Il Coraggio e la Consacrazione

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Il Coraggio e la Consacrazione

La disciplina dell’anima e la meditazione di cui si è parlato dovrebbero diventare motivo dell’esistenza quotidiana, presso il normale decorso della vicenda esteriore: dovrebbero essere la ispirazione di fondo, l’abitudine vitale, mentre ogni volta il superamento del limite raggiunto dovrebbe essere possibile oltre ogni prova, difficoltà, ostacolo. Non vi è ostacolo che così non possa essere superato: occorre volere sempre nell’unica direzione, senza sosta, sempre la medesima idea, il medesimo culmine, la solitaria altezza, con animo teso a spezzarsi, teso sino all’estrema possibilità, oltre se stessi, così che ogni dolore risorga come un puro sentire, ogni avversione divenga nulla, tutto l’effimero si stemperi e svanisca nella metafisica trasparenza di un mondo che è infine realtà: quello in vista del quale il mondo che si ha ora intorno è caotico, impossibile, illogico, senza direzione e senza speranza.                 

Massimo Scaligero 

Queste parole severe, austere, scritte oltre cinquant’anni fa nell’Avvento dell’uomo interiore, esprimono in maniera chiara e radicale quale debba essere l’atteggiamento interiore necessario a percorrere il sentiero spirituale e il clima dell’anima, nel quale si deve svolgere l’ascesi di colui che, sentendo il richiamo dell’Assoluto, vuole rispondere all’Appello del Mondo spirituale. L’ascesi interiore non è un’attività ricreativa o diversiva, volta a distrarre dalla routine o dalla noia di una vita quotidiana vuota e ripetitiva; non è un training o una ginnastica psichica, che debba far conseguire prestazioni eccezionali, per soddisfare la brama di vita e le velleità dell’ego; non è neppure un sedativo consolatorio o un narcotico che ci aiuti ad evitare, comodamente, le paure o le pene che la fatica di esistere, con indesiderata generosità, in abbondanza ci dona.

L’ascesi interiore, il sentiero della iniziazione ad una più alta vita spirituale, è una via eroica che vuole portare il discepolo ad una totale trasformazione dell’anima, tale da renderlo capace di rispondere all’Appello del Mondo spirituale. Per metterlo in grado di rispondere sinceramente e autenticamente a questo Appello, l’ascesi lo deve rendere forte – ma non si tratta della forza ordinaria – e lo deve rendere cosciente. Non è un training o una tecnica, è un sentiero sacrale e necessita dell’intenso clima conoscitivo, volitivo e morale descritto nelle parole dell’Uomo Interiore. È una Via – sacra – che deve rendere l’asceta tanto forte e cosciente da essere egli capace di attuare la consacrazione di sé.

La consacrazione di sé è la risposta all’Appello del Mondo spirituale. La consacrazione integrale di sé è l’unica risposta possibile a questo Appello: è l’unica possibile perché è l’unica sincera, l’unica autentica.

Questo Appello, questa chiamata, che si manifesta ormai con un’urgenza sempre crescente ed un’insistenza pressante che non hanno uguali nel divenire dell’umanità, richiede – esige – una risposta. È un Appello che, oggi, piú che come una chiamata, risuona, sempre piú alto e forte, come un drammatico grido d’allarme, come un incitamento impellente ad affrontare energicamente – e coraggiosamente – la battaglia suprema contro potenze antispirituali, la cui azione può rivelarsi fatale – o addirittura annientatrice – nei confronti dell’uomo.

A chi è rivolto questo drammatico Appello; chi è chiamato, in questo tragico momento, a dare la risposta risolutrice? L’Appello è rivolto all’Uomo e alle comunità spirituali.

È rivolto all’Uomo perché – prima che sia troppo tardi – egli si scuota dall’ubriacatura ottenebrante che lo lega ad un apparire effimero e illusorio, risvegli nel proprio cuore la memoria della sua essenza eterna, si ricordi della patria celeste dimenticata, della sua originaria grandezza spirituale da lungo tempo smarrita, divenga consapevole dell’alta missione legata al suo lottare terrestre – vita est militia sacra super terram – e affronti risolutamente, con coraggio, l’impresa affidatagli dal Cielo e dal Destino.

È nel cuore che deve risvegliarsi questa memoria celeste, ed è dal cuore che deve essere attinto il coraggio necessario a tanto ardua impresa.

Il Mondo spirituale rivolge questo Appello, questa chiamata, all’Uomo nella sua universalità e alle comunità spirituali, ma è l’individuo, il singolo uomo che deve rispondervi. La richiesta, l’invito alla compromissione interiore, è rivolta a ogni uomo, ma la risposta non è imposta ad alcuno: soltanto in libertà e per amore l’individuo, il singolo uomo – in una autonomia totale e in una solitudine interiore assoluta – sceglie di rispondere all’Appello dello Spirito, al richiamo dell’Assoluto, con la consacrazione integrale di sé.

