La Leggenda del Tempio e la Leggenda Aurea, alle quali Rudolf Steiner dava sì tanta importanza nella prima ‘Scuola Esoterica’, da lui fondata nel 1904 e operante sino al 1914, sono per molti ‘antroposofi’ – legati o meno alla ‘ufficiale’ Società Antroposofica – ma anche per molti che, in varia maniera, fanno riferimento al pensiero e all’Opera di Massimo Scaligero, di non facile comprensione, e questo non perché Rudolf Steiner non parli chiaro, ché, anzi, egli lo fa, sempre, in modo limpidamente esemplare, bensì perché, da una parte, essi son temi che richiedono un notevole approfondimento meditativo, che solo una energica pratica interiore può dare, dall’altra, perché chi si accosta a tali temi deve – ripeto: non solo può, ma deve – liberarsi dei condizionamenti che mediante una quasi bimillenaria ‘fascinazione’ è stata abbondantemente esercitata sulle anime da parte delle varie poco cristiche confessioni religiose ‘cristiane’.
Non va affatto sottovalutata questa occulta azione di ‘fascinazione’ – di ‘envoûtement’, direbbero i francesi, termine espressivo che nell’Ottocento gli occultisti italici traducevano ad litteram con ‘involtolamento’ – da parte della gerarchia ecclesiale di ogni epoca, perché essa è stata esercitata mediante un uso decisamente ‘magico’, quasi bimillenario, della ritualità liturgica. Una tale ritualità – largamente desunta, copiata, per non dire addirittura ‘scippata’, dagli Antichi Misteri egizi, ellenici, orientali e romani del Mondo Classico – ha una sua indubbia potenza di efficacia magica, e può sortire i più diversi effetti, spesso non precisamente positivi, nel venire usata secondo la volontà e l’arbitrio di chi ne detiene il potere e le chiavi. Una tale ritualità è lontanissima dalla spartana semplicità in uso tra i primissimi cristiani, e – come riconobbe pure lo stesso R.P. Antoine Dondaine O.P., scopritore e curatore dell’edizione del Liber de duobus principiis del cataro Giovanni di Lugio, e lui stesso domenicano, ossia appartenente proprio a quell’Ordo Praedicatorum nato per lo sterminio della ‘eresia’ catara, definita, per certi versi giustamente, ‘manichea’ dalla ‘Santa Inquisizione dell’eretica pravità’, della quale l’Ordine Domenicano era magna pars – è proprio nei semplicissimi e scarni ‘Riti’ della ‘traditio orationis’, ossia nella trasmissione del Pater Noster, nella ‘fractio panis’ della mistica Cena, nel ‘Battesimo spirituale’, ossia nel ‘Consolamentum’ dei Catari che è possibile ritrovare e vedere i puri e semplici riti praticati dai primissimi cristiani.
Dunque, un tale condizionamento di quasi due millenni, operato ‘magicamente’ attraverso la ritualità, la predicazione, l’elaborazione teologica, ha ‘configurato’ le anime in profondità, e ‘deconfigurarsi’, e l’affrancarsi da una tale massiccia ‘configurazione’ richiede indubbiamente un grandissimo sforzo, che va contro la bimillenaria passività artatamente indotta nelle anime da un cotale insidioso condizionamento. Ed è necessario operare a lungo ed energicamente per dilavarne sin nelle profondità dell’anima anche le minime tracce.
Nulla è più difficile, in questo campo spirituale, del fatto di vedere limpidamente e in profondità il senso della contrapposizione – fatale, ma al contempo necessaria – tra la stirpe e la corrente spirituale di Abele-Seth e la stirpe e la corrente spirituale di Caino. E nulla è più difficile del cogliere i vari e profondi sensi celati nel racconto della Genesi a proposito della ‘seduzione’ di Eva da parte del ‘serpente’ nel giardino dell’Eden. Ma leggiamo cosa è scritto nel terzo capitolo della Genesi mosaica, che riflette la tradizione abelita delle confessioni religiose ebraica e cristiana. Così leggiamo nella traduzione – la famosa ‘Riveduta’ – del valdese Giovanni Luzzi:
«Or il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che l’Eterno Iddio aveva fatti; ed esso disse alla donna: ‘Come! Iddio v’ha detto: Non mangiate del frutto di tutti gli alberi del giardino?’ E la donna rispose al serpente: ‘Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell’albero ch’è in mezzo al giardino Iddio ha detto: Non ne mangiate e non lo toccate, che non abbiate a morire’. E il serpente disse alla donna: ‘No, non morrete affatto; ma Iddio sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri s’apriranno, e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male’. E la donna vide che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi, ch’era bello a vedere, e che l’albero era desiderabile per diventare intelligente; prese del frutto, ne mangiò, e ne dette anche al suo marito ch’era con lei, ed egli ne mangiò. Allora si apersero gli occhi ad ambedue, e s’accorsero ch’erano ignudi; e cucirono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture. E udirono la voce dell’Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell’Eterno Iddio, fra gli alberi del giardino. E l’Eterno Iddio chiamò l’uomo e gli disse: ‘Dove sei?’ E quegli rispose: ‘Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura, perch’ero ignudo, e mi sono nascosto’. E Dio disse: ‘Chi t’ha mostrato ch’eri ignudo? Hai tu mangiato del frutto dell’albero del quale io t’avevo comandato di non mangiare?’. L’uomo rispose: ‘La donna che tu m’hai messa accanto, è lei che m’ha dato del frutto dell’albero, e io n’ho mangiato’. E l’Eterno Iddio disse alla donna: ‘Perché hai fatto questo?’ E la donna rispose: ‘Il serpente mi ha sedotta, ed io ne ho mangiato’. Allora l’Eterno Iddio disse al serpente: ‘Perché hai fatto questo, sii maledetto fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali dei campi! Tu camminerai sul tuo ventre, e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno’. Alla donna disse: ‘Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figliuoli; i tuoi desiderî si volgeranno verso il tuo marito, ed egli dominerà su te’. E ad Adamo disse: ‘Perché hai dato ascolto alla voce della tua moglie e hai mangiato del frutto dell’albero circa il quale io t’avevo dato quest’ordine: Non ne mangiare, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e triboli, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra donde fosti tratto; perché sei polvere, e in polvere ritornerai’. E l’uomo pose nome Eva alla sua moglie, perch’è stata la madre di tutti i viventi. E l’Eterno Iddio fece ad Adamo e alla sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì. Poi l’Eterno Iddio disse: ‘Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto a conoscenza del bene e del male. Guardiamo ch’egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, e ne mangi, e viva in perpetuo’. Perciò l’Eterno Iddio mandò via l’uomo dal giardino d’Eden, perché lavorasse la terra donde era stato tratto. Così egli scacciò l’uomo; e pose ad oriente del giardino d’Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita».
