Nelle parti precedenti del presente studio è stato accennato alla correlazione profonda che vi è tra il tema della ricerca del Graal e quelli della Leggenda del Tempio, della Leggenda Aurea. La correlazione profonda, segreta, tra questi temi, come avrà modo di rendersi conto il benevolo lettore nel corso di questo studio, può essere scorta proprio nella questione della peculiare concezione del Male, e nell’essenza del Manicheismo, così come esse vengono messe in evidenza dalla Scienza dello Spirito, dall’Antroposofia di Rudolf Steiner. Ma per molti non è affatto un còmpito facile quello di giungere ad una reale, autentica, e corretta, comprensione della questione del Male, e ciò porta necessariamente a non intendere, nonché spesso fatalmente a fraintendere, come vedremo, alcuni dati fondamentali della Scienza dello Spirito, proprio in relazione della questione del Graal e della Leggenda Aurea.
Un esempio lampante di un tale non intendimento e, di conseguenza, di fatale fraintendimento, del tema del presente studio, lo possiamo trovare proprio nella concezione che sta dietro all’interpolazione, ossia all’indebito inserimento, nel testo di Rudolf Steiner – da me citato nella sesta parte di questo studio volutamente a partire dalla corretta, e soprattutto onesta, traduzione di Bruno Roselli dell’Esoterismo Cristiano, edita nel 1940 dai Fratelli Bocca – di un passo che non vi è né nell’originale francese, né nel testo tedesco della Gesamtausgabe, l’Opera Omnia pubblicata dal benemerito Lascito di Rudolf Steiner, passo che si trova, invece, inserito nella traduzione anonima, pubblicata da Tilopa, Roma-Teramo, la cui prima edizione apparve nello scorso secolo, senza data, nel 1981, col titolo L’Iniziazione dei Rosacroce. Lineamenti di esoterismo cristiano. 18 conferenze tenute a Parigi nel 1906 da Rudolf Steiner, liberamente redatte da Édouard Schuré, ove si trovano aggiunte, a p. 121, le seguenti parole:
«Vale tuttavia ricordare che il centro della Terra è in sé la Forza stessa del Cristo, la cui radianza centrifuga esige l’accendersi nell’anima umana, come decisione libera di compiere radicalmente l’esperienza terrestre, sino alla redenzione di Caino».
Indipendentemente dalle intenzioni, che nel presente contesto non saranno indagate ulteriormente, di chi ha inserito surrettiziamente nella traduzione del testo di Rudolf Steiner tale passo interpolato, è interessante notare come quanto affermato in tale passo sia veramente lontano, e contraddica molte affermazioni di Rudolf Steiner. È noto come nelle sue esposizioni della Scienza dello Spirito, Rudolf Steiner sovente illustri esseri, cose, fatti ed eventi, da molti punti di vista diversi: punti di vista anche, almeno per la concezione comune, piuttosto lontani tra loro e, spesso apparentemente, ma solo apparentemente, tra loro contraddittori. Lo ‘studio’ della Scienza dello Spirito – ‘studio’, rosicrucianamente, ossia ritualmente, e asceticamente, inteso, e non certo quello intellettuale ed universitario – richiede che si vada molto a fondo nella pratica della ‘Via del Pensiero’, e che si scorga il rapporto con essa, non certo moralistico, bensì conoscitivo, degli ultimi tre ‘esercizi ausiliari’, nonché del risultante ‘equilibrio creativo’, dati dal Maestro dei Nuovi Tempi nelle Regole iniziatiche date da Rudolf Steiner ai discepoli della Scuola Esoterica, esercizi che sono fondamentali, e che troviamo nella bella traduzione di Massimo Scaligero – traduzione che è proprio sua – in fondo al libro Manuale pratico della meditazione, prima edizione Teseo, Roma, senza data, ma 1973, pp. 144-152.
Proprio a chi voglia penetrare conoscitivamente il tema della origine e della funzione del Male, il tema della Leggenda del Tempio, quello della Leggenda Aurea, il tema stesso del Graal, e quindi quello della Coppia Primordiale e dell’Androgine Celeste, è appunto richiesta molta, ma molta, equanimità, e soprattutto moltissima positività ed alquanta spregiudicatezza, perché a chi voglia con coraggio affrontare simili temi, è richiesto di affrancarsi radicalmente dalle inevitabili, scontate, automatiche reazioni emotive, dalle automatiche pulsioni istintive, che quasi due millenni di suadente fascinazione confessionale in àmbito cristiano hanno configurato, e stratificato, nelle anime dei più, come una ‘seconda natura’, indotta dall’esterno, ed erroneamente scambiata per genuina ‘spontaneità’, mentre in realtà si tratta dell’effetto di una ‘ipnotica suggestione’, vòlta deliberatamente ad anestetizzare la sensibilità autentica, e a narcotizzare, paralizzare, spegnere nel singolo essere umano, e nelle varie collettività, la nascente, appena affiorante, anima cosciente. Questa ‘seconda natura’, illudente, dis-orientante, e deviatrice, veniva chiamata dagli antichi Gnostici ‘spirito contraffatto’, e dagli antichi Egizi, nel cosiddetto ‘Libro dei Morti’, veniva descritto come il ‘cattivo pilota’.