Questa risposta al richiamo, questa scelta di compromettersi totalmente e definitivamente con l’Assoluto scaturisce dal coraggio del cuore, acceso dalla memoria celeste. È opera della intelligenza celeste del cuore che è, appunto, Intelletto d’Amore. Non può, quindi, non essere una via d’audacia e di dedizione: una via eroica d’Amore.

Che cosa impedisce, allora, all’uomo singolo di rispondere senza indugio a questo urgente Appello, che cosa fa sì che egli si sottragga, pavidamente e irresponsabilmente, ad un compito che, in maniera sempre più decisiva, l’incalzare degli eventi gli pone dinanzi e che le prove estreme esigono da lui di affrontare, senza concedere spazio al disimpegno, al procrastinare, alla fiacchezza, alla latitanza? È uno stato di profonda “ignoranza”, che in molti uomini si manifesta come una condizione di sordità e di ottusità del cuore, di offuscamento e di opacità dell’anima, di stordimento e di alienazione della coscienza spirituale. In tale condizione l’intelligenza celeste del cuore è paralizzata perché l’anima è tramortita, immersa in uno stato comatoso, come morta. Per cui si può dire che nell’uomo, che sia totalmente immerso nell’“ignoranza” – e sono i piú – è spenta la luce dello spirito, perché questo non conosce; è estinta e morta la vita del sentire, perché in tale stato di sordità e ottusità del cuore celeste nulla risuona; è inerte e paralizzata la forza del volere originario dell’anima, perché questa non ama. L’anima non ama, perché non sente e non conosce. Tradisce se stessa e il Cielo per viltà nata da ignoranza. E questo rinnegamento codardo ha conseguenze pericolose, letali, come letali sono le acque del Lete che procurano un oblio di morte.

Non vi è Sapienza o Conoscenza celeste senza Amore; non vi è Amore senza coraggio; non vi è coraggio senza fedeltà; né fedeltà senza consacrazione. Il compito, quindi, è quello di conquistare la forza di attuare la consacrazione di sé allo Spirito. Ma l’uomo, generalmente – anche se spiritualista – teme questa forza, come teme lo sforzo di conquistarla, e teme soprattutto la trasformazione totale dell’anima che l’attuarsi di questa forza comporta. Per cui egli si abbandona alla necessità e alla fatalità, siano esse d’ordine materiale o spirituale. Non concepisce, anzi evita di concepire, una possibilità diversa, attiva, responsabile e coraggiosa. Il piú delle volte immagina anche il Divino o il Mondo spirituale come qualcosa di necessario e di fatale. Desidererebbe che lo Spirito lo afferrasse o lo travolgesse, senza la sua iniziativa e senza la sua responsabilità. Il Divino lo dovrebbe assolvere dal faticoso compito di scegliere, di lottare, di realizzare: vorrebbe – anzi bramerebbe – essere posseduto dal Divino che dovrebbe funzionare in lui, al posto suo, in maniera meccanica, automatica.

Proprio questa è la viltà dell’uomo: la sua rinuncia a conoscere lo Spirituale autentico, l’abdicazione all’atto libero di essere coscientemente l’Io, il Soggetto autonomo, responsabile, del conoscere e dell’agire. È proprio da questa visione fatale e necessaria dello Spirito e del Divino che nasce l’anelito alla via egoica, ossia ad una via comoda che lasci indisturbato il dominio che la fatalità e la necessità hanno sull’uomo, dominio che non è del Divino o dello Spirito, ma delle potenze antispirituali che vogliono l’asservimento o l’annientamento dell’uomo.

La Via spirituale è la Via eroica, proprio perché l’asceta, mosso dall’intelligenza celeste del cuore, da Intelletto d’Amore, lotta contro la necessità e la fatalità, l’apparente onnipotenza degli Ostacolatori – che lo legano al divenire sensibile e al suo invadente risuonare nell’anima. Egli accetta che vengano messe nelle sue mani la responsabilità e le redini della sua esistenza esteriore e interiore, perché «delude gli Dei chi vuol dipendere dagli Dei», e quindi il suo andare avanti comporta un incessante lottare. Il lottare contro il sonno della coscienza, contro la seduzione ad abbandonarsi alla fatalità “naturale”, la rinuncia ad appoggiarsi ad una spiritualità tradizionale ormai esangue e spenta, lo portano ad essere un “lottatore contro la morte”.

