Pur senza chiedere il permesso del candido lettore – della cui tolleranza, mi rendo conto, spesso abuso – mi prendo la licenza di parlare, in una maniera che potrà apparire a tutta prima divagante, di un tratto curioso della mia vita, che un tempo mi appariva assai enigmatico, ma che trovò poi la sua ragion dʼessere alla luce di una serie di eventi nei quali il destino operò con caratteri di assoluta fatalità. È davvero il caso di dar ragione allo stravagante e simpaticissimo Oscar Wilde il quale affermò che: «La vita è lʼinsegnante più difficile. Prima ti fa lʼesame, e poi ti spiega la lezione». A tale proposito, mi ritornavano ogni volta in mente le parole, dapprima enigmatiche e poi illuminanti di Rudolf Steiner, il quale nella sua Filosofia della Libertà, nella ottima traduzione a cura di Dante Vigevani, Editrice Antroposofica, Milano, 1966, p. 19, così si esprime:
«Che significato può avere per me il potere o non poter fare una cosa, quando dal motivo io fossi obbligato a farla? Ciò che importa anzitutto non è se io possa o no fare una cosa quando il motivo ha agito su di me, ma se esistano motivi tali da agire su di me con necessità costringente. Se io debbo volere una cosa mi è, in certi casi, del tutto indifferente che io possa poi farla o no. Quando, a causa del mio carattere e di circostanze esterne, mi venisse imposto un motivo che il mio pensiero riconoscesse come irragionevole, dovrei anzi essere contento di non poter fare quello che voglio».
Beh, la vita – senza chiedermi preventivamente nessun ʽconsenso informatoʼ – mi portò a dover fare lʼesatto contrario di quel che, in una maniera che a me appariva del tutto ragionevole e legittima, avrei desiderato. Mi sarebbe piaciuto fare il liceo classico, e venni invece mandato allo scientifico. Avrei voluto proseguire con gli studi nel campo dellʼOrientalistica – la mia passione erano: lingue orientali, storia, filosofie e religioni dellʼOriente – magari a Caʼ Foscari a Venezia o allʼIstituto Orientale di Napoli, ed invece mi ritrovai per quattro anni a studiare Ottica e Scienza della Visione in un borgo della campagna toscana, che aveva sì e no mille anime. Avrei voluto andare in Oriente, e perseguire colà, in un regime di felice, errante, spartana povertà, la ricerca di una Conoscenza liberatrice, la vidyā e la mukti dell’antichissima sapienza indiana, della quale ero innamoratissimo, e invece i Numi, più accorti e ben più savi di me, e soprattutto alquanto preoccupati di cotanta mia noncurante e lieta spensieratezza, mi fecero passare – qua in Occidente e non in Oriente – un periodo breve ma molto agitato dal punto di vista esteriore. Ma alla fine tutto ciò mi portò esattamente là dove dovevo arrivare. E capìi più tardi come tutto ciò fosse stato, in ogni suo singolo aspetto, assolutamente necessario. E, piano piano, intuii come tutto ciò corrispondesse realmente a qualcosa di ʽconosciutoʼ e di ʽvolutoʼ nellʼesistenza prenatale da parte del mio essere più profondo. Tale preordinato intreccio di situazioni e di eventi mi portò, nellʼagosto del 1969, ad incontrare L., il quale mi mostrò la Via e mi fece incontrare Massimo Scaligero: già questo basterebbe ed avanzerebbe, perché – come mi disse una amica sapiente – colui che ti fa conoscere Massimo Scaligero è certissimamente lʼamico più grande della tua vita! Ma anche tutta la serie deglʼincontri che si son succeduti poi nel corso di molti anni e decenni – importanti per il mio cammino nella Scienza dello Spirito, e decisivi per la mia stessa vita interiore ed eziandio per quella esteriore – sono scaturiti dal percorso attraverso varie esperienze che, lo ripeto, mi fu imposto dall’enigmatico destino, senza peraltro richiedermi mai verun preventivo ʽconsenso informatoʼ. Ma, ne devo convenire col simpaticissimo Oscar Wilde, la successiva ʽspiegazioneʼ è stata molto ʽconvincenteʼ e, devo dirlo, del tutto ʽsoddisfacenteʼ. Questo, anche rispetto a successivi e numerosi periodi della mia vita, anchʼessi notevolmente agitati, ma che, poi, hanno essi pure portato risultati insospettati e, devo proprio dirlo, per me davvero insperati. Si capirà in un successivo studio il perché dellʼesposizione delle presenti considerazioni, solo in apparenza di contenuto e valore personale. Il candido lettore abbia ancora un pochino di benevola pazienza.
Uno dei risultati maggiormente notevoli di questo mio, in apparenza stravagante e divagante percorso, fu lʼincontro con una amica di rango spirituale veramente alto, che si rivelò nei miei confronti una preziosa, leale, e infinitamente cara ʽcompagna dʼarmiʼ: per me essenziale per tutta una serie di rigorose distinzioni di valori, che dovetti operare sia nella mia ricerca interiore, che nelle conseguenti scelte esteriori. Ho già avuto occasione di raccontare su questo scomodo, e temerario blog, come ebbi modo dʼincontrare Hella Wiesberger per la prima volta a Dornach, ai primi di aprile del 1985, alla Rudolf Steiner Halde, a quel tempo ancora sede della Rudolf Steiner Nachlassverwaltung, ossia della benemerita Istituzione che curava il Lascito di Rudolf Steiner e quello della sua più grande e più stretta collaboratrice Marie Steiner. Il Lascito ha fatto per decenni opera sommamente meritoria col salvare l’eredità spirituale di Rudolf Steiner e della sua fedele compagna di vita e di lotta dal saccheggio, dalla deformazione, dalla voluta alterazione, dalla premeditata occultazione, dalla dispersione, dalla strumentalizzazione, che ne facevano Albert Steffen, Guenther Wachsmuth and Co., con metodi che Marie Steiner ebbe a definire da “gangsters”: metodi portati avanti dopo di loro per alquanti decenni, in perfetta malafede, da coloro che son poi succeduti allo Steffen nella direzione della Società Antroposofica Universale. Naturalmente, di quanto affermo ho le prove provate – anche cartacee – di come Marie Steiner, dopo esser stata emarginata e derubata, venisse sabotata, vilipesa, e calunniata nella maniera più ignobile e meschina. A tale proposito, Hella Wiesberger mi trasmise, sin dal nostro primo incontro, tutta una documentazione da lei stessa raccolta, con sopra pure i suoi personali commenti autografi: documentazione che parla un linguaggio che più chiaro non potrebbe essere, e che conservo come un piccolo aureo tesoro personale della nostra militante amicizia. Persino nel bollettino della sezione italiana della Società Antroposofica apparve decenni fa un attacco calunnioso dellʼallora presidente del Vorstand, appunto, ossia della Direzione dornacchiana della Società Antroposofica, Rudolf Grosse, contro Marie Steiner e Hans Werner Zbinden, il suo più stretto e fedele collaboratore. Più recentemente, si son potuti vedere critiche e attacchi alla figura stessa di Rudolf Steiner e alla sua Opera da parte di preminenti rappresentanti della direzione del Goetheanum, come il tedesco Bodo von Plato, apertamente colluso e in combutta con calunniatori al soldo della nota potenza straniera dʼOltretevere, come il livido e cinico teologo e storico svizzero Helmut Zander.
Non meraviglia che tali deprecabili eventi si siano verificati nella Istituzione alla quale Rudolf Steiner dedicò il suo generoso operare, e alla quale alla fine fu costretto – più che per il veleno propinatogli dalla ʽparte avversaʼ, per la inadeguatezza, la superficialità, la fatuità, la vanità, la pavidità, e in taluni, gravissimi casi, per veri e propri tradimenti di taluni antroposofi – a sacrificare la sua stessa vita. La cosa non meraviglia affatto, perché nella nostra amata Italia, oggetto di avversione e persecuzione, oltre che della superficialità, vanità, pavidità e stupidità, da parte di coloro che pur avevano ricevuto l’aristocratico dono della Scienza dello Spirito, l’inestimabile donazione celeste dellʼAntroposofia, furono, sia in vita che dopo la loro dipartita, prima Giovanni Colazza, e poi Massimo Scaligero. Ambedue furono, oltre che diffamati e perseguitati, anche vilmente traditi proprio da coloro che meno di tutti gli altri avrebbero dovuto. Anzi, proprio nel caso di Massimo Scaligero, dopo la sua dipartita, si ripeterono − come da lui profeticamente previsto in Dallo Yoga alla Rosacroce, Perseo, Roma, 1972, p. 38, ove scrive che: «Contro l’Impulso Solare di questa epoca, è prevista una serie di attacchi, da quelli frontali a quelli insidiosi e inconsci (ho persino accennato ad attacchi dall’interno medesimo della cittadella, ad opera degli zelatori discorsivi delle dottrine)» − con una dinamica in maniera stupefacente simile, la serie di eventi proditori e predatori che avvennero dopo la morte di Rudolf Steiner. Ma per il momento, de hoc satis. Avremo sicuramente occasione e modo di riparlarne.
