Il sonno di Gesù -Fontana Lavinia-(Bologna 1552 – Roma 1614)
Anzitutto è necessario intendersi bene sui termini. O meglio su come certi termini si usano nella Scienza dello Spirito. Secondo la “teoria della conoscenza”, che sta alla base della Scienza dello Spirito, viene fatta una notevole differenza tra coscienza e autocoscienza, e, francamente, non è sempre agevole spiegare in poche parole semplici in cosa consista una tale differenza.
L’uomo comune, nell’ordinaria vita di veglia ha coscienza, ma raramente possiede anche autentica autocoscienza. E questo per l’immediatezza con la quale egli si identifica con la serie di esperienze sensorie, emotive, e istintive, dalle quali difficilmente distingue la propria attività pensante. Questa attività pensante è spesso un mero riflesso sia della sua esperienza sensoria, sia delle emergenze emotive e istintive, le quali emergono da zone ripettivamente sognanti e dormienti della sua poco consapevole anima.
Egli comincia ad avere “autocoscienza”, allorché con una energica azione volitiva nel pensare, si distacca sia dalla passiva esperienza sensoria, che da quella, altrettanto passiva, esperienza emotivo-istintiva. Diviene autocosciente nella misura in cui egli giunge a sperimentare sempre più nel pensare il momento dinamico del pensare e del percepire medesimo. Ma come ho avuto modo di dire in altro articolo, la cosa non è un immediato “dato” di natura – immediatamente “dato”, per la spontaneità con la quale la natura invera in lui l’ordinario percepire e pensare, gli ordinari sentire e volere. L’autocoscienza che si realizzi nel pensare e nel percepire, è il risultato di un volitisvo sforzo, di quell’addestramento interiore che gli antichi Greci avrebbero chiamato “àskesis”, e i Romani “exercitium”. Dunque, l’autocoscienza è il frutto – in un forma o nell’altra, di una certa Ascesi. Va da sé, come essa sia cosa ardua e tutt’altro che facile da conquistare.
Nel sogno – rigorosamente parlando – l’essere umano ha senz’altro “coscienza”, ma non ha “autocoscienza”, almeno non nel significato che la Scienza dello Spirito dà, secondo la propria teoria della conoscenza, a questo termine. Rudolf Steiner fa degli esempi calzanti nella sua Scienza Occulta di come nel sogno l’essere umano abbia coscienza ma non autocoscienza. Addirittura, si può avere nell’esperienza del sogno uno sdoppiamento della personalità, come per esempio quando nel sogno un insegnante pone una domanda alla quale l’allievo interroganto non sa rispondere, e alla quale risponde poi, invece, l’insegnante stesso. E’ ovvio che allievo e insegnante sono due diversi “alter ego” del sognante medesimo, il quale ha bensì coscienza delle immagini del sogno, ma non ha coscienza alcuna di come, da fonte ignota, tali immagini scaturiscano. Naturalmente per l’Iniziato, come per l’occultista avanzato, la cosa si pone diversamente. Ma stiamo parlando dell’uomo ordinario.
Nel sonno profondo non vi è, ovviamente, nessuna forma di autocoscienza, tuttavia vi è una forma ottusissima, estremamente attenuata di coscienza, tant’è che l’essere animico continua a svolgere funzioni vegetative e animali nelle profondità dell’organismo corporeo. Anche in questo caso, diversa è l’esperienza dell’Iniziato, e quella dell’occultista avanzato. Confermo la concretezza del senso di “beatitudine”, di “felicità”, che il sonno procura. Ne parla moltissimo un grande asceta dell’India – l’unico che abbia indicato l’esperienza dell’Io – Shri Ramana Maharshi, e lo fa in tutte le sue opere, e in moltissimi colloqui che di lui sono trascritti: è l’esperienza dell’ànanda, della beatitudine, cosciente nell’Iniziato e nell’Illuminato, incosciente nell’uomo comune, il quale però ne riceve come una sorta di risonanza nella vita di veglia, allorché questi si dèsta dal sonno.
Quanto all’esperienza scientifica autentica, essa – se condotta sino alle sue ultime istanze – conduce molto lontano dalle conclusioni del materialismo. Personalmente, vengo da una formazione scientifica. Mi si creda, quanto più si approfondisce rigorosamente la scienza, tanto più il materialismo appare quell’ingenuo, sciocco, dilettantismo che è.
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