirito: se cercano lo spirito, cercano l’Io. Ma non possono giungere all’Io, se non conoscono il suo essere come presenza che di sé rende conto, in quanto rende conto di ogni assunzione di verità.

 

Soltanto il Logos può dire di sé «Io sono». L’Io sono è il nome del Logos, come l’Io è il nome che solo colui che lo pronuncia può dare a se stesso. Coloro che giungono all’Io trovano come fondamento dell’Io il Logos, onde possono dire: «non Io, ma il Logos in me», che è la libertà vera, non facendo leva su alcuna condizione, ma sul fondamento. Identificati con il quale, possono operare nel  mondo.

 

Coloro che volgono alla ricerca del Logos possono attuare sulla terra la fraternità, perché dall’intimo dell’anima sono uniti, secondo la parola vera dell’Io, nel principio che di sé può dire: «Io sono».

 

 

Hugo de’ Paganis

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per gentile concessione de L’Archetipo

 

 

Massimo Scaligero – Dell’amore immortale. Prologo (di P. Pistoletti)

OLTRE

Massimo Scaligero – Dell’amore immortale. Prologo

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A chi ha suscitato l’essere vivo
di queste pagine. Al nome pronunciato
nel segreto dell’anima.

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Con Massimo Scaligero entriamo in un altro piano di pensiero, seguendo il suo. Lo dico a bassissima voce, e solo per quelli che vorranno. Qui vi è qualcosa di immenso e sacro, di assoluto.

Certo, è vero, non è questo il testo più adatto dal quale partire per seguire la via indicata. Ossia, bisognerebbe, quanto meno, aver praticato prima [per molto tempo] la concentrazione del pensiero [e la meditazione], secondo i canoni indicati proprio dallo stesso Scaligero. Però questo testo ha uno splendore così originario, e poi nel suo prologo, come un richiamo da lontano, lontanissimo – tanto che, per i lettori de Il Cipresso Bianco, ho scelto, tra i 27 libri di Scaligero, di iniziare proprio da questo qui.

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PREFAZIONE

Questo libro non va letto, né studiato: forse neppure meditato, ove il meditare non sia il muoversi stesso del pensiero nel suo contenuto. Va messo da parte, in attesa che una situazione senza uscita, o una crisi, lo renda veicolo delle forze di risoluzione proiettate nelle imagini e nei pensieri.

Può essere conosciuto anche prima di simili situazioni, ma a condizione che il lettore, per determinazione volitiva, dissuggelli quel che nelle parole è stato racchiuso, tenendo conto che la struttura del discorso, indipendentemente dalla sua necessità dialettica, è stata tratta dall’immediato movimento epperò dalla sonorità delle idee evocate.

La logica di un simile discorso è la forma stessa di ciò da cui deriva il processo logico identificabile dai logici come forma inseparabile dai vari contenuti, compreso quello «spirituale» che non è mai lo spirito.

La possibilità di una simile lettura, perciò, appartiene parimenti al destino come alla volontà che cominci a valere come un potere di destino. Se la virtù delle idee evocate è tale che opera già nel mondo, in quanto è parte della sua vita, non può non rispondere alla richiesta di uno spirito che giunga al punto in cui il suo volere e il suo destino coincidono. Ciò che è stato ideato allora si riaccende, germina di ulteriori forme, continua ad essere sostanza del divenire umano.

DEL VOLERE CHE AMA

L’amore è l’essere dello spirito: lo spirito che opera nell’umano, ordinariamente dandosi come evento corporeo: talora risorgendo come evento incorporeo: manifestando così la sua vita più alta, epperò più profonda.

Anche il più oscuro e ottuso amore, è in sé vita sovrasensibile: che si altera nelle forme sensibili: senza speranza, perciò, di penetrarle. La vita in ogni suo grado segretamente chiede all’amore revivere secondo il mistero della origine, essendo l’amore la possibilità del suo immediato ricongiungersi con tale mistero: in ogni punto e in relazione a questo. Mistero che l’amore sempre sfiora, evoca e smarrisce: per ritrovarlo. Senza mai ritrovarlo, finché esso stesso non riviva di quella sostanza immortale di cui la vita, in quanto vita egoica, necessariamente si priva e si va privando, sino ad esaurirsi.

Non v’è evoluzione che non si compia come ricongiungimento della forma creata con il suo principio. Essenziale moto d’amore: apertura del limite che limita la forma in cui necessariamente l’essere, in quanto creato, si separa dall’essere originario e si reclude.

Il limite che resiste, il limite che si spezza, è il dolore: che unicamente si dà per ciò in cui ha segrete radici: per l’amore in cui ogni volta, spezzandosi il limite, possa estinguersi. Ma lo spirito che si attua, ogni volta ritrovando se stesso oltre il limite, si riconosce in quella forma di sé che è «l’altro»: nel creato, nelle creature: in una creatura che le riassuma tutte.

Nel riconoscersi, comincia a conoscere la sua storia: da fuori del tempo, nel tempo. E intende il senso della sua solitudine: la ravvisa come il lungo preludio all’incontro con l’essere il cui nome ha sentito pronunciarsi nel segreto dell’anima. Ma è simultaneamente l’incontro con se medesimo: con il soggetto che sperimenta il nuovo moto di vita. Egli è colui che può infine essere con l’altro, perché ritrova se stesso nella sua illimitata solitudine: nel cui segreto è il segreto della solitudine di ogni essere: della profonda unità degli esseri. Che un giorno l’amore renderà manifesta.

Massimo Scaligero, Dell’amore immortale (Tilopa 1963), pp 4-5

Massimo Scaligero, pseudonimo di Antonio Massimo Sgabelloni (Veroli, 17 settembre 1906 – Roma 26 gennaio 1980)

foto di Bernard Hermant su Unsplash

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per gentile concessione de

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L’ARCHETIPO – NOVEMBRE 2023

Anno XXVIII n. 11

Novembre 2023

In questo numero:

ECCE HOMO – Il FIGLIO DELL’UOMO (di R. Steiner)

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Le potenze divino-spirituali conferirono all’uomo la sua figura, la sua immagine esteriore; ma quel che visse in tale figura esteriore, a partire dall’antica epoca lemurica, si trovò sempre sotto l’influsso delle forze luciferiche e più tardi anche di quelle arimaniche. Sotto gli influssi di tali forze venne in seguito sviluppandosi ciò che gli uomini chiamarono scienza, conoscenza, intendimento. Non è quindi da meravigliarsi che, essendo stata presentata all’umanità proprio in quell’epoca [al tempo del mistero del Golgota] la vera essenza, l’essenza spirituale dell’uomo, gli uomini non fossero in grado di riconoscerla e di comprendere che cosa fosse diventato l’uomo nel corso dei tempi. Il sapere umano, l’umana conoscenza, si erano andati impigliando sempre piú nell’esistenza sensibile, diventando cosí sempre meno capaci di accostarsi alla vera natura dell’uomo.
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…Al cospetto dell’umanità si trovava “l’uomo”, nella figura conferitagli dalle potenze divino-spirituali: nobilitata però e spiritualizzata dalla triennale presenza del Cristo in Gesú di Nazaret. Cosí “l’uomo” si trovava in quell’ora davanti agli occhi di tutti gli altri uomini. Per quanto riguarda la comprensione e la conoscenza di questo mistero, gli uomini avevano potuto conquistarne soltanto quanto lo consentiva la loro intelligenza sottoposta al millenario influsso di Lucifero e di Arimane. Ed ecco che ai loro occhi si presentò l’uomo che durante tre anni aveva espulso da sé gli influssi luciferici e arimanici, l’uomo ripristinato nella condizione precedente a Lucifero e ad Arimane. Solo grazie all’impulso del Cristo cosmico l’uomo era ritornato quale era stato posto nel mondo fisico, proveniente dal mondo spirituale. Lo spirito dell’umanità, il figlio dell’uomo, stava dinanzi a coloro che il quel momento erano giudici o carnefici, a Gerusalemme; si presentava però quale era divenuto per il fatto di avere eliminato dalla propria natura tutto ciò che aveva trascinato l’uomo verso il basso. Cosí, al compiersi del mistero del Golgota, l’uomo si presentava in immagine a tutti gli altri uomini; gli uomini avrebbero dovuto stare davanti a lui, venerandolo e pregando: ecco lí la mia vera essenza umana, ecco il mio ideale piú sublime, ecco lí la figura che io dovrei assumere con il piú strenuo sforzo dell’anima mia. Dinanzi a me vedo ciò che solo è venerabile e degno di adorazione nella mia natura, vedo il divino che è in me. Di quella figura, gli apostoli avrebbero dovuto dire (se fossero stati in grado, allora, di esplicare una vera autoconoscenza): in tutto il mondo non esiste nulla che sia confrontabile, per valore e grandezza, a questo figlio dell’uomo che sta dinanzi a noi.
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L’umanità avrebbe dovuto disporre di questo grado di autoconoscenza in quel momento storico. Cosa fece invece? Sputò sul figlio dell’uomo, lo flagellò, lo trascinò al calvario. Questo è il drammatico punto di svolta fra ciò che avrebbe dovuto avvenire (cioè il riconoscimento che ci si trovava di fronte a qualcuno di assolutamente incomparabile con qualunque cosa al mondo) e quello che avvenne realmente e che ci viene descritto subito dopo. I Vangeli ci descrivono che l’uomo, incapace di discernere, invece di riconoscere se stesso calpestò il meglio di se stesso, lo uccise: solo mediante questa tragica lezione cosmica l’uomo poté accogliere l’impulso a conquistarsi a poco a poco la sua vera essenza, in tutto il corso dell’ulteriore storia della Terra.

