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E’ un nome che ricorre in conferenze del Dottore, nelle panoramiche dei mistici tedeschi, in trattati di alchimia, in genere nei testi volti all’esoterismo occidentale ma anche in libri editi da case editrici di espressione vaticana; parrebbe buono per tutti: ognuno prende un pezzo del suo mantello. Molto notevole per un calzolaio vissuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo.
Voglio tratteggiare qualcosa della sua figura.
Jacob nacque nel 1575 ad Alt-Seidenberg, villaggio nell’Oberlausitz, da contadini benestanti. L’educazione fu severamente religiosa e relativamente limitata.
Probabilmente poco atto a proseguire nel lavoro paterno, fisicamente impegnativo, a 14 anni fu mandato a bottega come apprendista da un calzolaio della sua città, rinomata per questo lavoro anche nei secoli successivi.
Ma (pare per il disgusto provocato dalle sconcezze e dalle bestemmie che riempivano la bottega) ben presto se ne andò, vagabondando per la Germania – aveva probabilmente 18 o 19 anni – sperimentando l’odio dilagante tra chiese e sette cristiane. E’ possibile che la continua visione di queste liti lo indussero ad una ricerca spirituale maggiormente volta all’interiore.
L’Occultismo racconta però una storia interessante: Un giorno, solo nella bottega entra uno sconosciuto e chiede un paio di scarpe. Il giovane gliene propone uno ad un prezzo più elevato del suo valore. Lo sconosciuto paga senza esitare ed esce. Poi, giunto nel mezzo della strada grida: Jacob! Vieni qui!” L’apprendista, sebbene spaventato che un estraneo conoscesse il suo nome, ubbidisce all’ingiunzione. Lo sconosciuto, presa la sua mano destra e fissandolo con occhi penetranti, gli dice con tono grave e pacato: ”Jacob, tu sei umile ma diverrai grande; diverrai un uomo diverso e stupirai i cuori degli uomini. Sii dunque pio, onora la parola di Dio, leggi sempre la Scrittura; vi troverai conforto e istruzione, poiché occorrerà che tu soffra molto. Ti troverai nel dolore e sarai perseguitato. Ma rimani costante, in quanto sei amato da Dio ed egli ti è favorevole”. Ciò detto, lo straniero gli strinse forte la mano e se ne andò. L’impressione rimase fortissima nell’anima del giovane che poco tempo dopo ebbe un’altra esperienza e furono poi il costume austero e la purezza che inquietarono i colleghi fino al licenziamento.
Probabilmente ardente ed inquieto si occupò lungamente della Bibbia, ma studiando poi opere di Paracelso, di Weigel, di Schwenkfeld e di altri alchimisti: opere assai diffuse nella sua epoca. Ciò che leggeva diveniva sempre più spesso occasione per lunghe meditazioni.
Dal 1594 al 1599 visse a Görlitz come garzone-calzolaio senza abbandonare la sua fatica interiore. Nel 1599 fu promosso “maestro calzolaio” e si sposò con una ragazza della città.
Visse la vita famigliare con armonia e affetto, ebbe sei figli. Con i risparmi comperò una bella casa che porta ancora oggi il suo nome e nulla trapelava del suo lavorio interiore, nemmeno con gli amici.
Nel 1600 ebbe una visione estatica, suscitata dalla luce del sole riflessa su un piatto di peltro (lucentezza gioviale) che svegliò il suo “interiore” ad una superiore chiarezza sui misteri delle cose.
Lasciò passare in silenzio altri 10 anni e solo allora, conseguente ad una fortissima illuminazione, scrisse delle sue visioni e concezioni nella sua prima (e forse più importante) opera: Morgenröte im Aufgang (L’Aurora nascente), dove, con abbondanti immagini alchemiche, descrive lo sviluppo interiore dal buio al Risveglio. Copiata a mano e rapidamente diffusa, l’opera cancellò la tranquilla vita esteriore di Böhme.
Iniziarono le persecuzioni. Le autorità cittadine, cedendo alle pressioni del parroco, lo imprigionarono ed il libro fu sottoposto ad esame. Poco dopo l’autore fu rimesso in libertà dietro la promessa di non pubblicare più nulla.
Promessa che il Nostro onorò per 5 anni, infine, sostenuto da amici, ammiratori ed eminenti studiosi, riprese la penna, pubblicando in successione, sino alla morte, una trentina di Opere.
Assorbito in questo lavoro ebbe a lottare per le difficoltà economiche e nel 1624 dovette fuggire dalla rinnovata campagna del parroco: si recò a Dresda dove in precedenza era stato invitato. Le autorità ecclesiastiche di Dresda, esaminate le sue Opere, non trovarono alcuna eresia e devianza dall’insegnamento ufficiale. Ma, poco dopo, deluso di trovare a Dresda un asilo sereno, tornò a Görlitz assai malandato. Morì il 17 novembre 1624 per un “attacco di febbri”, consolato dai cori angelici che riusciva ad udire.
Mentre la luce del piatto lo aveva portato al Centro della natura delle cose, la seconda esperienza fondamentale avvenne nei campi poco lontani dalla porta della Neiss a Görlitz, dove gli fu rivelata la Segnatura degli esseri: allora potè decifrare la Natura Interiore.