Dalla lettura di questo terzo capitolo della Genesi mosaica, di tradizione ‘abelita’ di stretta osservanza, che preannuncia tutti i drammi, le tragedie, le sofferenze, e gli strazi, che accompagneranno l’umanità nei millenni, risultano evidenti alcune ‘cose’, che hanno la loro grandissima importanza dal punto di vista dell’Esoterismo Cristiano – in contrapposizione alla visione ‘ortodossa’ della Chiesa cattolica sia latina che greca, e di quella protestante e riformata – e in particolare hanno notevole rilevanza in una visione ‘gioannita’, ‘gnostica’, ‘manichea’, ‘catara’, e ‘rosicruciana’. Naturalmente, proprio in questo campo, notevoli saranno nelle anime i pregiudizi, le resistenze, e in molti casi anche il rifiuto, come conseguenza del bimillenario condizionamento del quale è stato detto più sopra.
Anzitutto, leggendo il testo da un punto di vista di chi non si accontenti della semplice ‘fede rivelata’, sempre ‘ingenerata e ricevuta dall’Alto e mai generata dall’uomo’, ovvero quella che gli antichi Gnostici valentiniani chiamavano πίστις, pìstis, ma ricerchi quella che sempre i Valentiniani definivano γνῶσις, gnôsis, ‘Conoscenza’, che contrapponevano alla semplice ‘fede’, risulta che il ‘serpente’ – ὄϕις, ophis, in greco, e נָחָשׁ, nâḥâsh in ebraico, da qui la corrente gnostica degli ‘Ofiti’, ὀϕίται, ophītae, o ‘Naasseni’ – abbia detto a Eva una ‘scomoda verità’ – nella fattispecie ‘scomoda’ per il ‘Signore’, ossia ‘Adonai’, ovvero ‘Jahve-Jehova’. Infatti, non fu affatto il ‘gustare il frutto dell’Albero della Conoscenza’ che dette, di per sé, la morte all’uomo. Semmai – come si accorse sùbito Eva – il gustare tale frutto dette a lei e ad Adamo una speciale ‘intelligenza’, in particolare la ‘conoscenza del Bene e del Male’. È evidente che Jahve-Jehova non desiderava affatto che la donna e l’uomo ricevessero una tale ‘intelligenza’, la quale donava all’essere umano qualcosa che, in qualche modo, lo elevava a livello divino. Il ‘serpente’ non offrì affatto ad Eva un ‘frutto avvelenato’, un ‘frutto mortale’. La susseguente e conseguente ‘morte’ furono, al contrario, la ‘punizione’ decisa da Jahve per il fatto che l’essere umano ricevette tale ‘intelligenza’. Infatti, è Jahve che, nel testo della Genesi, pronuncia le parole: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto a conoscenza del bene e del male. Guardiamo ch’egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, e ne mangi, e viva in perpetuo».
È bene soppesare le parole, che non sempre nelle varie traduzioni rispecchiano interamente – e, aggiungerei, inevitabilmente – il senso dell’originario testo biblico, per cui, per documentazione del candido lettore, riporto la traslitterazione del testo ebraico. La prima parte della frase in ebraico suona così:
Va-jjòmer Jahve Elohìm : hen ha-adàm kě-achàd mimmènu la-da‘ath tov va-ra‘ ve-‘attah.
Dunque, il ‘serpente’ non mentì affatto a Eva dicendole :«No, non morrete affatto; ma Iddio sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri s’apriranno, e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male». Infatti l’intero brano ebraico, integralmente riportato, così suona :
Vě ha-nachash hayah ‘arum mikkòl hayyoth hassadeh asher ‘assah Jahve Elohim. Va-jjomer el ha-isshah: Af ki-amar Elohìm lo to’kělu mikkòl ‘etz ha-ggan? Va-tomer ha-isshah el ha-nnachash: mi-pěrì etz ha-ggan nokhel. U-mi-ppěrì ha-‘etz asher bě-thokh ha-ggan amar Elohim, lo thokhělu mimmènu vě-lo tig‘u bo pen-těmutun. Va-jjòmer ha-nnachash el ha-isshah: Lo-moth temuthun, ki yodea‘ Elohim ki be-jjòm akhalekhèm mimmènu nifqěhù ‘ejnikhèm vihějitèm ke-Elohìm jodea‘ tov va-ra’.