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Rudolf Steiner

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 Da R. Steiner, Il Vangelo di Marco, Editrice Antroposofica, Milano 1980, pp. 188-189

Immagine: Hieronymous Bosch «Ecce Homo» Olio su tavola Statlisches Kunstinstitut, Francoforte

per gentile concessione de L’ Archetipo di Marina Sagramora

 

PRIMI APPROCCI AGLI ESERCIZI (di F. Giovi)

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Se i primi approcci agli esercizi fondamentali, alludo principalmente alla concentrazione, sono difficili o molto difficili  e burrascosi, gli ostacoli successivi sono più subdoli e sottili.
Ho già riportato qui in forma integrale la lettere che in data 2 marzo ’72 Massimo  scriveva al nostro gruppetto (e  volentieri la ripropongo altre cento volte):
«…la concentrazione deve essere un’operazione assolutamente semplice, inintellettuale, indialettica (pur servendosi della mediazione delle parole, la più parsimoniosa possibile): è una concentrazione di forza e nient’altro. Ho notato che amici non intellettuali, semplici operai, riescono nella concentrazione perché ne fanno solo una pratica d’intensità di pensiero o di attenzione portata al massimo (e questo è invero tutto), meglio di amici colti, preoccupati di teoriche modalità…
Quando ci si concentra occorre dimenticare tutte le regole e avere una sola direzione, l’oggetto. Prima come rappresentazione del sensibile, poi costruito di pensiero. Occorre servirsi di parole e immagini, altrimenti non si costruisce nulla: certo, quando la sintesi è conseguita, si desiste dal richiamare immagini e parole…».
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Sono righe che valgono ancora per tutti, anche per gli operatori di lungo corso, e le riporto per ricordare la semplicità dell’azione, essendo ogni problematica già un attacco frontale degli Ostacolatori.
Dunque cerchiamo di separare le ‘problematiche’ dalle reali difficoltà che incontriamo poco tempo dopo ogni piccola vittoria.
Qualcuno qui, con Messenger, mi ha espresso una reale difficoltà, parlando dell’automatismo. Come risolverlo? Le indicazioni dei Maestri possono aiutarci e gli aiuti sono tanti, ne cito alcuni: il più radicale è il fermarsi, rivedendo sinteticamente il livello interiore da cui si prendeva l’avvio, chiedendo a se stessi con obiettiva severità se il lavoro interiore già svolto era per noi o per lo Spirito (si scoprono sempre egoismi e brame irriconosciute) Allora inizia un doloroso processo di combustione animica (interiore semplificazione), che ci ferisce ma che va alimentato con desta equanimità. Esso realizza la nera croce della nota meditazione. Poi, un poco arsi, si ricomincia tutto daccapo con semplicità.
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Un accorgimento meno drastico ma tecnicamente più arduo è quello di sparigliare le carte, modificando e rendendo oggettivamente più difficili gli esercizi, come ad esempio per la concentrazione è l’invertire il percorso del costrutto o prolungare il tempo di contemplazione dell’immagine finale (a brevissima scadenza può servire il cambiamento del tema, ma dopo poco ci si accorge che la difficoltà è stata solo sospesa e in breve ricompare). Oppure, se gli esercizi venivano svolti sempre ad occhi chiusi, iniziare a farli ad occhi aperti.
A mio parere vale il metodo meno suggestivo, che è quello di continuare imperterriti e consci, senza drammi, della propria inadeguatezza: continuare sopportando in interiore silenzio l’apparente invalicabilità dei limiti personali, pur tenendo nel cuore una intima, segreta speranza nel potere dell’Io e del Logos. Poiché è una Volontà sovrumana che deve venir estratta dalle profondità.
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«Realizzando una volontà pura sono sulle soglie dell’Iniziazione. Io non esisto perché ora lo voglio, ma perché lo volli in uno stato che trascende quello in cui esisto: la vera potenza della volontà, a cui si può dire che sono estraneo, è quella che si afferma all’origine del mio essere corporeo, sino ad esprimersi attraverso tutti i processi organici rispetto ai quali la mia coscienza è dormiente.
Il compito, in definitiva, è ritrovare all’origine questa volontà, da prima, mediante la ricerca delle energie profonde che sono entro il pensiero: indi innestarsi in essa così da trarla fuori della sfera della brama, così da farla essere in me ciò che essa veramente, divinamente, è.
Allora essa si rivela come la potenza del Logos in me; perché ciò si verifichi, occorre che l’io contingente sia completamente controllato se non ancora risolto» (tratto da una breve “Sintesi iniziatica” scritta da Scaligero, non datata e fatta circolare tra gli amici).
L’operatore non dovrebbe mai cercare di afferrare l’inafferrabile durante l’esercizio. Anzi!
L’attenzione dovrebbe essere completamente rivolta all’oggetto e mai orientata verso l’inconoscibile (per il livello normale della coscienza) da cui i pensieri fluiscono, che non è l’astrale ma, al contrario, è la forza che conduce l’operatore oltre i limiti dell’astrale. V’è una sola attività che, pur svolgendosi nella sfera astrale-eterico-fisica, giunge da fuori di questa: è il Pensiero.
Se gli esercizi venissero fatti dall’astrale (così è quando, durante l’esercizio, si cercassero suggestivi sentieri verso la Sorgente) , il soggetto dell’azione sarebbe Lucifero e non l’Io. L’esercizio, ripetuto e prolungato ci porta nel silenzio. Compito del silenzio mentale è  restituire l’astrale alla pura quiete, attendendo che il Pensare, liberato dai pensieri, divenga esperienza dello Spirito che in noi pensa.
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E’ benefica l’insistenza:  senza temere difficoltà e aridità. Quando, nel fare gli esercizi, verrà avvertita una inusitata, intima gioia sgorgare dal cuore, molto diversa dai sentimenti comuni si sperimenterà anche il senso degli sforzi precedenti e dove essi ci stanno portando: a ciò che da sempre ci appartiene e che fu nostro fino dal tempo che precedette l’Esilio.
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Franco Giovi

L’ARCHETIPO-OTTOBRE 2023

Anno XXVIII n. 10

Ottobre 2023

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI (29 SETT. 2022)

 

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI

(29 SETT. 2022)

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1/18061

ORO SOVRAMENTALE

 

NEBBIE ESALATE DALL’AURA DEI FEGATI

IN CUI DOMINA OSSESSIVA LA CERTEZZA MATERIALISTA

DEL TROPPO UMANO RAZIONALIZZARE NELLA FANTASIA MALATA.

