LA VIA ASSOLUTA

La Via dello Spirito è, e non può essere altro, che la ‘Via Assoluta’. Assoluta perché lo Spirito è l’Assoluto, l’Incondizionato, e come tale è disciolto da tutto ciò che, essendo solo relativo e manifestazione, potrebbe condizionarlo. Ciò che è relativo, ossia la manifestazione, dipende dallo Spirito che la genera, dipende dall’Assoluto, il quale, invece, non dipende affatto da essa. Lo Spirito, l’Assoluto non dipende da niente, se non da se stesso.

Facciamo un esempio, al fin di esser più chiari, per così dire di natura ‘ottico-astronomica’: il Sole è la sorgente della Luce. La Luce ha nel Sole la sua sorgente, perché da essa ‘sorge’, ed essa ha nel Sole la sua ‘scaturigine’ perché solo dal Sole essa, appunto, ‘scaturisce’. Anche la Luna, il bell’Astro della Notte che tanto allieta e commuove le anime delicate e i poeti, ci invia nelle ore notturne la sua pallida luce, ma quella lunare è luce solo ‘riflessa’, ossia essa non sorge originariamente dalla Luna, non scaturisce dalla Luna, non viene generata dalla Luna. La luce lunare, in realtà, è solo – dovremmo dire ‘era’, perché essa è ‘posteriore’ alla originaria scaturigine  – Luce solare oramai solo ‘riflessa’ e non più originariamente ‘sorgiva’. Come tale, essa dipende dalla Luce solare –  in definitiva dal Sole – dalla cui esistenza è ‘condizionata’. Infatti, durante la Neomenia, come la chiamavano gli Elleni, ossia durante il Novilunio, la Luna non c’invia nessuna luce, perché essa non la ‘genera’ affatto, non è l’originaria sorgente di quella bella luce ch’essa ci riflette durante il Plenilunio. Quindi la luce lunare, in quanto manifestazione, dipende ed è generata dal Sole e dalla Luce solare, che è Luce sorgiva, generante e manifestante, e non viceversa.

Lo Spirito, in quanto Assoluto, è – direbbero la platonica Scuola di Chartres e l’aristotelica Scolastica medievali – l’Ens realissimus, l’Essere supremamente reale,  il quale è – per dirla con Benedetto Spinozacausa sui, ossia unica, esclusiva, causa di se stesso, ossia Ente che ha unicamente in se stesso, e non in altro, la causa della propria esistenza. O, per dirla più esattamente, nell’Assoluto, e solo nell’Assoluto, ‘essenza’ ed ‘esistenza’ coincidono. Questo perché – secondo la prima proposizione dell’Ethica more geometrico demonstrata del coraggiosissimo filosofo olandese «per causam sui intelligo id, cujus essentia involvit existentiam, sive id, cujus natura non potest concipi, nisi existens», ovvero, per dirla nella bella lingua del nostro Dante, «per causa di se stesso intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza, cioè la cui natura non può essere concepita se non come esistente». Va da sé, che  essendo l’Assoluto un qualcosa ha la causa esclusivamente in se stesso, e non in altro, non può essere limitato da qualcos’altro, anche per la ragione che, a rigor di termini, fuori dello Spirito, dell’Assoluto, nulla veramente è, e non potendo essere limitato da nulla, esso è per sua stessa natura infinito.

Questi possono sembrare pensieri ‘filosofici’, ossia meramente ‘speculativi’, mentre in realtà non lo sono affatto. Essi comportano, come vedremo, conseguenze pratiche di notevole importanza. Conseguenze che il discepolo della Scienza dello Spirito, che abbia la temerarietà di voler realizzare lo Spirito, ossia di voler realizzare l’Iniziazione ad una vita spirituale più alta, farebbe bene a prendere moltissimo sul serio. Il non farlo, sia pure in buona fede, può dare origine a vari equivoci – come purtroppo è molte volte, anzi troppe volte, accaduto – equivoci che possono portare a situazioni contraddittorie, dolorose, e financo al totale fallimento della tentata impresa spirituale. Le conseguenze di una tale incomprensione di questo punto fondamentale, e degli equivoci che ne scaturiscono, sono all’origine – anzi ne sono state per un secolo abbondante, e ne sono tuttora, purtroppo, la causa specifica – della sciagurata crisi del movimento spirituale antroposofico, dello snaturamento totale della Società Antroposofica, del fallimento della missione che a quest’ultima era stata assegnata da Maestro dei Nuovi Tempi, da Rudolf Steiner, nonché delle prove dolorose e drammatiche che ha attraversato, e che tuttora attraversa, quella Comunità Solare, che Massimo Scaligero ha creato, ha impulsato, e alla quale sino alle ultime ore della sua esistenza terrena egli ha donato sacrificalmente tutte le sue forze.  

Ora, la Via dell’Iniziazione, la Via che coraggiosamente – anzi oltremodo temerariamente dal punto di vista ‘relativo’ e ‘condizionato’, che è fatalmente un punto di vista meramente ‘umano’, ‘umanotroppo umano’, in definitiva ‘umano-animale’ – intende percorrere chi voglia realizzare l’Assoluto, è una ‘Via dello Spirito’, e non una ‘via dell’anima’, come abbiamo, invece, visto troppo spesso propugnare da chi come – tanto per ritornare, una volta di più, su una vexata quaestio – l’Innominato si sforza, con varie opportune tattiche, di attuare, tentativo che, del resto, più volte su questo audace blog abbiamo nominato, apertamente denunciato, ed ogni volta rintuzzato, come una insidiosa quanto esiziale forma di ‘trasbordo ideologico inavvertito’. La ‘Via dello Spirito’ è una ‘Via di Conoscenza’, e non la via di un mero infinito e indefinito ‘miglioramento morale’, che non esce, né può mai uscire, in quanto semplicemente tale, dai ferrei limiti di una natura radicalmente dominata dalle Deità ostacolatrici. La ‘Via dello Spirito’ non è una forma di ‘pietismo’ ad uso di quelle che il poeta tedesco Wolfgang Goethe chiamava ‘die schöne Seelen’, ossia le ‘anime belle’, ‘Pietismo’ che nei secoli XVII e XVIII – in epoca ancora gabriellita – pur ebbe la sua ragion d’essere, i suoi momenti luminosi, ed in taluni casi persino il suo esoterismo, ma che oggi – in epoca michaelita – è ormai del tutto superato ed esaurito.  

La ‘Via dello Spirito’ è, necessariamente, una ‘Via del Pensiero’: quella ‘Via del Pensiero Vivente’, che Massimo Scaligero ha riposto, come un filone aureo, al centro della Scienza dello Spirito. La ragione per la quale la ‘Via dello Spirito’ è necessariamente una ‘Via del Pensiero’, la chiarisce lo stesso Rudolf Steiner nella sua Die Philosophie der Freiheit, ossia nella sua La Filosofia della Libertà, là dove nel primo capitolo, Das bewusste menschliche Handeln, L’azione umana cosciente, citando G. W. F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften (la di lui classica Enciclopedia delle scienze filosofiche), Vorrede zur 2. Ausgabe. Werke, Bd. 8, Frankfurt 1970, S. 25, così scrive, alle pp. 24-25 dell’edizione tedesca:

«Wenn wir erkennen, was Denken im allgemeinen bedeutet, dann wird es auch leicht sein, klar darüber zu werden, was für eine Rolle das Denken beim menschlichen Handeln spielt. «Das Denken macht die Seele, womit auch das Tier begabt ist, erst zum Geiste», sagt Hegel mit Recht, und deshalb wird das Denken auch dem menschlichen Handeln sein eigentümliches Gepräge geben»,

ossia, come, appunto, possiamo leggere ne La Filosofia della Libertà, Editrice Antroposofica, trad. di Dante Vigevani, Milano, 1966, p. 21:

«Quando sapessimo che cosa significa il pensare in generale, ci sarebbe anche facile comprendere l’ufficio che esso adempie nell’agire dell’uomo. «Il pensare fa sì che l’anima, di cui anche l’animale è dotato, divenga spirito», dice Hegel con ragione, e perciò il pensare darà la sua impronta caratteristica anche nell’agire dell’uomo». 

Eppure, da parte coloro che propongono in varie forme, palesi o occulte, il suddetto esiziale ‘trasbordo ideologico inavvertito’, viene sovente propugnata una ‘via dell’anima’ come unica regolare e tuttora attuale ed efficace per l’uomo di questo tempo, e più o meno sommessamente, talvolta persino apertamente, da costoro viene sottolineato come una ‘Via dello Spirito’, in quanto ‘Via del Pensiero’ possa, invece, essere – a loro dire, naturalmente – insufficiente, e persino sovente pericolosa, e citando da un paio opere di Massimo Scaligero una frase, opportunamente staccata dal contesto, affermano che «la via del pensiero può diventare la via del sublime egoismo». Vi sono stati vari casi – da chi scrive constatati e verificati personalmente – di praticanti alle quali da persona ‘autorevole’, alcuni decenni fa, venne sconsigliata la pratica della Concentrazione: tanto per rammentare un singolo caso, a mo’ di esempio, ad una energica praticante tergestina venne addirittura consigliato di sostituirla col tricot-tricot, col lavorare a maglia, cosa che la praticante, asceta moltissimo impegnata, si guardò bene dall’accogliere e dal seguire. In altri casi, purtroppo, un cotale sciagurato consiglio, o per ingenuità o per inesperienza, venne accolto, paralizzando per sempre lo sviluppo interiore: anche in questo caso ho dinanzi un evento specifico. Ripeto: purtroppo! Sarebbe meglio, molto meglio, che io asinescamente mi sbagliassi, perché in cotal caso io riderei di me stesso, ed il mondo sarebbe migliore, ma purtroppo non è così. Coloro che riportano, strumentalizzandola furbescamente, la suddetta citazione, dimenticano quel che lo stesso Massimo Scaligero scrive in un’opera, da essi indubbiamente poco conosciuta (altrimenti non direbbero e non scriverebbero certe sciocchezze), del tutto incompresa, e ancor meno amata, La logica contro l’uomo. Il mito della scienza e la via del pensiero, Tilopa, Roma, 1967, là dove nel primo capitolo della seconda parte, intitolato La ricerca dell’Io, alle pp. 156-157, così apertamente afferma che:

«L’impulso che amministra il sapere nel mondo attuale opera ormai ovunque a tagliare fuori lo spirito dalla cultura, nonostante che questa si formi grazie a conoscenze prodotte dallo spirito. Peraltro facilmente si scambia per presenza dell’Io nella cultura la tensione individualistica, che si esprime mediante ideologie tendenti ad assicurare il crisma etico-religioso all’indisturbato dominio degli istinti; mentre, per altro verso, si crede che un appello alla fondamentalità dell’Io e alla necessità di un’esperienza cosciente del suo principio, sia una via di sublime egoismo. La realtà è che proprio l’«individualista» di tipo moderno manca di individualità».

La Conoscenza spirituale – quella autentica, non quella sciagurata parodia di essa che circola in tanti ambienti a pretese esoteriche – è ben diversa dalla conoscenza meramente intellettuale, la quale non supera i limiti ferrei dell’anima razionale-affettiva, legata ai sensi corporei, al sistema nervoso, alla mediazione cerebrale. Su questo punto Massimo Scaligero è instancabilmente ritornato innumerevoli volte, mostrando come una tale ‘conoscenza’, pur espressa spesso in termini colti, filologicamente ineccepibili, sia in realtà una conoscenza apparente, una conoscenza fondamentalmente illusoria. E lo stesso Rudolf Steiner, parlando a coloro che erano stati accolti nella Scuola Esoterica, da lui rifondata dopo il Convegno di Natale del 1923, parla con totale chiarezza circa il carattere meramente apparente, e quindi illusorio, dal punto di vista spirituale, della conoscenza profana, di tutta la conoscenza profana, e persino della stessa conoscenza scientifica, che pure egli apprezzava pienamente, quando questa non era quel dilettantismo che, già da allora, sempre di più andava diffondendosi tra le corporazioni universitarie, oggi ovunque universalmente imperanti. Egli, sin dalla prima ‘lezione di Classe’, tenuta a Dornach, il 15 febbraio 1924, parlando delle esperienze che il discepolo dell’Iniziazione deve affrontare allorché giunge alla Soglia del Mondo Spirituale, vigilata da un severo Guardiano, così dice:  

«Ma per tutti coloro che sentono di essere membri di questa Scuola dovrebbe essere del tutto chiaro che quanto non viene raggiunto con questo atteggiamento d’animo [sc., con l’atteggiamento della conoscenza profana, originata dal pensiero riflesso] non è vera conoscenza, ma soltanto parvenza di conoscenza; che in quanto viene in genere considerato scienza – accolta dall’uomo prima di essere cosciente dei moniti del Guardiano della Soglia che conduce alla conoscenza spirituale – che in tutto ciò non vi è che la parvenza del sapere. Non occorre che essa rimanga tale. Noi non disprezziamo l’esteriore parvenza del sapere. Dobbiamo però renderci chiaramente conto che essa esce dallo stadio di apparente sapere solo quando si trasforma attraverso quanto l’uomo può apprendere intorno alla purificazione e alla metamorfosi del suo essere.[…] Chi non giunge a conoscere che fra la dimora nei campi dei sensi, dove dobbiamo vivere nella nostra esistenza terrena fra nascita e morte, e quel che c’è nel mondo spirituale si spalanca una voragine; chi non raggiunge un’adeguata conoscenza di questo fatto non può pervenire a una vera, reale conoscenza. Poiché solo con tale coscienza l’uomo può entrare in una vera, reale conoscenza».

Se mi è consentito, sempre al fine di essere il più chiaro possibile in un campo nel quale, oggi di chiarezza – malgrado tutto quello che Massimo Scaligero limpidamente ha scritto e detto  tra gli appartenenti alla Comunità Solare da lui fondata e instancabilmente impulsata, ve n’è molto poca, fare un esempio, a mo’ di illustrazione, tratto ancora una volta da campo dell’Ottica, accennare alla formazione di una immagine così come viene generata da una superficie catottrica, come viene chiamata in ottica geometrica, o più esattamente – secondo la denominazione usata dal Prof. Vasco Ronchi – nella geometria della radiazione ottica, ossia da uno specchio. Uno specchio piano dà di un oggetto, posto dinanzi ad esso, una immagine ‘riflessa’. Le leggi dell’Ottica definiscono un tale oggetto come ‘oggetto reale’, posto in un ‘reale spazio oggetto’, anteriore rispetto allo specchio, mentre l’immagine riflessa che di esso ne dà lo specchio sarà una ‘immagine virtuale’, situata in uno ‘spazio immagine virtuale’, sito posteriormente rispetto alla superficie dello specchio stesso. Avendo potuto studiare, per oltre cinque decenni, l’Ottica, come scienza della visione, secondo l’insegnamento di essa inaugurato, all’Istituto Nazionale di Ottica di Arcetri, dal Prof. Vasco Ronchi, posso assicurare il candido lettore, che non è sempre facile, in certe condizioni, per molti distinguere l’immagine ‘virtuale’ dall’oggetto ‘reale’, così come, invece, è facilissimo per molti, in certe condizioni, scambiare e sinceramente credere ‘reale’ l’apparente spazio immagine ‘virtuale’ dello specchio riflettente, e ciò che esso contiene. Il capitolo delle cosiddette ‘illusioni ottiche’ è un capitolo di estrema importanza nell’Ottica come scienza della visione, specificamente riguardo a quel fenomeno che viene denominato dal Prof. Ronchi, con una esatta definizione, ‘genesi del mondo apparente’, cui egli dedicherà del resto l’importantissima ed ultima delle sue opere scientifiche.

Ora immaginiamo di vedere nell’apparente spazio immagine virtuale dello specchio piano, opportunamente mascherato, l’immagine ‘riflessa’ di un cibo particolarmente gustoso, e di non essere nelle condizioni di scorgere l’oggetto ‘reale’ del quale lo specchio dà, nel fenomeno della riflessione, una ‘immagine virtuale’. Quella ‘immagine virtuale’, da chi non conosca le leggi dell’Ottica, potrà esser facilmente scambiata per un ‘oggetto reale’, e potrà persino suscitare la brama di voler afferrare e gustare quel cotal seducente cibo. Ma – come direbbe Wolfgang Goethe – i sensi non ingannano mai, semmai inganna il ‘giudizio’, ossia inganna un pensiero inetto, inesperto e incapace: un pensiero che, in realtà, non è reale, concreto, vivo pensiero. Ed è logico che sia così, perché in una condizione di ‘ignoranza’ – di avidyâ direbbero gli indiani, ossia di ‘non visione’, di ‘non retta visione’, contrapposta a vidyâ, la retta visione’, la ‘visione penetrante’ – l’essere umano, vittima del suo debole, distorto, ed offuscato conoscere, col suo incerto, anemico, assottigliato pensare, scambia facilmente per realtà ciò che reale non lo è affatto, e giunge a bramare, talvolta con una forma di sete divorante, ciò che non è reale, e che, per tale ragione, egli non potrà mai veramente cogliere e possedere. E, come insegna il Buddha Shakyamuni, da questa cieca ‘ignoranza’ nascono le sue tre male figlie: la brama, la paura e l’avversione. 

Ora, se la causa di tanto male è la cieca ‘ignoranza’ – la avidyâ, cieca appunto perché il distorto, soggettivo, assottigliato, fiacco e anemico pensare non ‘vede’ – il farmaco della guarigione non può essere altro che la ‘Conoscenza’, la Vidyâ che dona la ‘retta visione’, la ‘Gnosi folgorante’, che scuote e risveglia il pensare, liberandolo dalla sua paralisi, dal suo narcotico sonno, dalla sua debolezza, dalla sua cecità, dalla sua distorta visione, restituendolo alla sua realtà. Ma, a questo punto, occorre chiedersi quale tipo di pensare risorge dalla condizione di tramortimento, di offuscamento, di mortale paralisi. È fondamentale rendersi conto di questo punto cruciale, altrimenti non è affatto possibile comprendere perché il pensiero ‘profano’, anche il più ‘onesto’, ‘intelligente’ e ‘colto’ può dare unicamente una conoscenza ‘apparente’, non una conoscenza ‘reale’

La ragione di ciò sta tutta nella condizione di ‘riflessità’ del pensiero ordinario, del pensiero ‘profano’. Infatti, Massimo Scaligero già nel primo capitolo del suo Trattato del Pensiero Vivente. Una via oltre le filosofie occidentali, oltre lo Yoga, oltre lo Zen, 2° ediz., riveduta e ampliata, Tilopa, Roma, 1979, p. 7, così scrive:

«L’Io che l’uomo dice di essere non può essere l’Io, se non nel pensiero vivente: ancora da lui non conosciuto. Egli conosce solo il pensato, o pensiero riflesso, ma non sa come lo conosce. Deve prima pensare, per conoscere il proprio pensiero: non conosce il pensare». 