***
La Scienza dello Spirito reca allʼattuale essere umano una conoscenza di sé – a rigore di termini, dovrei dire conoscenza della sua anima, perché è il Sé, o lʼIo, colui che la conosce – la quale, oltre ad essere oltremodo preziosa, gli è assolutamente necessaria. Assolutamente necessaria, soprattutto sʼegli vuole inoltrarsi nellʼaspro sentiero dellʼIniziazione, se coraggiosamente vuole elevarsi allʼesperienza spirituale diretta, alla percezione immediata della realtà essenziale, occulta, non apparente, del mondo dello Spirito. La Via ad una tale vita spirituale più alta, in particolar modo per lʼuomo attuale, non è scevra di pericoli. In realtà, essa potrebbe essere affatto scevra di pericoli se, e solo se, il discepolo del sentiero occulto seguisse con geometrica esattezza, con algebrica precisione, la Via retta, diritta, senza veruna deviazione, senzʼalcun personale arbitrio, l’aureo Sentiero che gli viene indicato. Ma, per far ciò, occorre assolutamente avere un cuore puro. Purtroppo, come avverte il vecchio Tolkien, «il cuore degli uomini si corrompe facilmente». Occorre, inoltre, possedere una volontà coraggiosa, eroica, tenace, ostinata, risoluta, che si dimostri dura contro gli innumerevoli ostacoli che ne intralceranno il cammino, ossia dura contro queglʼinnumerevoli, troppi, ostacoli che tenderanno a fiaccarne e ad usurarne la forza. Ora, se un tale cuore puro non è ancora presente, è assolutamente necessario che lo si generi. Se una tale risoluta, dura, volontà non è ancora posseduta è assolutamente necessario chʼessa venga conquistata. Per generare un tale cuore puro, e conquistare la risoluta volontà necessaria alla realizzazione spirituale alla quale audacemente aspira, cioè allʼIniziazione, il discepolo deve possedere quella che Massimo Scaligero in Tecniche della concentrazione interiore, Edizioni Mediterranee, Roma, 1975, nel XXII capitolo, Determinazione assoluta, pp. 152 e segg., pone come una esigenza imprescindibile. Ma una tale ʽdeterminazione assolutaʼ non è cosa che sʼimprovvisa: è essa stessa aspra conquista e risultato di una inflessibile, oserei dire ostinata, ascesi. Emblematiche sono le parole – in alcuni punti da me messe in evidenza – di Massimo Scaligero, che leggiamo alle pp. 158-161:
«Nello sperimentatore realmente moderno, il processo interiore dellʼAutocoscienza, sorta mediante la determinazione del pensiero nella sfera matematico-fisica, può assurgere, per via di trapassi dinamici mediati dalla logica dellʼelemento libero del pensiero, a processo trascendente. Al quale risponde lʼArchetipo cosmico: il Logos, che già ha operato lʼunione dellʼumano con il Superumano.
Lʼuomo volitivo, libero edificatore della propria coscienza, può dimostrare a se stesso, non dialetticamente, ma sperimentalmente, la realtà del Logos: la sua trascendenza, nella immanenza: il potere assoluto del Fondamento, che non può non essere intimo allʼIo. LʼIo ha in sé tutta la Forza: deve soltanto essere se stesso, per attuare secondo Essa la comunione con il mondo. […]
Il discepolo che coltivi lʼintento profondo, può conoscere il momento magico, di una lucidezza assoluta, rivelatore di tutta la Forza a venire. Per attimi egli può realizzare come forza della decisione pura la Memoria delle cose divine. È un moto dellʼIo che ancora non realizza il senso finale dellʼAscesi, ma ne intuisce il contenuto ultimo di trasmutazione: un atto che a t t r a v e r s a tutta la vita, giungendo sino al fisico, con la potenza di un istinto irresistibile: movendo dal puro Io.
Questo impulso dellʼIo, scocca istantaneo, dallo Spirituale alla corporeità, anche senza le discipline che gli abbiano ancora aperto il varco. È un momento di ricordo dellʼIo, che si apre il varco da sé, ma solo istantaneamente, essendogli ancora impossibile la continuità. Mediante la concentrazione, la continuità può essere iniziata dallʼanima, che afferri il senso dellʼAscesi indicata da quel momento trascendente: momento in realtà donato dal Mondo Spirituale.
È il momento di una decisione dellʼIo, di cui occorre percepire la forza unificante dal metafisico al fisico, per ricordarlo e fare di esso lʼintento profondo. Quello scoccare dellʼIo, infatti, svanirà: sia pure per ripresentarsi in altri momenti decisivi, come autoritaria Luce originaria, indicatrice dellʼintento dimenticato.
Riguardo a tale possibilità, quello che umanamente difetta è il potere del ricordo, della coerenza, della fedeltà. Questo momento dellʼIo, che può lasciarsi percepire dopo una estrema tensione della volontà, o del dolore, esige diventare d e t e r m i n a z i o n e a s s o l u t a: esso tende a scomparire dopo aver irradiato la sua istantanea Luce: non può perdurare, perché lʼattuale costituzione dellʼuomo non è preparata a sostenerne la Potenza. Esso indica un còmpito, ma non può sussistere come impulso: la sua istantaneità può divenire continuità soltanto nellʼassunto ascetico. Il contenuto qualitativo dellʼascesi, la retta concentrazione, la retta meditazione, debbono essere presenza di quella direzione: lʼascesi che le corrisponde, non unʼascesi condizionata dalla natura. Lʼintento profondo deve quotidianamente costruire se stesso come intuito rinnovato della balenata direzione dellʼIo. Questo intento, ove perduri, è la misura del ritrovamento della Memoria delle cose divine, e dellʼAscesi che veramente le corrisponde, nell’attuale tempo».
A tale riguardo è bene che non ci si faccia illusione alcuna. Certo, vi sono molte persone che hanno nellʼanima tante belle qualità, ma tali qualità sono ʽnaturaʼ, persino ʽnatura spiritualeʼ, non sono – o non ancora sono – ʽspiritoʼ. Sono qualcosa di ʽereditatoʼ: dal proprio popolo, dalla stirpe familiare alla quale si appartiene, o possono essere anche ʽereditàʼ di antiche vite, perciò – ancora una volta – appunto, ʽnaturaʼ, non ʽspiritoʼ. Per essere ʽspiritoʼ, esse devono essere conquista – ogni vòlta novella conquista – dellʼIo, e non eredità dellʼanima. Lʼeredità dellʼanima è ogni vòlta il meramente ʽesistenteʼ, il ʽpassatoʼ, il ʽdivenutoʼ, il già ʽfattoʼ, il già ʽprodottoʼ, il ʽcausatoʼ, lʼʽeffettoʼ effettuato, il ʽcondizionatoʼ, il meramente ʽcontingenteʼ, mentre solo e unicamente lo Spirito veramente ʽèʼ, e perciò solo esso è lʼeternamente ʽpresenteʼ, il ʽdiveniente mai divenutoʼ, lʼʽattoʼ perennemente attuantesi, il ʽcausanteʼ non causato, lʼeternamente ʽcreanteʼ, e mai creato, ossia: lʼIncondizionato, lʼAssoluto. Perché – come avverte lapidariamente Massimo Scaligero ne LʼUomo Interiore. Lineamenti dellʼesperienza sovrasensibile – «nello Spirito non si sta, nello Spirito si è».
Per questo essenziale motivo, seguire la Via della Iniziazione è seguire una ʽVia eroicaʼ: la Via eroica contrapposta alla via egoica. Per lo stesso essenziale motivo, anzi a maggior ragione, voler percorrere il Sentiero della Conoscenza richiede coraggio, un coraggio a tutta prova: tutto il coraggio che il discepolo può generare in se stesso. Infatti, così leggiamo – cito, mettendone in evidenza alcuni punti, da una antica, bella, umile, spartana edizione, che proprio per questo mi è tanto più cara – in Rudolf Steiner, L’Iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?, Fratelli Bocca Editori, Milano, 1952, pp. 58-59:
«Per questo via lʼuomo si avvicina sempre più al momento in cui può effettuare i primi passi nellʼiniziazione; prima che ciò si verifichi occorre però ancora una cosa, di cui, forse, la necessità riuscirà dapprima poco evidente al discepolo dellʼoccultismo; più tardi la comprenderà.