 

NEBBIE CEREBRALI IN CUI L’ARROGANZA DELLA CERTEZZA ANIMALE

PERMETTE OGNI CONTORSIONE MORALE

FRA LE BRAME SCATENATE NEL BESTEMMIARE FISICAMENTE.

 

USANO I CORPI FISICI E LE LORO ENERGIE

PER RIBELLARSI CONTRO LE ARMONIE CELESTI.

 

TUTTA UNA MASSA DI PERSONALITA’ IMPAZZITE

PERCORRONO I SENTIERI DELLA FOLLIA URLANTE

TENTANDO DI EVOCARE INFERNI CUI PALLIDAMENTE SENTONO DI APPARTENERE.

 

INFERNI IN CUI VOGLIONO SPROFONDARE.

 

SI AGITANO INTENSAMENTE CERCANDO DI IMMETTERE

NEI PENSIERI COLLETTIVI QUANTO DI ORRENDO E DI DEFORME LI ATTRAVERSA E LI MUOVE.

 

EPPURE LE LORO VERTEBRE DI ENERGIE ABISSALI SI TORCONO SQUASSATE QUANDO UN RAGGIO DI SOLE LE ATTRAVERSA.

 

LE COLPISCE.

 

LE PORTA AL COSPETTO DELLA SOVRUMANA SANITA’.

 

IMPREVISTE E IMPREVEDIBILI FOLGORI SORGONO E SCOCCANO DALL’IMPOSSIBILE RISOLLEVARSI DELL’UMANO IN CUI LA TRACCIA DELL’IDEA GIUNGE A SFIORARE LE ARMONIE CELESTI.

 

ARMONIE MORALI.

 

RISORTI CIELI CHE LE POTENZE ARCANGELICHE CONCEDONO A QUELLA PARTE DI UMANITA’

CHE NEL SOVRAMENTALE SI RICONSACRA.

 

AVE AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI.

 

UNICA ARMA ED UNICO RITO.

 

FOLGORE DEL PENSARE CHE CONTEMPLA IL PROPRIO UNIRE LOGICO

NELLA POTENZA DA CUI SORGONO I CONCETTI.

 

ARCANGELICA VITU’ CHE INNALZA SINO AL SOLE LOGOS.

 

OPERATIVO ORO SOVRAMENTALE.

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 2/18062

NEL CENTRO DEL PENSARE

 

NELLE OSCURE PIEGHE CEREBRALI SI ACCUMULA L’INFERNO.

LA CARNEA ENERGIA DEL NEGARE.

 

DENSA VOLONTA’ CHE FINGE DI NON CREDERE A NULLA

MENTRE DEVOTAMENTE BRAMA L’APPIATTIRE NEL BESTIALE.

 

PIEGHE CEREBRALI : PIAGHE DI MEMORIA

IN CUI VIENE RIBADITA

– COME FOSSE EVIDENZA –

L’AMARA VIGORIA DELLA RABBIA CHE CALPESTA E OSCURA.

 

PIAGHE DI MEMORIA IN CUI SOLO L’OCCULTO FETORE

RIEMPIE I VUOTI DELLA OTTUSISSIMA INDIVIDUALITA’.

 

E’ L’AFFIORARE DEI SEMI DI VERGOGNA

ENUCLEATI NEL FISICO VIVERE COLMO DI DISPREZZO.

 

I SENZA DIO CHE ADERISCONO ALL’ESCA DELL’OPPOSITORE.

 

EPPURE TUMULTUA FORTE E TREMA IL CORO DEGLI INFERNI

QUANDO DALL’ALTO VI SI ABBATTE UNA FORZA CHE LI VEDE

LI VIVE

E CHE LI ARRESTA.

 

IMPOSSIBILE APPARE E AGISCE L’INCOMPRENSIBILE FULGORE.

TENUISSIMO ATTO DI TEMPESTA CHE RIMANIFESTA IL SOLE.

 

OVE IL DECORO ILLUMINA L’ALTARE E LI CANCELLA.

 

 

UNA CORRENTE DI VOLONTA’ UNITIVA

SCONVOLGE I POTERI DELLA BASSA CEREBRALITA’ NEGANTE.

 

OVE IL FARFUGLIARE FISICO DEVE CEDERE IL PASSO AL  SILENZIO IN CUI IL SIGNIFICATO DI UN CONCETTO RICORDATO :

MANIFESTA UNA POTENZA CHE PURIFICA REINNALZA E LAVA.

 

SPAZZANDO VIA LE DENSITA’  :

LUCE IMPOSSIBILE REINTESSE LE ARMONIE MORALI

REALIZZANDO ACUME CONSACRATO.

 

ATTO DELLA FOLGORE NEL FUOCO DELL’IDEA.

 

ATTO DELL’IO NEL CUORE DELL’ARCANGELO.

 

OVE IL PENSARE GIUNGE A FARSI RITO

POICHE’ NELL’ALTA SINTESI LA LOGICA E’ DEL LOGOS.

 

ATTO COSCIENTE DEL PENSARE CHE CONTEMPLA IL NUCLEO DEL CONCETTO

DIVENUTO A TALI ALTEZZE :

FORZA FORMANTE IN CUI LA RAREFATTA INTELLIGENZA E’ CUORE.

 

METEORA CRISTALLINA DEL VOLERE

NEL MISTERO DELL’INTELLIGENZA.

 

AVE  NEL CENTRO DEL PENSARE :

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI.

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 3/18063

FERREO CONTEMPLARE

 

I DENSISSIMI VOLTI INTERIORI DEGLI APPIATTITI NEL BASSO PENSARE.

 

CADAVERI DALLE VIVENTI CARNI

CHE SI MUOVONO SENZA SCOPO

ENTRO MASSE DI PAROLE CEREBRALI CAOTIZZATE.

 

BLOCCHI DI PAROLE CEREBRALI SI  URTANO E SI FONDONO

MENTRE L’ASSENZA DI VITA INTERIORE

OSSERVA QUELLO SCENARIO DI FOLLIA

E CREDE DI PARTECIPARE AD UN VIVERE

DEL QUALE SUBISCE SOLTANTO I MUTAMENTI SEMPRE PIU’ BLASFEMI.

 

INDIVIDUI TOTALMENTE SEPARATI DALLE FORZE ETERNE DELLA PROPRIA INTERIORITA’ :

SI IMMERGONO IN UNO SCENARIO DI AUTOMATISMI RAZIOCINANTI

IN CUI VI E’ SOLO ACCUMULO DI MENZOGNA  ED ERRORE.

 

I NON VIVENTI AGITATI DALLA BREZZA DEGLI INFERI :

VOCIFERANO IL NULLA CHE LI CONTRADDISTINGUE

MENTRE SEGUONO IN BRANCO LE ORME DELLA BESTIA.

 

SOLO UNA CATASROFE PUO’ ESTINGUERE QUEL BALBETTANTE CRETINISMO MALIGNO.

 

SOLO UNA CATASTROFE O UNA LUCE TANTO INTENSA DA FORARE QUELLE NEBBIE.

 

ED INFATTI E’ UNA FOLGORE CIO’ CHE QUEL DIFFUSISSIMO RETORIZZARE MALIGNO

CHIEDE OCCULTAMENTE.

 

FOLGORE SCATURITA DAGLI ATTI DELL’ASCESI.

 

COLORO CHE NELL’ATTIMO GIUNGONO A SFIORARE

–         SECONDO DEGNITA’ –

IL COSMO DELL’ARCANGELO.

 

NELLA VOLONTA’ SPESA PER MANTENERE EVIDENTE IL SIGNIFICATO DI UN CONCETTO.

 

OLTRE LA BARRIERA CEREBRALE L’ORIZZONTE E’ COLMO DI SPLENDORE CHE CONSUMA E SOVRASTA OGNI DENSITA’.

 

FRA OSSEE POTENZE OSTACOLANTI CHE VENGONO CONSUMATE.

 

FORZE FORMANTI SI IRRAGGIANO DAI LUOGHI INTERIORI

IN CUI IL SILENZIO CONTEMPLA IL POTERE DEL RICORDO.

SINO AL CREARE ARMONIE IN SENO ALLA TEMPESTA CHE PURIFICA.

E CHE INNALZA.

