LO YOGA INTEGRALE DI SRI AUROBINDO (di F. Giovi)

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Avrei voluto scrivere una breve biografia di Aurobindo, che a buon diritto, andrebbe collocato tra le grandi figure spirituali della nostra epoca. Ma sono così tante le avventure che ne caratterizzano vita e percorso interiore che sarei stato per sei mesi a raccogliere qualcosa che potesse venir letto. Poi credo che altri abbiano già fatto un simile lavoro.
Mi sono accontentato di estrarre qualcosa da pochi suoi testi (Aurobindo ha scritto tanto) e mi era troppo difficile cercare le righe che mostrano una notevole consonanza con le esperienze fondamentali dell’ascesi antroposofica. Anzi, so che ci sono ma non sono riuscito a trovarle. Inoltre so bene che, per chi non ha sperimentato qualcosa nella meditazione, molte cose sembreranno vuote di significato. Eppure ogni parola sottende (seppure vincolata ad una lingua che considero poco adatta alle cose dello Spirito) una precisa esperienza. Ma nonostante una apparente semplicità, cari amici, Aurobindo passa sovente dalla terra all’infinito, come era sua abitudine.
Egli ha trattato di socialità, politica, storia e vita divina, attento anche a ciò che si muoveva in Occidente.
Io, come da mia abitudine, riporto solo qualcosa della pratica del suo Yoga Integrale.

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Yoga significa unione col Divino.

L’unione può essere trascendente (sovra universale) oppure cosmica (universale) oppure individuale.
Nel nostro yoga l’unione deve essere triplice. Ciò significa raggiungere uno stato di coscienza ove non si è più limitati dal piccolo ego, né dalla mente, né dalla natura vitale, né dal corpo: uno stato di coscienza ove si è uniti col Supremo o con la Coscienza universale o con una coscienza interiore profonda ove si percepisce la propria anima, il proprio essere intimo e la verità reale dell’esistenza.

V’è una forza che accompagna la crescita della nuova coscienza e che insieme cresce con lei e l’aiuta a nascere e a completarsi: questa forza è yogashakti. Quaggiù essa è ristretta e sopita in tutti i chakra del nostro essere interiore e, alla base della colonna vertebrale, è quella che i Tantra chiamano kundalini. Ma questa forza è anche sopra di noi, sopra la nostra testa e là non è né ristretta né sopita, ma sveglia, cosciente e possente, estesa e vasta. Là attende di manifestarsi e a essa (che è il potere della Madre) dobbiamo aprirci. Essa può legare ciò che in noi è più basso a ciò che è più elevato. Può manifestarsi in noi come una forza mentale, vitale e fisica, può scendere in noi e divenire un potere per l’azione. (Lights on Yoga)

L’essere umano è composto da vari elementi.
All’esterno il corpo fisico, l’essere vitale e la mente, che hanno anche una parte sottile e interiore.
Separato sta l’essere centrale che sostiene tutto e che è il Divino nell’uomo.
L’essere centrale ha due aspetti. In alto è il jivatman, l’essere vero, di cui si prende coscienza quando giunge la più alta cognizione di sé. Al centro è il chaitya purusha che sta dietro al corpo, la vitalità e la mente. Il jivatman sta sopra la manifestazione e la presiede, il chaitya purusha è presente dietro la manifestazione e la sostiene.
All’uomo esteriore la realtà resta celata. Egli la sostituisce con il senso dell’ego, che è una formazione momentanea della natura fisica, vitale e mentale. (Lights on Yoga)

Nella mente umana vi sono molti gradi. In basso una mente meccanica, oscura e agitata o inerte e stupida che ripete le idee comuni. Sopra v’è una mente che immagina, progetta e fantastica. Più sopra v’è la mente propriamente detta, quella che ragiona, considera, scopre: è la buddhi.
La nostra mente non è creatrice: è intermediaria. Per creare, deve ricevere dall’alto un’”ispirazione”, che la metta in moto.
La mente illumina soltanto la superficie delle cose e ha un ristretto campo di visione. Ma fuori dal suo cerchio vi sono infinite cose che la mente non può vedere. Non vede ciò che è sopra, ciò che è dentro, nemmeno ciò che è sotto. Vede la superficie, che non è mai la verità delle cose: alla superficie troviamo dei fatti e non la realtà, troviamo dei fenomeni e non la conoscenza.
La nostra coscienza s’identifica di solito con la mente, ma la coscienza mentale è solo il registro umano e non esaurisce i tanti registri della coscienza, così come il nostro occhio ignora le tante gamme di colore esistenti.
L’attività ordinaria della mente è d’ostacolo all’esperienza spirituale, così come l’ostacola l’ordinaria attività vitale o l’oscura coscienza del corpo.
Il tumulto dell’attività mentale va ridotto al silenzio. La conoscenza deve venire dall’alto affinché la calma e la pace possano essere complete. In questa calma le solite attività mentali divengono moti di superficie, con i quali l’essere interiore non ha più rapporto. E’ la liberazione necessaria per la vera conoscenza.
La mente ha molti difetti, troppi per essere tutti enumerati. (Letters, Bases of Yoga, The Synthesis of Yoga)
Arresta interiormente ogni pensiero e ogni parola, sii immobile dentro, guarda in alto nella luce e guarda fuori, nella vasta coscienza cosmica che ti attornia. Sii sempre più unito allo splendore e all’ampiezza. Allora dall’alto apparirà in te la Verità e ti penetrerà tutt’intorno. (Man a Transitional Being)
Non è facile entrare nel Silenzio. Restate tranquilli, non lottate con la mente, non fate sforzi. Se la mente resta attiva, guardatela indietreggiando, senza giudizio interiore, finché le attività mentali, comuni o meccaniche, cominciano a tacere, non più sostenute dall’interno.
Il Silenzio non significa assenza di esperienze. E’ un silenzio e una calma interiori in cui tutte le esperienze possono venire, senza disturbare.
Nel silenzio non si devono respingere le immagini che si elevano in voi. E’ un segno che i piani di coscienza mentale interiore, vitale interiore e fisico sottile si stanno socchiudendo.
Nel silenzio giunge la vera conoscenza, nel silenzio è la saggezza. (Letters) (vedi anche la mia nota sulla Fattibilità dell’esperienza interiore)