Così come la luce lunare, anche la più splendente e bella come quella del Plenilunio, non è luce ‘sorgiva’,  non è luce ‘originaria’, ma solo luce ‘riflessa’ rispetto alla vivente Luce che scaturisce dal Sole; così come l’immagine, che si forma nello ‘spazio immagine’ di uno specchio piano, è ‘virtuale’, in quanto non ‘reale’, perché ‘riflessa’, così anche il pensiero ordinario è mero ‘pensiero riflesso’, perché legato alla percezione sensoria, alla mediazione del sistema nervoso centrale, e soprattutto alla mediazione del cervello, che rispetto all’atto del pensare funziona come un ‘catottro’, ossia come uno ‘specchio riflettente’. Un tale pensiero non è dunque ‘pensiero sorgivo’, non è ‘pensiero reale’ ma solo ‘apparente’, non è ‘pensiero vivente’. E, se non è ‘pensiero vivente’, attualmente, concretamente, ‘vivente’, allora è ‘pensiero morto’, o ‘morente’. Un tale ‘pensiero riflesso’, per quanto possa essere ‘intelligente’, culturalmente ‘valido’, scientificamente ‘esatto’, manca di interna vitalità, manca di reale sostanza, di concretezza, e, per quanto possa essere intellettualmente seducente, fornisce solo una ‘conoscenza apparente’, quindi, dal punto autenticamente spirituale, è ‘irreale’. Il grande Śaṅkarâcârya, l’Ādi Śaṅkarâcârya fondatore nell’India dell’VIII secolo della Scuola dell’Advaita Vedânta, dell’audace ascesi  o sâdhanâ hindù, che vuole superare ogni dualità, definirebbe un tale apparente conoscere mâyâ, ossia una ‘illudente irrealtà’.

Ma se l’ordinario pensiero riflesso, che dà della realtà solo una ‘immagine virtuale’, priva di vivente sostanza reale e di concretezza, è ‘pensiero morto’, ‘pensiero disanimato’, significa, che prima di esser tale, esso necessariamente era ‘pensiero vivente’, così come la riflessa luce lunare, prima di tale riflessione, era necessariamente sorgiva, irradiante, vivente,  Luce solare. Infatti, Massimo Scaligero nel capitolo sesto del Trattato del Pensiero Vivente, pp. 19-20, così scrive:

«Il pensiero pensante, che può far risorgere dall’astrattezza il pensiero riflesso, riattivando il momento dinamico della riflessità, non è ancora, dunque, l’interiore vita che lo fa essere pensante, spegnendosi questa ogni volta che esso si attui come tale. Questa vita è bensì presente nel pensiero pensante, ma ogni volta per dileguare. […]

Quel che era metafisico un tempo si fa ora, negandosi, sostanza della individualità: è la disanimazione del pensiero che, come pensiero riflesso, proietta il mondo nell’astratta oggettività.

Ma la disanimazione presuppone il momento dell’animazione, o della vita, e la logica stessa del pensiero che pensa, sperimentata compiutamente, conduce a intuire il momento intemporale e incorporeo del pensiero, o pensiero vivente: intuizione che, tuttavia, è soltanto lampeggiare del pensiero vivente. Non è ancora il suo essere. Il suo reale essere è il Logos da cui discende, a cui segretamente è volto, e che sempre è pronto a darglisi come presenza della sua forza, identità, perennità».

È necessario, assolutamente necessario, veder ben chiaramente, per esempio, qual è il tipo di conoscenza e di pensiero che, per la sua compromissione mondana è disomogeneo, addirittura ostacolante il cammino spirituale del discepolo dell’Iniziazione. Per l’antico asceta d’Oriente o d’Occidente, la Via della Sapienza – della Sapienza, non la deragliante via della ‘cultura’ parolaia, vuota e narcisistica, oggi ovunque invadente e tirannicamente imperante, anche in ambienti ‘esoterici’ – era, e per il discepolo della autentica Scienza dello Spirito ancor oggi è, un processo pugnace, combattivo, faticoso, spesso doloroso, di autoconoscenza, di autocoscienza, di consapevolezza, di liberazione dai limiti umano-animali, che mal si concilia, anzi non si concilia affatto, con le aspirazioni, e la prassi, di arrivismo, di manipolazione politica, ideologica, psicologica, intellettuale, giornalistica, confessionale e religiosa. E non si concilia neppure – come qualcuno, con aspra sagacia, ha fatto osservare – «con l’umana troppo umana carriera da intellettuale-filosofo o professore universitario»

La ‘Via’ che deve condurre alla Conoscenza dell’Assoluto, naturalmente, non può essere un ‘via’ qualsiasi, una ‘via’ pur che sia: deve avere  caratteri omogenei con quelli dell’Assoluto stesso, perché solo il simile conosce il simile. È noto come di una figura grandiosa e tragica come quella del Conte di Cagliostro, nel XVIII secolo, venisse affermato – ut traditur – che: Pour savoir ce qu’il est, il faudrait être lui-même, ovvero, per sapere quello ch’egli è, bisognerebbe esser lui stesso. Ed è noto, altresì, come lo stesso Conte di Cagliostro amasse dire: Per conoscere una cosa, bisogna diventare quella cosa, per sapere che cosa sia l’amore, bisogna amare. E cioè, che per conoscere iniziaticamente qualcosa – ossia: veramente, e non dialetticamente, illusoriamente – è necessario, assolutamente necessario,  diventare,  e tramutarsi in quella stessa cosa nella immedesimazione contemplativa. Ciò, ovviamente, non è affatto comodo, né tampoco facile. Deve essere superata quella condizione per la quale l’esangue pensare ordinario è meramente ‘riflesso’, e come tale, incapace di cogliere la realtà, ed ‘irreale’ esso stesso. Per cogliere autenticamente la realtà, e non solo una sua inconsistente ombra, un mero ‘riflesso virtuale’, deve – assolutamente deve – essere superata la dualità che separa soggetto e oggetto. Ma questo superamento della dualità è un volitivo interiore atto ascetico, non un discorso ‘filosofico’, non una brillante performance da ‘chiacchieroni dello spirito’, come li definiva Giovanni Colazza, l’adamantino, austero e severo Maestro e amico di Massimo Scaligero.

Una tale ‘Via’ deve essere ‘omogenea’ all’Assoluto che vuole ‘conoscere’, anzi che vuole ‘realizzare’, perché la ‘conoscenza’ è ‘realizzazione’, o non è nulla. Non sono concesse approssimazioni di sorta. Quindi se l’Assoluto è l’Incondizionato, disciolto da ogni ‘condizione’, anche la ‘Via’, che conduce ad esso, deve essere tale, ossia deve essere ‘incondizionata’, libera da ‘pre-condizioni’ di qualsivoglia specie, che un tempo – per esempio, nelle antiche ‘Vie’ d’Oriente – erano richieste come ‘qualificazioni’ necessarie. In India, un Maestro, un Guru, accettava o rifiutava – rifiutava irremissibilmente, senza appello – un postulante come discepolo a seconda che questi possedesse o meno gli adhikâra, le necessarie ‘qualificazioni’, perché vigeva, e in Oriente vige ancor oggi, l’adhikâra-vidhi, ossia una ingiunzione vincolante ad una severa verifica, la quale determini se una persona abbia il diritto o meno a intraprendere o ad essere coinvolta nel sâdhana, nell’ascesi realizzativa. Quindi l’adhikâra-vidhi si riferisce ad un esame, ad uno scrutinio per constatare se il postulante abbia o meno le qualificazioni richieste per essere uno yogin. Ma una tale ‘Via’ che pone simili ‘qualificazioni’ come ‘pre-condizioni’ al cammino spirituale, è ancora una ‘Via’ che si basa su una ‘natura’ spirituale, non sullo Spirito nella sua assolutezza: è ancora una ‘Via lunare’, e come tale condizionata: non è, né può essere, la ‘Via Assoluta’, la ‘Via Solare’

Con l’esaurirsi dell’età oscura, dell’esiodea età del ferro, della nordica età dell’ascia e del lupo, del più che temuto kali-yuga indiano, tacciono tutte le voci degli oracoli e delle tradizioni. Quel che ne sopravvive sono residui involuti e largamente degenerati della ‘tradizione lunare’. Oggi, rimettersi ad essa, ad una qualsivoglia autorità sedicente ‘spirituale’, ad una ‘organizzazione tradizionale’, è rinunciare ad essere l’Io che pur sempre si è. Nel momento in cui, nel venir meno degli oracoli, tace la voce degli Dèi, l’essere umano può comunque – anzi deve – fare appello all’Assoluto che è in lui, e che gli è consustanziale. L’Assoluto è l’Io Sono del suo stesso Io: è l’Io ch’egli, comunque, e malgrado ogni offuscante illusione, pur sempre è, ma che ancora egli non ha  coscienza, né il coraggio di essere.  

Non è il livello immorale dell’anima la causa della mancanza di ‘conoscenza’, la causa reale della ‘cecità’ e della ‘ignoranza’ della realtà spirituale: semmai il contrario. Per chi, sagacemente, sappia ‘guardare’, e non solo ‘guardare’, ma anche ‘vedere’, è la cecità spirituale, la offuscante ‘ignoranza’ – che Siddhârtha Gautama, il Buddha Śâkyamuni, affermava essere la ‘radice di tutti i mali’ – a provocare la fatale corruzione delle forze originarie dell’anima, e non viceversa. Ciò è ampiamente dimostrato dalla usurante, sfibrante, lotta contro istinti, brame, passioni, emozioni, che intraprende colui che crede poterli affrontare unicamente sul piano dell’anima, colui che crede poterli affrontare con un mero ‘pensare riflesso’, condizionato dalla sua soggezione alla mediazione cerebrale e sensoriale. Vi sono casi – ne ho alcuni esempi davanti agli occhi – di persone capaci di fare una ‘analisi’ onesta, sincera, intelligente, perspicace del proprio modo di esistere, di vivere, che esse giudicano essere ‘immorale’, ma questa ‘analisi’ non dà loro neppure un briciolo di forza per sottrarsi a quel modo ‘immorale’ di esistere, perché alla loro intelligentissima ‘analisi’ sfugge la reale causa della loro ‘immoralità’: la ‘ignoranza’, la ‘cecità’ spirituale, che fatalmente provoca la corruzione delle forze dell’anima, e la obbliga ad una sfibrante, e in definitiva inutile, lotta contro le emergenze emotive ed istintive, che periodicamente la travolgono. È dalla ‘Conoscenza’, dalla ‘visione penetrante’, dalla ‘vidyâ’, che scaturiscono forze morali, e non viceversa. 

Mettiamo il caso – casi del genere sono realmente accaduti sia nella storia antica che in quella recente – di una persona che il destino abbia spinto a percorrere la oltremodo pericolosa via della criminalità. Può accadere – ma ciò, sia pure raramente, è realmente accaduto – che un simile criminale si trovasse, improvvisamente e in maniera inattenuata, di fronte alla conoscenza dello stato di abiezione morale nel quale è precipitato, ed intraveda una ‘conoscenza liberatrice’, radicalmente trasformatrice del suo immorale modo di esistere. Egli potrebbe intraprendere, con una audacia senza pari, un sentiero di ‘Conoscenza’ che trasformerebbe le sue forze ‘cadute’ in basso in novelle forze dell’Io. La storia di Aṅgulimâla, spietato brigante assassino, il quale – come raccontano le scritture buddhiste nelle fonti sia pâli che sanscrite – fu convertito dal Buddha Śâkyamuni mediante la ‘Conoscenza’, e che giunse alla stessa Illuminazione. Un altro esempio è quello di Paolo di Tarso, il quale era partito da Gerusalemme con quaranta ceffi suoi pari, per impadronirsi dei cristiani di Damasco, tradurli davanti al Sinedrio, e far fare loro, molto probabilmente, una fine poco raccomandabile. Eppure, dalla folgorante ‘Conoscenza’ del Logos venne anch’egli radicalmente trasformato. Ed anche nel nostro Medioevo si hanno esempi di simili radicali trasformazioni provocate da una subitanea, folgorante, ‘Conoscenza-Visione’. Ciò dimostra come avesse molte ragioni Massimo Scaligero a dichiarare che: «il Logos ama chi si compromette», e che «è meglio essere  delinquente che borghese». Naturalmente – è bene dirlo, a scanso di spiacevoli equivoci, a chiare lettere – qua non si sta facendo affatto l’apologia della criminalità e del reato. 

Ora, se la Via dello Spirito è la Via Assoluta, essa deve essere indipendente da ‘pre-condizioni’ di qualsiasi tipo e sorta. Giacché l’Assoluto è presente e, di conseguenza, comunque sempre ritrovabile, alla base di ogni essere, e, in particolare di ogni essere umano: dell’uomo ottuso e di quello intelligente, del saggio e dello sciocco, dell’uomo morale e del criminale, del forte guerriero volitivo e del fiacco borghese, del diligente conformista e dell’audace anticonformista, del pacato pensatore e dell’uomo sentimentale e istintivo, del santo e del peccatore. Leggendo gli stessi Vangeli, è evidente come il Signore sovente si rivolga non tanto ai ‘sapienti’, agli ’iniziati’, ai ‘qualificati’ eredi della antica, veneranda, sapienza lunare, ossia ai sacerdoti, agli scribi, ai dottori della legge mosaica, ai farisei, i quali allora sicuramente non erano tutti degli ‘ipocriti’, dei ‘sepolcri imbiancati’, quanto piuttosto ai derelitti, ai decaduti, ai disprezzatissimi ‘pubblicani’, odiatissimi servitori dell’occupante potere romano, addirittura a dei ‘gentili’, ossia dei ‘pagani’ estranei alla tradizione spirituale d’Israele, a delle adultere, a delle pubbliche peccatrici, com’erano le prostitute, ad un centurione romano, ad una ‘cananea’, agli ‘smarriti’, come vengono chiamati nei Vangeli, che rischiavano di perdere lo stato umano, scivolando pericolosamente nel subumano.

Per cui, la Via dello Spirito, la Via dell’Assoluto, oggi, è illimitatamente aperta a chiunque coraggiosamente voglia affrontarla – quale che sia il suo punto di partenza – a chiunque voglia seriamente percorrerla con volontà risoluta, e ad essa si consacri. Certo, la ‘Via’ non è affatto facile, altrimenti Massimo Scaligero non avrebbe scritto, sin dalle prime parole del suo Trattato del Pensiero Vivente, che:

«Il presente trattato, anche se logicamente formulato e accessibile, propone un compito attuabile forse da pochissimi».

Oppure, lo stesso Rudolf Steiner non avrebbe scritto nella sua Scienza Occulta nelle sue linee generali, Bari, Gius. Laterza e Figli, 1947, pp. 251-252, che:

«La via che conduce al pensiero libero dai sensi per mezzo delle comunicazioni della scienza dello Spirito è completamente sicura. Ve ne è un’altra anche più sicura, e specialmente più esatta, sebbene sia per molti uomini più difficile e sta descritta nei miei libri: «La teoria della conoscenza nella concezione goethiana del mondo» e la «Filosofia della libertà». Questi libri espongono i risultati a cui il pensiero umano può arrivare, quando invece di abbandonarsi alle impressioni del mondo esteriore fisico-sensibile, esso si concentra soltanto in se stesso. Soltanto il pensiero puro, come un’entità di per sé vivente, esplica allora la sua attività nell’uomo. I libri sopra citati non hanno tratto niente dalle comunicazioni della scienza dello Spirito; nondimeno in essi viene dimostrato, che il pensiero puro concentrato in sè stesso può arrivare a spiegazioni del mondo, della vita e dell’uomo. Quei due libri rappresentano un gradino intermedio molto importante fra la conoscenza del mondo sensibile e quella del mondo spirituale, e offrono ciò che il pensiero può conseguire quando si eleva al di sopra dell’osservazione sensibile, sebbene ancora eviti l’accesso all’investigazione dei mondi superiori. L’uomo che impregna completamente la propria anima con le idee esposte in quei libri già si trova nel mondo spirituale, sebbene questo gli si palesi come un mondo del pensiero. Chi si sente capace di attraversare questo gradino intermedio segue una via più sicura, più pura, e può acquistarsi in tal modo dei sentimenti riguardo al mondo superiore che gli arrecheranno bellissimi frutti per l’intiero avvenire».

Ma errerebbe moltissimo errerebbe – chi obbiettasse di non poter percorrere una simile audace ‘Via’, perché ‘debole’, perché ‘indegno’, o ‘immorale’, o ‘immaturo’, o ‘ottuso’, o ‘non qualificato’, perché la ‘Via’ è, di per sé, ‘qualificante’, è ‘purificatrice’, ‘maturante’, ‘dignificante’, ‘rafforzante’, radicalmente trasformatrice di tutto l’essere: ne ho avuto diretta, esemplare, esperienza in moltissimi casi. In Oriente vi è il detto: «Là dove è una volontà, là è una via». Non vi è mèta che non sia raggiungibile a chi veramente voglia, e non vi è temeraria realizzazione che non sia attuabile da chi – pur partendo dalle condizioni più sfavorevoli e meno propizie – si impegni con volontà tenace e risoluta. Anche chi avesse una volontà debole e fiacca, oggi, nella ‘Via Assoluta’, può costruirsi e conquistarsi una volontà che – come afferma il mio amico C., asceta d’altra dottrina, e mio  spirituale compagno d’armi di tante aspre battaglie – è «ghiaccio-diamante: fredda come il ghiaccio, e dura come il diamante». Anche di questo ho davanti agli occhi esempi eloquenti e illuminanti. Per cui, bando alle perplessità, bando ai dubbi e alle esitazioni!  

Sin dalla mia ormai lontana adolescenza, ho avuto modo di conoscere se non tutte, almeno la maggior parte delle ‘Vie’, antiche e moderne, simboliche e rituali, o prive di qualsivoglia forma cerimoniale, magiche, mistiche, yoghiche, ermetiche, sapienziali, gnostiche e via dicendo. Tipologicamente, penso di averle in qualche modo conosciute proprio tutte, perché anche quelle a me non direttamente note, erano e sono analoghe, affini e simili a quelle già note.  Esse tutte patiscono il limite proprio ad una ‘via lunare’; esse tutte non sono scevre di ‘presupposti’; esse tutte esigono ‘pre-condizioni’ e particolari ‘qualificazioni’ per essere percorse. Esse tutte presuppongono un particolare tipo umano: non sono ‘universalmente umane’. Esse tutte sono ‘condizionate’: non sono, quindi, la ‘Via Assoluta’

Ma ciò di cui necèssita – urgentemente, tragicamente, necèssita – l’uomo di questa epoca è proprio una ‘Via incondizionata’, percorribile da ogni tipo umano sapiente o ottuso, volitivo o sentimentale, idealista o istintivo, maturo o immaturo, morale o carente di moralità. Se l’Assoluto è alla base – e lo è realmente sempre – di qualsivoglia tipo umano, quale che sia il suo carattere, il suo temperamento, la sua personale maturità, allora Esso deve essere conosciuto come tale da ogni essere umano, e su di Esso – oggi solo su di Esso – si deve potere, ma soprattutto volere, far leva per una compiuta realizzazione spirituale.

