Sono stato un lettore accanito sin dai banchi delle primarie, e per molti anni onnivoro, anche se il cuore accelerava quando leggevo accenni a qualche mistero. Quando passai faticosamente e con intense lotte interiori dall’Oriente all’Occidente e infine all’antroposofia, mi costruii rapidamente una delle piú ricche biblioteche private del Paese: avevo tutto, a cominciare dalla prima edizione della Filosofia della Libertà edita nel 1918 ed i libriccini di piccole edizioni nate e morte in un battito di ciglia.
Tra i tanti che mi aiutarono ad accumulare, in tempi di magra, proprio tutto, oltre alla gentile signora Bossi-Riganti di Milano ricordo il teosofo e bibliofilo Erwin Danussi, che faceva parte della compagnia di maghi e occultisti di cui ho raccontato qualcosa varie volte.
Danussi era un omone germanico che si sentiva orgogliosamente italiano ma lottava inutilmente con il linguaggio, pesantemente condizionato dal suo d’origine, e cosí lo sentivi spesso tuonare: “Zölo nella nostra pella lincua…” sinché da un diverso punto del serpentone dei tavoli accostati una tagliente voce tantrico-divertita lo interrompeva: «Zitto Erwin! Che se parli, ti portano dentro per oltraggio all’italiano».
Quanto leggevo! Mi rovinai il sonno perché depredavo la notte con i testi che erano ancora chiusi alla sera. Ho divorato tutto quello che c’era. Serve davvero? Certo, finché la brama del conoscere ti cuoce l’anima, e soprattutto finché ti muovi: finché ti muovi sei salvo, ma se ti esaurisci con il primo che capita e non passi avanti, sei fregato.
Già qui entra l’immisurabile, perché la quantità di informazioni o i tentativi pratici sono soltanto l’immagine esteriore del bruciante morso animico che ti sospinge incessante verso ciò che non hai ancora, verso l’incontro con quello che attende che tu lo raggiunga: oltre l’illusione rappresentativa e culturale.
Leggere molto, sapere molto, sarebbe una trappola se non avverti che ti viene richiesta la capacità di discriminare, di distinguere il buono dal cattivo, il vero dal contraffatto: ma dopo aver letto senza pregiudizi. Di solito è un percorso per nulla lineare.
Mi ricordo un sentimento assai prossimo all’invidia di fronte alle robuste certezze che il mio amico tantrico traeva dalla sua bibbia: L’Uomo come Potenza che era un testo terribile, inadatto alle anime delicate (le edizioni successive vennero ‘normalizzate’ e annacquate dallo stesso Autore). Certezze che non possedevo, perché un dubbio mi disturbava l’anima: “Ma l’autore ha sperimentato quello di cui parla?”. Tale dubbio fu per me l’equivalente della stella polare per i vecchi marinai. Non volevo chi sa scrivere ma chi sperimenta quello che dice.
Trovai Scaligero perché il suo era al momento l’unico libro nuovo in libreria – ne parlavano tutti male, era un “caso preoccupante” o “un traditore” – iniziai comunque a leggere quello che mi parve scritto in uno stile terribilmente impervio, e la sorpresa giunse presto, in alcune righe che riguardavano un’antica forma di alchimia cinese a me famigliare: mi accorsi che questo Autore parlava con l’autorità dell’esperienza diretta (c’è chi ha scritto quasi un’intera pagina di prefazione ad un proprio libro per comunicare urbi et orbi – ma sopratutto agli orbi – l’opposto. Mi parvero righe insincere e funzionali alle ambizioni del personaggio).
Quel poco che a quei tempi riuscivo a comprendere mi rimise faticosamente sulle tracce di Colui che avevo da tempo abbandonato per via delle tante critiche sparate dal tradizionalismo, su cui svettava Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo di Evola.
Mi si perdoni per la lunga descrizione del mio percorso iniziale, ma è quello che posso descrivere meglio perché lo conosco bene: essendo soggettivo mi consente il massimo dell’osservazione oggettiva.
Se non ci si ferma, prima, durante o poi si devono fare i conti con quello che si sa e magari anche si capisce. Che cosa? Che l’esoterismo ‘letto’ è solo un atto preliminare, da uomo moderno che inizia supponendo una identità tra il sapere e il percepire sovrasensibile, tra il leggere e la trasformazione di sé. Questa confusione in principio si chiama ingenuità e se si protrae troppo a lungo possiamo avvertirla come ottusità a fondo cieco.
È anche vero che nell’oceano del ciarpame vi sono testi in cui le parole esprimono un contenuto sovrasensibile (mantrico), però non ho mai conosciuto nessuno che, tolta una abhinavaguptiana “caduta di potenza”, privo di forze interiori maturate, tragga da quei testi qualcosa che sia la percezione animico-spirituale e non un accumulo di sapere. Il punto cruciale del problema è se all’anima basti il placido accatastarsi di libri oppure si possegga ancora un po’ di disperazione per i propri limiti e di volontà di liberazione.
«Quella che verrà data non sarà una risposta teorica, da portare poi con sé come una semplice convinzione conservata nella memoria …ma si indicherà un campo di esperienze dell’anima nel quale …per virtú dell’attività interiore dell’anima, (l’uomo) tornerà ad avere una risposta viva …affinché …possa ulteriormente esplorare in larghezza e profondità i misteri della vita…». Sono parole estratte (ma sequenziali) dalla Prefazione alla Filosofia della Libertà.
Un serio ricercatore potrebbe impiegare anni per capire la loro portata ma sembra che pochi desiderino sprecare il loro tempo per così poco. E sembra che quasi nessuno afferri la differenza che passa tra il leggere, il capire ed il conoscere.
E se si vuole conoscere, i testi diventano altissimi percorsi interiori e allora in una vita ne basterebbero pochi, pochissimi. Fare antroposofia non significa leggere e fare i buoni, per questo basta il volontariato o lo scoutismo, ma agire nel senso della percezione spirituale e per essere degni di ciò occorre trasformare le potenze dell’anima: per iniziare a trasformarle occorrono gli attrezzi idonei che si conviene chiamare discipline o esercizi. Ma se gli esercizi vengono prolungati ed intensificati nel tempo, succede un fatto increscioso per le accademiche virtù: succede che si può accedere a lampi di una realtà più reale di quella dei fatti, delle cose… e pure dei libri.
Diventano cenere le cose e anche il pensiero sulle cose nella misura in cui ci si accontentava di fabbricare passive rappresentazioni di quelle. Un indicativo e realistico esempio: occorre una vita d’attività interiore per immaginare consequenzialmente quanto descritto nella Scienza Occulta e farne sintesi che sarebbe una vera azione di magia spirituale. Spero di esser stato chiaro. No? Pazienza. Oltre i testi scritti del Dottore (e qualche ciclo di eccezionali conferenze come Coscienza d’Iniziato) consiglierei ben poco: essi sono già molto. In una seria ricerca Scaligero è fondamentale! Dubito che al presente, pur sapendo molto, il ricercatore possa trovare la dimensione viva della Scienza dello Spirito senza l’aiuto di Massimo Scaligero. Opinione mia, s’intende.