Nell’Esoterismo Cristiano il termine Jahve-Elohìm – anche se nelle varie Bibbie cattoliche latine e greche, e in quelle protestanti e riformate, viene tradotto come Dio, l’Eterno Iddio, il Signore, e simili espressioni – non designa affatto il Divino, l’Altissimo – ebraico El ‘Eljòn, al quale, nella Genesi, XIV, 18, sacrifica Melchisedec, re e sacerdote – nel senso dell’Assoluto, e nemmeno Lucifero, come è stato dimostrato nel mio precedente studio, bensì un Eloha o Eloah, un’entità della Gerarchia degli Elohim, delle ‘Exousiai’, ovvero delle ‘Potestà’, un’entità di quelli che nella Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner vengono chiamati ‘Spiriti della Forma’.
Considerando il racconto della Genesi in una prospettiva cainita – chiaramente inaccettabile da parte di chi si ponga all’interno della “ortodossia” abelita – proprio non si capisce perché l’essere umano non debba nutrirsi del ‘frutto dell’Albero della Conoscenza’, visto che esso dona, come sperimentò per prima Eva, Madre dei Viventi, l’“intelligenza”. Evidentemente, prima di gustare tale ‘frutto proibito’, l’essere umano era in uno stato di innocente ‘inconsapevolezza’, di inintelligente ‘ignoranza’, di non responsabile, infantile, non colpevole, ‘irresponsabilità’. L’essere umano era in uno stato di immeritata ‘purezza’: immeritata perché non frutto di conquista, ma ‘grazioso’ dono di Jahve-Jehova, di una deità che non desidera che l’uomo acceda alla ‘intelligenza’, e attraverso questa, alla ‘Conoscenza’: una deità che, nel Vecchio Testamento, dimostra esser molto ‘gelosa’ del suo possesso umano. Anche secondo la abelitica teologia cattolica, l’uomo nel Giardino dell’Eden era in possesso di facoltà e doni ‘preternaturali’, che lo rendevano capace di illimitata sapienza e potenza. Ma tali qualità erano appunto ‘gratuito’, ‘grazioso’, dono di Jahve, non conquista dell’uomo: arbitrario dono, che in maniera altrettanto arbitraria – ‘libito licito’ – gli poteva essere tolto. Come, in effetti, poi avvenne. E Massimo Scaligero, fin dalla sua prima grande opera, negli anni Cinquanta del trascorso secolo, nell’Avvento dell’Uomo Interiore, G.C. Sansoni Editore, Firenze, 1957, p. 57, delinea il senso della fatale ‘caduta’ dell’uomo primordiale sino all’attuale tristissima, e abietta, condizione di ottusa reclusione nell’effimero, nel contingente, e nell’illusorio, e avverte che:
«In realtà l’Io superiore è divenuto ego, perché l’ego si faccia Io superiore. Si può dire che l’uomo originario è stato strappato alla trascendenza da potenze superiori e avviato a un’esperienza del mondo finito, perciò lungo una «via discendente», il cui senso è riflesso nel simbolismo delle Quattro Età. S e d e l l a c o n d i z i o n e s u p e r i o r e p r o p r i a a l l a P r i m a E t à, o «E t à d e l l’ o r o», l’ u o m o f o s s e s t a t o v e r a m e n t e a u t o r e e s i g n o r e, c e r t a m e n t e n o n s a r e b b e p o t u t o d e c a d e r e d a e s s a. Si tratta, in effetto, della condizione nella quale egli era contenuto, era ispirato, non libero».
Quindi, se l’uomo di quell’originario stato di sovrumana grandezza, nel quale egli si trovava nell’Eden, non aveva alcun proprio ‘merito’, neppure aveva veruna personale ‘colpa’ per la perdita di esso. Anzi – da uno spregiudicato punto di vista ‘cainita’ – una cotale, fatale perdita fu, paradossalmente, una ‘felix culpa’, perché gli permise di conquistare, con le proprie forze, perciò con proprio ‘merito’, e con ‘umana sapienza’ –con ‘Anthroposophia’ – Autocoscienza, Libertà e Amore. Vedremo, nel corso del presente studio, come sia propria questa ‘felix culpa’, in una prospettiva ‘cainita’, la chiave della penetrazione conoscitiva, in senso manicheo, del ‘Mistero del Male’, dell’inverarsi di una ‘Filosofia della Libertà’, del compimento della ‘impresa del Graal’, della restituzione dello ‘stato primordiale’, della realizzazione dell’Androgine Celeste.
Del resto è il testo stesso della Genesi mosaica che afferma che Eva vide ‘che l’albero era desiderabile per diventare intelligente [lě-ha-skil]’. In ebraico biblico abbiamo una radice trilittere – sin-kaf-lamed – dalla quale, se consultiamo l’ancor ottimo e utile, seppur datato, Francesco Scerbo, Dizionario ebraico e caldaico del Vecchio Testamento, Libreria Editrice Fiorentina, 1912, a p. 371, nn. 3-4-5, discende la parola sekhel, che come verbo ha il significato di ‘esser prudente’, ‘esser savio’, ‘agire saggiamente’; come aggettivo verbale ha il significato di ‘prudente’, ‘probo’, ‘intelligente’, ‘savio’, e addirittura ‘pio’; e come sostantivo quello di ‘intelligenza’, ‘prudenza’, ‘buon senno’. Dunque, lo ripeto ancora una volta, il ‘serpente’, nell’Eden, non mentì affatto proponendo alla donna un frutto sì prezioso, che le donava ‘intelligenza’. Inoltre, è il Christo stesso che nel Vangelo di Matteo, X, 16, avverte i suoi seguaci che non basta esser ‘puri come colombe’, ma è necessario eziandio esser ‘prudenti come serpenti’: γίνεσθε οὖν φρόνιμοι ὡς οἱ ὄφεις καὶ ἀκέραιοι ὡς αἱ περιστεραί, ghinesthe oùn frònimoi hos òi òfeis, ài akéraioi hos ài peristerài.