Ma una tale ‘Via Assoluta’, una tale ‘Via incondizionata’, è la ‘Via del Pensiero’ indicata da Rudolf Steiner nella sua Filosofia della Libertà e nelle altre sue opere ‘filosofiche’ (ch’io preferisco chiamare ‘filosofali’), e da Massimo Scaligero in tutte le sue opere, in particolare nel Trattato del Pensiero Vivente e nella Logica contro l’uomo. Quella che viene indicata è la ‘Via immediata’, non necessitante di ‘pre-supposti’, o di ‘mediazioni’ di nessun tipo. Infatti, Massimo Scaligero, così scrisse nella seconda di copertina dell’Avvento dell’Uomo Interiore. Lineamenti di una tecnica dell’esperienza sovrasensibile, Sansoni, Firenze, 1959, con parole che più chiare non potrebbero essere:

«Chiave del senso della presente epoca e del valore attuale della Iniziazione, quest’opera è dedicata a coloro che hanno ancora il coraggio di volere l’uomo. Viene indicata una «via spirituale»  che, mentre è di là dalle tradizioni, attinge a un segreto e imperituro insegnamento: che un tempo agì attraverso le metafisiche dell’Oriente, oggi opera, inconosciuto, nell’anima dell’occidente, per chi giunga a scorgerla. La tecnica dell’esperienza soprasensibile descritta in questo volume già reca in sé quanto di essenziale operò nello Yoga, nel Taoismo, nella « via » del Buddha, nello Zen nel Tantrismo, ma si trae precipuamente dall’attivazione di un ulteriore elemento interno, che può sorgere soltanto nello svincolamento del pensiero razionalistico e astratto dai contenuti finiti e sensibili, valsi unicamente alla sua formazione. Per l’uomo moderno, è questo pensiero disanimato, che, risorgendo come magica forza, diviene veicolo della resurrezione cosciente del «sopranaturale» in lui, epperò virtù risolutrice degli urgenti problemi del tempo»

La ‘Via Assoluta’, la ‘Via immediata’, la ‘Via’ che può fare a meno di ogni ‘pre-supposto’, di ogni ‘pre-condizione’, di ogni ‘mediazione’, è quindi la ‘Via del Pensiero Vivente’, quella ‘Via’ «oltre le filosofie occidentali, oltre lo Yoga, oltre lo Zen», che Massimo Scaligero ha instancabilmente indicato sino alle ultime ore della sua vita, e la Concentrazione «l’esercizio a sé sufficiente», com’egli lo chiamava – è la ‘tecnica’ audace, efficace, realizzativa, risolutiva, non necessitante di ‘mediazione’ veruna, del ‘glorioso stato assoluto’, come lo chiamava molti decenni fa V., una eletta anima di coraggiosa asceta.   

La ‘Via del Pensiero Vivente’, la ‘Via’ della ‘Concentrazione Assoluta’ è – parlo per esperienza diretta: l’unica che, in definitiva, è Regina sovrana in quest’ordine di cose – la ‘Via’, più sicura, più veloce, la ‘Via immediata’, la ‘Via diretta’, la ‘Via senza appoggi’, quella più efficace – anzi, oggi, l’unica veramente efficace – più magicamente potente. E data la gravità dei tempi, data la precarietà dell’attuale condizione umana, la sua estrema pericolosità, non è più lecito perdere tempo e forze in esaurite ‘vie’ del passato, in sopravviventi ‘vie’ della ‘tradizione lunare’. Non è più lecito, né quindi concesso, perdere tempo e forze in ‘approssimazioni’, in tentativi sfilacciati e improvvisati di una volontà fiacca volubile e incostante, o nella ricerca di consolanti, quanto pericolosamente illudenti, narcotici sentimentali, mistici, magici, o intellettuali, che lasciano intoccato il dominio delle Deità Ostacolatrici sulla nostra natura inferiore.

La ‘Via’ oggi non può, ormai, essere altro che una ‘Via’ dello Spirito ‘oltre’ l’anima, una ‘Via’ dello Spirito ‘malgrado’ l’anima caduta, e – se necessario – anche ‘senza’ l’anima, ossia ‘senza’ le forze corrotte di una tale anima, perché solo lo Spirito può ricreare, rigenerare, l’anima stessa. La ‘Via Assoluta’ è la ‘Via’ del coraggio assoluto, ossia di quello che Massimo Scaligero chiamava il «coraggio dell’impossibile».     

L’ARCHETIPO – NUMERO SPECIALE – FEBBRAIO 2023

Anno XXVIII n. 2 bis

Febbraio 2023

L’ARCHETIPO-FEBBRAIO 2023

Anno XXVIII n. 2

Febbraio 2023

In questo numero:

L’ARCHETIPO-GENNAIO 2023

Anno XXVIII n. 1

Gennaio 2023

BLUE CHRISTMAS

ECOANTROPOSOPHIA.IT augura  BUON NATALE a tutti i suoi amici lettori con la voce di Elvis e la poesia di Edmond Rostand.

*

*

La stella

Perdettero la stella un giorno.

Come si fa a perdere la stella?

Per averla troppo a lungo fissata…

I due re bianchi, ch’erano due sapienti di Caldea,

 tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.

Si misero a calcolare, si grattarono il mento… 

Ma la stella era svanita come svanisce un’idea,

e quegli uomini, la cui anima

aveva sete di essere guidata,

piansero innalzando le tende di cotone.

Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri, si disse: 

“Pensiamo alla sete che non è la nostra. 

Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali”.

E mentre sosteneva il suo secchio per l’ansa,

 nello specchio di cielo

in cui bevevano i cammelli

egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.

(Edmond Rostand)

L’ARCHETIPO-DICEMBRE 2022

Anno XXVII n. 12

Dicembre 2022

 

L’ARCHETIPO – NOVEMBRE 2022

LA DISCUSSIONE PURA… (di Rastignac)

(The Peacemakers – di G. P. A. Healy – 1868)
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Non pongo dubbi sul fatto che tutti sono liberi di discutere su tutto, sembra anzi che l’apoteosi di ogni questione debba essere la Discussione Pura, cioè quella subbiettiva, financo libera dalla realtà.
Sarebbe cosa migliore che i diversi punti di vista di chi pratica l’antroposofia fossero mirati ad un livello del sentimento e del pensiero più rispettoso dei contenuti che si vorrebbero trattare e di chi li tratta.
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Fare un passo indietro nei confronti della propria verità è già goetheanismo applicato, e portare l’anima e il cuore più su di un gradino è la condizione che permette all’invisibile di ascoltarci e comunicare con noi creativamente.  Osserviamo poi  quello che passa per opinione. Anche in questo caso tutti si fanno le opinioni che desiderano: opiniamo di continuo con estrema facilità e questa sembra un’attività del tutto lecita.
Nella vita è così, ma non nel pensiero scientifico che certamente usa quasi solo il pensiero razionale e perciò anche deduce: ma deduce dal modo dell’osservazione che deve essere imparziale.
Pure chi vuole divenire uno scienziato dello Spirito dovrebbe tendere a conquistare osservazioni obiettive sugli oggetti osservati e proprio perché tali oggetti sono per lo più immagini di pensiero, maggiore dovrebbe essere la prudenza, il rigore e l’autodisciplina quando si collegano i dati che non sono… dati, ma dipendono dalla nostra intima attività. Sempre che si ricerchi il vero, come nella scienza del sensibile.
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Ora passiamo ad una risposta che sia sufficientemente lontana dalla mia visione personale. Magari iniziando da una domanda: «Secondo voi è più importante la gamba sinistra o la gamba destra?». Risposta: «Tutte e due, ovviamente; poi in alcuni momenti si usa più una che l’altra».
Ecco: osservando una normale funzione della vita concreta, ci sarebbe uno spiraglio di risposta che non negherebbe alcuna di due verità contrapposte. Perché crediamo sia giusto fermi come statue sulle proprie posizioni? E’ forse un contrasto mal impostato sulla forma dei contenuti o un cimento di autoaffermazione? Poiché nel secondo caso un braccio di ferro o una partita a calcetto risolve tutto, il maschio alfa si distingue e il diritto alla ‘ragione’ passa a lui…
Ma se – poniamo il caso – due amici si confrontano, ambedue cercando il meglio e il vero di una Via di Conoscenza spirituale, perché non mettercela tutta esponendo con forza e passione le proprie ragioni ed esperienze ma anche permettendo all’anima di accogliere le ragioni e le esperienze dell’altro? Non si tratta di abbandonarsi passivamente all’invasione, ma di pensarle e ripensarle e sentirle anche se disturbano o incrinano o persino violano le temporanee certezze proprie. È una questione di onestà intellettuale e (soprattutto) di coraggio.
Parafrasando Scaligero: ogni idea o pensiero perturbante è prezioso per l’asceta.
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Se manca la vitalità e l’entusiasmo della ricerca, rimane la plumbea opacità dei moltissimi che nella vita comune alzano immediatamente le difese del loro status quo e dicono subito che le idee a loro estranee sono solo un mucchio di sciocchezze. Mi spiace dirlo, ma se ricercatori dello Spirito sono incapaci di pensare pensieri altri dalla propria sfera di pensieri, non possiedono ancora le qualità per addentrarsi nelle Scienze sacre, che già sui passi più elementari ti chiedono di pensare pensieri assai estranei al mondo comune.
Pensieri e sintesi di pensiero che, pensati a fondo, scardinano la pregressa visione del mondo, simultaneamente modificando il modo del pensare a cui la fissità del compiuto ci abitua da quando, dopo la nascita, prendiamo coscienza delle cose. Non ho mai conosciuto un discepolo della Scienza dello Spirito che nel suo processo/progresso sia stato indegno di questa attribuzione facendo antroposofia su di una gamba sola.
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Spesso si è inconsapevoli pronipoti di quella mai colmata crepa che si aprì con la morte del Dottore tra la comprensione e la conoscenza. La comprensione  –  per non apparire astratto la indico come lettura di testi di antroposofia  –  ha sommerso quasi del tutto la conoscenza, che indico come l’esigenza sperimentale espressa da testi quali Linee fondamentali di una teoria della concezione goethiana del mondo, Verità e scienza e Filosofia della libertà. Che io sappia, il Dottore ai suoi discepoli forniva ambedue: testi ed esercizi.
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Un luminoso esempio di ciò è presente nell’agire del dott. Colazza che, a seconda dei casi concreti, indirizzava molti verso un severo studio generale e particolare di formazione, ma per tipologie diverse indicava subito discipline interiori. Significativo è il suo apporto nei fascicoli di Ur, in cui la sua autorità non era condizionata dalla onnipresenza evoliana: iniziando la collaborazione con «Barriere» dice chiaramente che il primo movimento del ricercatore è quello «di spezzare la propria immagine abituale» e che potrebbe essere l’io da cui partire solo quando a questi «corrisponda l’immaginazione interiore di un sentirsi senza limiti di spazio, di età e di potenza».
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Di seguito offre al lettore la sintesi più breve (che io conosca) di quanto un’anima dovrebbe avvertire come contenuto di un sapere del tutto dinamico, da sentire come senso di sé e del mondo. Nel prosieguo di diversi articoli offre spunti di altissimo lavoro interiore e termina una parte del suo contributo (Ur 1927) con una serie di aforismi meditativi su quanto è alla base della comprensione antroposofica, ma che a seguito di mutamenti dell’anima come frutto degli esercizi possono divenire oggetto di conoscenza spirituale.
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In conclusione: gli esercizi privi di una precedente preparazione, che chiamerei una visione cosmica dell’uomo e dunque di noi stessi in altezza e profondità, e alla pari con questa un’approfondita comprensione del significato ultimo del pensiero e del suo articolarsi nell’entità umana, mancano di una solida base nell’anima. Mentre la lettura, che con beneficio d’inventario suppongo seria e approfondita, soddisfa la comprensione ma non giunge alla conoscenza. Guardate che dico cose che possono venir sperimentate spesso anche nella vita comune.
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Vi è mai capitato di ascoltare le spiegazioni di un idraulico o di un elettricista che avete chiamato per il rifacimento dell’impianto di casa? Dopo aver compreso tutte le spiegazioni sapreste fare il suo lavoro? O almeno, dopo qualche giorno potreste ripercorrere con continuità logica i concetti che vi aveva esposto? Nel primo caso la cosa è impossibile e nel secondo quasi impossibile: eppure avevate udito e capito. Quello che vi manca sono soltanto i mesi (o gli anni) di faticosa pratica: unendo il sapere con la pratica conosci fattivamente e sai che è una cosa ben diversa. Così è per la Scienza dello Spirito dove anzi il capire (leggere) troppo sommerge l’autonomia del soggetto che, se non lotta vigorosamente per la propria indipendenza, si china ad assimilare fede, dogmi e precetti come in ogni settarismo che gira per il mondo. In tale direzione troppi gruppi sono niente più che condensatori di forze arimanico-luciferiche, contrapposte all’Io libero.
Per correggere il danno causato dalla frattura alla quale ho accennato, e che ha portato ad un clima di confusa vacuità, è intervenuta l’Opera di Massimo Scaligero, che si è sobbarcato un greve ed ingrato lavoro di risanamento e vivificazione della radice stessa della Scienza dello Spirito, ma a molti sono mancate le forze per comprenderlo e molti non hanno voluto capire. Ma questo è un discorso senza una fine. Per intanto si può convenire che pensiero (comprensione) e percezione (esperienza) devono unirsi: solo la viva arte di questo incontro può formare l’organo di conoscenza della Realtà.
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Rastignac

L’ARCHETIPO-OTTOBRE 2022

Anno XXVII n. 10

Ottobre 2022

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI

 

AUREO SIGNORE DELLE FOLGORI

(29 SETT. 2021)

  

1/18056

NUOVO SOLE

 

 

NUBI DI CARTILAGINE CERULEA SOSTENGONO L’INCREDULITA’

DI CHI IMMERSO NEL PLAUSIBILE TROPPO UMANIZZATO

EBBE L’ARIMANE NEGATORE QUALE GUIDA NELL’ANIMA ACCECATA.

 

EBBE IL VIGORE DEL PESO CHE COMPRIME

NEI FUGACI PENSIERI PRIVI DI ALLEGRIA.

 

ALLARMATA SEVERITA’ RISPOSE AI RICHIAMI DELLA BESTIA

ED UNA CONCORDIA TENEBROSA AVVOLSE NEL MEDIANICO INSUPERBIRE

MASSE DI IMPROVVISATI SENTENZIATORI FARNETICANTI.

 

COME SEMPRE L’OTTUSITA’ OTTENNE LA SUA DEVOTA PLEBE.

 

EPPURE TUTTI COSTORO

COME SEMPRE CERTI DELLA VITTORIA

ASSISTONO CON INCREDULITA’ AL VACILLARE DELLA LORO MENZOGNA

CHE ORA PUO’ CROLLARE.

 

UN MISTERO AVVOLGE LA FRAGILITA’ DELL’ONDA DEL MENTIRE.

UNA LUCE NUOVA PERCUOTE LE VOLTE DEI SONTUOSI PALAZZI DELL’INDEGNO.

UNO SCONOSCIUTO VIGORE PERMEA I LAMPI DELLA VERITA’

E RENDE VULNERABILE IL MENTIRE.

 

NEL CAMPO DELLE FORZE VIVENTI E’ SORTO UN NUOVO SOLE.

 

LAMA DELL’ARCANGELO.

 

LUCE DELL’IO CHE ANELA MENTRE CONTEMPLA IL POTERE DEL RICORDO.

 

L’ESSENZA DELLA VERITA’ VIVE LUNGO I LIVELLI DI UNA GERARCHIA MORALE

CHE GRADO A GRADO DISVELA E PERMETTE IL SUO OPERARE.

 

LUCE CREANTE.

 

TALE ESSENZA ARDE SI MANIFESTA E AGISCE

OVE SI INNALZANO I LIVELLI DI PENSIERO.

LUNGO I SENTIERI DELL’ASCESI.

 

TALE ESSENZA PUO’ INCIDERE SUL DECORSO DEGLI EVENTI

SOLTANTO SE IL LIBERO ARBITRIO DEI POCHI

GIUNGE PER INTENSITA’ E ACUME AD EGUAGLIARE

QUANTO NE OSCURA ED INTRALCIA IL CAMMINO.

 

ED ORA ACCADE CHE IL VIGORE CONTAGIOSO ED ESALTATO

IN CUI GOVERNI E ISTITUZIONI NAVIGANO PARTECIPI E DEVOTI :

SI SVUOTA.

E’ PRIVO DELLA MAGIA PARTECIPATIVA CHE LO SOSTENEVA.

 

ORA I POTENTI PONTIFICANO NEL DESERTO.

OGNI FORZA DI ESALTATO CONVINCIMENTO TRASCINANTE :

LI ABBANDONA.

RISULTANO PREVEDIBILI ED ESAUSTI.

 

NELL’AURORA IN CUI –TENUISSIMO- RIFULGE IL NUOVO ORO.

 

SOTTILISSIMO IMMATERIALE ALLORO DI IMPREVISTA LUCE.

 

TENUISSIMI MUTAMENTI AVVENGONO OVE SI DETERMINANO I SENTIERI DEL DESTINO.

OVE NELL’ANTICIPARE IL FATO :

MINIMA CREDIBILITA’ -IMPREVISTA E NUOVA- AVVOLGE I SINCERI.

 

MENTRE DAL CELESTE PUO’ FOLGORARE L’ARMONIA.

 

NEGLI ATTIMI IN CUI LO SGUARDOM DEGLI DEI

PUO’ VOLGERE AL BENEVOLO QUANTO DI VELENOSO

INCUPIVA FRA GLI AFFANNI.

 

LONTANISSIMO COMPATTO FERREO POTERE

DELLE ARCANGELICHE STRUTTURE NEL PENSARE.

 

____________________________________

 

2/18057

LETTERE DI LUCE

 

 

SEPPURE INNESCATO E ALIMENTATO

L’OSSESSIVO FURORE DELLE PLEBI E’ CLAUDICANTE.

 

LA FOLLE E MENZOGNERA EBBREZZA DEI FARNETICANTI NELLA RABBIA :

TROVA OPPOSIZIONE NELL’ACUME DEI MOLTI CHE RIESCONO A SVELARLA.

 

L’INCENDIO DEGLI ISTUPIDITI NELLA INTRANSIGENZA ODIANTE :

PROVA MOLTA FATICA NEL PROSEGUIRE A DIMENARSI.

 

LA BESTIA COINVOLGENTE CHE  MOSSE GLI AMBROGIO DI MILANO :

O I CIRILLO DI ALESSANDRIA :

O I MONTFORT DI TOLOSA :

O I ROBESPIERRE INCAROGNITI :

O I MARRXISTI INFEROCITI E CUPI :

ORA NON TROVA FOLLE DA INCENDIARE

LUNGO IL PROSIEGUO NEL CAMMINO DEGLI INFERNI.

 

TROVA MASSE DI DEVOTI A CUI PERO’

NON RIESCE AD AGGIUGERE IL FURORE DEL DEMONE EVOCATO.

 

NEI POSSEDUTI FEROCI E SONNOLENTI MANCA IL VIGORE.

 

UN TURPE CAMMINO MILLENARIO SI INTERROMPE.

 

NUOVA E IMPREVEDIBILE

IMPOSSIBILE FERREA NITIDISSIMA LINFA CELESTE SOCCORRE GLI INERMI.

 

IL VERO CHE LAMPEGGIA FRA I NUOVI ALLORI :

PUO’ RAGGELARE INFERNI CHE SI REPUTAVANO INVINCIBILI.

 

FOLGORE DALL’ALTO INTRALCIA E PERCUOTE I GIGANTI DEGLI ABISSI.

 

NEGLI ATTIMI IL SILENZIO

FRA LE VETTE DEI PENSIERI CHE ATTINGONO NELL’AUREO

PUO’ INCIDERE LE PIETRE CON LETTERE DI LUCE.