Occorre, dunque, che lʼiniziando sia provvisto sotto un certo riguardo di un coraggio e di unʼintrepidità specialmente sviluppati. Il discepolo deve appunto cercare delle occasioni favorevoli per lo sviluppo di queste qualità. Nella disciplina occulta esse devono sistematicamente coltivate, ma la vita stessa, specialmente a questo riguardo, è una buona scuola occulta; forse la migliore. Affrontare serenamente un pericolo, cercare di superare le difficoltà senza sgomentarsi, – di questo deve essere capace il discepolo. Di fronte a un pericolo, egli deve immediatamente sviluppare il sentimento: «il mio timore non serve a niente, non devo avere affatto paura, ma pensare soltanto a ciò che vi è da fare». E deve educarsi a tal punto, che nelle occasioni che prima gli incutevano timore, gli riesca ormai impossibile «aver paura» o «perdere il coraggio», almeno come sentimento interiore. Lʼautoeducazione in questa direzione sviluppa nellʼuomo forze ben determinate, di cui ha bisogno se deve essere iniziato nei misteri superiori. Come lʼuomo fisico ha bisogno della forza nervosa per utilizzare i suoi sensi fisici, così lʼuomo animico ha bisogno di quella forza che si sviluppa in nature coraggiose e intrepide. – Chi penetra nei segreti superiori vede, cioè, delle cose, che le illusioni dei sensi tengono nascoste alla vista dellʼuomo ordinario. Difatti, sebbene i sensi fisici non ci permettono di vedere la verità superiore, essi, appunto per questo, sono anche i benefattori dellʼuomo, perché gli nascondono cose che lo spaventerebbero moltissimo e di cui egli, impreparato, non potrebbe sopportare la vista. Il discepolo deve essere temprato a sopportare tale vista. Egli perde nel mondo esteriore appoggi chʼerano dovuti al fatto di trovarsi imprigionato nellʼillusione, realmente e letteralmente succede, come se si richiamasse lʼattenzione di qualcuno su di un pericolo al quale già da molto tempo era esposto, ma senza saperlo: ora però che sa del pericolo, viene assalito dalla paura, sebbene il fatto di esserne a conoscenza non abbia aumentato il pericolo stesso».
La situazione paradossale dellʼattuale essere umano non iniziato, preso nella imprigionante rete dellʼillusione – della ʽmayaʼ, come la chiamano glʼindiani – è chʼegli teme, più di tutto, proprio quella conoscenza, che gli disvela lʼesistenza del pericolo. Egli – affetto comʼè da viltà conoscitiva – inconsciamente teme, e tenacemente avversa, una tale conoscenza del pericolo più del pericolo stesso, la cui esistenza non vuole vedere, e quanto più una tale conoscenza si fa consapevolmente presente al suo sguardo, tanto più nei confronti di essa crescono in lui tale paura e avversione: sino a diventare una parossistica forma di odio nei confronti di ogni conoscenza spirituale, e nei confronti dello Spirito stesso. Il paradosso, anzi la contraddittoria illogicità della situazione, sta tutta nel fatto che se vi è qualcosa che può diminuire il pericolo è proprio la ʽconoscenzaʼ. Solo essa è fonte di forza e di coraggio; solo essa ha una efficacia liberatrice. Per questo Rudolf Steiner aggiunge alle pp. 59-60:
«Le forze del mondo sono distruttrici e costruttrici; il destino degli esseri esteriori è di nascere e perire. Il savio deve osservare lʼazione di queste forze, il corso di questo destino. Il velo che si stende nella vita ordinaria davanti allʼocchio spirituale deve essere allontanato. Lʼuomo stesso però è contessuto con queste forze, con questo destino. Nella sua propria natura esistono forze distruttrici e costruttrici. Come le cose tutte si svelano allʼocchio spirituale del veggente, così pure gli si svela la sua anima di fronte a tale autoconoscenza il discepolo non deve smarrirsi, e, perché la forza non gli venga a mancare, occorre chʼegli ne sia provvisto ad esuberanza. Per riuscire in questo intento egli deve imparare a conservare la calma e la sicurezza interiore nelle condizioni difficili della vita; deve coltivare in sé una ferma fiducia nelle forze benefiche dellʼesistenza. […] Le ragioni su cui prima si basava non avranno ormai più valore. Se egli ha agito talora per vanità, ora si accorge quanto la vanità sia assolutamente futile per il savio; se ha agito talora per avidità, si avvede ormai che questa esercita unʼazione distruttrice; egli dovrà sviluppare dei moventi completamente nuovi per i suoi atti e i suoi pensieri, e per far questo deve appunto sviluppare coraggio e intrepidità.
Si tratta soprattutto di coltivare questo coraggio e questa intrepidità nelle profondità più intime della vita del pensiero».
Questʼopera di autoconoscenza, che costituisce la catarsi, lʼindispensabile purificazione e lʼassolutamente necessaria preparazione di ogni Iniziazione, è un capitolo cruciale, e per molti assai doloroso, inconcepibilmente, e irresponsabilmente, sottovalutato dalla quasi totalità dei sedicenti seguaci di un esoterismo, che il più delle volte si rivela essere – quando va bene – soltanto una mera posizione intellettuale, o una raffinata curiosità culturale, che porta un poʼ di colore nel grigiore di una vuota, ripetitiva, in-significante, profana, vita borghese, spesso addirittura piccolissimo-borghese. Molti credono che si tratti di una sorta di ʽconoscenza psicologicaʼ, come nel caso di quella grandissima, illudente, autentica frode che è la moderna psicanalisi o psicologia analitica freudiana, junghiana, adleriana, gestaltica, fenomenologica, umanistica, maslowiana, assagioliana, ecceteriana. La catartica autoconoscenza non è cosa affatto comoda, ed è – come ammonisce zio Arturo – una operazione interiore che «nella realtà delle cose va compiuta con tenacia, con abbandono di sé, senza misericordia, e, quando riesce, richiede molti, lunghi anni». Egli avverte altresì che la «morte iniziatica» alla quale conduce la catarsi, lʼautentica, non illusoria, non meramente intellettuale e psicologica, conoscenza di sé, «non è cosa da prendere a gabbo». Ossia, come direbbe il mio amato Dante, Inf., canto III, vv. 14-15:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta».
***
Questa non breve premessa è necessaria per comprendere – ossia per intendere senza fraintendere – la dimensione autentica dellʼimpresa del Graal, che essa è – lo si tenga sempre ben presente – una impresa ʽeroicaʼ, e non un tema salottiero per piacevoli disquisizioni in tavole rotonde, o in conversazioni su canali telematici, o anche in talk-show televisivi o radiofonici, e soprattutto non è un tema che sia lecito strumentalizzare per inconfessati ma sin troppo evidenti scopi politici o confessionali, o addirittura ambedue gli scopi, magari sotto una menzognera maschera dalla facies ʽesotericaʼ e ancor meno è un tema che sia lecito banalizzare a livello di una sentimentale, stucchevole, dolciastra, favola da telenovela.
Nel campo della ricerca spirituale, per molti operanti è facilissimo errare, anche in buonissima fede, per il fatto di mancare di quello che nellʼOttuplice Sentiero del Buddha Shakyamuni rappresenta il primissimo, e assolutamente necessario, gradino, ossia il «retto pensare», la «retta visione», la quale esige – ripeto: esige – che lʼasceta deterga il proprio conoscere da ogni forma di soggettività, da ogni forma di guasta emotività, di subconscia istintività, di sregolato immaginoso visionarismo, di arbitrario fantasticare, per ʽvedereʼ – mediante un osservare oggettivo – le cose, gli esseri, i vari processi del reale, yathābhūtaṃ, ovvero «così come sono». Ad impedire una tale limpida, e oggettiva, visione dellʼessere e del reale, e a trascinare lʼessere umano nellʼattossicante gorgo della soggettività e delle correlative illusioni, dalle quali nascono le tre male figlie dellʼignoranza, della avidyā – letteralmente, della «non visione» – ossia brama, paura, e avversione, è una sorta di cieca, automatica, memoria animale, una mneme ostinata e insistente, costituita dalle vāsanā e dai saṃskāra, ossia dalle ʽtendenze innateʼ, che come ʽsemiʼ, provenienti da altre vite, poi nella presente germinano e si sviluppano, e dalle ʽconformazioniʼ, dalle ʽconfigurazioniʼ, irrigidite e cristallizzate, le quali nel conoscere, nel sentire, e nel volere, normalmente portano lʼessere umano ad obbligate reazioni automatiche, scambiate regolarmente per ʽspontaneitàʼ. Una cotale spontaneità, in realtà, è una frode menzognera, della quale lʼasceta deve energicamente liberarsi. Per cui è savio ascoltare il consiglio del caro zio Arturo, il quale citando Paolo di Tarso, scrive che: «Ciò che è vecchio convien che muoia».