Ma nelle varie poco cristiche Chiese cristiane, si sposa totalmente il punto di vista abelita, e si ritiene essere solo ‘presunzione’, ‘superbia’, ‘blasfemia’, ‘ribellione’, la volontà dell’uomo di ‘conoscere’. Un esempio di ciò è quanto scrive Ireneo, vescovo di Lione del II secolo, feroce avversario, derisore e calunniatore, degli Gnostici. Infatti così scrisse in Adversus haereses II, 26, 1:
«È dunque meglio e più salutare essere semplici ed ignoranti ed appressarsi a Dio mediante la carità piuttosto che credere di sapere molte cose e dopo molte avventure di pensiero essere blasfemi contro Dio».
Del resto, è Jahve stesso che conferma quanto rivela la dichiarazione del ‘serpente’, ossia che col gustare il frutto proibito dell’Albero della Conoscenza, l’uomo diveniva «come gli Dèi – kě-Elohìm – conoscitore del bene e del male – jodea’ tov va-ra’».
Ma nel Vangelo di Giovanni X, 34-36, trad. della Riveduta di Giovanni Luzzi, è il Christo stesso che afferma la suprema dignità dell’Uomo:
«Gesù rispose loro: Non è egli scritto nella vostra legge: Io ho detto: Voi siete dèi? Se chiama dèi coloro a’ quali la parola di Dio è stata diretta (e la Scrittura non può essere annullata), come mai dite voi a colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, che bestemmia, perché ho detto: Son Figliuolo di Dio?».
Per documentazione del benevolo, e volenteroso lettore, riporto l’originale del testo greco di questo brano giovanneo:
ἀπεκρίθη αὐτοῖς ὁ Ἰησοῦς· Οὐκ ἔστιν γεγραμμένον ἐν τῷ νόμῳ ὑμῶν ⸀ὅτι Ἐγὼ εἶπα· Θεοί ἐστε; εἰ ἐκείνους εἶπεν θεοὺς πρὸς οὓς ὁ λόγος τοῦ θεοῦ ἐγένετο, καὶ οὐ δύναται λυθῆναι ἡ γραφή, ὃν ὁ πατὴρ ἡγίασεν καὶ ἀπέστειλεν εἰς τὸν κόσμον ὑμεῖς λέγετε ὅτι Βλασφημεῖς, ὅτι εἶπον· Υἱὸς τοῦ θεοῦ εἰμι;
Ora, se mi son permesso di riportare il testo ebraico di alcuni versi della Genesi mosaica, e quello greco dei Vangeli, non è stato per sfoggiare una ‘edificante erudizione’ a pro’ del benevolo lettore – cosa che reputo essere inutile, oltre che vanitosa – bensì perché alcune parole del testo biblico originario sono particolarmente significative, e possono illuminare molto il tema che ci sta a cuore: il tema del Graal. Infatti, sia il ‘serpente’, nachash, che l’Eloha o Eloah Jahve, usano parole tra loro correlate: la voce verbale jodea‘ e il sostantivo da’ath. Ora, nel sopra citato Dizionario ebraico e caldaico del Vecchio Testamento di Francesco Scerbo scopriamo, alle pp. 111 n. 13, e 112 n. 1, che ambedue le parole sono costruite a partire dalla radice trilittere jodh-daleth-‘ajin, dando origine al verbo jadà‘ col significato di ‘accorgersi’, ‘conoscere’, ‘sapere’, ‘avere intendimento’, e, a p. 59, da‘ath, col significato di ‘conoscenza’, ‘sapere’, ed aggiungo io, di ‘Gnosi’.
Ed è, appunto, questa da‘ath tov va-ra‘, questa ‘Gnosi del Bene e del Male’, che Jahve-Jehova non voleva che gli esseri umani, e nel caso specifico Adamo ed Eva, facessero loro perché – come apertamente dichiara il ‘serpente’, e conferma lo stesso Jahve, li rendeva ke-elohìm jodea’ tov va-ra’, come gli Dèi, conoscitori del Bene e del Male. Ma il verbo jada‘, in ebraico, ha anche un altro senso, un senso traslato, quello legato alla generazione fisica. Infatti al primo verso del quarto capitolo della Genesi è scritto: Vě-ha-Adam jada‘ eth-Chavah ishtò, e Adamo ‘conobbe’, ossia ‘fecondò’, Eva, sua moglie.
Di molti Patriarchi, nell’antico Testamento, viene detto che ‘conobbero’ la loro sposa, e questa ‘concepì’, e partorì un figlio. E persino nel Vangelo di Luca, I, 26-35, sempre nella citata traduzione del valdese Giovanni Luzzi, all’annuncio fatto dall’Arcangelo Gabriele, Maria risponde usando il verbo ‘conoscere’, cui viene dato appunto il significato traslato usuale nell’Antico Testamento. Infatti leggiamo:
«Al sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea detta Nazaret ad una vergine fidanzata ad un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria. E l’angelo, entrato da lei, disse: Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è teco. Ed ella fu turbata a questa parola, e si domandava che cosa volesse dire un tal saluto. E l’angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco tu concepirai nel seno e partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato Figliuol dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre, ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine. E Maria disse all’angelo: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo? E l’angelo, rispondendo, le disse: Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò ancora il santo che nascerà, sarà chiamato Figliuolo di Dio».
