IL DOMINIO DI SE’ (di M.Scaligero)

M. SCALIGERO

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Non è una drammatica e sterile contrapposizione ai propri istinti quella che può condurre al dominio di sé.
La via ascetica o mistica, d’altro canto, salvo rare eccezioni, non fa che sospendere le tensioni e rimandare indefinitivamente il problema, quando non giunga a potenziare sotterraneamente, ossia sotto la serie dei pretesti moralistici, quanto v’è di meno regolare nella coscienza.

La via che si può additare come la più adatta agli uomini di questa epoca, è una “via della conoscenza”: si tratterebbe di realizzare oggi il contenuto di un antico oracolo: “conosci te stesso”.

Occorrerebbe conoscere, oggettivandolo innanzi a sé, il proprio mondo istintivo, sino a scoprire in se stessi un secondo individuo, tessuto d’istinti, che tende continuamente a sostituirsi all’io, ossia a prendere il posto dell’essere spirituale vero.
Tale individuo istintivo non vive soltanto nella sfera della volontà inferiore, ma anche nei sentimenti incontrollati e nelle abitudinarie cerebrazioni, in tutte quelle attività mentali che si svolgono sotto il segno dell’automatismo.

Un suo modo di essere dominante è la paura, anzi si può dire che la paura è quella forza sottratta alla volontà cosciente, di cui esso si alimenta di continuo, per rimanere identico a sé: esso è infatti un possente conservatore di sé, non ha altro fine che vivere, ripetendo i medesimi movimenti.

Ma occorre notare che il fenomeno della paura non è quello in cui simile modo di essere si esaurisce, ossia la paura non si presenta soltanto come tale, ma normalmente si mimetizza in tutta la coscienza ordinaria, passando per la sfera del sentire nella quale si presenta come apprensione, sentimentalismo, antipatia, avversione, sino a giungere nella sfera mentale in cui assume la veste di critica negatrice, di dubbio, pigrizia intellettuale, pensiero materialistico.

La paura è la forza con cui l’individuo istintivo difende se stesso in noi.

Ciò spiega perché la contrapposizione ai propri istinti è una infeconda lotta, impostata su una inconsapevole finzione: è infatti una parte dell’anima compenetrata dalla paura che si contrappone all’altra parte in cui la paura e gli istinti congeniali direttamente si manifestano.

Occorre destare in sé le forze di una conoscenza che sollevi l’io all’altezza del suo vero dominio: una conoscenza che evochi nell’anima il terso splendore dello spirito.
Questo conoscere, esigendo un soggetto del suo compiersi, un soggetto realmente autonomo, in quanto conforme alle leggi del puro pensare e perciò con le stesse forze regolatrici del mondo, un simile conoscere, potenziandosi, è in grado di riassorbire in sé le energie che originariamente gli appartengono, ossia redimere il mondo degli istinti, riesprimendoli come veicoli della sua centralità e della sua libertà.

E’ chiaro che un simile conoscere è qualcosa di ben diverso da ciò che normalmente si intende con tale termine: esso fa appello a quel “pensare indipendente dai sensi”, a quel pensare vivente, a cui si è accennato in precedenti scritti.

E’ soltanto un’attività cosciente e affermativa del pensare che può isolare la coscienza centrale dalla invadenza degli istinti e da tutte le loro secondarie impressioni, da tutti i loro interni travestimenti.
Si tratta di opporre alle diverse forme ossessive, assunte in noi dagli istinti, una ossessione cosciente, ossia un monoideismo voluto.

Una conoscenza che sia mediata dal limitato pensare razionalistico, porta inevitabilmente a cercare gli impulsi della volontà non nel mondo spirituale da cui essi veramente traggono origine, ma nella sfera degli impulsi.
Questa è la tragedia dell’uomo attuale.
Il cosiddetto “uomo volitivo” dei tempi moderni è in sostanza soltanto un istintivo: la sua ostentata dinamicità è soltanto una apparenza di forza, che del resto risponde a un modello concepito secondo un’anima e una cultura prodotta dalla riflessità passiva della coscienza.