Se non ci si libera di quella natura inferiore, che nellʼuomo funziona come una memoria automatica, che il soggetto conoscente nella sua passività scambia per ʽspontaneitàʼ del suo autentico originario essere, tutto il conoscere ne viene condizionato, tutto il conoscere ne viene colorato e deformato come da un filtro che si interpone tra il soggetto conoscente stesso e lʼessere reale. La ʽpercezioneʼ dellʼessere non è ʽpuraʼ, non è libera dagli arbitrii della deformante soggettività: essa è sempre ʽcolorataʼ da una indebita interferenza emotiva, e ʽinquinataʼ e ʽalterataʼ da una inavvertita intrusione istintiva. Per cui, il primo còmpito dellʼasceta è quello di ʽdetergereʼ il proprio conoscere – il percepire e il pensare – da ogni forma di soggettività, eliminando ogni colorazione e alterazione che possano provenire dalla indebita intruzione della sfera emotiva e di quella istintiva nel percepire e nel pensare. Tali sfere emotiva e istintiva – espressioni di una inferiore natura dominata da forze antispirituali – sono per loro essenza ʽreazionarieʼ, e come tali si oppongono ostinatamente ad ogni forma di rinnovamento della vita dellʼanima, ed avvelenano altresì tale vita dellʼanima con i prodotti di cadaverica decomposizione di ciò che un tempo fu vivente. Ciò che nel passato fu vivente, e che si ripresenta e vuole agire nel tempo attuale, ha natura spettralmente fantasmatica, ed opera con distruttiva forza paralizzante e ʽmortificanteʼ, o ʽmortiferaʼ, su ciò che in maniera vivente ha in sé i germi di una realtà futura. Mentre il ʽpensare puroʼ e la ʽpercezione puraʼ attuano con il reale essere la relazione autentica, oggettiva, priva di colorazioni e dʼinquinanti deformazioni emotive e istintive. Di una tale ʽpuraʼ, oggettiva, impersonale, relazione con lʼessere accenna Rudolf Steiner nella sua Teosofia. Introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del destino umano, trad. a c. di Ida Levi Bachi, Editrice Antroposofica, Milano, 1974, nel capitolo Lʼentità dellʼuomo, p. 20:
«Le seguenti parole di Goethe contrassegnano mirabilmente il punto di partenza di una delle vie che conducono a conoscere la natura dell’uomo: «Non appena si accorge degli oggetti attorno a lui, l’uomo li considera in relazione a se stesso; e con ragione, poiché tutto il suo destino dipende dal fatto che essi gli piacciano o no, lo attraggano o lo respingano, gli giovino o gli nuocciano. Questo modo del tutto naturale di guardare e giudicare le cose sembra essere altrettanto facile quanto necessario, eppure espone l’uomo a mille errori che spesso lo umiliano e gli amareggiano la vita. Un compito ben più difficile si assumono quelli che, mossi da un vivace impulso di conoscenza, aspirano ad osservare gli oggetti della natura in sé e nei loro reciproci rapporti, poiché ben presto lamentano la mancanza della norma che è loro di aiuto quando, come uomini, osservano le cose in relazione a se stessi. Manca loro la norma del piacere e dispiacere, dell’attrazione e repulsione, dell’utile e dannoso. A tutto ciò devono interamente rinunciare; quali esseri indifferenti e per cosi dire divini, devono cercare e investigare quel che è e non quel che piace. Così, né la bellezza né l’utilità delle piante devono commuovere il vero botanico; egli ha da investigare la loro struttura, il loro rapporto col restante regno vegetale; come il sole le ha fatte spuntare e le illumina tutte, così egli le deve guardare e abbracciar tutte con sguardo equanime e tranquillo, traendo la norma delle sue cognizioni, i dati del suo giudizio non da se stesso, ma dalla cerchia delle cose osservate».
Questo superamento conoscitivo della deformante soggettività è quanto Massimo Scaligero stesso mise in evidenza ne La Via della Volontà Solare, Fenomenologia dellʼUomo Interiore, Edizioni Tilopa, Libreria Rocco, Roma-Napoli, s.d. ma 1962, p. 36, ove scrive:
«È notevole però come in un simile equivoco non incorresse, per esempio Goethe allorché contemplò la natura, guardandola con quello «sguardo puro» con cui avrebbe potuto guardarla un tempo un maestro Ch՚an, grazie ad un altro tipo di correlazione».
Ora, per i più è molto difficile liberarsi e disfarsi delle suddette ʽtendenze innateʼ, delle vāsanā, e delle ʽconformazioniʼ, o ʽconfigurazioniʼ, ossia dei saṃskāra, che ci provengono da antiche vite, dalla ereditarietà biologica e animica della stirpe cui apparteniamo, dai condizionamenti, familiari, educativi, sociali, addirittura religiosi nonché delle esperienze vissute, perché tutto ciò normalmente va a incidere, come su una tabula rasa, su una coscienza estremamente passiva a livello pensante, le cui ʽconvinzioniʼ, perlopiù, non nascono da cosciente e attiva elaborazione conoscitiva, bensì sono quanto viene imposto dalla sfera emotiva e da quella istintiva. E se i condizionamenti deformanti di una tale distorcente soggettività vengono indebitamente portati all՚interno della concezione che il discepolo si fa della Scienza dello Spirito, dell՚Antroposofia, ne può risultare solo l՚incomprensione più grande del messaggio che Rudolf Steiner ha portato al mondo, e addirittura – come, appunto, rilevò profeticamente sin dal 1972 Massimo Scaligero in Dallo Yoga alla Rosacroce – una sorda opposizione, nonché a celati o aperti attacchi «allʼinterno medesimo della cittadella». Ora, se con tali condizionamenti – soprattutto sotto l՚influenza di quelli confessionali – si affrontano temi e contenuti quant՚altri mai sacri e delicati come quelli della Iniziazione cristiana, della Iniziazione rosicruciana, e quello del San Graal, ne scaturiranno di necessità i più grandi disastri, ed una serie di ʽsincere menzogneʼ, che possono avvelenare le anime di coloro che, in maniera insana e improvvida, in buona fede, ma senza alcun senso critico, ingenuamente si aprono all՚accoglimento di problematiche e improbabili ʽrivelazioniʼ. E il tentare di svegliare gli entusiasti persuasi di tali ʽrivelazioniʼ può suscitare rabbiose reazioni di feroce avversione. Da questo punto di vista, il mito della Caverna di Platone, nella Repubblica, è emblematicamente istruttivo di quanto sia diffusa, attiva, e rabbiosa la misologia, ossia l՚avversione alla ragione, che è sempre avversione al Logos.
Vi è oggi nel mondo un elemento mortifero che, mescolandosi alla vita spirituale del mondo attuale, tende a paralizzarne l՚elemento vitale-spirituale, acciocché questo non porti ad un futuro luminoso e ad una palingenesi spirituale radicale dell՚individuo e della società, ma piuttosto favorisca l՚affermarsi di una esiziale forza mummificante ed il perdurare di una sostanza spirituale cadaverica, per un impossibile ritorno ad un passato che non c՚è più, e che, in quella forma, non può e non deve ritornare. Massimo Scaligero, già nella sua prima opera dedicata alla Via del Pensiero, in Iniziazione e Tradizione, Edizioni “Tilopa”, Roma, s.d. ma 1956, riportando un insegnamento del Maestro dei Nuovi Tempi, così scrive a p. 25:
«Nell’uomo sono l’uno accanto all’altro il passato e la possibilità dell’avvenire. Nella natura, in quanto minerale e vegetale, è solo il passato: l’elemento che nell’uomo opera come avvenire già nel presente, è quella che ha in sé l’essenza della libertà. Essenza che manca alla natura. Dell’elemento invisibile e sovrasensibile che è in lui, l’uomo deve aspettarsi la reincarnazione in una ventura esistenza terrena, né può aspettarsela riguardo al suo corpo fisico e a quello etereo che sono perituri: così l’avvenire della Terra non può derivare dai suoi regni minerale e vegetale. Solo se saremo capaci d’inserire nella Terra qualcosa ch’essa non possiede, potrà sorgere una Terra futura. Ora, ciò che non esiste spontaneamente sulla Terra sono soprattutto i pensieri operanti dell’uomo che possano vivere e tessere indipendentemente dal suo organismo naturale e dalle sue attuali condizioni di equilibrio. Se l’uomo fa sorgere questi pensieri autonomi, dona avvenire alla Terra. Ma a ciò occorre che egli li abbia questi pensieri autonomi, perchè tutti i pensieri che egli si forma sull’elemento perituro della conoscenza naturale odierna, sono pensieri riflessi, non realtà. Quando l’uomo si abbandona a questi pensieri, non fa che ripetere il passato, vive nei cadaveri del Divino; ma se egli vivifica i suoi pensieri, egli si unisce con la propria essenza spirituale, egli attua una nuova Comunione con il Divino che compenetra il mondo e di questo assicura la resurrezione che è la sua resurrezione».