Il testo greco del Vangelo di Luca, al verso 34, riportando la risposta di Maria, dice: εἶπεν δὲ Μαριὰμ πρὸς τὸν ἄγγελον· πῶς ἔσται τοῦτο, ἐπεὶ ἄνδρα οὐ γινώσκω, èipen de Mariàm pros ton ànghelon, pôs èstai toùto, èpei àndra où ghinòsko. Le parole di Maria: àndra où ghinòsko, non conosco uomo, stanno appunto a significare il legame significativo che, anche nei Vangeli, ha il ‘conoscere’ col ‘generare’, col ‘fecondare’. Ed è di grandissimo momento che proprio Rudolf Steiner dia, et pour cause, una interpretazione ‘superiore’, un ‘sovrasenso’, una interpretazione, oserei dire – dantescamente – iniziaticamente ‘anagogica’, alla speciale identità tra il concetto di ‘conoscere’ e quello di ‘fecondare’: una interpretazione ‘iniziatica’, che può condurci, come vedremo, direttamente nel cuore stesso del Mistero del Graal. Infatti, così leggiamo in Rudolf Steiner, XII conferenza de Il Vangelo di Giovanni,intitolata La Vergine Sofia e lo Spirito Santo, tenuta ad Amburgo il 31 maggio 1908, traduzione di Emmelina De Renzis, Prefazione di Marie Steiner, R. Carabba Editore, 1930:
«Dobbiamo ora comprendere, che l’uomo, quando conseguirà questa iniziazione, diverrà in fondo affatto diverso da quel che era prima. Mentre prima non era in rapporto altro che con le cose del mondo fisico, dopo, invece, acquista la possibilità di praticare ugualmente i processi e gli esseri del mondo spirituale. Questo implica, che l’uomo raggiunge la conoscenza in un senso molto più reale di quello astratto, timido, prosaico, con cui si parla ordinariamente della conoscenza. Per chi consegue la conoscenza spirituale, il processo cognitivo è anche tutt’altro; è una vera e propria realizzazione del bel detto: «Conosci te stesso!». Ma è pericolosissima cosa, nella sfera della conoscenza, comprendere questo detto in modo errato, come oggidì succede anche troppo spesso. Molti si spiegano quel detto nel senso, che essi non debbono più guardare attorno nel mondo, ma soltanto curiosare nella propria interiorità o cercare in essa sola ogni spiritualità. Questa è una interpretazione molto errata di quel detto, che ha invece tutt’altro significato. L’uomo deve rendersi chiaramente conto, che una vera conoscenza superiore è anche un’evoluzione, che da un punto di vista, che l’uomo aveva già raggiunto, conduce a un altro, che prima non aveva raggiunto ancora. Se ci si esercita nell’autoconoscenza in modo, come se ci si covasse interiormente, si vede soltanto ciò che già prima si aveva; non si acquista nulla di nuovo, ma solamente una conoscenza, intesa nel senso che oggi è corrente, del proprio io inferiore. Questa interiorità non è che una parte di quanto si richiede per la conoscenza; l’altra parte, che le occorre, deve ancora aggiungersi. Senza entrambe le parti, non si conchiude nulla. Per mezzo dell’interiorità, l’uomo può arrivare a sviluppare in sè gli organi, coi quali esercita le sue facoltà cognitive. Ma come l’occhio, organo sensorio esteriore, non conoscerebbe il sole, se guardasse introspettivamente in sé stesso, invece di guardar fuori verso il sole stesso, così del pari anche l’organo cognitivo interiore deve guardar fuori, s’intende verso una esteriorità spirituale, per poter veramente conoscere. Il concetto di «conoscenza» aveva nei tempi, in cui s’intendevano le cose spirituali più realisticamente, un significato assai più profondo, più realistico di oggi. Leggete nella Bibbia, che cosa significa: «Abraham conobbe sua moglie!» oppure, che questo o quel patriarca «conobbe la propria moglie». Non dovete faticare molto a comprendere, che in quei passi s’intende parlare di fecondazione, e se si considera il detto: «conosci te stesso» in greco, non significa: «va a curiosare nella tua interiorità», bensì «feconda il tuo sé con ciò che fluisce a te dal mondo spirituale». Conosci te stesso! significa: Feconda te stesso col contenuto del mondo spirituale! – All’uopo occorrono due requisiti: che l’uomo si prepari con la catarsi e l’illuminazione, e poi che apra la sua interiorità liberamente al mondo spirituale. In questa connessione con la conoscenza, possiamo paragonare l’interiorità dell’uomo all’elemento femminile, e l’esteriorità al maschile. L’interiorità bisogna renderla atta a ricevere il Sé superiore; quando a ciò sia resa atta, il Sé superiore dell’uomo, dal mondo superiore, fluisce e penetra nell’uomo stesso. Dove infatti è il Sé superiore dell’uomo? Sta forse là dentro, nella persona umana? No! Durante i periodi di Saturno, del sole e della luna, il Sé superiore era riversato sull’intiero Cosmo; l’Io del Cosmo fu allora riversato sull’uomo, e questo Io, l’uomo deve far lavorare su di sé, deve farlo lavorare sulla propria interiorità preparata in precedenza. Vale a dire, che deve essere purificata e purgata, nobilitata, assoggettata alla catarsi l’interiorità dell’uomo, in altre parole: il suo corpo astrale. Allora egli può aspettarsi che la spiritualità esteriore penetri in lui, a illuminarlo. E questo succede quando l’uomo è tanto bene preparato, da avere sottoposto il suo corpo astrale alla catarsi e da avere per tal mezzo formato i suoi organi interiori di conoscenza. Il corpo astrale, allora, è sotto ogni riguardo tanto progredito, quando s’immerge nel corpo eterico e in quello fisico, da far seguire l’illuminazione, il fotismo. Ciò che veramente si verifica è per l’appunto che il corpo astrale dà al corpo eterico l’impronta dei propri organi, con che si determina il fatto che l’uomo percepisce il mondo spirituale che gli sta d’attorno, ossia che la sua interiorità, il corpo astrale, accoglie ciò che gli può offrire il corpo eterico, ciò che il corpo eterico gli trae da tutto il Cosmo, dall’Io cosmico».