 

SANITA’ RIESCE A PROGREDIRE POICHE’ SQUASSA E INDEBOLISCE LE FORZE DELLA MALATTIA INTERIORE.

 

ESPANDENDO I LUOGHI OCCULTI IN CUI L’ESSENZA LOGOS

PUO’ IMPRIMERE

SECONDO LIBERTA’ D’ASCESI

IL SUO REDIMERE SUPREMO.

 

ARCANGELICO FERREO CONTEMPLARE NEL CENTRO

DEL PENSARE.

 

ESSENZA UNITIVA DEL CONCETTO CHE GIUNGE A FARSI RITO SOLARE.

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 4/18064

RESPIRO DEI CIELI

 

NELL’ALTO PENSARE SI UNIFICA IL VOLTO INTERIORE.

E RISORGE.

 

LA VERA QUALITA’

(IMPOSSIBILE E NEGATA NEL PLAUSIBILE MENTIRE CEREBRALE)

SI IMPRIME E SVELA E MANIFESTA IL SUPREMO VALORE.

 

LE RAZIONALITA’ SORRETTE DAL TANGIBILE VIVERE NEL MONDO FISICO :

SI SVELANO ATTRAVERSATE E DOMINATE  DA UNA CORRENTE CHE BRAMA PIATTEZZA E PESO.

 

FRANTUMATE E BALBETTANTI VITE INTERIORI

IN CUI LE BANALITA’ RAZIONALI SONO ASSEDIATE E MOSSE DALL’ANTIAMORE.

 

 

TUTTO CIO’ NELL’ATTO DELL’IDEA :

E’ COME SE VENISSE POSTO DINANZI AL RISORGERE DEL POTERE DI CUI ERA LA NEGAZIONE.

 

RESURREZIONE CHE IN QUANTO SI MANIFESTA

URTA CONSUMA E CANCELLA QUANTO LA ODIAVA.

 

NELL’ATTIMO IN CUI LA SINTESI RIESCE AD ATTUARSI

E PUO’ ESSERE CONTEMPLATA :

SORGE  NELL’ACUME L’ESSENZA DI UN VALORE

CHE FRANTUMA L’ANIMA PERVERSA DEL NEGARE  INTERNO AL RAZIOCINIO.

 

IL METRO DI OGNI VALORE SI CREA RISORGE E AGISCE NEL RITO DELL’IDEA.

 

E L’INTIMA VIRTU’ DELLE ARMONIE FOLGORA.

 

ATTO DI ACUME NEL FERRO CELESTE DELL’ARCANGELO.

 

STRENUA VOLONTA’ SPESA INNALZANDO I LIVELLI DEL PENSARE.

 

SINO AL CONSACRARE IL CUI RESPIRO GIUNGE SINO AI CIELI.

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 5/18065

INCENDIA L’ORIZZONTE

 

DENSI PENSIERI CARNEI GIUNGONO A FARSI OSSEI.

PEGGIORANDO.

 

RIGIDA NEL DISPREZZO L’ARIDA CORRENTE DEL MALEDIRE :

QUASI TANGIBILE COME CORRENTE DI ENERGIE :

SOMMERGE GLI INFETTATI PORTANDOLI AL DELIRIO.

 

EPPURE MASSE STERMINATE DI OTTUSI NELLA RABBIA :

PERDONO POTERE.

DIVENGONO ACCESSIBILI AGLI STRALI DEL DESTINO RETTIFICATORE.

VENGONO COLPITI DAL DISVELARSI DEL LORO MENTIRE.

 

VI E’ LUCE SACRA CHE COME FORZA DELL’ALTRUI ACUME

ORA LI FERISCE E LI RENDE VULNERABILI.

 

CROLLANO SECOLARI BASTIONI DI PERFIDIA E DI MENZOGNA.

 

LA TELLURICAMENTE FERREA ALBIONE ORA ARRUGINISCE.

 

AFFILATISSIMA INTANGIBILE MISTERIOSA FORZA DI VERITA’ :

ORA COLPISCE GLI ASTUTISSIMI DEMENTI.

 

NEI PIU’ RAREFATTI ALTISSIMI LAMPI DELL’IDEA :

TENUISSIMA LAMA DELL’ARCANGELO IMMETTE CORRENTI DI VERITA’.

 

NEL MONDO DELLE FORZE ORA UN IRRADIARSI DI METALLO CELESTE HA LA FACOLTA’ DI RISVEGLIARE NUMEROSI MOTI DI ACUME.

 

NEL FUTURO ORO E NELL’ACCIAIO.

 

NEL PURISSIMO LAMPEGGIARE

IN CUI DALLA LIBERA VOLONTA’ NASCE L’INCANTO.

 

VERITA’ VIVENTE CHE SEPPURE NON COMPRESA NELL’UMANO :

AGISCE ALL’ORIZZONTE.

 

SCULTOREO IMMETTERSI DI ARMONIE MORALI.

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 HELIOS FK AZIONE SOLARE

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https://www.ecoantroposophia.it/2014/07/arte/fk-azione-solare/ascesi-del-pensiero/

http://folgoperis.blogspot.it/2014/07/ascesi-del-pensiero.html

 

“A VOLTE UNO SCHIAFFO SALVA UNA VITA” (di Rastignac)

Certo, ognuno ha la propria rispettabile storia, ma sarebbe offensivo se dicessi che probabilmente 1 o 2 anni d’antroposofia sono troppo poco, non tanto in termini di tempo convenzionale quanto nel senso di conoscenza e del livello di questa?

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Comprendere è lunga e pugnace impresa, così è difficile comprendere con qualche lettura d’attacco che l’antroposofia sia una corrente iniziatica, cioè un evento spirituale mediato nel mondo tramite eccezionali figure umane operanti concordemente a esseri sovraumani.

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Il fatto che essa sembri accessibile poiché è facile reperire testi, non dovrebbe trarre in inganno: come in fondo è sempre stato, la Scienza dello Spirito è “moderna” nella misura in cui si è voluto che essa fosse adeguata ai tempi e, cosa più importante, alla struttura della coscienza umana contemporanea.

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Coscienza che dapprima, leggendo i testi magari senza impegno, capisce poco rispetto ai molti livelli che si aprono in perfetta corrispondenza al pensiero che diventi attivo, insieme al sentire e al volere. Un paragone concreto e comprensibile del divario iniziale potrebbe venir dato dall’esercizio di “asta e filetto” che si eseguiva in prima elementare e che precedeva gli iniziali tentativi di scrittura. Scambiare l’asta e filetto con il saper scrivere porta a pasticci senza fine.

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Pur nel rispetto dei sentimenti di tanti, mi sembra che troppo sovente si sia scambiata la Scienza dello Spirito per uno dei tanti spiritualismi all’acqua di rose della new age e se non lo si è fatto spesso si fa il possibile per farlo sembrare.

Ridurre o tradurre l’antroposofia a schematizzazioni, farne dei “Bignami”su cui per sopraggiunta pure discutere, è possibile e molti l’hanno già fatto: sapendo tutto senza aver capito nulla.

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Se dico che l’antico Saturno fu una massa di calore che si evolse in una massa gassosa che chiamiamo antico Sole, non faccio sintesi spirituale ma esprimo un contenuto simile a: «Luigi l’altro ieri ha mangiato cinque biscotti e ieri ne ha mangiati sei». E il prodotto è solo una caricatura che non porta da nessuna parte.

Quello che mi domando è: cosa si legge veramente? Non di certo le opere dedicate al Metodo conoscitivo goethiano o La Filosofia della Libertà – sono troppo difficili con il loro linguaggio filosofico – ma almeno Teosofia… dove però il Dottore ricorda che la comune lettura «non vale per questo libro» in cui «ogni pagina, spesso anche pochi periodi dovranno essere conquistati con sforzo» poiché «chi si limiti a scorrerlo, non lo avrà affatto letto», e aggiunge che quanto in esso viene comunicato, va pure “sperimentato”.

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Oppure La Scienza Occulta dove, poveri noi, nella sua caratterizzazione (1° Capitolo) l’Autore sottolinea l’importanza primaria dell’attività psichica, «ché il lettore perviene ai fatti descritti solamente se riesce a svolgere egli stesso, in modo adeguato, tale attività».

