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La Via della Concentrazione è una Via asperrima: una Via poco o punto amata dalle “anime belle” in perenne ricerca di animiche “consolazioni” per rimanere quello che sono e permanere in quello che sono. Ma può essere paradossalmente amata da quelle orsolupesche anime, che vogliono cessare di essere quello che purtroppo ancora sono, per cominciare ad essere autenticamente ciò che possono osare essere: lo Spirito.
Per me, sin dal principio, la Concentrazione è stata un aspro apprendistato, che ancor dura. Apprendistato che non solo neppure accenna a iniziare a finire, ma che addirittura sta tuttora continuando a iniziare. Sembra un giuoco di parole, ma – credetemi – non lo è affatto.
Massimo Scaligero affermava che la Concentrazione – l’esercizio a sé sufficiente per chi ne abbia la forza e l’audacia – è l’esercizio del novizio neofita e dell’Iniziato. Perché non si finisce mai d’impararla. E, per quel che mi riguarda, non finisco mai d’iniziare ad impararla. E’ vero – sempre Massimo Scaligero dixit – che “nello Spirito non si sta, nello Spirito si è”.
Iniziai, diciannovenne, a praticarla come una cosa – per me che venivo dalle Vie orientali e da un passato alquanto agitato – veramente impossibile: una pratica alla quale tutto l’essere corporeo e animico si ribellava. E trovavo ridicolo che per dire cosa era un oggetto mi ci volesse un tempo enorme, esagerato. Della contemplazione del concetto, poi, non se ne parlava proprio.
Negli anni – nei decenni – la Concentrazione è divenuta sempre più scarna, ma anche questo bisogna conquistarselo a viva forza. E non è affatto scontato il poterlo fare sempre. Ciò che è conquistato, deve essere sempre di nuovo – come fosse la prima volta – riconquistato. E non aiuta l’aver vinto in passato. Nello Spirituale di rendita non si vive. Occorre – OGNI VOLTA – portarsi, con sforzo, dal gelo e dall’aridità all’incandescenza e allo slancio. Non sempre ci si riesce. Ma se si è costanti e fedeli nei periodi di tenebra e di aridità , quando meno ce lo si aspetterebbe, irrompe in noi la travolgenza di una forza assoluta dello Spirito, che ci scioglie dall’incrampimento tetanico, fluidifica dall’impietramento la volontà , restituisce il respiro spirituale. E poi si ricomincia.
Questo sino a quando non si realizzi quella trasformazione vitale-spirituale, che fa sì che la consacrazione allo Spirito, ogni volta tentata, conquistata e poi smarrita, non divenga “memoria interiore”. Ma anche allora le cose non divengono più facili. Anzi divengono difficili al massimo, MA in tal caso si avrà la forza per tutto osare – oltre ogni limite umano – osare ogni volta l’atto assoluto, senza risparmio, che esaurisce l’umano, e realizza lo Spirituale autentico. Ossia come era scritto sulla tomba di un Iniziato del Settecento: “NATUS QUAECUMQUE AUDERE”, ovvero “nato a tutto osare”.
Per questo, i lupacci paradossalmente amano ciò che le “anime belle” trovano poco o punto amabile: la Concentrazione.
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