Di sfuggita, nel 1620, dimorò per tre mesi da un certo Balthazar Walter che, sembra, gli impartì insegnamenti segreti.
Sappiamo della sua veggenza da un fatto accaduto presso la famiglia von Schweinitz: il cognato di questi lo tormentò per ottenere una profezia: allora Böhme gli svelò tutte le frivolezze e turpitudini della sua vita.
Dopo la sua morte, gli insegnamenti proposti dai suoi libri dilagarono nella Slesia, in Sassonia, in Olanda e in Inghilterra, dove fu fondata la setta dei “Filadelfi”. Un altro gruppo, i “fratelli angelici” curò una magnifica edizione di tutte le sue opere. Alla fine del ‘700 lo studio di Böhme si intensificò: tra i suoi estimatori troviamo Schlegel e Novalis, mentre Schelling e Hegel parlarono di lui con ammirazione.
Mi sembra degno di nota il suo esser stato capace di continuare la sua grande opera spirituale senza abbandonare il proprio ambiente e il suo lavoro di calzolaio: è la dimostrazione di una non comune libertà interiore!
Böhme (la sua visione del mondo) non è particolarmente difficile. Innanzi tutto egli sostiene che la vittoria dell’idea sulla natura già esiste come trionfo ab aeterno di Dio. La maestà divina, come l’acqua di fonte che nel suo getto contiene la tendenza alla caduta, consiste nel contenere alla sua base la potenza delle tenebre.
Dio è il bene, ma non per la sua natura quanto ad un atto di volontà procedente dal suo essere eterno che gestisce la tensione di due opposti principi. Ciò poggia sull’idea, conferendole il dominio sulla natura ed il potere di trasformare l’oscurità in gloria d’eterna luce (e già qui si intende l’ammirazione di Schlegel).
Il male (è un punto cruciale in Böhme) non è assenza di bene ma è il polo che genera tensione necessaria al divenire del mondo: il principio di negazione coopera,sia pure in costante opposizione a Dio.
Vi sono tre mondi: quello divino (luminoso) in cui la natura e completamente sottoposta alla mente;
l’infernale (oscuro) che contrappone all’idea facendo regnare le forze della natura; quello terrestre (esterno) in cui bene e male, negazione e affermazione, caldo e freddo, Dio e Satana sono mescolati nella tensione.
Il concetto di “tensione” è predominante: nulla può nascere senza il contributo del Diavolo che si presta ai piani divini, animato dal desiderio del male e contro la sua volontà.
Da ciò, in Böhme, diviene carattere sia di tragicità, sia di completezza.
Dio è tutto: cielo e inferno, interno ed esterno: è il fondamento (Ungrund o Urgrund) originario di tutto: silenzio eterno non manifesto neppure a sé stesso in cui il male offre la possibilità del contrasto.
Ciò opera anche nell’uomo (microcosmo), essere dei tre mondi, accogliente i principi di tutti tre: però “libero” di realizzare o meno il trionfo del bene: con la rinascita e la redenzione l’uomo nuovo ritorna in Dio (in Cristo) avendo ucciso in sé il “vecchio Adamo”.
La radice di tutti i misteri è l’Ungrund o Urgrund (lett.: non base, fondo originario. In Italia tradotto come “Insondabile”, in Francia con S.Martin come “Abisso”).
Pare che Böhme “vedeva” in esso l’origine dei contrasti, dove la natura si scinde da Dio in 7 qualità contrapposte: essenzialmente sono unità e amore e la separazione e l’ira. Dualità anche presenti nell’uomo come contrasti tra bene e male.
Poi la lettura, al giorno d’oggi si fa difficile per la nostra estraneità all’uso dei termini alchemici (Sale, Zolfo, Mercurio sono, ad esempio i principi pervertiti dei tre mondi; l’iliaster è lo stato paradisiaco pre-naturale ma è, in certi contesti il fiattenebroso: terra di generazione del terzo principio; il salniter può essere divino o terrestre secondo l’origine che è in Dio o nella natura; il magnete è la cupidigia essenziale della natura, ecc.).
Böhme divise la sua attività in periodi distinti: Filosofia, Astrologia, Teologia.
Una delle sue più alte tesi fu che le forze naturali hanno, in ultima analisi, un carattere puramente morale. Il mondo fu creato quale rimedio ad un declino, poi diviene un equilibrio di forze, infine è la testimonianza della vittoria del bene sul male ed è a questo che dobbiamo tendere: “Perciò la parola d’ordine è: LOTTARE; non con la bocca o la spada, ma con lo spirito e con l’animo, senza cedere, seppure l’animo e il corpo si fiaccassero, affinché Dio resti a consolazione del cuore; e seppure taluno credesse che tutto il mondo sia empio, se vorrà diventare un figlio di Dio, cercherà d’esserlo con ferma costanza” (Sex Puncta Theosophica. X, 23).
Credo che il massimo elogio (in memoriam) lo ebbe da un altro grande: il mistico e poeta Angelo Silesio con questa quartina, che, per brevità, traduco in italiano.
Il pesce vive nell’acqua, la pianta sulla terra,
L’uccello vive nell’aria, il sole nel cielo,
La salamandra si mantiene nel fuoco;
Ma l’elemento di Giacomo Böhme è il cuore di Dio.
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