Ora, quel che vi fu di vivente e di positivo nel mondo antico, e in particolar modo nella romanità antica, si presenta, oggi, in una degenerata forma spettrale in varie manifestazioni del mondo moderno, ma soprattutto in quelle della Chiesa cattolica. Su questo punto Rudolf Steiner pronunciò parole estremamente chiare quanto inascoltate, che proprio nella cerchia dei seguaci della Scienza dello Spirito suscitano sovente una forte opposizione, proprio perché vanno a colpire quegli strati subrazionali, sognanti o dormienti, di una irrazionale natura inferiore, reazionaria e nemica di quell՚elemento spirituale, che solo potrebbe trasformarla e trasfigurarla. Misoneismo, avversione al nuovo, e misologismo, avversione alla ragione e al Logos, sono le caratteristiche di questa interiore e inferiore natura reazionaria. Infatti, così si espresse Rudolf Steiner nella prima conferenza di Die soziale Grundforderung unserer Zeit. In geänderter Zeitlage, GA-186, Zwölf Vorträge, gehalten in Dornach und Bern vom 29. November bis 21. Dezember 1918, Rudolf Steiner Verlag, Dornach, 1. Auflage 1963, tradotta in italiano a cura di Beniamino Lievers, col titolo Esigenze sociali dei tempi nuovi, Editrice Antroposofica, Milano, 1971, pp. 23-24:
«Che lo spettro del romanesimo potesse acquistare unʼinfluenza così profonda, deriva appunto dal fatto che sostanzialmente nel pensiero umano il pensare secondo la concezione dellʼAntico Testamento non è ancora superato. Il cristianesimo in effetti non è che agli inizi. Il cristianesimo non è ancora riuscito a compenetrare effettivamente gli animi. A questo fine ha già fatto quel che era necessario la Chiesa romana che, per quanto riguarda la teologia, è completamente soggetta allʼinfluenza dello spettro romano. Come ho già spesso accennato, la Chiesa romana ha più contribuito a tenere lontana dalle anime e dai cuori umani lʼimmagine del Cristo, piuttosto che ad introdurvela. Questo perché le rappresentazioni, utilizzate nellʼambito della Chiesa romana, per afferrare il Cristo, corrispondono in tutto alla struttura sociale e politica dellʼantico Impero romano. Anche se gli uomini non lo sanno, tuttavia questo fatto agisce nei loro istinti.
Le rapresentazioni che vigevano nellʼAntico Testamento e che hanno trovato la loro secolarizzazione nel romanesimo – anche se è diametralmente opposto allʼebraismo tuttavia è in campo secolare quello che lʼebraismo è spiritualmente – quelle rappresentazioni sono penetrate nel nostro presente per il tramite del romanesimo e vi agiscono spiritualmente. Secondo la sua vera origine, bisogna cercare nellʼuomo questo pensiero non ancora cristianizzato dellʼAntico Testamento. Bisogna trovare risposta alla domanda: «Da quali forze deriva proprio questo modo di pensare, quale si manifesta nel pensare dellʼAntico testamento?».
Questo pensare dipende da quel che può essere ereditato di generazione in generazione col sangue. La capacità di pensare conformemente allʼindirizzo di pensiero dellʼAntico Testamento viene ereditata, succedendosi gli uomini, nel sangue. Ciò che ereditiamo, quanto a capacità, dai nostri progenitori, semplicemente per il fatto di essere nati, per il fatto di essere passati per lo stato embrionale prima della nostra nascita, quanto dunque ereditiamo come forze del pensare, quanto vive nel sangue, è il pensare dellʼAntico Testamento. Infatti il nostro pensiero si suddivide in due parti distinte. Lʼuna è rappresentata dal pensiero che abbiamo per mezzo della nostra evoluzione fino alla nascita, vale a dire il pensiero che ereditiamo dai nostri padri e dalle nostre madri. Siamo in grado di pensare come si pensava secondo lʼAntico Testamento perché siamo stati embrioni. Importante del popolo ebraico antico è che nel mondo, che si attraversa fra la nascita e la morte, esso non ha voluto imparare nulla oltre alle capacità che si ricevono per il fatto di essere stati embrioni fino al momento della nascita. Si potrà comprendere il pensare secondo lʼAntico Testamento soltanto se lo si interpreta nel modo seguente: si tratta del pensare che abbiamo in forza del fatto che siamo stati embrioni.
Il pensiero che vi si aggiunge è quello che poi acquistiamo dopo il periodo embrionale, nel corso dellʼevoluzione umana. Per certe esisgenze esteriori, l’uomo acquisisce bensì ogni genere di esperienze, ma ciò non lo porta ad una reale trasformazione del pensare; ancor oggi il pensiero dellʼAntico Testamento agisce quindi molto più di quanto si creda».
Per cui, se non ci si libera dell՚impronta configurante che ha sull՚anima umana l՚azione spettrale della Chiesa cattolica, è fatale per l՚asceta e per il ricercatore spirituale equivocare i contenuti della saga del Graal e di conseguenza fallire l՚iniziatica impresa eroica allusa nelle figurazioni e negli eventi della leggenda di Parzifal. Già in passato l՚azione della nota potenza straniera d՚Oltretevere operò a svuotare l՚epopea del Graal di ogni suo contenuto iniziatico. Per esempio, così avvenne nel XIII secolo coi poemi, Lancillotto, Perceval o il racconto del Santo Graal, di Chrétien de Troyes, poeta al servizio dei Conti di Fiandra, e dei Conti dello Champagne, nonché di dame e principesse della corte di Francia, operò una ʽortopedicaʼ cattolicizzazione della leggenda, suscitando per cotanto scempio i più aspri rimproveri di Wolfram von Eschenbach, il cui Parzival – così come il Willehalm, e l՚incompiuto Titurel – è tutto fuor che cattolicamente ortodosso, ed è autenticamente iniziatico. Avrò modo, in futuro, di tornare su queste questioni. Ma anche in tempi più recenti si son visti vari e ripetuti tentativi di ʽortopedizzareʼ l՚epopea del Graal in senso di volta in volta pagano, o celtico, o islamico, ma soprattutto in senso cattolico, con deprecabili quanto scontate strumentalizzazioni da parte di fazioni politiche eversive. Ciò obbligò Massimo Scaligero ad aggiungere a La Tradizione Solare, Teseo, Roma, s.d. ma 1971, una necessaria Appendice, alle pp. 215-217, nelle quali usa parole di fuoco per denunciare una tale indegna strumentalizzazione, affermando, inoltre, a p. 216, che:
«Oltre qualsiasi interpretazione di parte, di destra o di sinistra, la simbologia del Graal permane intoccabile come un riferimento assoluto, come un՚alta speranza speranza di ritrovamento del valore dell՚uomo. L՚impresa dello Spirito, adombrata nelle simbologie solari, è invero l՚impresa della più alta moralità: che non patisce contaminazioni attivistiche o politiche, ponendosi come un՚ istanza di essenziale concordia umana, al di sopra delle parti e dei loro conflitti».
Una tale alterazione della concezione dell՚impresa del Graal, e la conseguente strumentalizzazione in senso politico e confessionale, è avvenuta purtroppo anche in talune cerchie – non in tutte, naturalmente, e non ovunque, per fortuna – che si richiamano a vario titolo al nome, all՚opera, e all՚insegnamento di Massimo Scaligero. Ciò rende oggi urgente e necessaria un՚azione di rettifica delle alterazioni avvenute – non sempre attuate in buona fede – in modo che il ricercatore dello Spirito possa formarsi liberamente, senza subire suggestioni fuorvianti, un suo personale, ponderato, giudizio autonomo, e compiere in maniera pienamente consapevole una scelta responsabile rispetto alla Via di realizzazione spirituale. Per questo motivo, viene pubblicato, sul presente blog, un primo contributo ad una tale opera di chiarificazione e rettificazione. Il candido lettore si accorgerà facilmente come i contenuti qui presentati – i quali provengono tutti rigorosamente solo dalle comunicazioni di Rudolf Steiner – sono alquanto diversi e spesso addirittura diametralmente opposti, sia nella concezione d՚insieme, sia nei singoli particolari, rispetto a quanto affermato da altra fonte, a mio modo di vedere, non coerente con l՚insegnamento del Rudolf Steiner e con quello di Massimo Scaligero. A questo primo contributo ne seguiranno altri. Sicuramente, questi ʽcontributiʼ susciteranno – come già avvenuto in passato – aspre polemiche e, in taluni casi, rabbiose opposizioni, giunte tavolta alle minacce, alla diffamazione e al volgare insulto nei confronti di chi qui scrive. Ma ciò non sarà mai un valido motivo per astenersi dal testimoniare in favore della Verità, perché è alla Verità e non ad altro, che deve essere reso leale omaggio e il massimo onore. Del resto, quanto verrà detto per quel che riguarda i contenuti del tema che ci sta a cuore, occorre sottolineare esplicitamente ancora una volta, a scanso di spiacevoli ed interessati equivoci, che tali contenuti non sono affatto escogitazione od opinione di chi qui scrive, bensì sono comunicazioni di Rudolf Steiner e di Massimo Scaligero. Di ciò il lettore può essere assolutamente certo, perché su questo punto sono sempre stato intransigente sia con me che con gli altri. Ma procediamo col primo di questi contributi.