 

FOLGORE DEL NUOVO RITO D’OCCIDENTE.

 

ARCANGELICA ESSENZA NELL’ASCESI DEL PENSARE.

 

IL TENUISSIMO FUOCO DELL’IDEA

NEL CONTEMPLARE IL PRINCIPIO DELL’INTELLIGENZA

PUO’ SCOLPIRE NEL MONDO L’ESSENZA SOLARE DEL LOGOS.

 

ARA DEL COSMO MORALE.

 

NELL’IRRAGGIARSI DEL POTERE DELLA SOLA ARMONIA.

 

ASCESI DEL CONCETTO CONTEMPLATO

IN CUI IL SIGNORE DELLE FOLGORI PUO’ ARMARE L’UMANA LIBERTA’.

 

ATTO DI RESURREZIONE.

 

______________________________________________

  

3/18058

ORO DI RIASCESA

 

 

NEL DESERTO ESTREMO IL VUOTO DI TUTTI I VALORI DOMINA.

MA TALE VUOTO INTERIORE SVILUPPA UNA SENSIBILITA’ ESISTENZIALE

CHE E’ ACREDINE E INSOFFERENZA CONTRO OGNI MANIFESTAZIONE DELL’ANIMA CELESTE.

 

NEL PROSSIMO O IN SE STESSI

OGNI SPORADICA MANIFESTAZIONE DI VERO AMORE E’ ODIATA.

 

UNA NEBBIA CEREBRALE AVVOLGE OGNI OPINIONE E LA PERMEA.

PERTANTO PREVENTIVAMENTE

UNA PIU’ OMENO INTENSA NAUSEA ESISTENZIALE

FORNISCE ORIENTAMENTO E GUIDA INTERIORE.

 

NEL DESERTO ESISTENZIALE

L’APPARENTEMENTE ASETTICO E NEUTRALE VUOTO MORALE

E’ RIEMPITO DA UN PROFONDO ODIO BLASFEMO.

 

CORRENTI DI ODIO BLASFEMO SONO ALLA BASE DELLA MODERNITA’

CONCEPITA COME SEMICONSAPEVOLE MODELLO DI OGNI PROGRESSO.

 

TALI CORRENTI POSSONO ESSERE LENITE DAL DOLORE.

MA NULLA DAL SOLTANTO UMANO LE PUO’ COLPIRE ALLA RADICE.

 

UN VIVENTE NODO DI POTENZA PALPITA CONTORTO

ALLA BASE DEL CONTINUO DEGENERARE DELLE OPINIONI DOMINANTI.

 

NULLA NELL’UMANO PUO’ GIUNGERE A TALE POTENZA DI POTERE OPERANTE.

 

SOLTANTO IL SOVRUMANO PUO’ INTACCARE TRAFIGGERE E DISSOLVERE QUEL NODO.

 

SOLO IL VERIFICARE L’IPOTESI DEL SOVRUMANO NEL RITO DELL’IDEA

PUO’ EGUAGLIARE PERCORRERE DISVELARE RIASSUMERE E REDIMERE

QUEL POLO OPERATIVO DELLE QUALITA’ ESISTENZIALI INABISSATE.

 

NELL’INTENSA VOLONTA’ SPESA PER CONTEMPLARE

UN CONCETTO APPOSITAMENTE CONCEPITO :

SI SVILUPPA UN VALORE CHE REINNALZA E RICONSACRA.

 

GRADUALMENTE.

 

ATTRAVERSO LIVELLI –CEREBRALMENTE INCOMPRENSIBILI- DI RAREFATTISSIMA VIVENTE IMMISURABILE DEGNITA’ NEL SILENZIO INTERIORE.

 

ALTO L’INTENSO LAMPO DI LIBERA VOLONTA’ NEL PENSIERO UNIFICATO :

MANIFESTA IL VALORE ARCANGELICO.

 

FUOCO E LUCE NEI PENSIERI VIVIFICATI INDIRETTAMENTE DAL VIGORE LOGICO DELL’UNIRE :

SVILUPPANO L’INCENDIO DA CUI ORO SI CREA.

 

ORO LOGOS DELL’UNICO AFFERMARE.

 

OCCULTO IMPERCEPIBILE ORO SOLARE IN CUI RESPIRA L’ANGELO.

 

VIVENTE VALORE DELLA SOLA RIASCESA.

 

OVE L’UMANA LIBERTA’ PUO’ SCOLPIRE NUOVI DESTINI.

 

________________________________________

 

4/18059

STRUTTURATA DI ARMONIA

 

 

TANTO AVVINTI AI PROPRI APPETITI DA EMANARE SUPERBIA.

SANGUIGNO PULSARE DI BRAME IN CUI OGNI AMORE E’ SEPOLTO.

 

ACCECATI DAL SALE NEL TURBINARE DEL SANGUE.

 

PRETESE ESALTATE NELLA POVERISSIMA VITA INTERIORE.

 

INTENSE EMOZIONI FONDATE SUL NULLA DELL’ANIMA PERDUTA.

 

CONTORTI OCCULTI BAGLIORI ROSSASTRI EMANANO

FORZE SANGUIGNE CHE CONSUMANO I CUORI.

 

MANCANO LE ESSENZE INTERIORI SU CUI FONDARE LA SINCERITA’.

MANCANO I CANALI DEL PROFONDO RISPETTO SU CUI FONDARE L’ACUME.

 

MA EVENTUALMENTE SVELATA NEL SUO OSTACOLARE L’IDEA :

SUPERBIA GRADUALMENTE PERDE IL SUO DEFORME ROSSEGGIARE.

 

OCCORRE TANTA VITA INTERIORE NELL’ALTO CONTEMPLARE PENSANTE

DA PLACARE UN VARIEGATO INCENDIO PURILE.

 

LE RADICI DEL MALE SUBISCONO L’ASCESI DELL’IO

LADDOVE IL PENSARE RAGGIUNGE IL SILENZIO DELLA DEGNITA’

IN CUI _LONTANISSIMO E OCCULTO_ LAMPEGGIA IL POTERE SCULTOREO

CHE UNISCE I CONCETTI E LI INNALZA OVE IL VIVENTE RESPIRA E REDIME.

 

INDIVIDUI POTENTI NEL SOTTILISSIMO UNIRE LOGICO CHE CONSACRA :

INDEBOLISCONO IL MALE QUANDO IL VOLUTO PENSARE SCONFINA NEL SINCERO

TRABOCCA OLTRE L’ASCESI

E OTTIENE IL DISVELARE IN CUI TALVOLTA FOLGORA IL DIVINO.

 

AURA DEL TENUISSIMO INNALZARE

OVE LA TRACCIA DELLA SINTESI E’ ATTO OPERATIVO

IN CUI SI DEPURA IL FATO.

 

POTERE UNITIVO DEL FERREO VALORE

IN CUI LA DEGNITA’ RIAPPARE.

 

SCULTOREA.

 

STRUTTURATA DI ARMONIE.

 

ARCANGELICA.

 

OVE L’INCONCEPIBILE PUREZZA RITORNA INDUBITABILE EVIDENZA.

 

PER ATTIMI CHE POI APPARIRANNO LONTANISSIMI.

 

________________________________________________

 

5/18060

RICORDARE

 

 

OVE LA LUCE RIMBALZA E L’ANGELO E’ SCACCIATO :

OVE NELLA CEREBRALITA’ GHIGNA IL PESO DEL MALVAGIO :

OVE FRA LE CERULEE ESANGUI CARNI ENERGIZZATE TUTTO E’ ARIDISSIMO :

NEI LUOGHI IN CUI PULSA IL NEGARE :

E’ ATTESO LO SVELARE CHE DISSOLVE E RIEDIFICA.

 

E INFINE GIUNGE LA QUALITA’ SANANTE A DISSIPARE IL MALE.

 

INSISTITA LAMA DALLO SGUARDO CHE SGRETOLA IL CARNEO MINERALIZZATO :

TAGLIA OVE DISVELA E INCALZA IL DETURPATO MANTO.

 

ARGINE CONFONDE IL MALE E LO CONSUMA.

 

INCORROTTO POTERE UNIFICANTE DI ARMONIA E SPLENDORE.

 

 

OVE IL CALORE ILLUMINA L’ALTARE.

 

 

LUCE IRRAGGIATA OVE NECESSITAVA INCANTO.

FRA CARNEE ENERGIE DISSOLTE O INDEBOLITE.

 

E L’ARMONIA MORALE

NELL’ATTIMO

PUO’ REINTESSERE IL VALORE CHE PERMETTE L’INTUIRE.

 

INCIDE L’ARMONIA I VALORI MEDIANTE CUI SI MANIFESTA.

 

ARCANGELICA POTESTA’ DELLA VIVENTE NORMA MEDIANTE CUI LA VERITA’ E’ METRO PALESE DEL GIUDIZIO.

 

LIVELLI DEL PENSARE

IN CUI L’ESTREMA SINTESI

E’ ARMA ARGINE REINNALZAMENTO E RICONNESIONE.

 

ANIME LAVATE NEI RINNOVATI APICI DELL’UNICO RISTORO

IN CUI LA LIBERTA’ DI AGIRE

E’ SPESA OLTRE IL DESTINO.

 

APICI CONTRASTATI IN CUI RISORGERE.

 

ATTO IN CUI LONTANISSIMA SI DELINEA L’AUREA FISIONOMIA.

 

MENTRE IL SIGNORE DELLE FOLGORI E’ IMPOSSIBILMENTE RICORDATO.

 

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HELIOS FK AZIONE SOLARE

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L’ARCHETIPO-SETTEMBRE 2022

Anno XXVII n. 9

Settembre 2022

UN MODO DI LETTURA

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Al di là della solita premessa circa la libertà individuale di fare come e quanto uno sceglie per sé, a mio avviso direi che si sta facendo bene quando ci si abitua a tenere al centro di sé la disciplina come elemento fondante o vivo impulso, subordinando il resto. Essa è nel tempo uno dei contenuti più importanti della vita.
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Vi sono due tipi di ricercatori: i pochi che, pur vivendo completamente la vita, hanno formato un “centro di gravità permanente” nel cuore dell’anima, e i tanti che sono ingegneri e antroposofi o avvocati e antroposofi o camionisti e antroposofi… capite cosa intendo?
Tutte, più o meno, brave persone, per carità, ma per essi la Scienza dello Spirito è un abito, anche di buona fattura… ovviamente esterno, dismettibile e inesorabilmente soggetto al tempo, alla moda, all’usura e sopratutto inadatto (per forza!) all’azione interiore, ai veri mutamenti della struttura animica, già di per sé non facili.
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Permettetemi una osservazione. Se si ha già lavorato sui grandi temi della comunicazione spirituale (karma, reincarnazione, evoluzione cosmica ecc.) la lettura di ‘ampiezza’ può essere ridotta: sarebbe una perdita di tempo che agli antroposofi purtroppo piace tantissimo ( si riesce persino a sapere cosa preferiva a colazione Rudolf Steiner…).
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Oltre alla colazione, il Dottore fece anche altro: diede, ad esempio, ai discepoli un modo di lettura che sembra dimenticato e che porta frutti.
Credo sia importante.
Cerco di spiegarlo: si prenda un solo testo, breve, o a cui ci si senta maggiormente legati e… per brevità faccio un esempio concreto con Scaligero. Prendo il testo più sintetico, Il Trattato del Pensiero Vivente, che è ben più di ciò che si pensi (altro che barocco! Ho sentito anche questo.) ed è composto da capitoli brevissimi.
Leggo con attenzione e calma il primo capitolo (15 minuti o meno), il giorno successivo lo rileggo con acuita attenzione. Faccio lo stesso il terzo giorno e nei giorni successivi.
Oltre a comprendere il significato logico delle frasi e del capitolo nel suo complesso, se continuo (insisto con calma), rallento e inizio ad indugiare su una frase, un passaggio o su una singola parola: tutto si fa più lento e contemplativo, l’articolazione del discorso mi palesa impressioni simili a rovesciamenti in cui la logica e la comprensione rimangono ‘indietro’ rispetto al movimento.
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Inoltre, dopo tante letture delle medesime righe conosco quasi a memoria la paginetta. A questo punto lascio il testo e faccio passare per la coscienza l’intero capitolo, lo ricostruisco solo con la mia attività di pensiero e giungo al punto che persino il movimento dei pensieri tende ad arrestarsi: è un’esperienza nuova, poiché i pensieri si arrestano ma non il movimento che, a momenti, contemplo.
Poi passo, con calma serena, al secondo capitolo: stesso procedimento. Certo, il tutto lo sviluppo in tempi alquanto lunghi e la pazienza è necessaria.
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Dalla cattiva comprensione di quanto ho cercato di illustrare discende la lettura infinita e un pochino noiosa di un testo, spesso praticata nei gruppi, o l’indicazione ottuso-superstiziosa della necessità di  “leggere la Filosofia della Libertà per 40 volte”: pure questa distorta interpretazione girava negli ambienti dove si coltivava la conoscenza scientifico-spirituale.
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Intanto, nel modo corretto, passo dal mero apprendere all’esperienza vivente come indicato nella breve prefazione, che non è un incipit necessario o presuntuoso messo dall’Autore (sto parlando del Trattato) e comprendo davvero, in diretta, la potenza della concentrazione ed il suo ‘come’ e il suo ‘perché’: allora crolla tutto il centennale castello di chiacchiere filosofiche, antroposofiche, culturali, con i mille dubbi e distinzioni: si realizza che l’essere del pensiero coincide con l’Essere che contiene tutto l’Universo… e il resto è meno che cenere.

AMOR VERITATIS. PARTE SESTA.

Il grande – anzi grandissimo – 老子 Lao-tzu principia il suo celebre e alquanto incompreso 道德經, Tao Teh Ching, ovvero il Libro della Via e della Virtù, con parole enigmatiche che, come quelle di ʽViaʼ, 道 ʽTaoʼ, e di ʽVirtùʼ, 德  ʽTehʼ, sono state rese dai traduttori occidentali, eruditi o meno, nelle forme più diverse, talvolta persino contraddittorie tra loro. Ma gli eruditi studiosi – i savants, ovvero ʽcolor che sannoʼ, come li chiamano i nostri cugini latini d’Oltralpe, i francesi – sovente si occupano della trattazione di una materia della quale poco o nulla intendono per la loro totale mancanza di vissuta esperienza interiore, e di conseguenza i savants nel tradurre un testo così profondo ed enigmatico come quello di Lao-tzu, invece di far parlare meditativamente il testo, fanno parlare dialetticamente la loro intelligentissima testa, e vi introducono quanto deriva dal loro savoir, dal loro ʽsapereʼ, con tutti i pregiudizi, persino confessionali, con tutte le loro sin troppo soggettive ed erratiche, talvolta addirittura ridicole (come quelle psicanalitiche, nella fattispecie), ʽinterpretazioniʼ, per cui è proprio il caso di chiedere, in maniera toscanamente dissacrante, come faceva il caro zio Arturo, mais quʼest ce que savent les savants? Ovvero: ma, poi, tutti questi intelligentissimi ed eruditissimi savants, tutti questi idiots savants, questi ʽsapienti idiotiʼ, come li chiamano, piuttosto acidamente, sempre i nostri cloridici cugini d’Oltralpe, affetti da quella che Massimo Scaligero chiamava ʽintelligentissima stupiditàʼ, davvero, che cosa ʽsannoʼ, che cosa ʽconosconoʼ, o che cosa, soprattutto, credono di ʽconoscereʼ? Sicuramente – come causticamente rilevava sempre il caro zio Arturo – in questo genere di ʽconoscenzeʼ, val meglio – molto meglio«sapere di non sapere, che credere, illudendosi di sapere», e aggiungeva che le ʽcredenzeʼ stanno benissimo in cucina, luogo loro deputato, con i piatti, le pentole, le posate, i bicchieri, e i barattoli di marmellata.

Massimo Scaligero, che lʼopera di Lao-tzu e il Taoismo conosceva ed amava profondamente, traduceva il primo verso dellʼaurea opera del Maestro cinese, 道可道非常道, tao kʼo tao fei chʼang tao, così: «La Via Vera, il Tao, non la via di cui si può parlare, non è la via ordinaria», e metteva in evidenza come la ʽVia del Cieloʼ, appunto, «non sia la via ordinaria».

Ma se la ʽVia del Cieloʼ non è quella ordinaria – direbbe il prode Jacques II de Chabannes, detto Jacques de La Palice o de La Palisse, signore, appunto, di La Palisse, e Maresciallo di Francia, che perse la sua ancor giovane, ardimentosa, vita, il 24 febbraio 1525, sotto le mura di Pavia – non può davvero essere altro che una ʽViaʼ tale da poter esser detta solo ʽstraordinariaʼ. Verità, questa, oserei dire, lapalissiana! Ora, la ʽVia del Cieloʼ non è altro che la ʽViaʼ del Mondo Spirituale, ossia la ʽViaʼ dellʼAssoluto, la ʽViaʼ dellʼIncondizionato, che come tale non subisce, né tampoco può mai subire, i limiti e i condizionamenti del miserabile, intelligentissimo, intelletto umano. La parte, il frammento, non può mai veramente mai – prevaricare sullʼUno-Tutto, ed è cosa stupidissima il solo pensarlo. Questo volersi imporre, prevaricando, sullʼUno-Tutto, sullʼUno Unissimo, è frutto di sciocca arroganza e di profonda ignoranza, ed è al contempo un esiziale errore di pensiero, nonché un atto di ὕβρις, hýbris, di quella ʽinsolenzaʼ, di quella ʽsuperbiaʼ, di quella ʽtracotanzaʼ, di quella ʽprevaricazioneʼ, che sono i frutti  guasti e tossici di un orgoglio, di una ambizione, di una arroganza, di un eccesso, di una violenza, di un accecamento spirituale – la avidyâ della sapienza indiana – che impedisce all’uomo di conoscere se stesso, di conoscere i propri limiti, limiti che pure è chiamato a superare proprio mediante conoscenza, ossia essi sono frutti avvelenati contro i quali ci mette in guardia Rudolf Steiner, il Maestro dei Nuovi Tempi, con parole che andrebbero spesso, e a lungo, meditate dai sovente troppo spensierati discepoli della Scienza dello Spirito. Egli mostra come la parte e il frammento possano e debbano trovare lʼarmonia con e nellʼUno-Tutto, e come lʼindividuale possa e debba riconoscersi nellʼUniversale, nonché coraggiosamente ritrovareUniversale in se stesso. Infatti così leggiamo, in una traduzione fatta dall’ottima Iva Levi Bachi, traduzione ed edizione che preferisco rispetto ad altre, di Teosofia. Introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del destino umano, GA-9, Editrice Antroposofica, Milano, 1994, pp. 147-148:

«Gli si apre così la possibilità di non seguire più soltanto le imprevedibili influenze del mondo sensibile, che spingono la sua volontà ora nellʼuna ora nellʼaltra direzione. Mediante la conoscenza egli ha contemplato lʼessenza eterna delle cose. Mercè la trasformazione del suo mondo interiore ha in sé la facoltà di percepire quellʼessenza eterna. Per chi cerca la conoscenza, assumono inoltre unʼimportanza speciale i seguenti pensieri. Quando egli trae il motivo dell’azione da se stesso, sa di trarlo dallʼessenza eterna delle cose, perché le cose esprimono tale loro essenza in lui. Egli agisce quindi nel senso dellʼordine eterno del mondo quando trae dall’eterno che vive in lui la direzione da imprimere allʼazione. Egli sa così di non essere più soltanto condotto dalle cose, ma di condurle egli stesso secondo le leggi ad esse inerenti, quelle stesse che sono divenute leggi del proprio essere.