La Scienza dello Spirito delinea nella storia cosmica dell’uomo, a partire dalla Leggenda Aurea e dalla Leggenda del Tempio, la nascita, la formazione, e la successiva evoluzione di due diverse, e contrapposte, stirpi umane, quella di Caino, generato dall’unione di un Eloha, o Eloah, con Eva, e quella di Abele–Seth, nato dall’unione di Adamo, plasmato da un altro Eloha o Eloah, Jahve–Jehova – come afferma la Genesi, II, 7 – dalla ‘polvere della terra’, ‘aphar min adamah, con Eva. Da qui, la minaccia, e la punizione, di Jahve-Jehova nei confronti dell’essere umano, che ha ascoltato l’esortazione del ‘serpente’, nahash, a nutrirsi del frutto dell’Albero della Conoscenza, affinché a lui ‘si aprissero i suoi occhi’, e divenisse così ‘come gli Dèi-Elohim’, ‘conoscitore del Bene e del Male’. Le punitive parole minacciose di Jahve-Jehova ricordano all’uomo ‘caduto’ – ‘felix culpa’, per gli gnostici ofiti-naasseni, ed anche per chi qui scrive, perché una tale colpa apre all’essere umano la possibilità dell’Autocoscienza e della Libertà – che egli morirà, «quia pulvis es et in pulverem reverteris», come scritto nella Vulgata (Genesi III,19) di Gerolamo, ossia «perché sei polvere e in polvere ritornerai».
Per inciso, è da rilevare che nell’Ermetismo rinascimentale e settecentesco, e soprattutto nell’Alchìmia rosicruciana, viene dato un senso molto peculiare a questa ‘aphar min adamah, a questa ‘polvere della terra’ dalla quale Adamo è stato formato, e alla quale, come punizione, con la morte, egli viene condannato da Jahve-Jehova a fatalmente ritornare. Tale morta ‘polvere’ alla quale Adamo viene condannato, è sicuramente un gran ‘male’, ma da una tale ‘polvere della terra’ – lavorata ‘per viam transmutationis’ – può essere tratto un gran ‘bene’: la ‘pietra filosofale’ stessa, la chiave di una non più smarribile immortalità. Per esempio, questo è quanto indica un autore rosicruciano del XVII secolo – ‘le siècle d’or’ dell’Alchìmia, secondo gli ermetisti francesi – Eugenius Philalethes, ossia il gallese Thomas Vaughan, nella sua opera Anthroposophia Theomagica, del 1648, ossia nella prima opera avente il termine ‘Antroposofia’ sin nel titolo. Eugenius Philalethes, Thomas Vaughan, ricavò il termine ‘Antroposofia’ dall’opera di Enrico Cornelio Agrippa, che lo menziona nel suo Arbatel, opera della quale vi è una bella traduzione in francese di Marc Haven, il coraggioso riabilitatore della figura del Conte di Cagliostro, calunniato e diffamato con ogni mezzo dalla ‘parte avversa’. Per gli ermetisti rosicruciani, dunque, una tale ‘polvere della terra’, così come le ‘ceneri’, e il ‘caput mortum’, che il diligente alchimista trova e raccoglie in fondo al ‘vaso’, sia qualcosa non solo da non disprezzare, ma addirittura da ritenere particolarmente prezioso. Ciò mostra come si debba avere una savia ‘prudentia’ – nel senso latino e romano del termine – nel valutare la natura, e la funzione, del ‘Male’.
Nell’ebraico del testo biblico della Genesi vi è una relazione stretta tra ‘Adam’, che letteralmente significa ‘uomo’ e ‘adamah’, l’umida e fertile ‘terra rossa’, così come in latino, secondo un’etimologia cara agli ermetisti rinascimentali, vi è una relazione stretta tra ‘homo’ e ‘humus’. E il sapientissimo rosicruciano Thomas Vaughan, nella sua sopra citata ‘Anthroposophia Theomagica’, sulla scorta e l’esempio di Enrico Cornelio Agrippa, del quale egli si riteneva discepolo postumo, parla di una ‘triplice terra’. A p. 27 di The Works of Thomas Vaughan : Eugenius Philalethes, Edited, Annotated and Introduced by Arthur Edard Waite, Theosophical Publishing House, London, In the Year of the Lord MCMXIX, il Nostro così scrive:
«Ma io parlo di nature celesti, occulte, note unicamente a maghi assoluti, i cui occhi sono nel centro, non nella circonferenza; e in questo senso ogni elemento è triplice. Per esempio, vi è una triplice terra : in primo luogo, una terra elementare, poi vi è una terra celestiale, ed infine vi è una terra spirituale».
Ossia di quella che Thomas Vaughan, sempre a p. 27, chiama Terra Adamica. E Arthur Edward Waite, in nota a piè di pagina, chiarisce: «Cioè, Terra elementaris, Terra caelestis e Terra Spiritualis, quest’ultima essendo Terra viventium».