***
Come ho già avuto modo altrove di raccontare, fu nel 1985 che incontrai per la prima volta alla Rudolf Steiner Halde, allora ancora sede della Rudolf Steiner-Nachlassverwaltung, ossia del ʽLascitoʼ, la mia amica Hella Wiesberger. Tra noi vi fu da sùbito reciproca simpatia, nonché la nascita di una sorta di ʽfratellanza d՚armiʼ spirituale. Dovendo in quegli anni andare spesso, per motivi professionali, a Basilea in Svizzera, e a Friburgo in Germania, i nostri incontri furono frequenti. La Wiesberger mi aveva preso a ben volere, mi trattava con grande familiarità, ed ogni tanto mi faceva qualche dono sempre molto gradito. Fu in occasione di uno di questi incontri che, approssimandosi il Natale, Hella volle farmi un regalo che si rivelò di estrema importanza per me. Mi regalò la riproduzione del bozzetto di un trittico, dal profondo valore spirituale e simbolico, eseguito da una discepola molto speciale di Rudolf Steiner. Questa discepola, valente artista, si chiamava Anna May-Rychter, e il trittico aveva come titolo quello, estremamente suggestivo, di «Gral». Lʼautrice aveva partecipato alle conferenze tenute da Rudolf Steiner a Neuchatel, nelle quali il Dottore parlò del mistero di Christian Rosenkreutz, ed il dipinto fu realizzato seguendo fedelmente le indicazioni e le spiegazioni delle varie figure di Rudolf Steiner. Il che conferisce un valore molto particolare al dipinto stesso. Hella Wiesberger accompagnò il dono con una sorta di esergesi orale, nella quale mi illustrò, secondo le comunicazioni di Rudolf Steiner, il significato complessivo del dipinto, addentrandosi pure in molti particolari del medesimo. Per me fu come l՚aprirsi di un mondo nuovo, anche perché in quel periodo Hella Wiesberger stava curando ed andava pubblicando tutto il materiale della Scuola Esoterica di Rudolf Steiner, in modo particolare quello della seconda Sezione, quella cultico-conoscitiva, ossia il materiale della ʽMystica Aeternaʼ, del quale mi illustrò la relazione profonda col graalico trittico «Gral», dipinto da Anna May-Rychter. Il dipinto venne esposto dal 5 febbraio al 15 marzo 1918 – quindi nel corso della prima guerra mondiale – a Monaco di Baviera alla galleria d’arte Das Reich, una creazione di Alexander von Bernus, grande amico di Rudolf Steiner.
Il dipinto ha una esplicita connotazione fortemente ʽcainitaʼ, come del resto aveva la stessa ʽMystica Aeternaʼ. Il dipinto originale, eseguito su tre distinte tavole, era stato concepito per essere esposto prima nel Johannesbaum, la cui costruzione originariamente era stata prevista proprio a Monaco di Baviera, ma che non poté realizzarsi per la drastica opposizione delle locali autorità per meschini motivi confessionali. Avrebbe poi dovuto essere esposto nel primo Goetheanum, ma ancora una volta il confessionale ʽodium theologicumʼ della nota potenza straniera d՚Oltretevere, ed eziandio quello della mai troppo esecrata compagnia, a San Silvestro del 1922, mandò in cenere l՚edificio prima ancora che la sua costruzione venisse ultimata: fu un delitto esplicitamente annunciato! Il dipinto seguì poi le vicende, notevolmente agitate, che si svolsero dopo la morte di Rudolf Steiner nella Società Antroposofica, ed infine finì ad Amburgo ospitato nelle sede della locale Scuola Waldorf, ove purtroppo andò distrutto nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, nel corso dei bombardamenti inglesi sulla città anseatica.
Per fortuna, la nipote di Anna May-Rychter, la Dott.ssa Margarethe Hauschka-Stavenhagen aveva conservato il bozzetto del trittico, e nel 1975, cinque anni prima della sua dipartita, lo rese pubblico sull’organo ufficiale della Società Antroposofica. Vedi: Margarethe Hauschka, Das Triptychon ‘Gral’ von Anna May, in Das Goetheanum, 15. Juni 1975, Nr. 24, S. 187-190, articolo nel quale, tuttavia la riproduzione fotografica era in bianco e nero. È lo stesso bozzetto che viene riprodotto a colori su questo animoso blog.
Dopo che Hella Wiesberger me lo donò, io volli mostrarlo ad una persona di Roma, che ritenevo potesse comprenderlo e apprezzarlo, ma mi sbagliavo clamorosamente. La vista del medesimo suscitò nella suddetta persona un moto immediato di avversione e di ripulsa, allora per me tanto incomprensibile nella sua violenza quanto immotivato. In séguito, compresi sin troppo bene il perché di una tale avversione, che peraltro mi sembrò esser ancor più immotivata ed ingiusta.
Viene qui pubblicata eziandio la presentazione del dipinto stesso redatta, seguendo le indicazioni di Rudolf Steiner, in occasione della presentazione del trittico a Monaco. Nel presente articolo non mi è possibile dire tutto quello che su di esso potrebbe essere detto. Del resto il tema è per sua natura inesauribile, e va affrontato meditativamente nel silenzio sacro della solitaria esperienza interiore. Ma qualcos’altro potrà, tuttavia, essere detto in un altro studio, che seguirà lʼattuale: è una promessa che faccio al candido lettore, che avuto la pazienza di seguire le tredici parti, lungo le quali si sono svolte le presenti considerazioni.
***
IL TRITTICO «GRAAL»
di Anna May, Monaco
Aggiungiamo questa descrizione, che a suo tempo fu data – tuttavia soltanto a grandi linee, al Glaspalast a Monaco, allorché il quadro venne là esposto. Essa rimase nellʼufficio della giuria nel caso di un acquisto o di una richiesta.
Il Trittico «GRAAL»
«Da Salomone a Christian Rosenkreutz attraverso il Golgotha».
Alcune correnti spirituali e fisiche (quella dellʼoro della sapienza e quella del sangue) si uniscono allʼumanità : allʼinterno delle medesime sorgono le grandi individualità come Abramo, Isacco, Mosè, il Buddha, lʼevangelista Giovanni, Paolo.
Pernio di questa storia dellʼumanità è il Mistero del Golgotha. «Graal» è la Parola per lʼuomo, nella misura in cui egli cerchi rapporto con tale evento. La leggenda dice che il Graal sarebbe stato ricavato dalla pietra che Lucifero perdette dalla sua corona nella sua caduta. Salomone lo ricevette dalla Regina di Saba (parte sinistra del Trittico).
Esso divenne poi la coppa dellʼUltima Cena, nella quale Giuseppe dʼArimathea avrebbe raccolto il sacro sangue (parte centrale del Trittico).
Allorché questo sangue del Christo in un lontano futuro sarà penetrato sin nella parte più interna della Terra, esso diventerà anche lʼuomo completamente cristificato, il Parzifal del futuro, si risveglierà dalla coppa del Graal come da una bara, e riunirà tutte le religioni e le precedenti filosofie in un vivente sapere cristico. Poi anche Michael avrà incatenato il drago, e la «Donna» dellʼApocalisse porterà di nuovo in sé il Sole ed avrà la Luna sotto i piedi, cioè la Terra avrà riportata la vittoria sullʼelemento materiale.
La parte superiore del Trittico Graal rappresenta il Mondo Spirituale (oro); le superiori teste più grandi: gli Spiriti del Tempo (Archai), che tendondosi le mani attraverso ampie epoche, si alternano. A loro sostegno, gli Spiriti dei Popoli (Arcangeli).
Sotto di loro, volgenti lo sguardo in basso agli uomini, gli Angeloi, ossia gli Angeli. La parte inferiore, cioè le due Colonne, rappresenta la corrente del sangue, che scorre attraverso lʼumanità, e che in collegamento con lo Spirituale (oro) incarna le alte Guide, che dirigono lʼevoluzione dellʼumanità. A sinistra, dallʼalto verso il basso «Melchisedek», il grande Iniziato solare, che porta pane e vino ad Abramo, sotto Abramo ed Isacco, sotto Giacobbe e la scala celeste. Sotto (a sinistra della croce) Mosè nella posizione, come se vedesse il roveto ardente.
