(Aranceto di Ewa Niewadzi)
*
Dov’era l’essere Pianta d’arancio ‘A’ prima di essere pianta visibile e vegetante in questo vaso?
“Nel seme”.
E prima?
“Era nella pianta che portava il suo seme”.
E prima ancora?
“Nel seme della pianta che ha portato il suo seme”.
E così via, indietreggiando, essa era in un seme in cui erano tutte le piante d’arancio che l’hanno preceduta.
E prima ancora?
“Forse in altra pianta, non d’arancio, ma di una specie madre da cui sono uscite man mano forse (o senza forse) la specie degli aranci ed il primo seme di arancio, non specificato, meno arancio che quello d’ora e un’altra o più altre specie; ad esempio quella dei limoni o dei mandarini.
Ad ogni modo è chiaro e certo: che l’individuo Pianta d’arancio ‘A’ che mi sta davanti con la sua inalienabile forma, era se stessa meno quando era nel seme di arancio – e cioè forza involuta nel seme – e meno ancora quando era nella pianta da cui il suo seme è caduto; e ancor meno quando era nella pianta da cui è caduto il suo seme; e così via.
Procedendo a ritroso troveremo che la pianta, nel passato, era sempre meno personalmente se stessa che oggi. Questo infinito non essere suo, sempre attenuantesi (innullantesi), quanto più risaliamo alle origini, è il nulla, il suo primordiale nulla, da cui essa, inesserandosi, sorge. E in avvenire?
Se ieri era meno di oggi, oggi sarà meno di domani: domani sarà più di oggi sè stessa.
Perchè andare indietro non si può.
Ma pure, io la vedo morire.
Io, la pianta che ho qui davanti, la vedo: essa è se stessa più oggi di quanto era in seme – perchè più esplicata – e più di quanto era nella pianta sua madre.
Perchè?
Perchè, in sua madre, il suo essere era confuso con quello di moltissime altre piante d’arancio sorelle, e con quella di essa pianta sua madre; mentre questa vita è più solitaria: più sua.
Ed è precisamente di questa – sua – vita che muore, appunto perchè sua vita: anzi, è l’unica vita in cui possa morire: perciò è sua. La sua intimità è più raggiunta qui che nel seme, in cui era involuta, che nella pianta sua madre in cui essa era ancor più involuta. Questa sua vita – di cui muore – è devoluta alla produzione dei grani.
In questi grani essa è, perchè fatti della sua stoffa; come era prima, nella pianta sua madre e nei grani della pianta sua madre. Dunque i grani sono suoi: ma in questi grani che appartengono a lei, al suo vegetale organismo, alla vita sua, ferve la forza vitale della specie: in quei grani – oltre lei – vi è già tutto ciò che non è lei.
Dunque, come prima, la sua personalità si perde? Tutt’altro! Perchè mentre con le piante sue ascendenti essa era in rapporto da figlio a padre (e a nonno), cioè di atto a potenza – di mondo a chaos – qui con le piante sue discendenti è in rapporto inverso: di padre a figlio. Insomma, mentre nella pianta madre il suo essere era mischiato a quello delle altre, nelle piante figlie -nei grani- il suo essere è arricchito di altri esseri che essa crea (concrea) ed impronta di sè, pur avendo, con la sua vita, attinto alla fonte eterna della specie: nei suoi grani è discesa la forza genitrice della specie: ed è discesa grazie alla propria trasfusione nel seme.
Dunque la sua intimità, che essa viene acquistando con la sua vita, essa l’acquista ancora più con la sua morte (che è il suo organamento e disorganamento): ciò che la porta la formazione dei grani.
Perchè con ciò si fa producente.
Essa attinge per la sua vita-morte all’eterna specie, s’immerge in essa: vi muore: nell’atto di sgranare essa raggiunge la propria intimità immortale: perchè per mezzo dei suoi grani essa continua ad essere…
E’ vero che le piante d’arancio che sorgeranno dai suoi grani saranno altre piante d’arancio: saranno loro stesse: ma pure in loro essa persiste: e vi persiste – questo va fermato e inteso – in quanto è producente, in quanto si è fatta producente, cioè in quanto ha granato: si è congiunta con la sua essenza, la specie che è discesa in lei: verbum caro factum est et habitavit in nobis. Di vita s’è fatta datrice di vita: ha raggiunto la propria attività: la propria intimità (la propria solitudine): la propria intimità creatrice: perchè si è data, si è prodigata, e non ha neppure la compagnia delle proprie foglie e dei rami: del corpo materiale, di cui si è spogliata.
Da creata si è fatta creante.
Quello che accade nella pianta accade anche in noi.
Anche noi germiniamo: germiniamo parole vitali. E con ciò conquistiamo, come la pianta d’arancio, la nostra intimità creatrice: la nostra immortalità: ma siccome il privilegio dell’uomo è la coscienza della propria mortalità – il privilegio di vivere la propria morte – così è privilegio la coscienza della propria immortalità: cioè in lui è cosciente la persistenza nella propria essenza creatrice.
Come questa pianta d’arancio è incoscientemente – o molto meno coscientemente di noi – in tutte le piante d’arancio che vegeteranno dai suoi grani, ed in quelle che vegeteranno dai grani di quelle che sorsero prima dai suoi, come forza generatriva – vitamorendo, evolvendo in sè i grani si è fatta genitrice, cioè si è fatta compartecipe al creatore – così noi, facendoci creatori, partecipiamo, coscientemente, alla creazione: vivendo nell’infinito.
L’immortalità dell’uomo è cosciente, perchè la mortalità dell’uomo è cosciente.
Insomma: tu soppravviverai alla tua inevitabile morte (inevitabile perchè tu sei fatto di nulla, di morte: sei morte) in quanto avrai evoluto dentro te i tuoi grani immortali: in quanto avrai raggiunto dentro te il tuo Io immortale: partorirsi.
L’io separato è – per sè – nulla: ma diviene in quanto si nega: cioè in quanto muore ed accoglie in se l’universalità: in quanto si fa seme vivo.
Come la pianta d’arancio è, per sè, nulla, effimera, muore ma diventa in quanto evolve la propria semenza: ed in essa semenza essa soppravvive a se stessa.
Ora, la semenza umana è cosciente (noi elaboriamo la nostra semenza intima, cosciente: il nostro io spermatico, creatore) e la permanenza umana, nella creazione è cosciente… perchè morte e mortalità umane sono coscienti.
Ed è tanto più cosciente la propria immortalità in coloro in cui è più cosciente la mortalità, cioè in chi sa e vive il proprio morire.
________________________________________
🖋️