Il candido lettore non si spaventi per l’enigmaticità del linguaggio ermetico e alchemico di Eugenius Philalethes: il suo significato diverrà gradualmente sempre più chiaro nel corso delle successive di questo studio, e soprattutto nella parte finale del medesimo. Il lettore abbia solo una necessaria pazienza: le cose, nei limiti del lecito, possono essere esposte solo con la dovuta gradualità. Ma, sin d’ora, sia chiaro che si tratta sempre della spiritualizzazione della materia, e della redenzione del Male, della sua trans-mutazione – qui è proprio il caso di usare questo termine alchemico – del Male in un più grande Bene. Ossia, si tratta prima di ‘solvere’, di ‘volatilizzare il fisso’, di ‘spiritualizzare il corpo’, e poi di ‘coagulare’, di ‘fissare il volatile’, di ‘corporificare lo spirito’: operazioni che sono quanto di più audacemente concreto, e di meno mistico si possa concepire.
Come abbiamo detto, il fatto che l’uomo plasmato dalla ‘polvere della terra’, dall’aphar min adamah, sia mortale, e alla ‘polvere della terra’, con la morte, debba fatalmente ritornare, è sì di per sé un gran Male, ma una tale ‘polvere’, e una tale ‘terra’, sapientemente ‘lavorate’ secondo quell’Arte Regia cara ad Ermetisti e Rosacroce, possono non solo restituire all’uomo l’immortalità perduta con la cacciata dall’Eden, reintegrandolo nello ‘stato primordiale’, ma possono addirittura condurlo ad una condizione ben superiore a quella ‘edenica’, da lui smarrita a causa della ‘caduta originaria’, ossia possono portarlo alla realizzazione non solo della sua ‘angelificazione’, ma anche a quella dell’‘Androgine Celeste’, e a raggiungere quella condizione che Dante chiama ‘indiamento’: l’unione assoluta col Divino.
Questa ‘lavorazione’ della ‘terra’, della ‘polvere’, aphar min adamah, è in gran parte un’opera di ‘purificazione’. Lumi su una tale ‘opera’ li possiamo trarre da un testo proveniente da cerchie rosicruciane dello scorso secolo. Si tratta del libro Die entschleierte Alchemie. Das Geheimnis des Steins der Weisen erstmalig erklärt von Johannes Helmond, 1963, Karl Rohm Verlag, Bietigheim Württemberg, ossia de L’Alchìmia disvelata. Il segreto della pietra filosofale per la prima volta spiegato di J.H.
Di questo libro esiste una traduzione italiana, ma – sia detto con sopportazione – si tratta di una traduzione davvero non felice, in vari punti incompleta e insoddisfacente. Per cui, preferisco ritradurre nuovamente i paragrafi che ci interessano in modo particolare per il presente studio. A p. 77 del testo tedesco, Johannes Helmond prima cita una poetica strofa dell’alchimista tedesco Siebmacher così concepita, e poi la commenta:
«La generazione di questa pietra è ovunque: / la sua fecondazione è negli inferni, / la sua nascita è sulla terra, / essa conduce la sua vita in Cielo».
L’Opera alchemica penetra effettivamente nei tre mondi di fronte a sé: nel mondo inferiore, tenebroso, poi nel mondo intermedio, paradisiaco; ed infine nel superiore mondo celeste».
Mentre, alle pp. 83-84, così scrive:
«Questa congiunzione con lo spirito celeste, tuttavia, per il principio animale, cioè per l’inferiore anima astrale, l’antico Adamo in noi, è in certo qual modo mortale, cosicché esso attraversa una condizione di morte, perde la sua forma astrale divenuta sino ad allora demonica, e penetra nuovamente nel limbo prenatale, cioè nella sua primeva indifferenziazione creatrice, appunto la sua materia prima! Ora esso è divenuto nuovamente TERRA, dalla quale egli è stato tratto, cioè APHAR min ha-ADAMAH, una rossa aurea polvere tinturale, unita con la rugiada del Cielo (Genesi, II, 7)».
Ora, il senso di queste enigmatiche parole ed immagini della tradizione alchemica rosicruciana – uno tra altri e più profondi sensi e significati – è che ciò che vi è di più ‘basso’, ‘inferiore’, ‘corporeo’, ‘materiale’, è sì, per il suo stato di ‘caduta’, un ‘male’, ma quel ‘male’ può essere ‘purificato’, ‘trasformato’, ‘trasfigurato’, ‘trasmutato’, sino a reintegrarsi nella sua originaria, luminosa, essenza spirituale, ritornando così ad essere un ‘bene’. E questa è l’autentica essenza dell’insegnamento manicheo, ossia che il ‘Male’ non è affatto – come erratamente è stato infinite volte ripetuto a partire da Agostino di Ippona, e da molti altri Padri della Chiesa, in poi – un che di ‘assoluto’, bensì esso è una realtà limitata e provvisoria, destinata ad essere superata e reintegrata nel luminoso stato primordiale. ‘Assoluto’, ‘incondizionato’, e fondato su sé, è unicamente lo Spirito, e non certo il ‘Male’, che invece è una realtà – a rigore, dovrei dire : una ‘irrealtà’, ossia una potente e illudente ‘maya’ – ‘relativa‘, ’condizionata’, ‘fondata su altro’, ma siccome al di fuori dello Spirito nulla può essere riconosciuto come realmente ‘ex-sistente’, l’autonoma realtà del ‘Male’ è soltanto, appunto, una illudente ‘apparenza’: una ‘irrealtà’. Rudolf Steiner e Massimo Scaligero ben mostrano, come nella concezione manichea, dietro al ‘dualismo cosmologico’ sia celato un metafisico ‘monismo ontologico’.