Ho citato l’esegesi che Rudolf Steiner fa del Vangelo di Giovanni nella traduzione di Emmelina De Renzis, edita nel 1930 a Lanciano da R. Carabba Editore, pur apprezzando molto l’ottima traduzione di Willy Schwarz, edita per la prima volta nel 1956 da L’Editrice Scientifica di Milano, e in seguito più volte dall’Editrice Antroposofica, perché l’edizione del 1930 porta la prefazione di Marie Steiner, la fedele compagna di Rudolf Steiner, alla cui abnegazione, oltre che alla sua competenza spirituale, dobbiamo la salvezza dell’Opera di Rudolf Steiner, sia per il rapporto ‘graalico’ che l’ha unita al Maestro dei Nuovi Tempi: elemento sacrale che ha un rapporto diretto e profondo col tema del presente studio. L’elevatezza della figura spirituale di Marie Steiner fu anche oggetto dell’ultimo colloquio ch’io ebbi, assieme al mio amico ‘eleusino’ Trittolemo, con Hella Wiesberger nel 2013, ed è per me un gioioso dovere ricordare e rendere omaggio a Colei, la cui fatidica ‘domanda’ permise a Rudolf Steiner di donare al mondo l’Antroposofia.
Dunque, l’uomo deve al ‘serpente’, al biblico ‘nachash’, l’aver avuto accesso, mediante ‘intelligenza’, alla ‘Conoscenza’, alla ‘Gnosi’. La parola greca γνῶσις, gnòsis, oltre che nello Gnosticismo, era usuale nella filosofia pitagorica e platonica, nelle religioni dei Misteri Classici, nell’Ermetismo alessandrino, ed aveva il significato di una conoscenza ‘vitale’, ‘diretta’, ‘intuitiva’ nel senso etimologico del termine, della reale natura dell’uomo come natura ‘divina’, recante in sé, pur nello stato di ‘caduta’, di ‘esilio’, dal luminoso ‘stato primordiale’, una ‘scintilla’ che può condurre l’uomo alla ‘liberazione’ dallo stato di abiezione e di schiavitù nel quale geme, alla folgorante ‘Illuminazione’: appunto alla ‘Gnosi’, all’unione con l’Uno-Tutto, con l’Uno Unissimo.
La ‘Gnosi’ è, dunque, un ‘vissuto’, una ‘Conoscenza folgorante’, una abbagliante ‘consapevolezza’, una ‘animadversio’ la chiamerebbe Massimo Scaligero, e come tale si contrappone alla conoscenza meramente ‘intellettuale’, all’εἶδειν, eídein, come una appercezione diretta si contrappone ad una rappresentazione mentale riflessa. Infatti il ‘genio della lingua’ in italiano contrappone ‘conoscere’ a ‘sapere’, in francese ‘connaître ’ a ‘savoir’, in castigliano ‘conocer’ a ‘saber’, in tedesco ‘kennen’ a ‘wissen’, ed anche in latino ‘cognoscere’ a ‘scire’. Ed è proprio questa folgorante ‘Conoscenza’ diretta, questa ‘percezione’ diretta, ‘in-mediata’ – ossia ‘non mediata’ da un organismo istituzionale – che la jahvetica tradizione abelita ha sempre avversato, e che la stirpe ‘cainita’, invece, ha sempre appassionatamente cercato.
Ma è evidente che solo la ‘Conoscenza’ può ‘generare’, ‘fecondare’ e non il ‘sapere’. Infatti, il Christo nel Vangelo di Giovanni, VIII, 32, proclama: καὶ γνώσεσθε τὴν ἀλήθειαν, καὶ ἡ ἀλήθεια ἐλευθερώσει ὑμᾶς. Kài gnòsesthe ten alètheias, kài he alètheia eleutheròsei hymàs, che nella sua Vulgata Gerolamo traduce come et cognoscetis veritatem et veritas liberabit vos, e nella bella lingua di Dante: e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi. ‘Cognoscere’, non ‘scire’; ‘conoscere’, non ‘sapere’. Ed uno dei motti più eloquenti di Christian Rosenkreutz, fondatore della Fraternitas Rosae Crucis era ‘summa scientia nihil scire’.
Massimo Scaligero, nel Trattato del Pensiero Vivente, una Via oltre le filosofie occidentali, oltre lo Yoga, oltre lo Zen, Tilopa, Roma, 1979, pp. 13-14, parlando dell’estrema concretezza dell’esperienza folgorante, in-mediata, del Pensiero Vivente, nel capitolo terzo così scrive:
«Come esperienza, è quella che, sopra tutte, ha il diritto di chiamarsi positiva, essendo la più diretta che l’uomo possa compiere e di cui l’Io possa rendere conto a se stesso come di ciò che è veramente oggettivo.
Ma non è speculare, non è filosofare. È il coraggio di conoscere: che è conoscere la verità: la verità che rende liberi. Non è argomentare, ma creare: non è riflettere, ma dominare. È percepire in enti pensiero il sovrasensibile, così come normalmente si percepisce il sensibile in forme e colori».