«Qui si convien lasciare ogni sospetto; ogni viltà convien che qui sia morta». Non vi è piú aiuto o sostegno da verità già fatte o da regole trasmesse alle quali sia sufficiente conformarsi: si possono accogliere quelle verità o adeguarsi a quelle sapienti regole e restare tuttavia morti nell’anima, perché ci si aspetta che esse funzionino da sé, fatalmente o meccanicamente, come un fatto “naturale”, necessario, automatico. Tutto ciò è la morte dello Spirito, e contro questa morte, contro tutto ciò che è “naturale”, automatico, necessario, ripetitivo, abitudinario, deve imporsi l’atto dello Spirito. Non può non essere una lotta coraggiosa, risoluta, tenace, inesorabile, instancabile, malgrado tutto ciò che l’usura della quotidianità e l’“immane potenza del convenzionale” oppongono a questo atto dello Spirito: non può non essere una via eroica.

Nel suo stato di “ignoranza” non solo l’uomo non conosce, non sa, ma neppure sa di non sapere. Non soltanto non conosce la realtà spirituale del mondo e la propria essenza spirituale originaria, ma non sospetta neppure quanto il suo stesso atto del conoscere sia deformato e corrotto. Ignora lo spirituale che non conosce ed anche la propria incapacità a conoscere. In questa condizione ottusa spesso avvicina la Via spirituale, e fatalmente è portato ad accostarla con la stessa maniera “naturale” di conoscere che gli è abituale e che egli ritiene necessaria e ovvia. Questa maniera “naturale” di conoscere in realtà gli porrà ostacoli sin dai primi passi del cammino e spesso lo arresterà, facendogli ritenere che in fondo si tratti si solo di acquisire certe conoscenze o di “sapere” certe verità, lasciando più o meno immutato tutto il resto della propria natura. Le verità così acquisite da questo “sapere” nel tempo si accumuleranno, andando a formare nell’anima una sorta di stratificazione geologica di conoscenze morte. In taluni casi, specialmente nei primi tempi, il contatto con queste verità potrà accendere il sentire, che però tenderà rapidamente ad esaurirsi, dando luogo ad una superficiale emotività o ad una grigia e gelida intellettualità.

L’Appello del Mondo spirituale è rivolto all’individuo e alle comunità spirituali. Ma è il singolo che compie l’ascesi individuale solitaria e l’ascesi individuale compiuta ritualmente in armonia insieme ad altri, concordi a rispondere come lui al richiamo spirituale. È il suo agire che renderà sana ed efficace l’ascesi solitaria e l’azione rituale comune. Altrimenti opererà in maniera sterile, spesso distruttiva.

Il conoscere è vero e autentico quando trasforma colui che conosce, e la conoscenza spirituale è una conoscenza sacra: esige la consacrazione del conoscere e di colui che conosce. Il sentiero occulto comincia veramente quando ci si accorge non solo che non si conosce lo spirituale e non si è capaci di conoscere veramente, ma anche che, così come siamo, senza una radicale trasformazione, siamo incapaci di imparare a conoscere. La conoscenza spirituale – anzi tutta la conoscenza – deve diventare un Rito interiore sacrificale dell’anima e l’anima deve essere educata alla sacralità del conoscere. Per questo, il primo passo di questa educazione dell’anima è quello di imparare ad imparare. Una volta riconosciuta l’incapacità della conoscenza esteriore ad imparare, soltanto lo Spirituale può insegnare l’assolutamente nuovo: imparare ad accogliere la conoscenza vivente dello Spirito, in modo che nel discepolo che l’accoglie si operi una fecondazione e una trasformazione totale dell’anima. Tutto ciò richiede un sacrificio e una consacrazione: il coraggio di sacrificare il morto sapere, il coraggio di liberarsi del cascame del morto pensare intellettuale e la consacrazione dell’anima alla conoscenza vivente dello Spirito. Il discepolo apprende ad educare il pensiero ideante a farsi con amore forma del Soprasensibile, ad educare l’anima a venerare questa sacra operazione del conoscere. Questo Rito della resurrezione del conoscere dal cadavere della conoscenza morta viene incessantemente rinnovato, con fedeltà consacrata, nella concentrazione, nella meditazione, nello studio devoto della Sapienza Santa, oltre e malgrado ogni ostacolo, sino a far sorgere quel “coraggio dell’impossibile” che è richiesto nella prova suprema. Il secondo difficile passo è quello di realizzare la continuità di questa fedeltà consacrata nell’ascesi solitaria e nell’ascesi rituale comune. Essa deve vivere nel cuore e nell’anima come un intenso clima di devozione per la conoscenza, di appassionato slancio per l’ascesi, di amore per l’Assoluto. Ci è stato insegnato che il sentire è vero solo quando sente il Divino, e poiché il sentire che si accende per l’effimero e l’illusorio è la menzogna che oscura la luce dello Spirito, ottunde il cuore celeste e paralizza il volere, occorre sacrificare un’emotività che è la periferica, superficiale eccitabilità dell’anima a custodire, vegliando, il sentire celeste che, come una siderea fiamma, arde sull’altare stellare del cuore. Verrà un momento, cruciale, nel quale la consacrazione, la fedeltà, il coraggio, l’amore per l’Assoluto daranno la forza di compiere il terzo passo: quello di morire iniziaticamente: di affrontare per Amore – «zelus tuus devoravit me» – quella prova suprema di fronte alla quale si possa dire: «Il mio cuore non trema!».