Questa apparente ‘dualità’ – questo ‘binario’ come lo chiamavano un tempo gli antichi occultisti – tra ‘Bene’ e ‘Male’, tra ‘Luce’ e ‘Tenebra’, tra ‘Essere’ e ‘Non Essere’, tra ‘soggetto’ e ‘oggetto’, nasce dalla apparente ‘alter-azione’, dalla apparente ‘alien-azione’, dell’Uno – ‘Uno Unissimo’ lo chiamavano i Pitagorici e i Platonici – ad opera dell’avidyâ, della ottenebrante ‘ignoranza’, della ‘non conoscenza’, letteralmente della ‘non visione’. E questo dà un senso profondo a quanto Eugenius Philalethes, Thomas Vaughan, scrive, alle pp. 28-29, in Anthroposophia Theomagica :
«In secondo luogo, dovete apprendere che ogni elemento è duplice. Questa duplicità o confusione è quel Binarius del quale tratta Agrippa in Scalis Numerorum, e sia lui che Tritemio nelle loro Epistolae. Altri autori che ne trattarono, in questa scienza furono dei pragmatici scribacchini e non compresero questo Segreto dell’Ombra [Secretum Tenebrarum]. Questo è ciò in cui prevarica la creatura e decàde dalla sua primeva armonica unità. Voi dovete dunque sottrarre la diade [Subtrahere Binarium] e allora la triade del mago può venire ridotta “dalla tetrade nella semplicissima monade”, e di conseguenza “in una metafisica unione con la Suprema Monade” [In metaphysicam cum Supremâ Monade unionem]».
Questo enigmatico linguaggio ‘rosicruciano’ – indubbiamente difficile da intendere per chi non abbia una discreta pratica con i testi ermetici – allude, tra le altre cose, al superamento di ogni ‘realismo’ – come lo chiamava Massimo Scaligero – mediante il superamento della ‘dualità’ tra oggetto e soggetto, tra Io e mondo, tra percezione e pensiero, tra pensiero e volontà. Ciò mostra il senso ‘iniziatico’ – ‘rosicruciano’ e ‘manicheo’ – della ‘Via del Pensiero’, così come indicata da Rudolf Steiner nella Filosofia della Libertà, e da Massimo Scaligero nel Trattato del Pensiero Vivente. Non solo, ma è anche l’aurea chiave – per chi sappia ‘vedere’ – del ritrovamento e della realizzazione dell’Androgine Celeste, e quindi anche la chiave dell’impresa del Graal.
L’impresa di una sì audace ‘trasmutazione’, tale da apparire addirittura temeraria agli occhi di molti, è in realtà una eroica impresa ‘cainita’, e non certo ‘abelita’. Da questo punto di vista, non è ‘Caino’ che attende dall’uomo di esser ‘redento’, bensì è la stirpe dei ‘Figli di Caino’, dei ‘Figli degli Elohim’, che mediante il ‘fuoco’ opera, con coraggio e abnegazione, alla ‘trasmutazione’ del ‘Male’ in ‘Bene’, della ‘Tenebra’ in ‘Luce’: sia nell’Uomo, che nella Natura. Ovvero, come affermato nel detto rosicruciano, oltremodo incompreso ed equivocato, ‘igne natura renovabitur integra’, ovvero ‘mediante il fuoco l’intera natura verrà rinnovellata’: il che ha un senso sia microcosmico che macrocosmico. Da questo punto di vista, l’Opera di Rudolf Steiner, e quella di Massimo Scaligero, hanno un forte, ed esplicito, carattere ‘cainita’, ossia un carattere ‘gioannita’, ‘rosicruciano’, e cristicamente ‘manicheo’. Un’opera di Massimo Scaligero in cui un tale carattere è particolarmente accentuato, è Kundalini d’Occidente, Edizioni Mediterranee, Roma, 1979: l’ultima sua opera pubblicata lui ancora vivente, mentre Iside-Sophia. La Dea ignota, Edizioni Mediterranee, e Zen e Logos, Tilopa, sono sue opere che apparvero postume, a Roma, nel 1980. Così alle pp. 37-38, di Kundalini d’Occidente leggiamo:
«L’uomo deve rendersi conto del livello in cui è caduto: non può decidere di essere vero uomo, se non lo conosce. È il livello all’altezza del quale è inevitabile il Materialismo, ma è parimenti il livello in cui l’uomo comincia a essere libero, perché può accogliere non estaticamente l’Io puro, bensì allo stato di veglia. Ma prima occorre che egli in tale stato di veglia divenga cosciente di sé. La coscienza dialettica è ancora semi-sognante, perciò di tipo medianico: ogni odierna ossessione dialettica, o ideologica, è in sostanza l’inizio di una infestazione medianica. È importante rendersi conto che si tratta della forma più bassa della manifestazione dell’Io, inizialmente incapace di distinzione di sé dalla sfera degli istinti, ma proprio perciò capace di potere egoico. È inevitabile che l’autocoscienza nasca come inferiore individualismo. Tuttavia, non si tratta di evirarsi, rinunciando al potere dell’individualità, bensì di liberare questa dall’inconscia identità con gli istinti. La forza degli istinti sopraffà l’uomo, perché