Il Pensiero Vivente è vivificante, creante, fecondante, risanante, trasmutante, perché reca in sé l’etere della vita: l’amṛta, l’ambrosia, il ‘cibo d’immortalità’ che dall’Alto si riversa nella ‘Coppa del Graal’. Ed il fecondante processo di conoscenza s’illumina di particolare luce leggendo quanto, sempre nella XII conferenza sul Vangelo di Giovanni, Rudolf Steiner aggiunge alle comunicazioni sopra riportate:
«L’esoterismo cristiano chiamava questo corpo astrale purificato, purgato, che nel momento di sottoporsi all’illuminazione non contiene più nessuna delle impressioni impure del mondo fisico, ma solamente gli organi per la conoscenza del mondo spirituale: «la pura, casta, sapiente, vergine Sofia». Per mezzo di tutto ciò che accoglie nella catarsi, l’uomo purifica e monda il suo corpo astrale sino a farne la Vergine Sofia. E alla Vergine Sofia muove incontro l’Io cosmico, l’Io dei mondi, che opera l’illuminazione, che fa sì che l’uomo abbia luce, luce spirituale attorno a sé. Questo secondo elemento, che si aggiunge alla Vergine Sofia, l’esoterismo cristiano chiamava – e lo chiama ancor oggi – lo «Spirito Santo». Di guisa che, in senso cristiano esoterico, si dice cosa giustissima, quando si dice che il cristiano esoterico per mezzo dei processi iniziatici ottiene la purificazione, la purgazione del suo corpo astrale; che egli fa di quest’ultimo la Vergine Sofia, e che viene illuminato – se volete, potete dire: adombrato – dallo «Spirito Santo», dall’Io cosmico dei mondi. E chi dunque è illuminato, chi, in altri termini, nel senso dell’esoterismo cristiano, ha ricevuto in sè lo «Spirito Santo», parla oramai in senso diverso da prima. Come parla egli? Parla in modo, che non esprime il suo parere, quando discorre di Saturno, del Sole, della Luna, delle varie membra dell’entità umana, dei processi dell’evoluzione cosmica. Dei suoi giudizi non fa neppure cenno. Quando un cotal uomo parla di Saturno, è Saturno stesso che parla attraverso di lui; quando parla del Sole, è l’entità spirituale del Sole che parla attraverso di lui. Egli è uno strumento; il suo io si è sommerso, vale a dire, che per dei momenti come quelli ora citati, è divenuto impersonale, ed è l’Io cosmico che si serve di lui come di uno strumento, per parlare attraverso di lui. Nei veri insegnamenti esoterici, perciò, che provengono dall’esoterismo cristiano, non si può parlare di punti di vista e di opinioni. Sarebbe un errore nel più alto senso della parola: non esistono. […]
Abbiamo così cominciato col conoscere due concetti, nel loro significato spirituale: cioè l’essere della Vergine Sofia, che è il corpo astrale purificato, e l’essere dello Spirito Santo, dell’Io cosmico dei Mondi, che viene accolto dalla Vergine Sofia e che può allora parlare dal corrispondente corpo astrale. Conviene però conseguire ancora dell’altro, conseguire un grado più alto: potere, cioè, aiutare il prossimo, potergli dare gl’impulsi per realizzare quei due concetti. Gli uomini del nostro periodo di evoluzione possono accogliere nel modo suddescritto la Vergine Sofia (il corpo astrale purificato) e lo Spirito Santo (l’illuminazione). Soltanto Cristo Gesù poteva dare alla Terra, ciò che all’uomo era necessario. Egli ha inoculato nella parte spirituale della Terra le forze, che rendono possibile il verificarsi di ciò che si è descritto con l’iniziazione cristiana».
Caratteristica della jahvetica coscienza ‘abelita’ è una ‘lunare’ coscienza sognante, che riceve discendente dall’Alto la ‘saggezza’ come ‘rivelazione’ del sovrasensibile, come un ‘dono’, esattamente come Epimèteo del mito greco: quella ‘abelita’ è una coscienza ‘ricettiva’, ‘mediata’, ‘riflessa’, ‘passiva’, ‘sacerdotale’, ‘tradizionale’, vòlta al passato. La coscienza ‘cainita’, invece, è ‘solare’, pienamente ‘sveglia’, elabora e conquista, con le proprie forze, ascendendo dal basso, la ‘Gnosi’, ‘Scienza’ e ‘Conoscenza’, esattamente come il Promèteo del mito greco: quella ‘cainita’ è una coscienza ‘operativa’, ‘in-mediata’, ‘attiva’, ‘iniziatica’, ‘costruttiva’, vòlta al futuro.
L’etica ‘abelita’ è la passiva accettazione del volere di Jahve-Jehova, la scrupolosa conformità alla ‘Legge’, alla ‘Torah’. È un passivo ‘dipendere’ da un altrui volere: un ‘non sui juris esse’. La morale ‘cainita’, al contrario, è l’attivo voler esser fondati solo su se stessi, sul proprio ‘libero volere’, un voler – romanamente – esser ‘faber fortunae suae’, ‘facitori del proprio destino’, ovvero, come ammonisce il motto di Teofrasto Paracelso: ‘alterius non sit, qui suus esse potest’, ‘non sia di altri, chi può esser di se stesso’. L’etica ‘abelita’ è ‘eteronima’, quella ‘cainita’ è ‘autonoma’.