La Via è difficile, ma anche l’attuale momento lo è. È un momento difficile ed estremamente pericoloso. Lo è per tutti: per i singoli, per i popoli, per le comunità spirituali. Non è concesso di rimandare ulteriormente l’affrontare prove dal cui esito dipende non solo l’ulteriore cammino, ma addirittura l’ulteriore esistere come esseri spirituali.

Questo è un mondo che, coinvolgendo in un apparire illusorio, erode a grande velocità le forze interiori dei singoli e disgrega le comunità spirituali, deviando gli uni e le altre verso quella via egoica, che è la via comoda della rinuncia a lottare per realizzare lo Spirito, quella dell’impossibile adeguamento dello Spirituale ai bisogni della pavida fragilità umana – che non sono i bisogni dello Spirito – che accetta una coesistenza pacifica col male purché gli Ostacolatori lascino indisturbati la torpida inerzia e il sonno comatoso di una “natura” che in noi non vuole saperne di trasformarsi ed attua ogni misura possibile per opporsi al proprio risveglio. Viene ad attuarsi cosí un patto scellerato con le Deità avverse nell’irragionevole speranza di essere poi risparmiati da queste, dopo aver disertato la lotta e aver tradito la propria anima e lo Spirito. Oltre che un’ingenuità questa è una menzogna distruttiva, un’illusione oltremodo pericolosa.

Il rispondere all’Appello del Mondo spirituale è la via eroica: è la via del coraggio e della consacrazione di sé. Questa consacrazione non può che essere integrale: nel pensare, nel sentire, nel volere. È un atto che richiede molta forza. L’ascesi costruisce in noi la forza che supera i limiti di una “natura” labile e paurosa. Ma occorre amare l’ascesi, amare la concentrazione e la meditazione, donandosi ogni volta ad esse con l’impeto e la dedizione di tutta l’anima.

Il rinnovarsi incessante di questa consacrazione è la fedeltà: fedeltà alla Via del pensiero vivente, fedeltà al Rito della resurrezione del conoscere che si attua ogni volta nell’ascesi individuale solitaria e in quella rituale comune. Il rispondere all’Appello dello Spirito è il coraggio della compromissione con l’Assoluto, è lo slancio d’amore al quale risponde a sua volta il Cielo, donandosi con la sua illimitata generosità.

Massimo Scaligero è stato, per taluni di noi, il Virgilio che ci ha tratto dalla selva selvaggia e dalla diserta piaggia; ci ha indicato il cammino alto e silvestro, percorrendo il quale è possibile passare da uno stato di tramortimento e di morte al risveglio spirituale, ad una vita nova dell’anima. Lungo questo aspro sentiero egli ci è stato esempio vivente di come sia possibile volere, comunque, realizzare lo Spirito, qualunque sia per noi il punto di partenza, inevitabilmente inadeguato. Ci ha insegnato che è necessario vivere vivi e non morti, che occorre vivere nello slancio, nell’impeto, nella dedizione assoluta, lottando con entusiasmo per la realizzazione di un’idea, per un ideale vivente, per un essere, per i quali si può con coraggio vivere, gioire, soffrire, compromettersi, anche morire. Che rinunciare a lottare per lo Spirito significa morire nell’anima; significa, per il più turpe dei motivi, per viltà, sentirsi indegni di vera vita.

Massimo Scaligero ci ha mostrato che alla disciplina interiore, alla concentrazione e alla meditazione possiamo dare tutto di noi, e che ad esse possiamo chiedere, per amore dello Spirito, le più audaci trasformazioni interiori. Questa disciplina interiore, l’ascesi del pensiero è la forza vivificante e la ragion d’essere della comunità spirituale, che non deve essere smarrita, non deve essere attenuata o appannata dalle menzogne fuorvianti – intellettuali o sentimentali – che gli Ostacolatori vorrebbero sostituire alla Verità dello Spirito.

L’ascesi del pensiero, la disciplina della concentrazione e della meditazione, sono la risposta all’Appello del Mondo spirituale. Esse attuano la consacrazione e la trasformazione radicale di sé: per questo sono la via eroica, la via solare, la via del coraggio e della fedeltà, la via dell’Amore.

2 pensieri su “Il Coraggio e la Consacrazione

  1. Grazie 1000, Hugo de Paganis,
    per questo tuo contributo. L’avevo trovato per la prima volta un anno e mezzo fa, altrove.E da allora, spessissimo, sento il forte bisogno di rileggerlo e di rimeditarlo.

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