è di natura superumana. L’uomo può educarla, evitarla, smorzarla, ma non conquistarla, se non mette in atto ciò che in lui è superiore all’umano, l’Io: che non ha bisogno di lottare, per dominare gli istinti: è sufficiente la sua presenza. Grazie alle giuste discipline, che occorre riconoscere, riconoscendo il Maestro dei nuovi tempi, gli istinti purificati, risorgono come poteri dell’Io. L’operazione è simboleggiata dal fiorire delle “rose rosse” dalla “croce nera”: segno, questa, dell’ordine originario dei quattro elementi, riaffermantesi sul caos, presente appunto nell’uomo come dominio degli istinti sottraentesi all’Io. Un discepolo non può iniziare se stesso, ma può preparare se stesso a ricevere l’Iniziazione dal proprio Maestro, che lo segue anche se egli non lo conosce. La meditazione sulla Rosacroce è importante per una tale preparazione. Il discepolo ben presto si rende conto che sperimentare lo Spirituale non significa avere sensazioni eccentriche, o evocare simboli dottrinariamente pre-interpretati, bensì penetrare praticamente determinati simboli, secondo ciò che essi esigono occultamente, non secondo ciò che essi significano all’intelletto, sino a percepire concretezze sovrasensibili, altrettanto obiettive quanto quelle sensibili, ma perciò tanto insolite da destare la paura della coscienza ordinaria, rispetto alla loro diversità».
E, poco oltre, nel capitolo Il sistema eterico della testa, alle pp. 46-48, ove, come mio solito, metterò in risalto in grassetto alcuni punti particolarmente importanti per il nostro tema, Massimo Scaligero affronta il problema radicale dell’uomo: il problema della morte, alla quale la decisione di Jahve-Jehova condannò l’uomo con la cacciata dall’Eden e con la proibizione, a lui ingiunta, di gustare i frutti dell’Albero della Vita:
«Mediante la disciplina della concentrazione, in sostanza l’uomo entra in contatto con la forza della morte: nel dominarla vi inserisce il potere di un volere che, nell’essenza, reca la trasmutazione della Morte, cioè la corrente novella della Vita. Il senso ultimo della concentrazione, secondo il canone del Maestro dei nuovi tempi – che nessun altro canone può sostituire – è dominare ciò che rende necessaria la Morte, perché il volere così suscitato appartiene all’Io, in cui è il Logos come essenza. Perciò l’ego, che abbia coscienza di sé e sappia di essere un nulla senza l’essenza, o la propria reale scaturigine, trova infine il Logos, il senso ultimo dell’autocoscienza, grazie al quale trasmuta. Senza tale ritrovamento, l’autocoscienza è al servizio dell’animalità umana, la quale è al servizio del Demone della Terra. Mediante l’innocente animalità, il Demone della Terra domina l’uomo, sino al pensiero.
La concentrazione vince la Morte, perché s’impossessa del potere illegittimo di Ahrimane sul pensiero: è il potere della caduta, per il quale è inevitabile che l’uomo venga distrutto dai suoi istinti. La concentrazione insegnata dal Maestro dei nuovi tempi, consegue il proprio oggetto, perché toglie il pensiero agli istinti, alla psiche, all’animalità, mediante la luce arida, lo sforzo arido, il tema prosaico. In questa aridità v’è il bene prezioso del sentiero verso il concetto puro, che si libera dell’obiettività sensibile: lo sforzo è penoso, privo di entusiasmo, vuole solo arida volontà: e questo è appunto ciò che occorre, una volontà pensante inusitata, nuova alla coscienza abituata alle accensioni emotive della psiche animale: una volontà non egoica e tuttavia fortemente individuale, appena affiorante e tuttavia intensa, capace di estrinsecarsi nel pensiero puro, nel pensiero senza oggetto. In questo volere affiora la forza di cui tutto l’essere ha bisogno: una forza superiore al marasma quotidiano dell’anima, una tangenza con il Logos che sorregge la vita. Il primo darsi dello Spirito: perciò Spirito Santo.
Qui il pensiero ha a che fare con la Morte e con la possibilità di restituzione della Vita. Si vedrà come i pensieri viventi, quelli eccezionalmente vissuti nel momento pre-cerebrale, grazie alla volontà di profondità, giungano sino alle ossa, abbiano a che fare con lo scheletro, perché contengono tutta la logica e la matematica cosmica, mediante cui lo scheletro viene edificato dalle Gerarchie, per il regno di Ahrimane: superano la fisicità dell’organo cerebrale, possono entrare nel regno stesso della Morte, perché recano il potere originario della Vita».