Ecco: mi sono permesso di usare il Dottore (e di ciò mi scuso) per affermare che lo studio dell’antroposofia non può, per il carattere dei suoi contenuti e per lo scopo che si prefigge, essere ‘facile ’e neppure ‘facilitato’.

*

L’apparente facilità con cui possono venire letti i Testi è il primo, occulto, ostacolo che si presenta all’anima del ricercatore. Il Dottore già in un testo complessivo come La Scienza Occulta dice tutto ed è già la perfetta sintesi di ciò che può venire afferrato dalla ragione e quanto può manifestarsi al ricercatore dello Spirito.

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Ma dico: chi, di fronte ad un testo in latino medievale o ad una complessa dimostrazione matematico-geometrica o davanti all’Etica di Spinosa, chi potrebbe pensare di capire evitando gli sforzi necessari?

Persino per farti diventare uno con la divisa, ai Centri Addestramento Reclute, ti facevano marciare otto ore al giorno per tre mesi! L’uovo di Colombo consiste in uno sforzo disciplinato, in un pensiero che si rianimi dalla passività del percepito sensibile adeguandosi al contenuto della lettura, al suo percorso: riattivandolo con una attività logico-immaginativa per iniziativa nostra ma strettamente conforme all’architettura di ogni singolo rigo del testo. Questo è il primo lavoro che andrebbe fatto, proprio per “motivarsi” e non perdere tempo.

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È scorretto, sbagliato (questa l’ho sentita), confrontare L’Iniziazione con il Manuale. L’Iniziazione di Steiner non è una semplice somma di indicazioni, ma un complesso dialogo su come e cosa l’anima debba sperimentare nel lungo cammino che la separa dalla condizione ordinaria sino alla soglia di una totale reintegrazione spirituale a cui sono chiamati pochissimi, e nessuno nel breve tempo di una singola esistenza.

Ciò nondimeno le indicazioni più elementari che il ricercatore trova nelle prime pagine del testo sono tutte condizioni necessarie, come avere le gambe per camminare.

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Il Manuale, invece, è ciò che il suo titolo suggerisce: un manuale. Scaligero, voglio ricordare, nell’arco di oltre vent’anni aveva scritto già 15 libri che non trattavano ippica o cucina. Poiché da un lato eravamo un po ’scemi e dal lato opposto qualcuno era ormai attivo e preparato, scrisse con il Manuale un testo d’uso, rivolto, in primis, a chi già operava avendo compreso cosa fosse la Via del Pensiero di cui, a parer mio, i primi capitoletti sono comunque una splendida sintesi molto concreta. Studiarli e comprenderli alla radice offrono all’anima il terreno più solido che possa presentarsi.

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L’antroposofia è una Scuola di vera vita interiore ma non deve essere una imitazione della scuola in cui, pigramente, si chiede al compagno la risposta su di un argomento che, per inettitudine o indolenza, non si è studiato. Così si va qua e là e si chiede a qualcuno di dare una risposta facile ad interrogativi che non dovrebbero nemmeno esistere se almeno si possedesse il prodotto più ottuso dello studio antroposofico: il nozionismo relativo alle Opere fondamentali. In questo campo l’orientatore deve sviluppare la massima comprensione ma non una sorta di buonismo ideologico che diviene complicità, poiché in tale modo sorregge e dignifica difetti e mancanze: l’opposto dell’atto morale di cui, a sproposito, si parla spesso.

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So che queste righe possono sembrare dure (il che non vuole assolutamente essere): possono essere sentite persino come rimproveri o schiaffi; però mi si lasci passare nell’anima un’osservazione di Scaligero: «A volte uno schiaffo salva una vita».

 

LUCE E TENEBRA DEL SILENZIO (di M. Sagramora)

*

Stare da soli con se stessi sembra non essere piú una cosa piacevole e ricercata. Si desidera la presenza dell’altro, degli altri, magari con il telefonino, in chat, sui social, nelle mail o anche guardando la Tv, ascoltando la radio o la musica in cuffia. In strada si vedono persone camminare parlando a voce alta, a volte agitando le braccia per sottolineare il discorso.

Ho assistito, involontariamente alla fine di un amore, mentre mi recavo a fare la spesa mattutina. Una giovane donna in lacrime chiedeva spiegazioni del perché veniva lasciata, cosí, per telefono: uno strano modo di interrompere una relazione, da lontano, senza guardarsi ne­gli occhi, forse per impedire una possibile riconciliazione.

Restare in silenzio con se stessi è corroborante: si recuperano quelle forze che continuamente vengono disperse nella nostra partecipazione con altri all’impegno quotidiano.

Dobbiamo sempre rendere conto del nostro operare alle persone che ci circondano, ne subiamo il giudizio, espresso o sottaciuto, anche se a volte ne condividiamo volentieri azioni e pensieri. Siamo esseri sociali, e non dobbiamo isolarci. Ma riservarci dei momenti di silenzio fisico e mentale ci restituisce il giusto equilibrio per tornare a collaborare senza tensioni o avversioni. Distaccarci per rimettere al centro il nostro “Io”.

E se durante questo distacco inseriamo la disciplina interiore, torneremo a operare con energie rinnovate e una serenità di spirito che coinvolgerà le persone vicine a noi.

Esperienza vissuta durante un recente viaggio aereo verso la Scozia: alla partenza si era imbarcata una nutrita comitiva di italiani che si recavano a Glasgow per un evento ciclistico internazionale. C’erano i partecipanti alle gare che sarebbero state disputate, con accompagnatori, tecnici e familiari. Tutti chiacchieravano festosamente, e anche piuttosto rumorosamente. Si scambiavano i posti, chiamavano ripetutamente la hostess per richieste di vario genere. Quando il carrello con le vivande e le bibite è passato, molti hanno chiesto alcolici e brindato allegramente, altri invece discutevano animatamente.

La cosa sarebbe continuata cosí fino al termine del volo, se non ci fosse stata una improvvisa turbolenza, con la voce del comandante ad imporre di restare seduti e di tenere allacciate le cinture. Anche le hostess e lo steward hanno interrotto il servizio e si sono seduti. L’aereo continuava a dare forti scossoni e vuoti d’aria. Un silenzio è calato all’interno del velivolo. Tutti in quel momento sono rientrati in sé. Passati cinque minuti o poco piú, l’aero ha ritrovato il suo assetto e tutto è tornato alla normalità. Ma l’atmosfera era del tutto cambiata. Quel ciarlare precedente non è ripreso, e all’arrivo le persone che si erano imbarcate in maniera chiassosa sono scese composte e tranquille. Il loro “Io” era tornato al centro.

Il silenzio e il raccoglimento in sé, anche di pochi minuti, è una terapia, e quando è fatto insieme, rappresenta una feconda terapia di gruppo.

C’è però un silenzio che ha un profondo aspetto negativo, ed è il silenzio di chi non parla ad altre persone, persino nel proprio ambito famigliare, chiudendosi in un mutismo che pesa e intende colpire, che mostra un aperto disinteresse, un voluto isolamento che gli altri cercano di superare ma non riescono a scalfire. Molti drammi di questo genere si consumano nelle case o negli ambienti dove si vive a stretto contatto.

C’è il silenzio di figli che non visitano e neppure telefonano ai genitori da anni, per una colpa a loro attribuita che non riescono a perdonare. Quel mutismo si sbocca a volte solo dopo la loro morte, e allora ci si chiede perché non si era fatto quel passo, non si era interrotto quel duro silenzio accusatore.

Un tempo la religione aiutava a vincere questi blocchi. Si andava dal confessore e questi suggeriva di agire con carità e compassione anche verso chi si presumeva avesse sbagliato. Citava il vangelo e la parabola del Cristo nel discorso della montagna: «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello».

Ora si va dallo psicologo, un confessore laico, e per di piú a pagamento, il quale, se non è un illuminato, non farà che sviscerare traumi subiti nell’infanzia, fissazioni attuali e pregresse, incontri sbagliati che hanno lasciato ferite non ancora cicatrizzate, colpe dei genitori o dei partner incontrati e lasciati. Tutto ciò non aiuterà certo a trovare un equilibrio, e a tentare una necessaria riconciliazione.