Questʼagire partendo dallʼinteriorità può essere soltanto un ideale a cui si aspira. Il raggiungimento di questa mèta è assai lontano. Ma chi cerca la conoscenza deve voler vedere chiaramente questa via. Questa è la sua volontà di libertà, poiché la libertà è agire partendo da se stessi, ed è lecito agire partendo da se stesso solo a chi derivi i moventi dallʼeterno. Chi si comporta altrimenti agisce per motivi diversi da quelli inerenti alle cose. Si oppone allʼordine universale, e da questo dovrà essere vinto. In altri termini, ciò che egli prescrive alla propria volontà non potrà da ultimo attuarsi. Egli non può divenir libero. L’arbitrio del singolo essere si annulla attraverso gli effetti delle sue azioni».

Questa idea della connessione del singolo con lʼUno-Tutto, con lʼUno Unissimo, fu espressa da Rudolf Steiner in un suo breve scritto giovanile, databile presumibilmente attorno allʼanno 1886 o al 1888, dal titolo Credo. Der Einzelne und das All, ossia Credo. Il Singolo e il Tutto. Si tratta di tre fogli manoscritti, ritrovati nell’Archivio di Rudolf Steiner soltanto nel 1944, e pubblicati per la prima volta da Marie Steiner sul settimanale Das Goetheanum nel n° 52 del 24 dicembre 1944, ed ora presenti in Wahrspruchworte, GA-40, Rudolf Steiner Verlag, 1998, pp. 14-17. In questo breve scritto, risalente probabilmente al periodo viennese di Rudolf Steiner, allorché egli lavorava sul componimento poetico in prosa di Goethe sulla Natura, sono espresse, in un linguaggio filosofico – ma dovrei, forse, dire ʽfilosofaleʼ – di tipo idealistico, idee affini a quelle che si ritrovano in Goethe, in Hegel, in Schelling, in Lessing, in Spinoza, ma non solo in loro, e non solo in Occidente, circa lʼantica idea ellenica dello Ἕν καὶ Πᾶν, Hen kài Pan, dellʼUno-Tutto. La stessa, stessissima, idea è alla base di tutta la Filosofia Ermetica, nonché di tutta lʼautentica Alchìmia. Non soddisfacendomi troppo la traduzione pubblicata in Italia a suo tempo, prima nella rivista Antroposofia, poi in un volumetto della milanese Editrice Antroposofica, preferisco ritradurne alcuni brani:

«Il mondo delle idee è la sorgente e il principio di tutto lʼessere. In esso è infinita armonia e beata pace. Un essere che non venisse illuminato dalla sua luce, sarebbe una cosa morta, senza senso, esclusa dalla vita del Tutto. Sullʼalbero della creazione dellʼUniverso ha valore solo ciò che deriva la propria esistenza dallʼidea. Lʼidea è lo Spirito completo e chiaro in se stesso, sufficiente per se stesso, ed è se stesso. Il singolo deve guardare e riconoscere in sé lo Spirito, altrimenti si stacca e cade da quellʼalbero come una foglia secca, ed è come se fosse vissuto invano.
Quando lʼuomo si sveglia a piena coscienza, sente e riconosce se stesso come una cosa singola. Ma a tale grado della sua vita interiore, percepisce insita in sé la nostalgia dellʼidea. Questa nostalgia lo spinge a superare il suo stato dʼisolamento e dar vita allo Spirito in sé, e a divenire conforme alla realtà dello Spirito. Lʼuomo cioè si sente spinto a spogliarsi di ogni forma di egoismo che fa di lui un essere particolare, isolato in se stesso, in quanto è lʼegoismo che ottenebra la luce dello Spirito. Tutto ciò che sorge in lui da istinto, brama, passione, è solo frutto di questo egoismo. Lʼuomo deve perciò uccidere ed estinguere in sé questa volontà egoistica, per volere unicamente ciò che lo Spirito e lʼidea vogliono in lui.
«Abbandona quel che vive in te come espressione personale, e segui la voce dellʼidea in te, perché essa sola è divina».
Quello che si vuole come singolo non è che un punto senza importanza alla periferia del mondo, destinato a scomparire nella corrente del tempo. Quello che si vuole «nello Spirito» è nel centro, perché è lì che si accende per lʼuomo la luce centrale dellʼUniverso: e una tale azione non soggiace al tempo. Se si agisce come singolo, si cessa di essere un anello nella catena dellʼazione cosmica; ci si esclude. Se si agisce in Spirito, si partecipa con la propria vita allʼazione cosmica. La morte di quanto è congiunto col nostro sé inferiore è la base di una vita superiore. Giacché chi fa morire in sé il proprio egoismo, costui vive un Essere eterno. Noi siamo immortali nella misura in cui facciamo morire in noi il nostro sé inferiore. Questo è il senso dellʼantico detto:
«Chi non muore prima di morire, andrà in rovina dopo la morte».

Questʼultimo detto, che nel testo tedesco riportato da Rudolf Steiner, suona: «Wer nicht stirbt, bevor er stirbt, der verdirbt, wenn er stirbt», risale al mistico slesiano Angelo Silesio, ma si ritrova, prima di lui, in forma appena lievemente diversa, in un altro mistico tedesco, Jakob Böhme, nella sua Theosophia Revelata oder Alle göttlichen Schriften, Neudruck in 11 Bänden, hrsg. von A. Faust 1942, ove così suona : «Wer nicht stirbt, eh’ er stirbt, der verdirbt, wenn er stirbt», di assolutamente identico significato. Ma il motto è di sicura ispirazione rosicruciana, ed il suo contenuto ha unʼorigine misterica apertamente dichiarata in Platone e Plutarco. Si tratta di quella ʽmors mysticaʼ, di quella ʽmors philosophorumʼ della quale tanto parlano i Fedeli dʼAmore, Dante Alighieri, primo fra tutti, nella Vita Nova, e della quale parlano altresì mistici medievali come Riccardo di San Vittore, Meister Eckhart, e come loro molti altri. Ed è il risultato di quella platonica, plotiniana, bruniana e campanelliana ʽprattica dell’estasi filosoficaʼ, nella quale si apprende e si sperimenta l’ermetica Arte del ʽmorire prima di morire senza morireʼ.

Rudolf Steiner, nellʼunico punto della sua immensa opera ove egli parla del Conte di Cagliostro, nelle sue ʽesoterische Stundenʼ, ossia nelle cosiddette ʽlezioni della prima Classe della prima Scuola Esotericaʼ, da lui istituita nel 1904 e poi chiusa nel 1914, e da lui riaperta nel 1924 nella sola prima Classe, ossia in Die Tempellegende und die Goldene Legende als symbolischer Ausdruck vergangener und zukünftiger Entwickelungsgeheimnisse des Menschen. Aus den Inhalten der Esoterischen Schule, La Leggenda del Tempio e la Leggenda Aurea come espressione simbolica di misteri dellʼevoluzione passata e futura dellʼuomo. Dai contenuti della Scuola Esoterica, GA-93, Rudolf Steiner Verlag, Dornach, 1979, 1982, 1991, nella sezione intitolata Wesen und Aufgabe der Freimaurerei vom Gesichtspunkt der Geisteswissenschaft, Essenza e compito della Frammassoneria dal punto di vista della Scienza dello Spirito, e precisamente nella terza ʽlezione esotericaʼ di quella sezione, tenuta a Berlino, il 16 dicembre 1904, parla come scopo ed essenza della ʽegiziacaʼ Via ermetico-rosicruciana del Conte di Cagliostro fosse appunto il superamento della ʽprova della morteʼ, simbolicamente – quanto al contempo affatto realisticamente – raffigurata dalla realizzazione della ʽpietra filosofaleʼ.

Infatti, nel Rituale del Conte di Cagliostro troviamo una frase rivelatrice: «Qui agnoscit mortem, cognoscit artem», significante il fatto che unicamente chi conosca la ʽmorte misticaʼ o la ʽmorte filosofaleʼ, conosce veramente ancheArte Ermetica della trasformazione, della trasfigurazione, o della trasmutazione, di un uomo mortale in un dio immortale. Il poeta Novalis così descrive il potere trasmutativo della Morte in Fragmente. Erste, vollständig geordnete Ausgabe hg. von Ernst Kamnitzer, Dresden 1929. Magische Philosophie:

«Wenn ein Geist stirbt, wird er Mensch. Wenn der Mensch stirbt, wird er Geist. Freier Tod des Geistes, freier Tod des Menschen». Il che nella lingua del nostro Dante suona: «Allorché uno spirito muore, ei diviene uomo. Allorché muore un uomo, ei diviene spirito. Libera morte dello spirito, libera morte dellʼuomo».

Questo legame tra morte – la ʽmorte misticaʼ o la ʽmorte filosofaleʼ, naturalmente – e Iniziazione, da sempre riconosciuto nelle cerchie dei Misteri, viene così mostrato poeticamente da Goethe nei versi del suo Westöstlichen Diwan, Divano occidentaleorientale, spesso citati da Rudolf Steiner, per es. in Wo und wie findet man den Geist?, Dove e come si trova lo Spirito?, GA-57, Rudolf Steiner Verlag, Dornach, 1984, p. 79, ove egli riporta anche il sopra citato detto di Jakob Böhme:

«Und so lang du das nicht hast, / Dieses: Stirb und Werde! / Bist du nur ein trüber Gast / Auf der dunklen Erde», ovvero: «E finché tu non lo avrai compreso / Questo: Muori e divieni / Tu sarai soltanto un fosco ospite / sulla oscura Terra».

Questo, del resto, è sempre stato lo scopo, il fine ultimo, e il più elevato – la ʽEccelsa Mètaʼ, della quale parlava il principe Siddhartha Gautama, il Buddha Shakyamuni – dell’impresa di ogni autentico Sentiero Iniziatico. La prova delle prove è, appunto, quel «morire al mondo, al secolo, alle sue imperfezioni», quel «morire a se stessi» del quale parlava nel XVIII secolo il barone Henri Théodore de Tschoudy, amico e discepolo del rosicrucianoMassimo Scaligero hoc dixit – principe Raimondo di Sangro di San Severo. Ma questo «morire al mondo», questo «morire a se stessi», è cosa niente affatto gradita al miserabile ego umano, ossia a quellʼente poco consapevole di sé, che di regola si identifica ad una natura inferiore da millenni dominata e manovrata da Deità Ostacolatrici avverse allo Spirito. In uno stato di ottusa ignoranza, che gli obnubila ogni visione della Realtà, lʼego, ridotto ad uno stato di abiezione umano-animale, si identifica e si lega a tale menzognera natura inferiore mediante brama, paura e avversione. Egli, soprattutto, brama la vita – quella ch’ei, illudendosi, crede essere vita – e, di conseguenza, teme e avversa la morte. Egli, in realtà, temeestinguersi della brama, che, pure, ardendo, lo consuma, e lo teme ancor più della perdita di un determinato oggetto del suo bramare, il quale può ben continuare a sussistere sostituendo un oggetto bramato con un altro. Dunque, egli teme il morire della brama, il morire della bramosa natura inferiore alla quale ottusamente e tenacemente egli, ʽtetanicamenteʼ, si aggrappa, si avvince, si avvinghia con un doloroso crampo, e si identifica. Illuso da una potente maya, che non scorge, egli cerca la ʽvitaʼ – quella, dicevo, chʼegli crede essere ʽvitaʼ – e, invece, trova la morte, dissolvitrice di ogni illusione. In luogo di cercare ostinatamente, e stupidamente, la morte tra le braccia di quella che crede essere, e non è, ʽvitaʼ, trovando poi così inevitabilmente la morte, egli dovrebbe cercare coraggiosamente la ʽvitaʼ – una vera ʽvitaʼ, ossia una vita immortale – tra le braccia della ʽmorteʼ : di una dolcissima ʽmorte misticaʼ, di una beatrice ʽmorte filosofaleʼ, come fa Dante Alighieri, naturalmente. Sembra essere un giuoco di parole, ma – il candido lettore mi può serenamente credere – non lo è affatto. Ma, vittima comʼegli è di una maya ottundente, nel suo stato di profonda ignoranza, lʼuomo cerca bramosamente quella chʼegli crede essere ʽvitaʼ, e in questo suo ebbro cercare trova, come abbiamo visto, appunto, solo la morte. Di fronte alla possibilità di estinguere la brama,  di calpestare, senza misericordia, speranza e paura, ossia di fronte alla possibilità di far morire una riottosa natura inferiore, lʼimpaurito essere umano, posto davanti alla prova cruciale, come una bestia braccata, affannosamente cercapessima idea – la fuga, e, come dice in Ex Imo il caro zio Arturo, in tal caso in lui «l’animale si è istintivamente difeso, e per paura di morire l’uomo resta, come prima, mortale»

Detto sinteticamente, in maniera rudemente, e crudamente, spartana: «Chi cerca la vita animale, trova la morte. Chi, invece, cerca la morte filosofale, trova la vita immortale!».

Nel suo giovanile scritto – nel caso risalisse davvero al 1886, egli avrebbe avuto allora solo 25 anni – Rudolf Steiner, poi parla di come attraverso la Conoscenza, lʼArte, lʼautentica Religiosità, e lʼAmore, lʼessere umano possa e debba liberarsi, estinguendolo, del proprio egoismo, che lo rende un essere singolo, distaccato dallʼUno-Tutto, dal Tao, direbbe il sapientissimo Lao-tzu. E aggiunge che:

«Se lʼuomo, procedendo attraverso una di queste quattro sfere, esce dalla sua singolarità, arriva a vivere nella vita divina dellʼIdea, allora egli avrà raggiunto ciò che vi è in nel suo petto come nucleo del suo anelito: la sua unione con lo Spirito; e questa è la sua vera missione. Ma chi vive nello Spirito, vive libero. Poiché egli si è estirpato tutto tutto ciò che in lui è inferiore. Niente lo costringe, di ciò cui egli volentieri accetta la costrizione, giacché egli lo ha riconosciuto come ciò che vi è di più sublime.

«Fa’ che la Verità diventi vita; perdi te stesso, per ritrovarti nello Spirito del Mondo».

Da tutto ciò risalta con assoluta chiarezza come la ʽVia del Cieloʼ, la ʽViaʼ del Mondo Spirituale, come afferma Massimo Scaligero, non possa davvero essere la ʽvia ordinariaʼ, il che equivale a dire che non può affatto essere la ʽviaʼ volgare, la ʽviaʼ dei savants, degli idiots savants, degli intelligentissimi acculturati intellettuali, dei callidi machiavellici furbastri, che pensano di poter manipolare lo Spirituale per i loro scopi mondani, che poi son sempre mediocremente scopi umano-troppo umani, scopi mondani che con lo Spirituale, malgrado tutta la abilissima dialettica giustificatrice da loro messa in campo, nulla hanno davvero a che vedere: anzi ne sono il completo tradimento.

Ecco, offerti alla diligente e sagacia riflessione del volenteroso lettore, alcuni eloquenti esempi ʽstoriciʼ di una cotal stupidissima prassi, la quale – va da sé – ritiene sempre di essere particolarmente ʽintelligenteʼ, anzi, ʽintelligentissimaʼ. Negli anni venti dell’ultimo secolo del trascorso millennio, vi furono nella sveva Stoccarda, in Germania, coloro che – nella dantesca Città del Fiore li definirebbero dei gran ʽbischeriʼ, dei ʽmambrucchiʼ, dei ʽgrullerelliʼ, degli ʽscappati di casaʼ, che se li vedesse il grullaio, se li porterebbe via tutti col suo barroccio – ritenevano essere un Iniziato, un Istruttore spirituale, come Rudolf Steiner, individuo molto poco ʽpraticoʼ, ed essendo loro, invece, ovviamente ʽintelligentissimiʼ, tentarono con macchinazioni varie di ergere, alle sue spalle ovviamente, e contro il suo illuminato agire, un intelligentissimo ʽStuttgarter Systemʼ, un ʽsistema stuttgartenseʼ, ovvero di ʽStoccardaʼ – divenuto in séguito, in elvetica terra, il ʽDornacher Systemʼ, un farisaico e filisteo, sommamente ipocrita, opportunista e vigliacco, ʽsistema dornacchianoʼ – che infiniti guai e sciagure, per oltre un secolo, portarono, ed ancora portano, nel movimento antroposofico. In Italia, Giovanni Colazza, che, pure, Rudolf Steiner, sin dagli anni 1909-1910, ʽsu indicazione del Mondo Spiritualeʼ, secondo la testimonianza della baronessa Olga de Grünewaldt, amica d’infanzia di Marie Steiner e socia del romano Gruppo Novalis, a Massimo Scaligero, aveva preposto alla guida dellʼAntroposofia in Italia, fu, sì, ripetutamente oggetto delle calunniose accuse, quelle più infami e sordide, ma anche del fatto che, egli pure, fosse poco ʽpraticoʼ, ovverossia del fatto che, secondo i suoi velenosi critici, non brillasse per capacità organizzative, conciosiacosaché dopo la seconda guerra mondiale, egli venne emarginato, e ʽsostituitoʼ nella direzione della Società Antroposofica in Italia da chi, come la scialba principessa Sofia Dentice di Frasso, ʽdonna di pagliaʼ, eterodiretta dalla sua intima amica anglo-triestina Miss Dora Baker, fervida propagandista della più esiziale ʽsteffenite acutaʼ in Italia (che, nel 1979, ebbi la ventura di conoscere personalmente in quel di Dornach), era assolutamente ʽallineataʼ con le ʽintelligentissimeʼ direttive ʽipersteffenianeʼ, che giungevano da Dornach. Nella farisaica ipocrisia steffeniana, la dornacchiana e milanese dirigenza antroposofica, per far dimenticare il nome di Giovanni Colazza, giunse a retrodatare la presidenza della Società Antroposofica in Italia da parte della esimia principessa. Infatti, così leggiamo in un articolo apparso in rete, strapieno di imprecisioni storiche, a firma di Sanzia Ghislieri e Elisabetta Liechtenstein Winspeare: «Sofia rimase assai impressionata dalle idee di Steiner, tanto da diventarne una delle più appassionate adepte. Diverrà infatti presidente della Società Antroposofica italiana, carica che manterrà per ben quarantasette anni coadiuvata da Dora Baker la quale, oltre ad esserle preziosa collaboratrice, diverrà anche la sua più intima amica». Una cotale piuttosto avventata affermazione viene clamorosamente smentita, per i suoi vari anacronismi, dal calendario, in quanto solo dopo la seconda guerra mondiale la principessa Sofia Dentice del Frasso venne riconosciuta dal Vorstand, dalla sempre più iperinsteffenita Direzione del Goetheanum, livida avversaria e cinica persecutrice di Marie Steiner, come presidente della Società Antroposofica in Italia. Del resto lei stessa non visse che pochissimo tempo in Italia, dimorando perlopiù a Vienna o a Klagenfurt in Austria, o a Dornach in Svizzera, dove quasi si isolò, per cui delle faccende antroposofiche italiane si occupò poco o nulla, sino alla morte avvenuta il 5 agosto del 1968. Un altro atto, veramente squallido, volto a cancellare il ricordo di Giovanni Colazza – vero e proprio atto scellerato di ʽdamnatio memoriaeʼ nei suoi confronti – è stato quello di indicare il Dott. Aldo Bargero come il primo ʽmedico antroposoficoʼ in Italia, come se Giovanni Colazza, che era discepolo di Rudolf Steiner sin dal 1909, non fosse degno di tale qualifica. Dispiace leggere in uno scritto, reperibile in rete sul sito di Minerva Medica, a firma di Giancarlo Buccheri le seguenti parole: «Nel capitolo sulla storia della medicina antroposofica in Italia è descritto come alcuni coraggiosi pionieri si attivarono a partire dagli anni ’50 del secolo scorso per farla e per praticarla nel nostro paese. Il primo di essi fu il dott. Aldo Bargero di Milano, a cui vala nostra profonda gratitudine». Mentre è noto come da oltre mezzo secolo prima di Aldo Bargero, peraltro personalità del milieu milanese molto ostile a Colazza e a Massimo Scaligero, Giovanni Colazza non solo praticasse la medicina antroposofica, ma addirittura formasse giovani medici come Amleto Scabelloni, Fiorenza Berto, da me benissimo conosciuti sin dagli anni settanta dello scorso secolo, ed altri che non nomino. Del resto, visto che i farmaci della medicina antroposofica Weleda erano presenti in Italia sin dagli anni trenta del Novecento, avranno pur dovuto esserci dei medici che li prescrivevano e li usavano essi stessi. Questo per l’obbiettività storica.