Che la ‘Via del Pensiero’, e l’Ascesi della Concentrazione, siano – come, con parole che più chiare non potrebbero essere, afferma Massimo Scaligero – una ‘Via’ aspra, dura, arida, per nulla consolante, e tantomeno ‘mistica’, oramai il lettore di questo temerario blog lo sa bene. E chiunque in una tale ‘Via’, e in una tale ‘Ascesi’ con serietà e abnegazione si impegni, sa bene quanto essa sia una ‘Via eroica’ una ‘Via’ – per dirla con le parole del mio amico C., ‘asceta d’altra dottrina’, e fratello d’armi di molte battaglie – molto ‘achea’, ‘dorica’, ‘spartana’, ‘secca’, che esige intenso sforzo volitivo, tenacia, continuità a tutta prova, e come tale, essa non può essere accetta all’anima, ancora schiava della inferiore natura animale, che, sottoposta ad una tale disciplina, giustamente si sente letteralmente ‘morire’: preludio alla ‘nigredo’, all’ermetica ‘opera al nero’, al ‘nigrum nigro nigrius’, al ‘nero più nero del nero’ degli autentici testi alchemici rosicruciani.
Nei paragrafi immediatamente successivi, Massimo Scaligero delinea un tema che fu molto caro agli antichi Manichei, e che venne beffardamente, meschinamente, e alquanto stupidamente, dileggiato da Agostino d’Ippona, dimentico dei esser stato anch’egli un tempo – per ben nove anni – ‘uditore’ manicheo. Sulla base di quanto comunicato da Rudolf Steiner, e sulla base della sua personale, rigorosamente controllata, esperienza interiore, Massimo Scaligero descrive come nel processo della percezione sensoria, e in quello della nutrizione, vi sia un ‘separare’, un ‘liberare’ per restituirli al ‘Mondo della Luce’, loro realtà originaria, i ‘semi di luce’ – come li chiamavano i Manichei – dalla prigionia della ‘hỳle’, dal ‘caos’ della ‘materia’, che altro non è se non la ‘maceria’ dello Spirito, dominata dall’Oscuro Signore. Alle pp. 48-49, troviamo scritto:
«Il semplice esercizio della concentrazione, secondo il canone della mera oggettività vissuta per entro e oltre la cerebralità, va incontro a un’operazione eterica continua, di natura divina, grazie alla quale, in una zona privilegiata della testa, di continuo la pura essenza minerale dell’esperienza dei sensi si unisce con la quintessenza del processo nutritivo, dal quale vengono espulsi l’elemento animale e l’elemento vegetale, perché permanga come puro essere della forza l’elemento minerale originario, l’elemento solare dei cibi. Questa sintesi minerale, dell’estratto della percezione dei sensi e dell’essenza della nutrizione, operata dalle più elevate forze eteriche della testa, sotto la direzione incorporea dell’Io, viene chiamata dal Maestro dei nuovi tempi “il Cibo del San Graal”. È infatti il germe dell’azione trasmutatrice movente dalla mineralità spirituale verso la mineralità normalmente dominata dalla Morte, malgrado il suo potere di organizzazione fisica: azione dell’Io vittorioso sulla materia, perché recante la forza di vita da cui ha origine la possibilità di annientamento della materia. Negli organismi che subiscono la Morte, tale materia è temporaneamente dominata. Chi contempla il Graal non è più soggetto alla Morte, perché scatta in lui la coscienza di ciò che gli dà il potere di contemplare il formarsi della materia dalla Luce caduta, risorgente per virtù del Logos: il più alto Mistero dell’Universo: mediante tale coscienza egli si sente rivivere, comincia a percepire la Resurrezione.
Nella testa dell’uomo si svolge l’impresa del Graal, perché nella testa egli soggiace alle forze della Morte: proprio per questo suo soggiacere alle forze della Morte, nella testa urgono di continuo, mediante il pensiero, le forze della Resurrezione. Mediante tre ordini di nervi cerebrali operano rispettivamente le correnti del pensare, del sentire, del volere: il volere, come corrente istintiva, si manifesta mediante i processi del ricambio dei nervi cerebrali, il sentire mediante i processi ritmici di tali nervi (è il respiro sottile connesso con la circolazione del sangue e i moti del liquido cefalo-rachidiano), il pensare mediante l’attività nervosa, la più pura, indipendente dai processi ritmico-metabolici. Tale indipendenza, però, raramente si attua nell’uomo, perché viene da lui sollecitata soltanto quando egli pensa razionalmente, secondo rigorosa astrazione del processo razionale da influssi esteriori ed interiori. Per solito i processi ritmico-metabolici, espressivi della psiche istintiva ed emotiva, sopraffanno i puri processi nervosi mediatori della coscienza pensante vera, così che viene invertita la funzione obiettiva del pensiero quale veicolo dell’Io nella coscienza: gli istinti e gli stati d’animo giungono ad asservire il pensiero, che diviene persino strumento e codificatore scientifico della propria caduta nella natura inferiore. Per tale via, per ora, la Scienza aiuta l’uomo a conoscersi e a superarsi, solo a condizione che egli l’assuma con un pensiero capace di superare il livello della sua astratta razionalità».