Ne hanno fatto di danni questi presunti aiutatori, in realtà spesso persone che hanno scelto tale disciplina perché a loro volta disturbate e cariche di quei “complessi” da cui presumono liberare i loro pazienti!

Cosí scrive Massimo Scaligero in quel mirabile libro che ogni serio e sano psicologo o psicanalista dovrebbe conoscere, Psicoterapia – Fondamenti esoterici: «Dagli Psicoterapeuti del presente tempo la dimensione metanoetica della coscienza invero è stata ignorata, onde si sono scientificamente coltivati nella psiche impulsi d’autonomia non riferibili al loro fondamento, bensí alla corporeità, epperò si è confusa la fenomenologia della libertà con quella della istintività. Le psicologie, le pedagogie e le filosofie hanno cessato di conoscere l’organismo dell’uomo come struttura sorretta da gerarchie di forze estrasensibili, operanti parimenti nella Natura e nel Cosmo, secondo un ordine che tende a manifestarsi nella coscienza e la cui conoscenza è il reale principio della Psicoterapia».

Lo psicoterapeuta dovrebbe quindi essere una sorta di novello sacerdote, per poter aiutare a sciogliere nodi, a salvare dal silenzio colpevole e a riportare serenità nei rapporti famigliari e sociali.

L’immagine che mi diede un giorno Massimo, rimasta indelebile nella mia mente, è quella di un calmo lago che riflette il cielo. Lo psicologo che fruga nel passato del paziente alla ricerca di drammi e colpe da attribuire, è come un agitatore della mota che giace sul fondo del lago, facendola salire in superficie a intorbidare l’acqua: questa non rifletterà piú il cielo, cosí come il paziente non farà che rimuginare sul torbido del suo passato, che deve invece restare là dove è decantato, lasciando libera la psiche di affrontare, con luminosa trasparenza, il presente e il futuro.

Ognuno è il vero e unico costruttore di se stesso, senza appigli informatici, telematici o psicoterapeutici. Nel silenzio della propria interiorità, lontano dalle eccessive stimolazioni esteriori – spesso ricercate per tacitare quella che in altri tempi veniva chiamata “la voce della coscienza” – si ritrova la centralità del proprio essere e la soluzione a problemi spesso risolvibili con una generosa disponibilità verso l’altro: si attiva la forza del perdono.

Sulla porta dello studio di Via Cadolini Massimo mi chiese di scrivere con il pennello giallo, sulla porta verniciata di verde, una frase che alcuni ricorderanno, e che intendeva suggerire la giusta atmosfera interiore a chi arrivava: «Pax et bonum. Silentium!».

Marina Sagramora

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per gentile concessione de L’Archetipo

https://www.larchetipo.com/2023/09/socialita/luce-e-tenebra-del-silenzio/

AUTUNNO (di M. Scaligero)

(“Autunno nel villaggio” di M.Chagall)

*

AUTUNNO

Un venticello autunnale

spira tra i pallidi rami

mentre la foglia già frale

quasi da molli richiami

tratta di dolce usignolo

si stacca e tremula e lenta

va a riposare sul suolo.

🍁

Già son le foglie appassite,

già gli arboscelli son spogli,

co’ pampini s’erge la vite,

sorgono nuovi germogli

pe’ fertili ed umidi campi

vi regna il porifero autunno

calcatis sordidus uvis.

🍁

2 agosto 1919 (Massimo Scaligero)

Lettera APOCRIFA di Goethe dal suo Viaggio in Italia (di R. Arcon)

(UN “FALSO” PRELIBATO (SPECIALMENTE PER CHI CONOSCE QUALCOSA DI SCRITTI GOETHIANI.
E SE VI PIACE RINGRAZIATE RENZO ARCON, NON ME. Franco Giovi)
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Lettera APOCRIFA di Goethe dal suo Viaggio in Italia
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Mentre sempre più chiaro si delinea ai miei occhi quanto in questo viaggio ho appreso intorno al mondo minerale e vegetale, mentre ormai le meraviglie di bellezza che finalmente ho potuto ammirare sono parte di me e da me rifluiscono come forze vive che daran frutti al mio ritorno, trovo il tempo ancora di sviluppare le mie osservazioni sulla natura per sciogliere gli ultimi veli di cui essa pudicamente s’avvolge.
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Ho raccolto, malgrado il mio proposito di non gravarmi di pesi di tal genere, svariati campioni di minerale ed osservato che la conoscenza di essi non può che limitarsi al mero constatarne la presenza, la pluralità e le intrinseche qualità che pongono ciascun aspetto di essi in relazione agli altri, sicché il fenomeno della loro esistenza si esaurisce in rapporti spaziali e nulla di più è dato sapere di essi se non ch’essi esistono e interagiscono tra di loro.
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Non così mi si presenta quanto a ciò che riguarda l’essere delle piante, della vegetazione. Già vi scrissi come s’andò formando in me il pensiero che vi sia alla base d’ogni aspetto e d’ogni fenomeno riguardante il mondo vegetale una tal “pianta primigenia”, la quale va trasformandosi in infinite metamorfosi, dando origine e alle singole parti d’una specie e alla loro diversità in relazione all’ambiente in cui viene ad agire. Sicché, come già vi dissi, con questa pianta primordiale posso ben comprendere ogni essere vegetale e inventarne di nuovi che, ove certe condizioni d’ambiente lo permettessero, potrebbero bene configurarsi e svilupparsi ed essere del tutto reali.
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In una lettera ricordo d’avervi detto che questa mia teoria non solo giustifica l’aspetto e la diversificazione delle piante, ma è applicabile agli altri organismi come gli animali e infine anche all’uomo. È l’“animalità” nell’animale che produce le varie specie, che io intendo essere appunto specializzazione di certi caratteri sugli altri in maniera più o meno perfetta, e da cui mi par cogliere il motivo per il quale vi sono esseri complessi e semplici, tutti dotati di precise caratteristiche, così che ad esempio ci par il cavallo nato per la corsa, il pesce per il nuoto, gli uccelli per il volo e il cane per fiutare.
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Né mi sfugge che l’uomo stesso deve essere connesso a questo “tipo” o entelechia animale e che in quanto essere organico porti a sviluppo ed armonia quelle caratteristiche che la totalità delle specie animali esprime, così che la sola capacità di ragione è nell’uomo privilegiata e le altre concorrono tutte a dar spazio e giustificazione a questa.
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M’è altrettanto chiaro che la ragione, che dagli altri esseri organici distingue l’umano nell’uomo, è fondata sulla capacità di formare giudizi, e che questi son risultato della capacità di pensare. Ma questo pensare mi pare assomigliare a quel diversificarsi della pianta primigenia ove unico è il fondamento e complesse e diverse le sue determinazioni: noi passiamo da un concetto al successivo dimenticando i precedenti e tuttavia in ogni seguente determinazione accogliendo tutto lo svolgimento del processo, sicché il pensare è come un essere di continuo germogliante secondo un’entelechia interna al pensare stesso.
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Ma questo svolgersi dei concetti l’un dopo l’altro e il contenuto degli stessi dipende strettamente e dall’oggetto cui si volge il pensare e dal soggetto che pensa, così che, nel suo apparire, diverso sembra il pensiero da un uomo all’altro, pur uguale permanendo la sua scaturigine.
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Che quest’osservazione sia vicina al vero mi par evidente dalle matematiche, ove essendo presupposto uguale l’oggetto ed il soggetto facendosi uno con esso non v’è ragione che non concordi con esso e in esso non riconosca un identico processo. Se noi constatassimo come la foglia sia nell’essere vegetale il principio di tutte le metamorfosi, e come ogni aspetto di esso non sia che modificazione di quella, avremmo trovato la matematica relativa al mondo vegetale.
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Ma l’entelechia nei vegetali non è già la foglia bensì ciò che la determina ed il principio interno che la fa esser tale e ne produce i mutamenti. Così è nel pensare. Io credo che qui l’uomo possa afferrare la sua umanità ove scopra dove il “pensare primo” agisce nel passare da un concetto al successivo esprimendo se stesso secondo necessità del suo stesso essere: dove l’uomo è un essere per così dire divino.
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Renzo Arcon