Queste individualità sono quelle che stanno come pietre miliari per la preparazione del sangue nel popolo ebraico, per formare il corpo del Christo.
Le tre parti del Trittico
la parte superiore media sopra il Golgotha : il Graal – la Pietra, che cadde dalla corona di Lucifero nella lotta in Cielo.
Immagine di sinistra : la Regina di Saba lo ha portato tra varie preziosità al Re Salomone. In séguito il Christo elargisce dalla Coppa del Graal lʼUltima Cena, e Giuseppe dʼArimathea vi raccoglie il sacro sangue sul Golgotha, che compenetra la Terra e viene accolto dalle Madri, le tre forze terrene, pensare, sentire e volere. Col Christo, lo Spirito del Sole, discesero sulla Terra Entità spirituali, le quali lavorano questa, cosicché il sangue penetri profondamente in essa e la cristifichi.
Immagine di destra : mostra il Cristianesimo esoterico, rinnovato, risvegliantesi dalla Coppa del Graal come dalla bara di cristallo che viene diretto da Christian Rosenkreutz; attorno a lui (al centro) i sette santi Rishi come rappresentanti dei primordiali Misteri planetari atlantidei.
A destra e a sinistra : uniti a questi i rappresentanti delle cinque epoche di evoluzione o epoche di civiltà postatlantiche, la antica indiana, l’antica persiana (Zarathustra), quella egizio-caldaica (Hermete), quella greco-latina (Socrate, Platone, Agostino) e come rappresentante della nostra epoca la Pulzella dʼOrléans.
In alto a sinistra della parte centrale : la più grande individualità prima dellʼEvento del Chrsto, il Buddha, al di sotto nella corrente del sangue: un Iniziato precristiano con gli occhi chiusi, cioè non ancora iniziato in uno stato cosciente.
In alto a destra della parte centrale : dopo lʼEvento del Christo : Giovanni lʼEvangelista, con la sfera terrestra, che significa : il Christo sulla croce gli affidò sua Madre, la Terra. Sotto, un Iniziato nel senso cristico con gli occhi aperti, cosciente.
A lato della parte centrale, in basso a destra : Paolo (non io, ma il Christo in me) come contraltare a Mosè (Ehjeh asher ehjeh – Io sono lʼIo Sono).
Nella inferiore corrente sanguigna : la «bestia» incatenata da Michael, al di sopra la «Donna», che reca il Sole in sé e la Luna sotto i piedi, cioè alla fine dellʼevoluzione terrestre si riuniscono le forze solari con le forze lunari, cioè la Terra sarà completamente cristificata.
Lʼambiente per questa raffigurazione venne indicato dal Dr. Steiner nel seguente modo:
Un ampio ambiente in legno, a forma di nicchia, sotto con una sorta di elemento come un ampio altare. Il tutto splendente, ma corroso blu-indaco. Nella rotondità sopra lo zodiaco, le costellazioni ma circondate da figure immaginative come una nebbia dorata, nella quale rilucono le stelle.
***
Da quanto esposto, risulta chiaro che, secondo Rudolf Steiner, il Graal è il senso della Terra, ossia quello della sua trasformazione da «Cosmo della Saggezza» in «Cosmo dell’Amore». Infatti, così egli scrive nel VI capitolo, Presente e futuro dell’evoluzione cosmica e umana, della sua Scienza occulta nelle sue linee generali, trad. di E. de Renzis ed E. Battaglini, rivista e aggiornata da W. Schwarz, Gius. Laterza e Figli, Bari, 1947, pp. 309-311:
«La Terra è la discendente dell’antica Luna, e quest’ultima si è costituita, con tutto ciò che le apparteneva, come «Cosmo della Sapienza». Orbene, la Terra segna l’inizio di un’evoluzione per mezzo di cui una nuova forza verrà introdotta in questa saggezza; essa conduce l’uomo a sentirsi cittadino indipendente di un mondo spirituale. Ciò dipende dal fatto, che il suo «Io» viene formato dagli Spiriti della Forma, durante il periodo terrestre, al modo stesso come il suo corpo fisico venne elaborato su Saturno dagli Spiriti della Volontà, il suo corpo vitale sul Sole dagli Spiriti della Saggezza, e il suo corpo astrale sulla Luna dagli Spiriti del Movimento. Dalla collaborazione degli Spiriti della Volontà, della Sapienza e del Movimento nasce ciò che si manifesta come Saggezza. Per opera di queste tre categorie di Spiriti, gli esseri e i processi della Terra possono armonizzarsi in saggezza con gli altri es-seri del loro mondo. L’uomo riceve il suo «Io» indipendente dagli Spiriti della Forma; questo Io si armonizzerà nell’avvenire con gli esseri della Terra, di Giove, di Venere e di Vulcano a mezzo di quella forza che s’introduce nella saggezza durante il periodo terrestre. È questa la forza dell’amore. Questa forza dell’amore deve nascere nell’umanità terrestre e il «Cosmo della saggezza» deve svilupparsi in «Cosmo di amore». Tutto ciò che l’Io può sviluppare in sé deve trasformarsi in amore. Quale universale «archetipo dell’amore» si presenta con la sua rivelazione il sublime Essere solare, che è stato caratterizzato nella descrizione dell’evoluzione del Cristo. […] Ciò che si è andato preparando come saggezza su Saturno, il Sole e la Luna, agisce nel corpo fisico, nel corpo eterico e nel corpo astrale dell’uomo e si manifesta come «Saggezza del Mondo»; nell’Io però s’interiorizza. A partire dallo stato terrestre, «la saggezza del mondo esteriore» diventa saggezza interiore nell’uomo; e quando si è in tal modo interiorizzata diventa il germe dell’amore. La saggezza è condizione necessaria per l’amore; l’amore è il frutto della saggezza rinata nell’Io».
Alcune pagine prima, Rudolf Steiner per la prima volta nella Scienza Occulta parla della della novella, moderna, Via dell’Iniziazione rosicruciana come della Via del Graal. Infatti, così egli scrive alle pp. 303-308:
«La «sapienza occulta», che esercita in tal modo la sua azione sull’umanità, e sempre maggiormente l’eserciterà, si può chiamare simbolicamente la conoscenza del «Graal». Chi impara a penetrare la profonda essenza di questo simbolo, quale viene raccontato nella storia e nella leggenda, si accorge che esso rappresenta in modo significativo la natura di ciò che abbiamo chiamato la conoscenza della nuova iniziazione, con il mistero del Cristo al centro. Gli iniziati moderni possono essere perciò chiamati «iniziati del Graal». Quella via verso i mondi soprasensibili, di cui abbiamo descritto in questo libro i primi gradini, conduce alla «scienza del Graal». Tale conoscenza ha la peculiarità, che i fatti a cui allude possono essere investigati soltanto dopo l’acquisto dei mezzi necessari, quali sono indicati in questo libro. Quando però i fatti sono stati investigati, essi possono essere compresi appunto per mezzo delle forze animiche sviluppatesi nel quinto periodo; e veramente diventerà più evidente che tali forze troveranno ognora maggiore sempre più soddisfazione in quelle conoscenze. Nel tempi in cui ora viviamo, quelle conoscenze devono essere accolte nella coscienza generale più largamente di quanto non lo fossero nel passato, ed è da tale punto di vista appunto che sono stati comunicati gl’insegnamenti contenuti in questo libro. A misura che l’evoluzione dell’umanità assimilerà le conoscenze del Graal, l’impulso dato dall’avvento del Cristo acquisterà maggior forza e significato; la parte esteriore dell’evoluzione cristiana andrà sempre più associata a quella «interiore». Tutto ciò che può essere conosciuto intorno ai mondi superiori, nei riguardi del mistero del Cristo, a mezzo dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione, penetrerà sempre meglio nella vita intellettiva, sentimentale e volitiva dell’uomo. La «sapienza occulta del Graal» diverrà manifesta, e come forza interiore compenetrerà sempre più le manifestazioni della vita umana. […]
Si vede dunque come la «conoscenza del Graal» c’insegni il più alto ideale dell’evoluzione umana che all’uomo sia dato concepire; quella spiritualizzazione, cioè, che egli conquista per forza propria, e che si palesa infine come il risultato armonico, che egli ha potuto stabilire, durante il quinto e il sesto periodo dell’evoluzione attuale, fra le forze da lui acquistate del sentimento e dell’intelletto e le conoscenze dei mondi soprasensibili».