Alle pp. 61-62 del successivo capitolo – Luce-Folgore del Logos – Massimo Scaligero riprende l’immagine manichea della liberazione dei ‘semi di luce’ che l’essere umano, nella nutrizione e nella conoscenza, libera dall’incantamento dell’apparire minerale:
«Questa luce viene dal Sole spirituale, di cui il Sole fisico è la parvenza. L’uomo gode dei doni del Sole, ma la Scienza, limitata a peso e misura delle cose, lo aiuta ben poco a conoscere le forze di cui si avvale e di cui gode. Lo Spirito del Sole diviene vivente in lui, attraverso i cibi, la frutta, il pane, il frumento impregnato di vita solare. Così la luce, i colori, i suoni, così il pensiero: nell’essenza fluisce in lui un’unica eterica vita, che egli frammenta nelle percezioni, che crede esteriori e obiettive, mentre esse sorgono dall’incontro delle sue forze solari con la struttura solare delle cose. Suo compito è restituire ad esse l’unità dell’essenza, a cui la sua degradazione nella sfera della materiale molteplicità, le ha tolte.
Finché l’uomo si limita a godere dei doni del Sole, ignorando la loro sorgente una in lui e nelle cose, subendo l’incantesimo di una realtà obiettiva esistente fuori di lui, indipendente dal suo conoscerla, non è libero: ignora la verità del proprio essere, operante nelle cose, la verità che può renderlo libero. Ignora la propria natura solare, perché rinuncia a stabilire un rapporto cosciente con il Principio del Sole in lui, che è dire, con il suo Io nel mentale, e perciò con la potenza del Sole nascente nel cuore. Ahrimanicamente si estrania alla propria origine cosmico-solare, e con ciò prepara le proprie catastrofi ».
Ma, ritornando al precedente capitolo di Kundalini d’Occidente – Il sistema eterico della testa – leggiamo che, sempre a p. 49, Massimo Scaligero scrive:
«Il pensiero ritorna strumento dell’Io e delle forze riedificatrici dell’umano. Queste forze sono tali che, per penetrare nell’umano, debbono dapprima distruggere la natura [sc. il ‘solvere’] , ciò che nell’umano è animale: debbono produrre dei canali vuoti attraverso i quali lo Spirito possa passare come volontà riedificatrice [sc. il ‘coagulare’]. Ma a tale fine, lo Spirito deve muovere nell’organismo umano dal supporto della mineralità, che gli dà modo di essere libero nell’interiorità cosciente. L’«alimento del Graal» è già mineralità spiritualizzata. […] Qui lo Spirito comincia a entrare vittorioso nella terrestrità».
E, più oltre, alle pp. 53-54, Massimo Scaligero usando un’immagine, che ricorda molto da vicino quella dello Jesus patibilis, che il manicheo Fausto di Milevi non riuscì a far intendere alla ‘intelligentissima stupidità’, preconcetta e partigiana, di Agostino di Ippona – il quale, recluso com’era nelle sue cristallizzate rappresentazioni della sua rigida e disseccata ortodossia, non era punto in grado di concepire l’essenza cristica del Manicheismo – così scrive:
«Si tratta in realtà del vivente eterico sempre paralizzato per la coscienza egoica, o riflessa: che è dire che il Logos viene sempre crocifisso dall’Io inferiore dell’uomo, cioè dall’Io riflesso, che esige il dominio delle leggi della natura e della realtà opposta allo Spirito, cioè il dominio della Morte: sul quale invece il Logos ha vinto.
La Resurrezione fu preparata perché operasse per questa morte del pensiero, cui è legata la distruzione e la morte del corpo. La Morte è necessaria all’immortalità. L’introduzione alla riconquista della vita, ha inizio con la resurrezione del pensiero, di cui l’uomo ha la segreta chiave, l’iniziativa, nel volere individuale dell’ego».
Questa audace concezione che nell’operatività interiore porta l’asceta al superamento di ogni forma di ‘realismo ingenuo’, sia esso il volgare ‘realismo primitivo’, sia il ‘realismo critico’ di stampo kantiano, sia il ‘realismo scientifico’, come pure il ‘realismo spiritualista’, e persino quello ‘antroposofico’ – tema sul quale in incontri personali, in riunioni e nei suoi scritti, Massimo Scaligero insistette alquanto negli ultimi tempi, anzi: sin nelle ultime ore della sua vita – e di conseguenza ogni forma di ‘realismo’ che veda l’oggetto conosciuto fuori dell’‘atto’ del conoscere. Egli mostrò come l’unico concreto, e valido, ‘realismo’ – che come tale deve essere sperimentato dall’asceta operante – sia il ‘realismo del pensare’, ch’egli chiamava anche ‘realismo eterico’, o ‘realismo cristico’. Il ‘Male’ sorge proprio in questa ‘frattura’, in questa ‘scissione’ che per l’essere umano vi è tra il pensare e l’essere. L’uomo non risolverà mai, per quanta buona volontà e nobili aspirazioni morali egli abbia, nessun problema – sia esso scientifico, economico, sociale, etico, religioso – finché egli vedrà una ‘realtà’ su sé fondata nel mero ‘fatto’ scientifico, economico, sociale, etico, religioso, fuori dell’‘atto’ del pensare che invera il conoscere. E questa è la sostanza, l’essenza stessa della ‘Via del Pensiero’: la sua cristica essenza manichea. Ed è altresì il senso ultimo dell’evoluzione dell’uomo: la vittoria sulla dualità, il dissolvimento dell’alterità: di ogni dualità ed alterità, che sono il ‘Male’ nella misura in cui dominano l’uomo, e asservono l’Io ai moti dell’anima condizionata dal corpo e dall’illusoria esteriorità del mondo. ed è quello che Massimo Scaligero indica, alle pp. 69-70, nel capitolo Luce-Folgore del Logos del libro Kundalini d’Occidente.