Le stesse accuse di ʽingenuitàʼ, di mancanza di ʽpraticitàʼ, ebbi modo di sentirle personalmente già nel 1996 e nel 1997, in casa mia e davanti ad una mia congiunta, quindi ella pure testimone, dalla bocca stessa dellʼInnominato, nei confronti di Massimo Scaligero, oltre allʼaccusa, calunniosa, gravissima e infame, ossia quella di praticar lui ed indicare ad altri una ʽvia incompleta e superataʼ, una ʽvia orientaleʼuna ʽvia yoghicaʼ, una ʽvia buddhistaʼuna ʽvia non cristicaʼ, una ʽvia non graalicaʼ, e come tale necessitante di ʽcompletamentoʼ, di ʽriorientamentoʼ, di salutare ʽrettificaʼ, di ʽcorrezioneʼ. Rabbrividii letteralmente di orrore, quando a Roma, alcuni decenni fa, da qualcuno mi fu detto: «Su richiesta di X., ci siamo presi la responsabilità di mentire a Massimo Scaligero». Costoro – essendo, ovviamente, tanto ʽintelligentiʼ e ʽpraticiʼ, manodotti da chi era persona di loro ancor più ʽintelligenteʼ e ʽpraticaʼ – pensavano di esser chiamati a ʽgestireʼ un Iniziato come Massimo Scaligero, da essi ritenuto, appunto, ʽpoco praticoʼ, e addirittura, con plausibili menzogne, secondo loro facilmente ʽingannabileʼ, dimostrando così il sommo disprezzo ch’essi  avevano non solo per il suo essere spirituale, e per il còmpito iniziatico affidatogli direttamente dal Mondo Spirituale, e non scelto certo da lui stesso, ma altresì un grande disprezzo per la sua stessa umanità. Il tutto – inutile farlo presente – attuato per ʽun più nobile fineʼ, che ai loro occhi scusava, anzi giustificava, come assolutamente necessari e meritevoli, la turpe menzogna, e l’inganno.

Questa è, letteralmente, la follia, la stupidissima presunzione, di chi, nella propria più colpevole ottenebrata ignoranza, non si rende minimamente conto che un Iniziato, pur spesso dovendo tacereper una ferrea regola occulta – scruta sin nei più profondi e oscuri meandri le anime di coloro che il destino gli porta incontro, sia ch’egli li abbia davanti, sia che essi gli siano spazialmente lontani, e che un Iniziato, un Istruttore Spirituale come Massimo Scaligero, vede persino le cose più celate, talvolta, dagli stessi interessati, da lungo tempo dimenticate. Di ciò ne ebbi personalmente molteplici, ripetute, inequivocabili prove. Questa è la follia di coloro che non si rendono conto che si può e si deve sempre servire il Mondo Spirituale, ma non ci si può mai e, soprattutto, non ci si deve mai e poi mai – in alcun modo e per nessun motivo o fine – servire del Mondo Spirituale, e che questa stupida presunzione, questa arroganza, questa tracotanza – la hybris che, secondo gli Elleni, gli Dèi odiano – è, e non può essere altro che «tradimento»

Ora, se, come Dante nella Comoedia, in Inf. I, 26, lʼanimo mio si volge «retro a rimirar lo passo» dei molti anni – oltre cinque decenni – trascorsi ad operare e lottare in questa ʽViaʼ, vedo scenari che, oggi, mi stupiscono assai, e mi confermano, una volta di più come la ʽVia del Cieloʼ, la ʽVia del Mondo Spiritualeʼ, non sia proprio, e non possa proprio essere, per nulla, una ʽVia ordinariaʼ. Quando, alla fine di una adolescenza oltremodo agitata, tramite lʼamico L., venni in contatto con la Scienza dello Spirito e, soprattutto, con Massimo Scaligero, ero molto giovane, molto ignorante, ed eziandio, per fatale inesperienza, anche molto sciocco.

Per questa mia giovanile inesperienza e ingenuità, nei miei ventʼanni, vedevo e ritenevo – giustamente ritenevo – talune persone che sapevo avere molti più anni di Scienza dello Spirito alle loro spalle, rispetto al poco, al pochissimo che potevo avere io, alquanto migliori del selvaggio e ignorantissimo individuo che allora ero, e che ancora largamente sono. E, giustamente, davo fiducia ad una serie di persone, dalle quali intuivo che avrei potuto imparare molto. Ed infatti, da loro molto appresi. Per questa ragione, allora ero altresì portato a dare per scontate – e qui sbagliavo alla grandemolte cose, che in séguito avrei scoperto che, scontate, davvero non lo erano affatto, cose che, anzi, mi sarebbero poi costate molto care, e che mi avrebbero procurato moltissime amare, anzi amarissime, delusioni, nonché moltissime ore non poco difficili. Del resto, Massimo Scaligero stesso, già nel primo incontro, volle mettermi in guardia – oggi ritengo profeticamente – rispetto al fatto di credere ad un qualcosa, proclamato vero unicamente sulla base della presunta autorevolezza, o della imposta, pretesa, autorità, che si voleva, senza verifica, da taluni esigere da me con totale, cieca, sottomissione. Questi taluni – diversamente da quanto, invece, fece sempre Massimo Scaligero, che mai e poi mai impose la sua autorità – dopo la di lui dipartita, vollero instaurare un ʽnuovo corsoʼ, sostenendo che ʽtempi son cambiatiʼ (strategia subdola e gesuitica, che Alfredo Rubino, fedele discepolo della Via, causticamente, in maniera cloridrica, sentenziò così: «Sì, facciamo come la Chiesa Cattolica: adeguiamoci ai tempi!»), e che dovevano inaugurarsi non solo ʽnuoviʼ, ʽdiversiʼ, ʽpiù efficaciʼ metodi di ʽascesiʼ, di ʽrealizzazione spiritualeʼ, ma altresì doveva venire introdotta una nuova, mirabile, ʽrivelazioneʼ, la quale andava a sostituire in tutto o in parte – eccoci ancora una volta al cosiddetto ʽtrasbordo ideologico inavvertitoʼ – i contenuti della Scienza dello Spirito donati da Rudolf Steiner, e comunicatici da Giovanni Colazza e da Massimo Scaligero. Soprattutto la rigorosa Ascesi del Pensiero, la Via del Pensiero Vivente, indicataci da Massimo Scaligero doveva  lentamente, progressivamente – con la pavida, omertosa, cinica prudenza dei vili – esser messa da parte, e gradualmente sostituita dalla aggiornata ʽvia dell’animaʼ, scaturita da una sì mirabile, novella, ʽrivelazioneʼ. E chiunque avesse chiesto spiegazioni in proposito, o – peggio ancora – avesse opposto motivate obbiezioni, sarebbe stato bollato – come, poi, in effetti, ripetutamente avvenne – di sconfinata ʽpresunzioneʼ, di essere un ʽinvasatoʼ, un ʽpossedutoʼ dalle Potenze Avverse, addirittura di essere ʽpsichicamente insanoʼ, ʽparanoicoʼ, additato a sommo dispregio. E attorno a costui – sempre molto ʽcompassionevolmenteʼ e ʽcristianamenteʼ, ovviamente – veniva prima fatta terra bruciata, poi attuato un vero e proprio ostracismo e linciaggio morale. Egli veniva indicato come ʽhaereticus vitandusʼ, col quale era bene non aver comunanza veruna, e che veniva condannato alla ʽdamnatio memoriaeʼ.         

Negli anni, anzi nei decenni a seguire, avrei potuto poi vedere, a lungo e con mio grande sconcerto, come molti dei ʽmiglioriʼ, nei quali in passato avevo riposto avventatamente totale fiducia, poi risultassero non solo ʽerrareʼ – il che è pacifico, e questo non è certo un problema, ché tutti noi, io per primo, e molte volte, ʽerriamoʼ – ma mostrassero, in maniera evidente, consapevolmente di ʽtralignareʼ, di ʽtradireʼ, e addirittura – come direbbe, con la compassionevole delicatezza dʼanimo che la contraddistingue, la mia sapientissima amica Fang-pai, Figlia del Celeste Impero, e Maestra del Dharma – mostrassero anche di ʽvoltar le spalle alla mètaʼ di ʽdimenticare lʼintenzione originariaʼ, di ʽsmarrire lʼintenzione originariaʼ, che per destino e, soprattutto, per la benevolenza del Cielo e dei Numi, ci aveva portati tutti a calcare la ʽVia Solareʼ

Destava in me particolare stupore il fatto di vedere persone, che ritenevo moralmente molto migliori di me, e ben più avanzate nella ʽViaʼ del sottoscritto, finire esse, e fare finire altre persone, in esse fidenti, su sentieri traversi, molto problematici e pericolosi, nonché vederle compiere azioni non esattamente commendevoli, volutamente e apertamente contraddicenti lʼassunto spirituale, e produrre di conseguenza enormi disastri, financo grandi tragedie. Considerando come la mia selvaggia persona allora fosse, ed ancor lo è, piena di macroscopici difettoni, ai quali peraltro sono affezionatissimo, ossia essendo la mia una natura capacissima di innumerevoli errori, difetti ed errori di ogni tipo e sorta – e confesso ciò senza quella ipocrita, lacrimevole, stucchevole, rugiadosa, mucillaginosa, recitata e falsa ʽumiltàʼ, tipicamente cattolica, che dilaga in molte comunità spirituali, anzi con la più colpevole, dispettosa, delinquenziale, complice, ostentata fierezza e per nulla celata soddisfazione – mi era difficile comprendere perché certe cose fossero evidenti e chiare agli occhi di un poco raccomandabile ʽpredone della steppaʼ quale mi ritenevo io, e non a costoro, tanto ʽintelligentiʼ, e tanto moralmente ʽprogreditiʼ, e perché, naturalmente, altrettanto non evidenti e chiare, tali cose apparissero, oserei dire, fatalmente, altresì a tutte le ʽanime belleʼ – e questo lo dico lo dico senza veruna ironia, perché ʽbelleʼ, quelle anime, che ad altrui ʽautoritàʼ, purtroppo, con spontanea fiducia, e con slancio del sentimento, si affidavano, lo erano e lo sono davvero – ed è, a mio modo di vedere, criminale fuorviare queste ʽanime belleʼ su falsi sentieri, paralizzarne la volontà nellʼascesa spirituale, ed esporle a non pochi pericoli, facendo in modo che esse accolgano nelle loro anime delle non verità, delle palesi menzogne, alle quali veniva e viene loro chiesto di dare acritica, cieca, adesione.

Ma i giovani, ingenui, inesperti lupacchiotti cogli anni crescono, ed anche i selvaggi ʽpredoni della steppaʼ, nei decenni trascorsi a lottare, si fanno alquanto più accorti, molto meno creduli, e non dànno più per scontate cose che, decenni prima, al loro sguardo sembravano, solo sembravano, apparire ʽevidentiʼ, mentre poi si sarebbero rivelate delle illudenti fattispecie, ossia delle recitate, indubbiamente molto abili, messe in scena. Molto aiutò la conoscenza diretta delle opere di Rudolf Steiner, lette direttamente negli originali tedeschi, il che fece capire come talune persone, ignorantissime, su determinati argomenti ʽaffabulasseroʼ assai, e celassero la loro ignoranza condendo, con mirabili particolari, narrazioni da loro totalmente inventate (una sorta di ʽvi stupiremo con gli effetti specialiʼ), o frutto di ambigue esperienze psichiche, non certo spirituali, o semplicemente frutto di un riportato, che è, esso pure, un pessimo malvezzo degli ambienti sedicenti spiritualisti in generale, e in special modo di quelli ʽantroposoficiʼ e ʽscaligeropolitaniʼ, ovvero manifestazioni delle ʽdinamiche tipiche del mondo settarioʼ, per dirla col mio ottimo amico C., asceta d’altra dottrina, nonché animoso lottatore spirituale, e mio compagno d’armi di tante tempestose battaglie.

Naturalmente, questo andare a verificare direttamente sulle fonti – e Massimo Scaligero sin dal nostro primo incontro di quella fine di primavera del 1970, mi invitò apertamente a farlo, e a ʽnon credereʼ a qualcosa sulla base della semplice altrui ʽautoritàʼ – non era cosa a taluni gradita, e non poteva che suscitare malumore ed indispettire, allora, ma anche in séguito, chi amava le proprie infondate opinioni, le proprie consolanti od opportune illusioni, le proprie fantasticate affabulazioni, più della verità. Per cui, per quanto, inizialmente, uno non avesse avuto la minima intenzione, comʼera – per fatale inesperienza e giovanile ingenuità – il caso mio a quellʼepoca, di contrastare quanto dogmaticamente affermato da una cotale ʽautoritàʼ, finiva per divenire sempre più inviso da chi esigeva – sia pure in forme non brutali, ma ʽmorbideʼ e ʽinsinuantiʼ – il riconoscimento di essa. Quello che, nel tempo, andò a suscitare nel mio animo sempre maggiore stupore, fu non soltanto il non andare da parte di costoro a verificare sulle opere originali di Rudolf Steiner in tedesco, quanto lʼevitare, di proposito, di farlo pure sul molto materiale, tradotto in italiano, e riprodotto in forma dattiloscritta, presente per esempio nella ricca biblioteca del Gruppo Novalis, diretto nel secolo scorso, prima da Giovanni Colazza, poi da Mario Viezzoli, da Caio Sallustio Crispo, da Romolo Benvenuti.

Ora, per quanto io sentissi viva amicizia, e a volte venerazione, nei confronti di talune persone, non potevo scordare lʼadagio, che la tradizione attribuisce ad Aristotele, che afferma: Φίλος μεν Πλάτων, φιλoτέρα δε ἀλήθεια, Phìlos men Plàton, philotèra de alètheia, o nella sua più nota versione latina, Amicus Plato, sed magis amica veritas. Queste parole, tradotte nella bella lingua del nostro Dante, suonerebbero: «Platone mi è caro, ma la verità mi è ancor più cara». Ed è lo stesso Aristotele ad affermare nella Ethica Nicomachea, I, 4, 1096 a 16, che «Se gli amici e la verità ci sono ugualmente cari, allora si dovrebbe dare la preferenza alla verità», e Platone nel Fedone, 91 C, «Di Socrate ci si deve occupare un poʼ, ma della verità molto di più», e nel X libro della Repubblica, «Eppur un certo affetto e rispetto che ho sin da bambino per Omero mi trattiene dal parlarne. Perché lui è stato, mi sembra, il primo maestro e la guida di tutti questi eccellenti tragici, Non si deve però onorare un uomo più della verità, ma, come io sostengo, bisogna parlarne».

Il problema drammatico, semmai, sorge quando ci si rende conto – magari dopo molto errare – che talune persone alle quali un tempo si rivolgeva cotanta ammirazione e fiducia, sul piano etico e morale non assomigliavano affatto ad Omero, a Socrate, o allo stesso Platone. Il problema, addirittura tragico, sorge, semmai, quando, in un giorno che mai si avrebbe voluto veder sorgere, uno arriva a rendersi conto di avere a che fare con chi non rispetta i patti di fede giurata, con chi mente sapendo di mentire, con chi non onora né la sacra parola data, né i giuramenti fatti, né amicizia, né verità, ossia uno si rende conto che di avere a che fare con chi pone in atto, volutamente e sistematicamente, metodi e machiavelliche strategie di manipolazione dellʼanimo delle persone, con chi cela le finalità vere del proprio agire, ed agisce cinicamente, spregiudicatamente, con lʼintrigo, con la congiura, con la calunnia, con la diffamazione più gratuita, col linciaggio morale di chi motivatamente dissente, con la sistematica menzogna

Vi è stato anche chi, volendo ingiuriarmi, calunniarmi in privato, diffamarmi in pubblico, oralmente e per iscritto, mi ha rivolto spesso (la cosa va avanti da decenni) lʼaccusa – che, personalmente, trovo oltremodo lusinghiera, quasi al limite della adulazione – di essere dal punto di vista spirituale, orientale, yoghico, taoista, e addirittura buddhista. Davvero troppo buoni! Francamente, non sento di meritare sì lusinghiere ingiurie – le medesime che dalla bocca stessa dellʼInnominato, in casa mia, nel maggio del 1996 e del 1997, davanti a persona testimone a me congiunta, vennero rivolte da questi a Massimo Scaligero – anche perché da esse vengo immeritatissimamente associato ad una figura troppo più grande, e troppo più luminosa del selvaggio ʽlupaccioʼ cattivissimo e del delinquenziale ʽpredone della steppaʼ, quale io sono. Comunque, ribadisco la promessa, già più volte da me fatta in passato, di sforzarmi, in futuro, operando con diligenza, in ogni maniera, per meritare accuse ed ingiurie, che mi fanno sin troppo onore. Ma vi è un punto del Dharma, ossia della Dottrina, e del Marga, ovvero dellʼAscesi realizzativa, del Buddha Shakyamuni, che mi ha sempre colpito: il grandissimo amore per la verità, per la veracità, per la sincerità, e la più grande ripugnanza, come per cosa ignobile e indegna, della menzogna, della falsità, della doppiezza, che deve avere ogni discepolo della ʽViaʼ, di qualsiasi autentica, sincera, onesta ʽViaʼ di realizzazione spirituale. Ma, se guardiamo lʼattuale realtà, e non ci vogliamo scioccamente illudere, non è, purtroppo, che negli ambienti sedicenti ʽspiritualistiʼ, ʽantroposoficiʼ, anche in quelli ʽscaligeropolitaniʼ – come li definisce in maniera ironica e alquanto divertita il mio ottimo amico, e compagno dʼarmi di tante battaglie, C. – la veracità, la veridicità,amore per la verità abbondino e siano proprio di una abbagliante evidenza.