L’ARCHETIPO-SETTEMBRE 2023

Anno XXVIII n. 9

Settembre 2023

In questo numero:

FIGURE INTOCCABILI NEL PANORAMA ANTROPOSOFICO (di F. Giovi)

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Sembrano esserci, nel panorama antroposofico, figure che sono intoccabili, che se le sfiori con un pensiero che non sia di devota adesione, sei condannabile per blasfemia! Persino se scrivi e riscrivi che i Testi, ben oltre la lettura, sono operativi e dunque da trattare con rispetto e non con bramosia culturale infastidisci Tizio o Caio o chi non può fare a meno di gridare in piazza.
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Amici, documentatevi con cuore ed intelletto: e scoprirete che i migliori discepoli di Steiner furono quelli che seppero mantenere una ferma (persino feroce!) autonomia e capacità critica nei confronti suoi e dell’opera sino a quando la loro stessa esperienza confermò le indicazioni del Dottore: ma è questione di autonomia interiore, di intuirne il valore. Se questa manca parlo al vuoto.
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Però il polverone è conturbante e potrebbe essere esaminato alla luce delle abbondanti indagini del dottor Freud riguardanti le pulsioni verso das Mutter più che con i mezzi della Scienza dello Spirito.
Comunque, a chi sta davvero fuori dalle beghe di bottega, pare piuttosto che si tratti di un fenomeno di antroposofismo misticizzato e inchiodato, ridotto (pure quello!) a chiesismo: chiesismo ruzzolato nei settarismi esasperati dove ricerca e conoscenza sono astrazioni dissacrate, ammazzate e ben sepolte.
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Ho potuto constatare nel nostro Paese, un po’ dappertutto, come tante anime intrise di cattolicesimo, scivolino senza alcun mutamento interiore verso ammaestramenti scientifico-spirituali: il risultato è un ircocervo che trasmette il peggio del primo nei secondi.
Si è giunti ad un punto tale di ipogeica bassezza che chi ascoltò per molti anni il verbo della saggezza, oggi irride chi sa meditare nella propria stanza o, se volete, nella yurta o nel teepee (all’aria aperta, probabilmente, il giudizio non cambierebbe) snaturandone la realtà come se chi medita contemplasse inebetito il proprio ombelico.
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Però vige ancora e sempre la speranza che arrivi qualcuno che sia portatore di una rinascenza, come un vento di freschezza giungente magari da Berlino o da Singapore. Che arrivi da fuori e da lontano. Mi dispiace.
Così l’Io che si è, anche se non pare molto, viene sempre lasciato indietro: certamente sembra che non abbia dato granché…eppure piano piano una consapevole dedizione e una grandissima pazienza sarebbero già il miracolo che non arriva mai quando lo si cerchi fuori e a caso: meglio il tripudio panico no?
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Se si attinge al coraggio di guardare la situazione come essa sia, senza fantasie consolatorie, non dovrebbe essere impossibile realizzare quanto la via sia stata percorsa poco e male. E chi ha svolto poco e male il compito dovrebbe tacere!
Piuttosto pare che l’idea dell’azione consista nel tenere ben chiusi gli occhi davanti le stramberie e lo strame accumulati dal bulimico ossesso di turno sui Testi di Steiner, di Scaligero – in effetti su qualunque malcapitato tema, riuscendo persino a sfregiare e ridicolizzare le discipline della Scuola Esoterica – ed invece a fare da appassionati campioni degli “occultologi fuori di testa” (termine apparso su giornali) e dei volponi venditori di corsi di puzze fritte. Questa è l’azione?
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Amici interdetti si chiederanno in cosa queste ultime righe abbiano a che vedere con gli scritti di Steiner e Scaligero: potrei rispondere: poco o molto o niente del tutto: dipende dal punto d’osservazione.
Questo ambaradan di cui certo malamente scrivo, si presenta come parte del quadro che davanti la conoscenza (Steiner) o nell’esperienza (Scaligero) non dovrebbe neppure esistere: adesione alle fantasie della psiche e fede in ciò che è il rifiuto o l’oblio della conoscenza o esperienza che, in alcuni momenti in talune figure, forse almeno come direzione, inizialmente ci furono.
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Oggi però costoro paiono ricordare ciò che resta dopo aver bevuto a garganella dalla spumeggiante acqua del Lete. Il pensiero della testa, nel vero esoterismo, non è sufficiente.
Cercare costantemente in altro ciò che urge nell’Io è il capovolgimento dell’assunto apicale della moderna Scienza dello Spirito.
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A meno che non risulti una strutturale incapacità di discriminare tra ego e Io, tra anima e spirito. Allora si sparano continue bordate contro l’uno o l’altro solo per questioni di carattere, che, per analogia è soltanto la carta, la confezione e non l’oggetto. Con quale metro si invalida tutto? E dietro una sottile facciata di comprensione più falsa di Giuda, vedi tutti i colori umorali che si sventagliano dal risentimento per passare all’antipatia sino al livore più radicale.
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Il nocciolo del problema resta sempre una questione di livello: rigorosamente distinto dalla sfera in cui si esplica il proprio inutile monologo discorsivo, vuoto di morale poiché si bramerebbe moralisticamente che il proprio modo di sentire potesse venir riversato nelle altre anime.
Genericamente, i detrattori grandi e piccini della via del pensiero, mancano di disciplina interiore, né conoscono neppure l’ombra di cosa sia il volere transpersonale.
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Questo lo scrivo con sicurezza certa: sbertucciatemi pure ma so che è così: se non avessi realizzato il silenzio dell’anima potrei semplicemente percepire un distaccato disgusto verso i plotoni di pupari e pupi: corrotti dalla lunga frequentazione (fornicazione intrecciata) di personalismo e antroposofismo: scienza dello spirito subordinata ai propri fini.
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Con le chiacchiere si è così lontani dalla vera Scienza dello Spirito che nemmeno si concepiscono le esperienze che il ricercatore trova lungo il cammino interiore che – santa pazienza! – è davvero un cammino su gradini illuminativi di percezione verso il riequilibrio degli eteri presso il cuore: da dove ascende in quieto, gioioso e inarrestabile impeto la potenza cosmica del Logos: mahâkâly ânanda.
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E’ la forza che fluisce nel centro come nelle lontananze: si sperimenta nella più intima realtà di noi stessi come essa sia l’illimitata portatrice di salvezza, redenzione e trasformazione dell’uomo e del mondo sino alla mineralità di questi: giungere ad essa è azione vera, tentare di giungere ad essa è azione vera.
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Le discipline portano l’operatore ascetico ben oltre i limiti e i luoghi conosciuti dagli uomini ma non ci mondano interamente dalla nostra infamia quotidiana: lo fa la Forza che si dona, che sboccia: qui, in Occidente, possiamo chiamarla col nome antico di Misericordia.
Le discipline che investono tutto l’essere divengono la retta domanda: solo alla retta domanda risponde il Cielo.
Ma anche nel suo minimo, nei più timidi vagiti, è questione di spirito, non di anima quando e se questa viene confusa con il calderone di istinti, vitalismi e passioncelle personali e talvolta di volgare benché astuto plagio. Che confusione, amici miei!
E’ sempre una questione di livello, ma chi è prigioniero della propria anima, non sa di che parlo.