«L’uomo è dominato dalla corrente della Morte, che si esprime negli istinti e nelle passioni soverchiami l’Io, in quanto, al livello della coscienza fisica, egli è dominato da Ahrimane. Ma l’uomo può percepire la forza-pensiero, che opera nella sua indagine fisica, e intendere come possa liberarla dalla soggezione osseo-nervosa. Mediante questa forza-pensiero, l’uomo dissolve il regno di Ahrimane, perché le leggi matematiche della materia sono la proiezione intellettuale della cristallizzazione di forze spaziali discendenti sulla Terra da ritmi dello Spirito, che lo Spirito ha il potere di riafferrare. Tale potere è la forza della Resurrezione, grazie a cui il pensiero, da morto pensiero della materia fisica, ritorna vivente. Solo un pensiero morto può edificare una Scienza del mondo fisico, in cui non c’è posto per la vita, essendo questa sostanzialmente sovrasensibile: una Scienza che suscita la connessione delle quantità misurabili, ossia con ciò che della natura è esclusivamente la Morte, e perciò può produrre solo meccanismi morti, etica morta, socialità morta, o astratta. In questa sfera di Morte, il pensiero può muovere solo in quanto astratto e riflesso. Ma può volere coscientemente questo movimento e insistere nel volerlo, sino a scorgere nella sfera della Morte il Resuscitatore della Vita: egli lo reca sconosciuto in sé, ma può farlo sorgere, se muove volitivamente in tale ambito di Morte.
Solo l’Io dell’uomo può scendere nel regno della Morte, in quanto reca in sé il Logos: ma lo reca sconosciuto. Egli deve conoscerlo, per incarnarlo, o realizzarlo, mediante volontà cosciente. L’Io accende in sé la segreta folgore-Logos, per il fatto che incontra la mineralità che gli si oppone mediante angoscia e paura, o brama. A questa opposizione, sperimentabile solo nella sfera terrestre, l’Io deve la possibilità di evocare in sé con assolutezza il potere del Logos, capace di penetrare vittorioso la struttura delle ossa: il cui simbolo ermetico è la «discesa nella tomba», l’Opera al Nero, la sua realtà la Resurrezione».
L’esperienza qui esplicitamente indicata da Massimo Scaligero – ma anche, sia pure più velatamente, dallo stesso Rudolf Steiner – è la realizzazione della trasmutazione del ‘Male’ in ‘Bene’, della ‘Tenebra’ in ‘Luce’, la connessione della ‘Via del Pensiero’ con l’Arte Regia, ossia con la Grande Opera, con la ‘Operatio Solis’ dell’Alchìmia ermetica e rosicruciana, e con la missione presente e futura del Manicheismo. Infatti, alcuni paragrafi dopo, a p. 71, leggiamo:
«La via iniziatica di questo tempo esige dal discepolo gradualmente il progredire volitivo, mediante autocoscienza purificata, verso l’evento della Pentecoste. Nelle ossa, simbolo della morte, è celata l’istanza ultima della Resurrezione: lo scaturire di un pensiero che incarni lo Spirito Santo.
Questo pensiero nasce come luce che vince il buio dell’anima: deve contenere tutta la potenza del cuore, lo splendore dell’Oro Filosofale, la forza spirituale del Sole raccolta in unico punto, da cui irraggia nel mondo come potenza d’Amore salvatrice. Questo pensiero, capace di conoscere e dissolvere la tenebra della malvagità e perciò di instaurare la fraternità umana, nato dall’eroicità lucida nella sofferenza, segretamente diviene, per mediazione angelica, folgore delle ossa, che annienta Ahrimane e restituisce l’eros come corrente creatrice, secondo il Logos».
Su questo aspetto ‘cainita’ del nostro tema, avrò da ritornare proprio per approfondire – sulla base delle cosiddette ‘opere filosofiche’ di Rudolf Steiner, che io amo chiamare ‘filosofali’ per il loro occulto e misconosciuto contenuto – nelle successive parti del presente studio. Il candido e benevolo lettore, che avrà avuto la diligente pazienza di seguire la concatenazione dei pensieri, vedrà gradualmente chiarirsi una parte del linguaggio simbolico, tipico della letteratura ermetica dell’antico Rosicrucianesimo medievale, rinascimentale, e settecentesco. Avremo, inoltre, modo di penetrare più a fondo nel senso della contrapposizione fatale che storicamente vi è stata nei millenni tra la corrente abelita e quella cainita, e come essa trovi il suo superamento e la sua composizione nella Scienza dello Spirito, nell’Antroposofia, che Rudolf Steiner ha donato al mondo.