Facciamo un esempio. Allʼinizio dellʼattuale secolo, in una riunione ʽclandestinaʼ – si preferiva da parte di chi l’aveva organizzata, e pertanto a tal proposito venne fatta fare ai partecipanti una acconcia promessa, che il sottoscritto non ne venisse a conoscenza – svoltasi nella mia città, riunione dai vari problematici aspetti, sui quali ho avuto modo in passati articoli di scrivere sul presente blog, tra varie altre cose dallʼInnominato venne reso noto chʼegli era in possesso dei ʽquaderniʼ, che a suo tempo sarebbero stati scritti da ʽOraoʼ (sive mas sive faemina), il contenuto dei quali è stato oggetto, in anni più recenti, di alcune pubblicazioni da parte della romana casa editrice Tilopa. In particolare, si tratta, per il momento, di tre libri – non sappiamo se ne usciranno ancora altri – rispettivamente intitolati Resurrezione, Madre, e Intelligenza Celeste. Al termine di uno studio, apparso in più puntate su questo pugnace e temerario blog, ponevo allʼInnominato una serie di esplicite, leali, anche se scomode, scabrose, precise domande, rispetto alle quali era più che legittimo ed auspicabile aspettarsi di ricevere una chiara, esauriente, onesta risposta, risposta che – esattamente come prevedevo – non giunse mai. Due tra le varie domande, tutte facili facili, riguardavano il fatto di sapere chi fosse in possesso legale dei suddetti ʽquaderniʼ di ʽOraoʼ (sempre sive mas sive faemina) dopo la sua dipartita, e comeInnominato ne fosse venuto, a sua volta, eventualmente, in legittimo e lecito possesso. Trattandosi di evenienze estremamente delicate, in questi casi il sintattico periodo ipotetico è d’obbligo. Ora – stando, ovviamente, a quello che mi hanno comunicato, relata refero, alcune fonti romane ʽautorevoliʼ e ʽsolitamente bene informateʼ, alle quali lascio la reponsabilità di quanto comunicatomi – lʼInnominato afferma ora, ossia solo dopo le mie esplicite domande, che i suddetti ʽquaderniʼ gli sarebbero stati donati da ʽOraoʼ in persona, prima della propria dipartita, che peraltro sarebbe avvenuta oltre trent’anni fa, e non si capisce, però, perché essi vengano pubblicati in così rapida sequenza solo ora, vista l’estrema rilevanza ed importanza – novella, mirabile, ʽrivelazioneʼ, sia pure in palese contrasto con le esplicite comunicazioni di Rudolf Steiner, che con i metodi di realizzazione spirituale indicati da questi, da Giovanni Colazza, e da Massimo Scaligero – che il gianicolense editore romano attribuisce loro. Questa narrazione dei fatti da parte dell’Innominato lascia il sottoscritto molto perplesso, in quanto nel dicembre 2001, R., congiunto di ʽOraoʼ, mi disse che quei ʽquaderniʼ, dopo la morte di ʽOraoʼ, erano rimasti per molti anni in suo legittimo possesso, e che da una certa persona, una donna, frequentatrice con varie incombenze e scuse della sua casa, non molto tempo prima del nostro colloquio, su incarico ricevuto da qualcuno, gli erano stati furtivamente sottratti. R. mi mostrò anche il punto della biblioteca dove, prima del suddetto ʽesproprio esotericoʼ, vero furto con destrezza, erano custoditi. E come sarebbero giunti, poi, questi ʽquaderniʼ nelle mani dellʼInnominato? Chissà?! Mistero! Non è dato di sapere! Naturalmente, queste due versioni, questi due diversi relata, sono tra loro contrastanti, e non possono davvero, secondo ogni logica, aristotelica, hegeliana, o nagarjuniana che sia, essere contemporaneamente ambedue veritiere e fededegne. Conciosiacosaché, la tal cosa lascia il sottoscritto molto perplesso, anche se, devo dire che, personalmente, non ho mai, davvero mai, visto o udito R. – col quale, pure, in passato avevo avuto dei contrasti – mentire, o inventarsi a bella posta ʽstorieʼ di qualsiasi tipo e sorta. Cosa che, francamente, non posso dire di altri. Di vari altri, dei quali – come ho avuto modo più volte di rilevare in passato – è tipica una molto disinvolta concezione della verità a ʽgeometria variabileʼ.

Lascia, peraltro, molto perplesso il sottoscritto anche la ʽnarrazioneʼ, che l’Innominato, anch’essa ora, solo ora, dà, circa il suo esser venuto in possesso di un ʽdiarioʼ di Massimo Scaligero, che da questi fu donato, con dedica, al su citato R., e di cui molte pagine in questi ultimi due anni sono state riprodotte sia su L’Archetipo di Marina Sagramora, sia su un noto social forum ad opera di altra persona, suscitando nello scorso dicembre, sulla rivista romana Graal, da parte di un anonimo autore, alcune agrodolci rimostranze, condite con sommessi, e poco velati, accenni ad eventuali possibili misure, non meglio precisate, da prendere in proposito. L’Innominato, ora, sostiene che quel ʽdiarioʼ di Massimo Scaligero, gli sarebbe stato donato proprio da R., prima della propria dipartita. Conoscendo i manifesti sentimenti, invero piuttosto irritati, di R. nei confronti dell’Innominato dopo l’impresa del suddetto ʽesproprio esotericoʼper carità, impresa, ça va sans dire, attuata da chi allora la fece, non ne dubitiamo affatto, per nobilissimi fini – vi è davvero di che essere molto scettici, e non poco perplessi, circa una cotale ʽnarrazioneʼ. Del resto, persona molto vicina al suddetto R., e fedele di Massimo Scaligero e della Via, mi descrisse la scena di quel che disse e fece l’Innominato a casa di R., dopo la dipartita di quest’ultimo per ʽrecuperareʼ in ogni maniera – non si sa a quele titolo – tutte le sue cose. La stessa persona fedele di Massimo Scaligero e della Via, mi testimoniò quel che disse e fece l’Innominato – dapprima per interposta persona, poi direttamente egli stesso – per impadronirsi dello storico Gruppo Novalis, e del suo presioso Archivio. Tutte queste ʽintraprendenzeʼ testimoniano di una grande fiducia nella propria callida intelligenza, nella propria abilità nell’operare intrighi e macchinazioni, nel seguire vie trasverse – le vie ordinarie dei politici e delle ʽeminenze grigieʼ, dei ʽgrandi pupariʼ – che sono le vie della menzogna, e non quelle del Mondo Spirituale, nel quale evidentemente non si ha fiducia veruna, e del quale si ritiene di potersi fare impunemente beffe. Altri motivi, questi, appunto, di personale perplessità del sottoscritto nell’ascoltare ed esaminare la ʽnarrazioneʼ dell’Innominato circa queste tristissime, vessate, questioni.

Viste le lusinghiere accuse che oramai da molti anni mi vengono rivolte di essere poco o punto ʽcristianoʼ, bensì di essere pervicacemente ʽbuddhistaʼ (sempre troppo buoni…), mi piace citare dal Canone Buddhista della Scuola Theravada, un breve brano tratto da un Sūtra, o Sutta in pāli, del Majjhimanikāya, il LXI, Ambalaṭṭhikārāhulovāda, Insegnamento a Rāhula, nel quale il Buddha Shakyamuni espone a suo figlio Rāhula il valore estremo della veridicità, della sincerità, per un asceta che cerchi la realizzazione dellʼIlluminazione. Egli, dopo aver paragonato la persona insincera allʼacqua sporca con la quale ci si lavano i piedi, e che poi viene gettata via, così aggiunge, con parole indubbiamente estremamente severe, che riporto nel testo originale pāli, che poi traduco:

«Evameva kho, Rāhula, yassa kassaci sampajāmusavāde natthi lajjā, nāhaṁ tassa kiñci pāpaṁ akaraṇīyanti vadāmi»,

«Allo stesso modo, o Rāhula, in chiunque non vi sia vergogna di una consapevole menzogna, ogni azione malvagia è possibile».

Per chi volesse leggere, e meditare, l’intero Sūtra, o Sutta, può trovarlo in una bellissima edizione de I Discorsi di Gotamo Buddho del Majjhimanikāyo, per la prima volta tradotti dal testo pāli da K.E. Neumann e G. De Lorenzo, secondo volume, mezzocentinaio medio, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1925, pp. 107-113. Gli altri due volumi apparvero rispettivamente il primo nel 1916, e il terzo nel 1927. Massimo Scaligero mi raccontò di aver fatto uso per molti anni di questi tre volumi come di un prezioso strumento di pratica ascetica. Egli aveva grande stima di Giuseppe De Lorenzo, da lui conosciuto di persona, al punto di parlarne in alcune riunioni come di un rigoroso asceta, fedele all’insegnamento originario del Buddha Shakyamuni.

Rudolf Steiner, parlando dei còmpiti cogenti della rifondata Scuola Esoterica dopo il Convegno di Natale del 1923, e dei doveri che, davanti alla sacra Potenza di Michele, si assumevano i discepoli della Scuola, della quale – a causa della inadeguatezza, della totale mancanza di serietà, della faciloneria, del pressappochismo, e in alcuni casi di veri e propri tradimenti da parte di molti, troppi partecipanti – venne riaperta unicamente la Prima Classe, dovette ribadire come uno dei doveri fondamentali di un discepolo della Scuola Esoterica fosse la sincerità, la più risoluta e diligente volontà di verità, lʼimpegno più sacro a dire sempre e solo l’assoluta verità: verità accertata nella maniera più possibilmente esatta. Ma su questo punto, come su molti altri Rudolf Steiner ebbe il dolore di veder con quanta leggerezza, solo a fior di labbra, gli antroposofi assumessero un impegno sacro di fronte alla Potenza di Michele, e con quanta approssimazione e faciloneria essi soddisfacessero ad un tale impegno sacro. Egli dovette rinunciare – checché ne dica su internet, e lo ribadisca spesso on-line attraverso i suoi molteplici pseudonimi, con la sua fumettistica, e alquanto affabulante, narrazione Unas/Apis/N.R.Ottaviano/Claudio Ottaviano/Eques a Floribus/Efesto/Tau Julianus, o chiunque si celi dietro tali pseudonimi – a riaprire la Seconda Classe, e la ‘Mystica Aeterna’, oggi oggetto di varie sacrileghe speculazioni, non tornò mai in vita: la stessa Marie Steiner, che pure avrebbe avuto il legittimo potere di riaprirla, vista la cialtroneria pressappochistica, l’ambizione, e addirittura i tradimenti, degli antroposofi, malgrado le pressanti richieste di Albert Steffen e di Ita Wegman, non volle mai riaprirla, e fece benissimo a rifiutarsi di riaprirla. Ed infatti, già nella Settima Lezione della Classe Esoterica, da lui tenuta a Dornach l’11 aprile 1924, Rudolf Steiner dovette ribadire energicamente questo impegno che ogni sincero, onesto, serio discepolo dell’Iniziazione deve assumere e ad ogni costo rispettare. Riporto qui di séguito le parole di Rudolf Steiner, sia nel testo italiano, che nell’originale tedesco, per documentazione e salutare meditazione del volenteroso lettore:

«Uno dei compiti dei membri di questa Scuola sarà che tale trascuratezza sparisca. Noi dobbiamo sentirci responsabili fin nelle parole che pronunciamo; dobbiamo, in ogni caso, sentire la responsabilità che ogni parola da noi pronunciata sia da noi esaminata con la massima serietà, in modo che la possiamo affermare come verità. Perché espressioni non veritiere, anche quando nascono, per così dire, dalla buona fede, agiscono distruttivamente in un movimento occulto. A tale riguardo non deve esservi alcuna illusione, ma la massima chiarezza. Non sono le intenzioni che contano, perché spesso esse vengono coltivate assai alla leggera, ma è la verità oggettiva quella che conta. Fa parte dei primi doveri di un discepolo dell’esoterismo quello di sentirsi obbligato non soltanto a dire ciò che crede essere vero, ma anche ad accertarsi se quanto dice corrisponde realmente alla verità oggettiva. Infatti soltanto ponendoci nel senso della verità oggettiva a servizio delle potenze divino-spirituali che fanno fluire le loro forze attraverso questa Scuola, soltanto ponendoci al loro servizio potremo superare tutte le difficoltà che si presenteranno di fronte all’antroposofia».

«Es ist ja so, daß Lässigkeit in ganz besonderem Maße in den letzten Jahren in die Anthroposophische Gesellschaft eingezogen ist. Daß sie wiederum ausziehe aus ihr, das wird die Aufgabe, mit eine der Aufgaben der Mitglieder dieser Schule sein. Wir sollen bis zu dem Worte, das wir sprechen, uns verantwortlich fühlen, sollen uns vor allen Dingen verantwortlich dafür fühlen, daß ein jegliches Wort, das wir sagen, im allerernstesten Sinne so weit von uns geprüft wird, daß wir es als Wahrheit vertreten können. Denn nicht-wahre Aussagen, auch wenn sie sozusagen aus gutem Willen hervorkommen, sind etwas, was innerhalb einer okkulten Bewegung zerstörend wirkt. Darüber darf keine Täuschung sein, sondern darüber muß völligste Klarheit herrschen. Nicht Absichten sind es, auf die es ankommt, denn die nimmt der Mensch oftmals sehr leicht, sondern objektive Wahrheit ist es, auf die es ankommt. Und zu den ersten Pflichten eines esoterischen Schülers gehört es, daß er sich nicht bloß dazu verpflichtet fühlt, dasjenige zu sagen, wovon er glaubt, daß es wahr ist, sondern daß er sich verpflichtet fühlt, zu prüfen, ob dasjenige, was er sagt, wirklich objektive Wahrheit ist. Denn nur, wenn wir im Sinne der objektiven Wahrheit dienen den göttlich-geistigen Mächten, deren Kräfte durch diese Schule gehen, werden wir hindurchsteuern können durch all diejenigen Schwierigkeiten, die sich der Anthroposophie bieten werden».

Ma sarebbe sufficiente leggere, e meditare profondamente, quel che il Signore dice a Tommaso nel Vangelo di Giovanni, XIV, 6: «λέγει αὐτῷ ὁ Ἰησοῦς· ἐγώ εἰμι ἡ ὁδὸς καὶ ἡ ἀλήθεια καὶ ἡ ζωή», ossia: «Gli disse Gesù: Io Sono la Via, e la Verità, e la Vita». È evidente che il Signore è la Via (ἡ ὁδὸς – he hodòs), ma questa non può essere la via ordinaria, tant’è che il Suo agire andò direttamente in rotta di collisione contro legalismo di sacerdoti, scribi, farisei e sadducei, verso i quali tutti Egli fu, sin da sùbito, σκάνδαλον, skàndalon, ossia pietra d’inciampo. La Via del Christo non è, e non può essere, la jahvetica Legge mosaica, la Torah, con i suoi 10 comandamenti e le sue 613 minuziose prescrizioni, ma la libertà, perché essa è basata sulla Verità (ἡ ἀλήθεια – he alètheia) ch’Egli è: la sola che rende liberi. Infatti, nel Prologo del Vangelo di Giovanni è scritto: «ὅτι ὁ νόμος διὰ Μωϋσέως ἐδόθη, ἡ χάρις καὶ ἡ ἀλήθεια διὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ ἐγένετο», che nella lingua di Dante così suona: «Perché la Legge fu data attraverso Mosè, la grazia e la verità vennero attraverso Gesù Christo». Infatti, in Giov. VIII, 32, il Signore afferma: «καὶ γνώσεσθε τὴν ἀλήθειαν, καὶ ἡ ἀλήθεια ἐλευθερώσει ὑμᾶς», «e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi». Quindi solo la Via non ordinaria (ἡ ὁδὸς – he hodòs), al di là della Legge (ὁ νόμος – ho nòmos), portà alla Verità (ἡ ἀλήθεια – he alètheia), e solo essa dona vera Libertà, e fuori della Verità e della Libertà non vi è, non vi può essere Vita  (ἡ ζωή – he zoè).  

Ora, è evidente come la Via del Logos, che è al contempo Verità e Vita, non possa mai, in nessun caso, essere la via della menzogna, la quale è sempre, inevitabilmente, solo una via di schiavitù e di morte. E Dominatore della Morte è l’Oscuro Signore, il Principe dell’Oscuro Pensiero, quello che gli antichissimi Persiani, e dopo di loro i Manichei, chiamarono Angra Mainyush, appunto Ahriman, l’Avversario di Ahura Mazdah, di Ohrmazd. E chiunque, in qualsiasi forma, in un movimento spirituale – in modo particolare nella Comunità Solare, come la chiamava Massimo Scaligero – usi affabulazione, menzogna, calunnia e diffamazione, come mezzi vòlti ad ottenere un fine da loro, dogmaticamente,  con una scaltra e ambigua petizione di principio, dichiarato “buono”, persegue ed attua le occulte finalità dell’Oscuro Signore: persegue con mezzi ingiusti un fine comunque, sempre, solo iniquo, come, assieme a Lao-tzu e Lü-tzu, direbbe – anzi come in varie riunioni disse e apertamente  scrisse in libri – lo stesso Massimo Scaligero.

Quale sia per il Signore il valore mortifero della menzogna, lo possiamo leggere nel Vangelo di Giovanni, VIII, 43-44: «διὰ τί τὴν λαλιὰν τὴν ἐμὴν οὐ γινώσκετε; ὅτι οὐ δύνασθε ἀκούειν τὸν λόγον τὸν ἐμόν ὑμεῖς ἐκ τοῦ πατρὸς τοῦ διαβόλου ἐστὲ καὶ τὰς ἐπιθυμίας τοῦ πατρὸς ὑμῶν θέλετε ποιεῖν. ἐκεῖνος ἀνθρωποκτόνος ἦν ἀπ’ ἀρχῆς καὶ ἐν τῇ ἀληθείᾳ οὐκ ἔστηκεν, ὅτι οὐκ ἔστιν ἀλήθεια ἐν αὐτῷ. ὅταν λαλῇ τὸ ψεῦδος, ἐκ τῶν ἰδίων λαλεῖ, ὅτι ψεύστης ἐστὶν καὶ ὁ πατὴρ αὐτοῦ», che riportiamo nella bella e precisa traduzione italiana della Riveduta fatta dal valdese Giovanni Luzzi: «Perché non comprendete il mio parlare? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo, perché è bugiardo e padre della menzogna».