Voglio concludere questa ancora una volta troppo lunga trattazione, trascrivendo alcuni stralci di quanto dice Massimo Scaligero a conclusione del sopra citato Iniziazione e Tradizione alle pp. 42-45, poiché quanto ivi dice è veramente una mirabile sintesi del tema che siamo andati svolgendo: tema al quale egli aveva consacrato l’intera sua vita e tutte le sue forze:
«I Maestri della Iniziazione hanno potuto comunicare ciò nei seguenti termini: «Quello che novellamente è nato nell’umanità, il mistero dell’Io Superiore, viene custodito da una segreta comunità. La continuità del Mistero che novamente si appressa all’anima dell’uomo là dove essa può trovare il suo intimo principio non riducibile alla natura, si esprime con un simbolo: la Coppa di cui si servì il Cristo la sera dell’ultima cena e nella quale vennero poi raccolte stille del Suo sangue da Giuseppe d’Arimatea». Secondo la leggenda, la sacra Coppa venne portata dagli Angeli in Occidente e qui venne eretto per essa un tempio dove i fratelli della Rosa-Croce divennero custodi del suo contenuto, ossia custodi dell’essenza del Dio che, vincendo la morte, suscita la nuova nascita dell’Io. Il Mistero del Dio novellamente nato, oltre il dominio della morte, attende inconosciuto l’uomo che sappia svincolarsi dall’incantesimo della esistenza esteriore. È il Mistero del San Graal: che si pone come la via attuale della Iniziazione. L’evangelista Giovanni poté dire: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». E poté annunciare che «il Verbo si è fatto carne». Tuttavia, ciò che questo significa non può essere ritrovato attraverso nessuna parola scritta o parlata, ma solo grazie a un rapporto radicale con quello che realmente, come evento cosmico, si è verificato con il Sacrificio del Golgotha e che è appena riflesso nei Vangeli. […]
Soltanto una conoscenza sovrasensibile, indipendente dalla disanimata eco delle antiche iniziazioni – che erano semplicemente restaurazioni sempre più deboli di una illuminazione che si andava perdendo e ormai è definitivamente perduta sia in Oriente che in Occidente – e portata agli uomini da uno dei custodi della Saggezza primordiale, può far intravvedere la direzione verso tale via. Egli [sc. Rudolf Steiner] l’ha veramente mostrata. E questa nostra sintesi deriva dal suo insegnamento: al quale possiamo rimandare il lettore che intenda attingere alla fonte diretta.
Viene insegnato da tale Maestro come «Colui che era alprincipio con Dio» sia nato di nuovo nell’Essere che, vincendo la morte, ha impresso nel segreto della sostanza minerale dell’uomo fisico la potenza della Resurrezione. Ormai il còmpito dell’iniziato è far affiorare in sé, per il veicolo del pensare liberato, il principio interiore, indipendente dalla natura e dalla terra, per via del quale unicamente ci si può riconnettere con il proprio Maestro: principio della individualità integrale, che perciò può compiere l’Operatio Solis. Esso può visitare interiora terrae e suscitare la virtù adamantina, il potere che risolve la mineralità della «pietra nera».
È la Via del Diamante-folgore o Via del San Graal. […]
Al principio era il Mistero dell’Io Superiore umano: esso permase come segreto della «pietra fulgurea» perduta prima da Lucifero e poi ancora da Adamo. Perciò nella Rocca del Graal è custodito il Mistero dell’Io imperituro dell’uomo. Coloro ai quali è possibile contemplare questo Mistero, sanno che per giungere al centro spirituale originario, debbono affrontare l’enigma dell’esperienza cruciale che suggella il segreto della trasmutazione del male e della morte, attraverso la «questione» risolutiva che l’Io pone alla sua essenza perenne, affermandosi già in ciò come un affiorare dell’Io superiore medesimo. […]
L’impresa del Graal è più che mai innanzi alla decisione dell’uomo, per il suo essere o per il suo non-essere: l’enigma del Graal è attuale ed è la possibilità di liberazione dell’avvenire. La questione del Graal deve essere posta dall’iniziato, dal ricercatore di quel centro spirituale per il quale soltanto si dissolvono le parvenze e l’errore del mondo. La via del Graal è ancora oggi sconosciuta, ma può essere ritrovata, se l’attaccamento alla parvenza terrestre e ad ogni sua proiezione dottrinaria
spiritualistica e tradizionale, non ha del tutto spento lo slancio verso l’imperituro, l’amore per l’infinito, la volontà di liberazione».
Quod bonum, felix, faustumque sit!
Buongiorno, a suo parere è corretto associare l’impresa del Graal alla ricostituzione del fantoma umano inteso come corpo di resurrezione individuale che attinge al corpo di ressurrezione del Cristo? Leggendo Steiner da autodidatta mi sembra infatti essere quest’ultimo un punto centrale
della concezione antroposofica del mondo. Il rapporto mi sembra esserci, derivando entrambi dal sacrificio del Cristo in relazione alla terra ed all’umanità sviluppatasi nella terra stessa. Fino a che punto ed in che termini sono collegati?
Comunque grazie per le 13 puntate davvero molto chiarificatrici e soprattutto stimolanti, cosa di cui secondo me c’è molto bisogno oggi; sicuramente da conservare per il futuro, a mio parere. Personalmente non ho dubbi che questo suo sforzo vada nella direzione del buono, felice e fausto. Insomma che sia fas.
Un saluto.
Gentile Lemar, quello del San Graal è la mèta più alta che possa porsi l’essere umano sulla nostra amata Terra! Ciò comporta la restituzione dello stato primordiale smarrito, ma questo su ben altro piano e non come realizzazione ripetitiva di quello perduto. Ma soprattutto la realizzazione dell’Androgine Celeste su tutti i piani. Un aspetto di ciò _ uno, ma non l’unico – è la ricostituzione del fantòma, che in realtà è, come tutto il dono supremo del Logos all’uomo. Questi temi sono per me oggetti della pratica meditativa, e mai di mera attività raziocinativa!
Un caro saluto!
Hugo
La ringrazio. Per me è importante farmi dei concetti il più possibile chiari su queste difficili questioni, che non ho dubbi possano essere comprese pienamente solo in un ambito che trascende il semplice intelletto astratto raziocinante. Ma per chi non può tanto, in ogni caso già il semplice concetto è di grande aiuto.
Ho sempre trovato di grande utilità i suoi scritti, così come anche di altri presenti in questo blog, proprio in quanto chiarificatori , per quanto possibile all’intelletto astratto raziocinante, ma soprattutto tramite esso di grande aiuto nello stimolare e motivare la pratica della concentrazione, il che mi sembra molto importante.
Grazie; Un saluto.
Un saluto a Lei, gentile Lemar!
Hugo
Salve Hugo, grazie sempre per i tuoi scritti.
Questo aspetto del coraggio e della continuità è un qualcosa per cui ho riscontrato carenza e dopo anni solo adesso mi sono accorto di quanto debba curare maggiormente. E’ proprio il motivo per cui ho fallito più volte non andando oltre uno/due mesi a intensità costante nell’esercizio tornando a tenui letture. Si pensa sempre di averlo il coraggio, ma poi arrivano le difficoltà a smentire la spocchia e allora si riparte da capo a studiare nuovi assetti anche per la disciplina. E’ per questo che è per pochi, non mi faccio più illusioni realizzative: tuttavia nel procedere a singhiozzo non demordo, provo sempre a tenermi agganciato nonostante mi sia ammalato (forse per aver sbagliato?)
Il problema è che quel coraggio si perde magari dopo qualche settimana di lotta intensa, quasi disperata da essere fine a se stessa – ovvero tacendo particolari tendenze di soddisfazione nell’autodominio o ricerca di equilibrio psicofisico dell’esercizio – al punto da diventare la concentrazione un qualcosa di così arido da dimenticarsi anche del Sacro.
Come equilibrare una situazione in cui l’intensità della concentrazione porta ad una aridità del movente? Come non finire del tutto come un “gatto sull’Aurelia”?
Gentile Ona Fets, occorre coltivare due stati interiori dell’anima, due atteggiamenti da portare costantemente avanti nell’Ascesi. Da una parte occorre lottare impegnando la totalità delle proprie forze all’estremo come si volesse dare l’assalto al Cielo, ossia chiedere a se stessi l’impossibile, tendere in maniera sempre rinnovata all’impossibile, senza risparmiarsi. Dall’altra, lavorare con una sovrumana pazienza, come se si dovesse farlo per un milione di anni, se si vuole davvero arrivare a realizzare l’Eccelsa Mèta, come la chiama il Buddha Shakyamuni. Ambedue gli atteggiamenti, o meglio gli stati interiori dell’anima, sono necessari a chi vuole percorrere il Sentiero della Conoscenza, come lo chiama Rudolf Steiner in Teosofia. Temeraria audacia ed umile pazienza: possedendo ambedue, si realizzerà l’Opera e si raggiungerà la Mèta!
Insistere, persistere, e mai desistere!
Un caro saluto da
Hugo.
Ringrazio!
Grazie gent.mo Hugo, risposta molto preziosa anche per big lebowski!