Questa posizione ‘cainita’ di radicale autonomia dell’essere umano, questa volontà di ‘conoscenza diretta’ della verità e della realtà, indipendente da antiche ‘rivelazioni’, è quanto ricollega la ‘Via’ percorsa dalla stirpe ‘cainita’ al ‘manicheo’ tema del ‘Graal’, al tema della reintegrazione dello ‘stato primordiale’, della restituzione dell’Androgine Celeste. Questo tema, infatti, lo ritroviamo in Massimo Scaligero, Graal. Saggio sul Mistero del Sacro Amore, Perseo, Roma, 1969, ove, nel primo capitolo, La Via Adamantina d’Occidente, alle pp. 10-12, prendendo spunto da una istanza del tantrismo indiano, spiritualmente ancora insufficiente rispetto alla richiesta dei ‘nuovi tempi’, ma già prefigurante l’esigenza dell’attuale radicale ‘Via dell’Io’, e della correlata ‘Via del Pensiero’, così scrive:
«Nei testi tantrici sembra posseduta quella conoscenza che in Occidente sta alla base della moderna filosofia, circa l’esaurita funzione delle antiche metafisiche: non si dà più ausilio dagli Dèi, dalle rivelazioni, dalle ispirazioni: gli Dèi hanno lasciato l’uomo, perché si sorregga da sé, realizzi in sé con la sua forza la sua originaria natura. Chi vuol tronare indietro, segue la «»via dei morti», in quanto non fa che disseppellire in sé antichi stati di coscienza, oltre i quali ormai l’uomo dovrebbe portarsi per essere. Che egli percorra sino in fondo la via della liberazione, è in effetto ciò che gli Dèi attendono da lui: non il suo ritorno a uno stato di dipendenza che solo in antico era giustificato, quando egli ancora traeva sue forze dal grembo della Madre. Lungo il tempo, accompagnata dalla correlativa rivelazione, l’individualità dell’uomo si fa sempre più indipendente dall’antica matrice cosmica, ma questa indipendenza essa paga con la perdita di stati di coscienza trascendenti. La sua esperienza si fa sempre più terrestre: è il kaliyuga, l’oscura notte che precede l’alba. La madre lascia l’uomo nella solitudine dell’esperienza sensibile, perché egli affronti l’impresa della libertà: ma appunto per questo, qui nella materia, nel sensibile, nel corpo fisico, ormai il potere della Madre va ritrovato. La decisione di ritrovarlo non può essere un dono della Madre, bensì autonoma iniziativa dell’uomo: ciò che egli può volere, ma anche non volere. La via della libertà è anche la via del ritrovamento del Divino, secondo una comunione incomprensibile a chi sia immerso in quel tradizionalismo in cui la Tradizione ha cessato di fluire. Ritrovare la Madre, come virtù originaria, o come coscienza cosmica rispetto a cui l’odierna coscienza è immersa nel sonno profondo, è un còmpito di cui si possono ravvisare aspetti similari nella mistica d’Occidente. […]
Il metodo per la realizzazione di un simile còmpito, teoricamente presenta qualche affinità con la posizione idealistica occidentale della i m m a n e n z a a s s o l u t a. Ogni trascendenza è astrazione per l’uomo che non ha più la diretta percezione del Divino: la coscienza da cui si prendono le mosse è l’immediatezza identica a sé, che non può essere ignorata o saltata. La coscienza che si ha, la costituzione che si ha, il corpo che si ha, sono i punti di partenza: se il Divino è alla base del mondo, esso sarà ritrovato».
Che il gesto di Eva, nell’Eden, di accettare l’offerta del ‘serpente’, del ‘nachash’, di nutrirsi del frutto dell’‘Albero della Conoscenza’, sia stata una necessaria, ‘felicissima culpa’, è quanto Massimo Scaligero mette in evidenza nell’ultimo capitolo, Restituzione dell’Albero della Vita, del Graal, Saggio sul Mistero del Sacro Amore. Infatti, così scrive alle pp. 150-151:
«L ’u o m o n o n a v r e b b e p e r d u t o l’ i m m o r t a l i t à, s e a v e s s e r i n u n c i a t o a l l a C o n o s c e n z a: si sarebbe cibato del frutto dell’Albero della Vita perennemente, se avesse obbedito al monito del Signore, di non cibarsi del frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Scacciato dall’Eden, egli non può più cibarsi del frutto dell’albero della Vita, ma la virtù di tale Albero fluisce come vita fisica, vita estranea alla coscienza, alla quale da quel momento egli è congiunto mediante i sensi, mediante brama. Sete di vita, impossibilità di estinguerla, è da quel momento il prezzo mediante cui l’uomo paga il nascere dell’autocoscienza, la possibilità della libertà. La conoscenza non è all’altezza della vita, non ha potere di vita: le sfugge la vita».
Naturalmente, sarebbe stata cosa vilissima se Eva, Madre dei Viventi, avesse rinunciato a cibarsi di tale prezioso ‘frutto’: la sua fu, quindi, una intelligentissima, coraggiosissima, e felicissima ‘colpa’. Infatti, Massimo Scaligero, a p. 153, così aggiunge:
«L ’ u o m o n o n a v r e b b e p o t u t o p e r d e r e l ’ i m m o r t a l i t à d e l l ’ E d e n, o l ’ i m m o r t a l i t à t e r r e s t r e, s e q u e s t a n o n f o s s e s t a t a u n d o n o. Se fosse stata un suo possesso, un bene da lui fatto sorgere e da lui irradiato, egli non avrebbe potuto perderla. La perdita dell’immortalità, la «caduta», la necessità della malattia e della morte, sono state necessarie, perché l’uomo riconquisti come proprio essere, ciò che era meramente un dono. L’Eden è il suo vero regno, ma è il regno che attende da lui essere restituito: tale il senso dell’autocoscienza».
Vedremo, nel proseguo del presente studio le conseguenze conoscitive – in senso sia umano che cosmico – di questa visione ‘cainita’ e ‘manichea’ dell’impresa del Graal, e della funzione occulta del Male e della sua ‘trasmutazione’ in un superiore Bene.