Motivo e ragion d’essere della Comunità Spirituale – della Comunità Solare – è realizzare Autocoscienza, Libertà e Amore, ossia le finalità che spinsero gli Dèi a creare l’Uomo, e ad avviarlo alla temeraria avventura cosmica che tutti viviamo. Perché, come scrive Rudolf Steiner – trascrivo anche l’originale testo tedesco per la sua estrema importanza – in Anthroposophische Leitsätze. Der Erkenntnisweg der Anthroposophie. Das Michael-Mysterium. Rudolf Steiner Verlag. Dornach, 1998, p. 185:

«Es offenbart sich ein Gewaltiges beim Hinblicken auf diese Tatbestände. Der Mensch ist Götter-Ideal und GötterZiel. Aber dieses Hinblicken kann nicht der Quell von Überhebung und Hochmut beim Menschen sein. Denn er darf sich ja nur, als von ihm kommend, zurechnen, was er in den Erdenleben mit Selbstbewußtsein aus sich gemacht hat. Und dies ist, in kosmischen Verhältnissen ausgedrückt, wenig gegenüber dem, was als die Grundlage seines Eigenwesens die Götter aus dem Makrokosmos, der sie selber sind, heraus als Mikrokosmos, der er ist, geschaffen haben»,

ossia nelle Massime Antroposofiche, La via conoscitiva dell’Antroposofia. Il Mistero di Michele, trad. a c. di Lina Schwarz e Rinaldo Küfferle, Editrice Antroposofica, Milano, 1969, p. 162:

 «Un quadro possente ci si rivela contemplando quei processi. L’uomo è l’ideale degli dèi, la mèta degli dèi. Ma il riconoscerlo non può essere per l’uomo fonte di orgoglio o presunzione, perché a lui è lecito attribuirsi, come generato da sé, solamente ciò che nelle sue vite terrene egli ha fatto di sé con la sua autocoscienza. E questo, espresso in proporzioni cosmiche, è ben poca cosa di fronte a ciò che, come base del suo proprio essere, gli dèi, dal macrocosmo che sono gli dèi stessi, hanno creato come microcosmo, vale a dire l’uomo stesso».

Quindi l’uomo è l’ideale degli DèiGötter-Idealla mèta degli DèiGötter-Ziella mèta delle Gerarchie, non viceversa. Questo perché solo attraverso l’uomo, disceso in basso sin nello stato di abiezione, nel quale egli è prigioniero della materia ed immemore della sua origine divina, immemore della sua passata sovrumana grandezza – quella dell’Adam Kadmon – gli Dèi possono portare ad esistenza Autocoscienza, Libertà e Amore. Pochissimi tra gli Dèi hanno abbandonato il proprio originario rango divino, e si sono sacrificati, umanizzandosi, per accompagnare l’uomo in questa temeraria, ʽimpossibileʼ, impresa.

E affinché l’impresa si realizzasse, il Logos stesso si è fatto uomo, divenendo l’Io Sono immanente nell’Io di ogni uomo: divenendo la Via, la Verità, e la Vita. La Via del Logos è la Via del Pensiero, e non un’altra, perché solo attraverso la resurrezione del pensare dal cadaverico stato riflesso, che lo rende schiavo del sistema nervoso e della corporeità, l’uomo ritrova la Verità che lo rende libero, la Verità che gli restituisce la Vita.

Perciò gli attacchi che da decenni – da «dentro la cittadella», come profeticamente scrisse Massimo Scaligero in Dallo Yoga alla Rosacroce – in forme brutali o subdole, aperte o mascherate, con i metodi machiavellici tipici di uno stile ʽpoliticoʼ, o ʽconfessionaleʼ, con intrighi, con suadente dialettica verbosità, vengono rivolti alla Via del Pensiero, alla pratica intensa, radicale,  anche estremista, della Concentrazione, sono menzogna, sono ispirazione ed opera di oscure e oscuranti potenze antispirituali, che con l’autentica Scienza dello Spirito nulla hanno a che fare, perché ne fanno strame e scempio. Perché tentano di rompere nuovamente quel ʽfilo aureoʼ, che dopo il fallimento del sacrificale tentativo spirituale compiuto da Rudolf Steiner col Convegno di Natale del 1923, e il tradimento vergognoso compiuto dalla Società Antroposofica, era stato spezzato, e che Massimo Scaligero aveva «rincappiato». Un attacco alla Via del Pensiero, un attacco alla Concentrazione – sia mediante negazione assoluta, o svalutazione, o silenziosa messa da parte, o cialtronesca deformazione – è sempre anche un attacco al Graal.  

Poiché dovremo affrontare, nel proseguo del presente studio, un tema di estrema importanza sacrale come quello del Graal, tema correlato per palesi o celati legami a tutti i temi della Scienza dello Spirito, sarà bene porre sin da sùbito un chiaro discrimine tra verità ed errore, la tra verità e menzogna, tra un metodo ascetico corretto, veritiero, salutare e fecondo, che è quello – il solo  omogeneo, consustanziale e compatibile con la Scienza dello Spirito, e i molti, invero troppi, metodi errati, menzogneri, fallaci, morbosi, illudenti, paralizzanti, attossicanti, distruttivi. In alternativa al metodo spiritualmente ‘scientifico’, sperimentato ed instancabilmente indicato da Rudolf Steiner e da Massimo Scaligero, da vari anni – per la verità, da decenni, sin dalla dipartita di Massimo Scaligero – vengono proposti metodi ‘animici’, in molti casi di natura ‘mistica’, per non dire, in non pochi casi, addirittura di natura ‘confessionale’, che portano facilmente ad un mondo di esperienze visionarie, scambiate per ‘immaginazioni’, che possono, sì, presentarsi con caratteri di imponenza, e di travolgenza rispetto a forze non coscienti, sognanti, dell’anima, ma che fatalmente conducono nella esiziale, fetida palude stigia delle più pertinaci illusioni, delle trasognate e suadenti visioni, e corromperesenza che sovente il soggetto neppure se ne accorga – le forze morali dell’anima. E ciò malgrado i più insistenti, martellanti, appelli ad una prassi morale, che in moltissimi casi si è rivelata solo una ipocrita e cinica recitazione di uno stantio moralismo di maniera.

Al sagace ricercatore spirituale deve essere ben chiaro che la Verità è tale in se stessa, indipendentemente da chiunque la proclami, e che una affermazione errata non diviene ʽveraʼ semplicemente perché chi la proclama è una persona ʽbuonaʼ,  ʽmoraleʼ e  ʽsantaʼ. La gratitudine, l’ammirazione, la venerazione verso una cotal persona non esimono dal dovere di esaminare se sia realmente ʽveroʼ, quel che viene affermato essere ʽveroʼ. Se, poi, palesi errori e menzogne vengono presentati come  ʽveritàʼ da chi – malgrado ogni illudente apparenza – è tutt’altro una persona ʽbuonaʼ,  ʽmoraleʼ e ʽsantaʼ, ossia da una persona che non si fa scrupolo di mentire sapendo di mentire, e si pretende che le si creda semplicemente sulla base della pretesa autorevolezza delle sue affermazioni, la situazione si fa veramente grave, anche per le conseguenze che determinate non verità, e certe improvvide indicazioni che ne conseguono, hanno sulla vita interiore  di chi acriticamente, sentimentalmente, si affida loro.

In questi casi – dopo aver ripetute volte avvertito che «la ‘Via del Pensiero’ può diventare la ‘via del sublime egoismo’», che «la concentrazione non è necessaria» (potrei riportare, con nomi e cognomi, casi concreti di persone cui fu detto che per loro essa era ‘superflua’), e che «bisogna stare attenti a fare troppa concentrazione perché può far male!» – viene fatto largo uso di una invadente, suadente, difficilmente resistibile ‘sentimentalità’. Questa sentimentalità è, poi, l’ingrediente obbligato per ‘condire’, in maniera persuasiva, le mirabili ‘rivelazioni’ circa novelli contenuti e metodi di realizzazione da introdurre, pedetemptim, pian pianino, nella maniera più inavvertita possibile, all’interno della ‘Comunità Solare’, in luogo di quelli indicati da Rudolf Steiner e da Massimo Scaligero. Naturalmente, questa ‘sapiente’ o ‘perfida’ strategia (la valutazione della medesima dipende, ovviamente, dai punti di vista scelti) viene portata avanti non in maniera totalmente aperta ed esplicita, come lealtà vorrebbe, ma con discorsi e tatticismi, dietro i quali vi sono sempre inespresse riserve mentali. A coloro che, in buona fede, vengono persuasi da una cotal abile ‘strategia di mercato’, di ‘marketing’ (perché, nei metodi di coloro che, alquanto spregiudicatamente, la pongono in atto, essa è assolutamente tale), vi sarebbe da ricordare quanto Rudolf Steiner dice a proposito della ‘sentimentalià’. Per esempio, ne La Saggezza dei Rosacroce, trad. di Iberto Bavastro, Editrice Antroposofica, Milano, nella prima conferenza, intitolata La nuova forma della sapienza, tenuta a Monaco, il 22 maggio 1907, a p. 13, così leggiamo:

«Da quanto diremo nei prossimi giorni, si vedrà come la verità possa penetrare in modo immediato nella vita pratica. Noi non edifichiamo un sistema solo teorico, ma un mezzo per conoscere le profonde basi della scienza attuale, per far penetrare le verità spirituali nella nostra vita quotidiana.la sapienza dei rosacroce non deve entrare soltanto nella testa e nel cuore, ma anche nella mano, nell’attività giornaliera dell’uomo. Essa non vuol destrae in noi una sentimentale partecipazione, ma farci conseguire facoltà atte a lavorare al servizio dell’umanità. Immaginiamo un’associazione che si proponga la fratellanza fra gli uomini, limitandosi però a predicarla; essa non agirebbe in senso rosicruciano. Per un rosacroce, se un uomo si è rotta una gamba per la strada e quattordici persone lo circondano piene di affettuosi sentimenti e di compassione, ma nessuno gli sa rimettere a posto la gamba, tute quattordici gli sono meno utili di qualcun altro che arrivi, forse per nulla sentimentale, ma che sa rimettere a posto una gamba, e lo fa. L’atteggiamento che pervade i rosacroce è la sapienza attiva, la possibilità di attingere alla sapienza per agire nella vita. Per i rosacroce il parlare continuamente di partecipazione sentimentale è anzi pericoloso, perché appare come una specie di voluttà astrale. Alla bassa voluttà del piano fisico, corrisponde sul piano astrale la tendenza a voler solo sentire senza conoscere. La conoscenza attiva, capace di penetrare nella vita, non intesa in senso materialistico ma attinta ai mondi spirituale, ci rende adatti all’azione pratica. Dal necessario riconoscimento che il mondo deve progredire, si produce di per sé l’armonia, risultato sicuro e naturale della conoscenza».

Nella quattordicesima ed ultima conferenza del medesimo ciclo, intitolata L’essenza dell’iniziazione, tenuta a Monaco, il 6 giugno 1907, pp. 158-159, così leggiamo:

«La scienza dello spirito dei rosacroce è una forma di conoscenza sovrasensibile, e il suo studio, come è fatto in queste conferenze, è il primo gradino dell’iniziazione rosicruciana. In queste conferenze non è stata esposta la scienza dei rosacroce per una qualsiasi ragione esterna, ma perché essa è il primo gradino dell’iniziazione rosicruciana. Si crede spesso che non sia necessario soffermarsi sulle parti costitutive della natura umana, sull’evoluzione dell’umanità o sulle diverse fasi planetarie, perché si preferisce abbandonarsi ai bei sentimenti invece di studiare sul serio; però per quanto ci si abbandoni a bei sentimenti, in quel modo soltanto è impossibile salire ai mondi spirituali. La scienza dello spirito non vuole suscitare sentimenti, ma per mezzo dei potenti fatti dei mondi spirituali vuol far vibrare i sentimenti medesimi. Un seguace dei rosacroce sentirebbe come una mancanza di riguardo il gettarsi sui suoi simili con dei sentimenti. Egli li conduce invece attraverso lo sviluppo dell’umanità, come presupposto affinché sorgano poi i sentimenti corrispondenti; fa sorgere davanti a loro le trasformazioni dei pianeti nello spazio cosmico affinché l’anima, dopo aver sperimentato quei fatti, possa essere afferrata con forza anche nei suoi sentimenti. Rivolgersi in via diretta ai sentimenti, oltre che un chiacchierare a vuoto, è anche una comodità. La scienza dello spirito rosicruciana lascia parlare i fatti, e afferma che si è sulla giusta strada quando i pensieri esposti entrano nel sentimento, dominandolo. L’uomo può essere beatificato soltanto dai sentimenti che sorgono in lui medesimo. Il seguace dei rosacroce lascia parlare i fatti del cosmo, perché questo è il modo d’insegnare più impersonale. È del tutto indifferente chi ci stia insegnando, perché non ci si deve lasciar affascinare da una determinata persona, ma essere invece afferrati dai fatti relativi al divenire del mondo che tale persona possa raccontare. Per questa ragione nella scuola dei rosacroce è radiata ogni forma di adorazione verso il maestro; egli non la richiede, non ne ha bisogno; vuol parlare al discepolo di ciò che esiste, indipendentemente da chi parla».

Marie Steiner, la più fedele discepola, quella più asceticamente impegnata e, a mio modesto giudizio, anche quella spiritualmente più progredita, di Rudolf Steiner, era usa dire che le Comunità spirituali vengono sempre distrutte da tre massimi mali: l’ambizione, il sentimentalismo, la comodità interiore. Nell’esperienza di oltre cinque decenni, chi qui scrive ha potuto constatare – molto dolorosamente peraltro – come, in varie parti d’Italia, numerose Comunità spirituali, sorte per l’impulso dato da Massimo Scaligero, siano andate completamente distrutte esattamente per l’azione di quei tre mali, molte volte energicamente denunciati da Marie Steiner. La comodità interiore porta all’indebolimento, alla fiacchezza, all’inerzia nella pratica interiore, alla rinuncia o addirittura all’avversione nei confronti dell’Ascesi del Pensiero, della Concentrazione, e alla scelta o dell’intellettualismo dialettico, o al sentimentalismo, che non di rado sfocia nel misticismo e nel visionarismo. A loro volta, intellettualismo e misticismo visionario aprono sovente la strada ad una sfrenata ambizione, che – in special modo nel caso del mistico moralismo sentimentale – si traveste in un’apparente, stucchevole, ipocrita forma  di ‘umiltà’. Del resto, la vicenda – lunga oramai oltre un secolo – del movimento antroposofico e quella della stessa Società Antroposofica mostrano – addirittura dimostrano – ad usura l’azione spiritualmente distruttiva dell’intellettualismo, del sentimentalismo, dell’ipocrita e farisaico moralismo, del misticismo, del visionarismo, e dell’ambizione. Di questi mali, come abbiamo potuto vedere, non è stata, purtroppo, esente neppure la Comunità Solare, voluta e impulsata da Massimo Scaligero.

Per questo motivo, la ‘Via del Cielo’, la ‘Via del Tao’, la ‘Via del Mondo Spirituale’ non può essere – oggi più che mai – la ‘via ordinaria’. E di fronte al fatto tragico e inquietante che – per usare, una volta di più, l’espressione della mia sapiente amica Fang-pai – molti ‘dimenticano’, ‘smarriscono l’intenzione originaria’, al fatto che molti ʽvolgono le spalle alla mètaʼ, e rinunciano all’impresa interiore, che scelgano la fiacchezza, la latitanza, la diserzione nei confronti dell’Ascesi Solare, indubbiamente severa, aspra, difficile, impegnativa, e dura – ma forse la vita stessa lo è di meno? – o addirittura ‘tralignano’, ‘tradiscono’, corrompendo – talvolta persino in maniera ‘circense’ e ‘pagliaccesca’ – l’aureo Insegnamento ricevuto, il Mondo Spirituale può scegliere, in una maniera che agli occhi degli ‘ortodossi’ può apparire  straordinariastravagante, i suoi combattenti tra coloro che, pieni di molti difettoni, non fidandosi della propria ‘natura’, scelgono di impegnarsi – ‘instancabili’ e ‘disperati’, ‘armati di solo coraggio’, ci disse una volta Massimo Scaligero – nella ‘Via’ non ordinaria, nell’Ascesi del Pensiero, che esige essere attuata indipendentemente, oltre, malgrado, e senza, l’infida natura alla quale normalmente ci si identifica. Ma come ci disse Massimo Scaligero: «Noi siamo condannati a vincere, perché noi abbiamo il pensiero». A questoe solo a questo – lupacci cattivissimi e predoni della steppa convintamente, tenacemente, ostinatamente si attengono, e sempre si atterranno.

Alcune persone, per l’esattezza tre, della mia città hanno trovato che quanto venne affermato dal sottoscritto su questo animoso blog circa due pubblicazioni che l’editore romano Tilopa aveva fatto di libri di ʽOraoʼ, Resurrezione e Madre, sia ʽmeschinoʼ. Ma come scriveva un tempo, tanto allegramente quanto ironicamente, zio Arturo: «Com’è noiosa / la gente virtuosa / quando predica moral».

Quelle tre persone non sono per nulla entrate nel merito delle affermazioni che mostravano – ʽdimostravanoʼ in maniera documentata – come le affermazioni di ʽOraoʼ (sive mas sive faemina) andassero apertamente in rotta di collisione con le comunicazioni fondamentali della Scienza dello Spirito. In quegli articoli, non veniva stata minimamente posta in questione la ʽpersonaʼ di ʽOraoʼ (sive mas sive faemina), anche perché tali pubblicazioni, alle quali se ne è aggiunta una terza, non hanno un rigo di presentazione e di introduzione, e non sappiamo quanto l’editore abbia messo mano a quei testi, ʽortopedizzandoliʼ, ʽtagliando e cucendoʼ, ʽcopiando e incollandoʼ, ʽinterpolandoʼ – naturalmente, anche nel suo caso, per carità, ça va sans dire, sicuramente sempre con le migliori, e le più idealistiche ʽintenzioniʼ – come  abbiam visto da lui fare con opere di Rudolf Steiner e dello stesso Massimo Scaligero: cosa che potrei documentare e dimostrare, alla bisogna anche filologicamente, con pochissima fatica, in qualsiasi momento. Il dubbio è più che lecito, tanto più che sulla romana rivista Graal sono apparsi, anche in tempi relativamente recenti, articoli firmati, appunto, ʽOraoʼ, articoli attribuibili sicuramente solo all’Innominato, dei quali in seguito sarà doveroso, da parte dello scrivente, occuparsi. Ma se quelle tre persone, che parvemi non abbiano affatto ben chiaro che cosa sia l’esser ʽmeschinoʼ, vorranno chiarirsi bene le idee, non hanno che da chiedere, e verrà loro illustrato con abbondanza di esempi concreti (alcuni dei quali li abbiam più sopra e in passati articoli riportati), che possano farli alquanto riflettere, che cosa sia veramente, al di là, di tutte le illudenti parvenze ʽmoraliʼ, recitate ed ostentate, l’esser ʽmeschiniʼ. Ad dei lupacci può esser imputato l’esser ʽcattivissimiʼ, e a dei predoni della steppa di esser ʽferocissimiʼ, ma non di esser ʽmeschiniʼ : spregevole qualità, questa, di intrallazzati cortigiani, di  vili opportunisti, di infami ʽinformatoriʼ, di infiltrati ʽinsinuantiʼ, di falsi doppiogiochisti : non certo quella di cattivissimi ʽlupacciʼ o di selvaggi ʽpredoni della steppaʼ. Dubito assai – dati i loro comportamenti di decenni – ch’essi ne abbiano la volontà e il coraggio. Ma, per citare quel vecchio e navigato arnese della politica, da me peraltro mai punto stimato, Giulio Andreotti (al quale, così come alla potenza straniera d’Oltretevere, peraltro, conducevano certe strane connessioni di manipolate iniziative pedagogiche gianicolensi), «a migliorare c’è sempre tempo», per cui come direbbero i marines, never say never, mai dire mai!     

 

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