PUO’ L’ UOMO USCIRE DAL TURBINE…? (di F. Giovi)

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Riesce dunque l’uomo ad opporsi o a sfuggire alle immagini (e ai sentimenti) che lo assalgono con la furia e la velocità dei predatori naturali, piombando in lui da luoghi oscuri ed ignoti, o piuttosto trascorre la vita subendo l’incessante dominio di forze scaturenti fuori dalla sua coscienza e comprensione?
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Secondo l’osservazione della vita animica dell’uomo in quanto desto e autoconsapevole, la pratica della Concentrazione può configurarsi come l’istanza conoscitiva più estrema: guadagnare una condizione da cui sia possibile vedere cosa sia il conoscere, ed afferrarlo.
La Concentrazione non è tanto una sorta di esercizio mistico o magico, quanto l’urgere di una coerenza epistemologica che ancora non c’è o va perdendosi poiché manca l’umano. Invero domina il subumano a cui siamo stancamente abituati, fatto salvo un senso d’irrealtà e disagio morale verso la sceneggiata quotidiana, quale che sia la sua parenza di valore.
Siamo immersi in una sfera di sottocoscienza in cui libertà, impulsi morali, conoscenza, il vero o il falso sono le rappresentazioni fantasmatiche di una entità umana che non pensa ma viene pensata, che non sente ma viene sentita, i cui istinti sono scambiati per volizioni.
È un livello in cui non può reggere alcuna verità e alcun giudizio sull’azione che l’uomo compie, poiché, ad essere sinceri, non sappiamo da chi e perché le azioni sono state compiute.
Tutti sono innocenti, anche gli esseri più abbietti, dato che essi, al pari dell’uomo dabbene, sono mossi dallo sconosciuto altro-da-sé. L’essere umano contemporaneo è, di norma, un medium inconsapevole della propria medianità.
L’ordinario fatto che tutti combattano tutti a fin di bene e con giusta causa, traendo il senso di sé dal risentimento e dall’avversione, persino nelle cosiddette comunità spirituali, dovrebbe almeno indurre a qualche riflessione che difficilmente trova coincidenza con le magnifiche e progressive sorti.
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Quando il ricercatore dello Spirito inizia l’esercizio interiore, si muove da una situazione animica non dissimile, poiché non è più desto degli altri uomini, né possiede organi per conoscere la giustezza della sua scelta. L’ottemperanza alle minime regole interne alla tecnica della concentrazione porta l’uomo interiore a modificazioni essenziali che (ben oltre gli occasionali fenomeni estranormali) verranno colte quali trasformazioni dell’anima dopo tempi lunghi di maturazione.
Predeterminare una linea di pensieri o un unico pensiero da pensare, limitando solo a ciò tutta l’attenzione cosciente di cui si sia capaci, attiva il circuito di una forza celata dal volere e mai prima avvertita, in spazi d’anima sconosciuti a qualsiasi precedente autosservazione. Il dazio da pagare per chi si rende capace di ripetere tale operazione sarà sempre un pesante tributo alle difficoltà generali che sembreranno moltiplicarsi o assumere carattere di sacrificio.
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L’uomo, dal momento in cui si predispone ad una definita coscienza terrestre, è privo della capacità di concentrarsi volitivamente, almeno in una misura degna di nota. Molti credono di concentrarsi quando vengono afferrati da un’idea che s’impone nell’anima trasportandoli lontano dalle sensazioni immediate. Allo stesso modo, quando l’imponenza e la bellezza di forme e colori naturali cattura la coscienza nel percepito, alcune nature giudicano a posteriori d’avere vissuto una esperienza mistica o cosmica: non impossibile ma improbabile, almeno per chi si attiene alla robusta concretezza dei veri mistici, che non sono fantasiosi. Osserva con sagace senso pratico Teresa d’Avila, nel suo Castello interiore: “Sono convinti che si tratti di arrobamiento (estasi) ma io lo chiamo abobamiento (ottusità).
Al contrario, chiunque potrebbe provare in qualsiasi istante che gli è impossibile mantenere l’attenzione per un significativo periodo di tempo su un qualsiasi particolare di quanto lo attornia. Come se qualcosa lo obbligasse a spostare di continuo occhi e coscienza da un particolare ad un altro, a un altro ancora. Senza posa.
Numerose Logge, Congreghe, Officine, Conventi ecc. detengono tecniche, tra loro assai simili, capaci di scantonare nei riguardi delle forze di coscienza dei nuovi tempi e di quanto a queste possa o debba corrispondere. Quando il tutto non si riassuma in una liturgia di simboli noti e persino ingenui, e in riassunti di approfondimento su incastri alfanumerici, beninteso gabbati come preziose reliquie dell’“antica Sapienza egizia”, il nocciolo del lavoro interiore corrisponde sempre a sistemi propizianti l’ipnosi o la trance autoindotta. Il restante, quello che gira liberamente e con ampia diffusione, è in unico blocco l’espressione tout-court della trionfante riforma spiritualistica dipendente dal subumano.
A chiarimento di cosa si stia parlando, prendo,  purtroppo a caso, una rivistina patinata e di buona grafica che impudicamente si titoleggia in copertina come “Itinerari dello Spirito”, riportando l’incipit dell’articolo principale: «Ho incontrato molte persone che mi hanno detto: “Ho provato a fare meditazione ma non ci riesco”. Impossibile, dico io, meditare è la cosa piú facile che ci sia. Il problema è che c’è un enorme malinteso. Meditare non vuol dire concentrarsi, costringere la propria mente a pensare questo o quello. Gli esercizi di concentrazione servono, in teoria, a prepararci a meditare, ma non sono meditazione. Anzi secondo me sono inutili, se non dannosi. Inutile tentare di impedirsi di pensare, è una cosa impossibile. Se penso di non pensare sto comunque pensando…lo scopo della meditazione è quello di rilassare il cervello, farlo riposare… pensando ci sforziamo. Bisogna smettere di sforzarsi a pensare. Essere pigri, sonnolenti, sornioni…».
Il tanto suesposto vale per tutta la marea del consimile su cui considero perfettamente inutile il giudizio. Per giungere a tali realizzazioni basterebbe un buon sonno o qualche molecola della famiglia delle benzodiazepine, ma giacché la coscienza comune chiama sognare sé ed il mondo col nome di veglia, l’ardimentoso spiritualismo confezionato per tale coscienza osa di più: vorrebbe fare dell’uomo un essere che dorma da sveglio. L’occultista sa che questa è una spaventosa ma realistica possibilità. L’alternativa comune all’uomo non ancora robotizzato consiste nel venire continuamente dominato da una sorta di natura emotiva autonoma che è il centro motore dei suoi pensieri ed azioni; essendo per giunta del tutto impreparato a dominarla.
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Cosa potrebbe fare allora il povero apprendista mago? Egli cammina, come tutti gli altri uomini, per le strade della vita, subendo una impollinazione incrociata tra sogno e veglia, e ciò avviene anche quando, seduto in silenzio, crede di meditare. Forse, prima di concentrarsi con sperabile profitto, il nostro motivato apprendista dovrebbe sospettare che il suo attuale mondo è sognato; a dirla tutta, anche per quanto crede di sapere sui mondi occulti, soprattutto su quanto concerne lo Spirito.
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Come fa a svegliarsi da sé uno che sogna? È un mistero. Ma forse, se il sognatore si addensasse in se stesso, se non temesse per attimi di dirsi io, IO e nient’altro? Proprio così. Distinguendosi, con uno scatto intimo, da pensieri, valori, abitudini, caratteri ai quali si attribuisce sempre una identità con se stessi, questo potrebbe essere il piccolo germe di un risveglio.
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Se qualcuno decidesse, con studio, comprensione e dedizione, di tentare la strada dell’Infinito e della Libertà, gli occorrerebbe, quanto prima e sempre troppo tardi, realizzare la più ovvia delle verità, ossia l’indiscutibile fatto che il dominatore e la cosa dominata non possono essere identici.
Con un’immagine presa a prestito: cavaliere e cavallo sono due, non una cosa sola. Finché non si impara a dominare il cavallo, non sarà possibile riconoscere con chiarezza chi è il cavaliere. Il cavallo (l’animale) è certamente forte ed esigente: non gli bastano tutti i pensieri del mondo. Non è disposto a cedere quei pochi minuti che con la disciplina interiore si cerca di sottrarre al suo avido potere.
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Non appena evocato un tema di concentrazione, uno sciame di pensieri aggredisce lo sperimentatore portandolo a dimenticare il tema proposto (e anche cosa sta facendo lì seduto). Il carattere di tali pensieri è la capacità di farsi pensare con l’urgenza prepotente dei più importanti pensieri del mondo. In quel confuso campo di battaglia della nostra sbrindellata coscienza, dove il buon cavaliere perde sempre, è forse possibile un barlume di resistenza, una futura rivincita? In una sola esistenza? Forse sì o forse no. Personalmente lo credo possibile, ma sono solo un pessimista che esercita la positività.