L’educazione del pensiero, la meditazione, coltivata secondo il metodo accennato, danno il modo di afferrare la coscienza centrale, quella in cui si può vivere effettivamente lo spirito, e di distinguerla dalla coscienza riflessa, intellettualisticamente in superficie, ma nella sua interna realtà tessuta di forze istintive.

Non vi è altra via per cessare di essere lo zimbello del gioco degli istinti, per divenire individui veri, per non cadere nell’autorecitazione moralistica e in tutte le analoghe ipocrisie.
L’uomo deve finalmente volere, non più per scambiare per sua volontà ciò che gli viene sotto varie forme del mondo istintivo: deve poter percepire la sua volontà prima che divenga istinto. Sino a creare istinti che gli obbediscano, in quanto obbediscono allo spirito in lui.
E’ evidente che questa stessa è la via della libertà, per l’uomo.

Massimo Scaligero

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6 pensieri su “IL DOMINIO DI SE’ (di M.Scaligero)

  1. “Una ossessione cosciente, ossia un monoideismo voluto”. Scaligero riscrive (quasi) la stessa frase in Magia Sacra: l’indicazione più scandalizzante e sintetica di cosa sia la concentrazione e l’impegno in essa.
    Dalla radicalità che si evince da ciò si è liberi di assentire o dissentire…
    …sempreché il rifiuto non sia effetto di affiliazione al culto di Cotito!

  2. Scusate la mia limitatezza: non mi è chiaro a cosa l’avverbio “intellettualisticamente” si rifierisca. Al distinguere? Oppure doveva essere un aggettivo di “coscienza riflessa” e quindi doveva forse essere “intellettualistica”? Oppure ancora si riferisce all’afferrare la coscienza centrale?

    Comunque sia volevo anche chiedere se qualcuno conosce abbastanza bene il lavoro di Coenraad van Houten, che da quanto so ha cercato di sviluppare un “metodo” per obiettivare e elaborare i propri doppi (utilizzando la terminologia da lui usata) partendo dall’osservazione della propria biografia. Vi siete formati un’opinione in proposito?

    • lapprendista, posso solo portarti una parte della mia esperienza riguardo Van Houten. Ho conosciuto i suoi libri in un momento particolarmente difficile e sono stati parte del mio percorso di “risalita” dagli abissi del dolore e dello scoraggiamento, per questo gli porto gratitudine. Ciò che scrive e descrive, nella mia ignoranza su tanti aspetti dell’ Antroposofia, è stato utile ad iniziare a mettere i tasselli al posto giusto rispetto alle esperienze che stavo vivendo e avevo vissuto. Ne ho tratto indicazioni importanti e utili per comprendere dove stavo mancando il punto, pur senza aver mai partecipato agli incontri che del suo metodo di lavoro sono la conseguenza. Credo che se si è adusi ad una certa spregiudicatezza, si possa imparare qualcosa da tutto e da tutti. Così come credo che alcuni siano più portati di altri a lavorare tramite la biografia o altro, dipende dall’ attitudine di ciascuno. Certo è che il lavoro tramite Concentrazione e relativi esercizi ritengo sia insuperabile, pur nella mia piccola esperienza. Tutto il resto rimane a costellazione, come in un giardino in cui ci siano tanti fiori e al centro una rosa. L’ insieme è bello e armonioso, ogni fiore ha il suo perché nel tutto, ma la rosa rimane tale, regina dei fiori.

  3. Ciao kiarodiluna,
    non ho mai trovato un immagine più bella per la concentrazione di quella che hai dato tu: come la rosa è la regina dei fiori e sarà sempre tale, così la concentrazione ed il lavoro sul pensiero, sono il percorso più fecondo e serio che l’anima possa fare sul cammino dell’iniziazione.
    La bellezza della rosa risplende nel giardino, il lavoro con e sul “pensare” illumina e trasforma l’anima.

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