La discesa dall’alto è la via decisiva dalla quale vengono la pace e il silenzio.
Talvolta il sadhak non se ne rende conto: sente la pace stabilirsi in lui o almeno manifestarsi, ma ignora come e donde è giunta. Tutto ciò che appartiene alla coscienza superiore viene dall’alto; non solo la pace e il silenzio spirituali, ma anche la luce, la potenza, la conoscenza, la visione ed il superiore pensiero, l’ananda.
Ma, fino ad un certo punto, è anche possibile che tutto quanto sorga dall’intimo: ciò avviene perché il chaitya purusha, al centro di noi stessi, è aperto direttamente all’alto e così la coscienza superiore dapprima scende nel cahitya purusha e poi si manifesta nel resto dell’essere o anche perché il chaitya purusha passa in primo piano.
Comunque, le due vie sovrane della siddhi dello yoga sono o una discesa dall’alto o una rivelazione interiore.
Invece gli sforzi della mente superficiale o delle emozioni possono far credere d’aver raggiunto qualcosa, ma i risultati sono sempre incerti e frammentari, se comparati a quelli delle due vie radicali.
Perciò nel nostro yoga insistiamo sulla necessità di “aprirsi”, affinché la sadhana rechi i suoi frutti: aprirsi verso l’alto ossia sovra la mente (overmind e supermind), verso il jivatman e aprirsi alla parte più profonda in noi, verso il chaitya purusha.
Il centro più elevato è nella testa, il centro più profondo è nel cuore, ma il centro che si apre direttamente al Supremo è sopra la testa, del tutto fuori dal corpo fisico, nel sottile, sukshma sharira.
Entrarvi è essere liberato dall’ego. (Lights on Yoga)

Nella nostra sadhana le due cose più importanti sono l’apertura del centro del cuore e le aperture dei centri della mente a tutto ciò che è dietro e sopra di loro. Infatti il cuore si apre al chaitya purusha e i centri mentali si aprono alla coscienza superiore di jivatman. La congiunzione dei due è il mezzo principale per ottenere la siddhi.
Le aperture si ottengono con la concentrazione. Di solito la coscienza si spande e corre da per tutto. Per conseguire qualsiasi cosa di una certa importanza, ci si deve concentrare su di un pensiero o su un sentimento.
La prima apertura (concentrazione nel cuore) si attua con un appello al Divino perché si manifesti in noi e perché, tramite chaitya purusha, si impadronisca dell’intera nostra natura e la diriga. L’aspirazione, la preghiera, la bhakti, l’amore, la dedizione sono i principali sostegni di questa parte della sadhana, insieme al rigetto di quanto ci sbarra la strada verso quello a cui aspiriamo.
La seconda apertura si attua con la concentrazione della testa ed il sostegno è aspirazione, richiamo, ferma volontà di far scendere nell’essere la pace, la potenza, la luce, la conoscenza, l’ananda divini: da prima la pace o la pace e la forza insieme. Bisogna accogliere favorevolmente tutto ciò che scende, poiché non v’è regola unica per tutti. Ma se la pace non è venuta per prima, bisogna stare attenti a non inorgoglirsi in un’esaltazione vanitosa, stare attenti a non perdere l’equilibrio.
Infatti spesso accade che la natura inferiore sia stimolata e eccitata dalla discesa e voglia mettersi in mezzo, distogliendo la forza a suo profitto. Capita anche che una o più Potenze, di natura non divina, vogliano farsi credere il Signore supremo o la divina Madre. Se vi si consente, ne derivano conseguenze davvero disastrose.
Se invece il sadhak dà il suo consenso solo al lavoro del Divino e s’abbandona solo alla sua direzione, allora tutto può svolgersi armoniosamente. (Lights on Yoga)

V’è uno stato in cui il sadhak è conscio della forza divina che opera in lui, o almeno dei suoi risultati, e non ostruisce la discesa con le proprie attività mentali, con la turbolenza vitale o con l’inerzia fisica. Per aprirsi il mezzo migliore è samarpana (in inglese surrender, ossia sommissione, dedizione, consacrazione). Samarpana è consacrare al Divino tutto ciò che si è e che si ha, non cercare di far prevalere le proprie idee, le proprie abitudini, i propri desideri, ecc., ma di permettere alla verità divina di sostituirli da per tutto con la sua conoscenza, la sua volontà e la sua azione.
Restate sempre connessi con la forza divina. Lasciatela compiere la sua opera.
Ovunque necessario si impadronirà delle energie inferiori e le purificherà o, in altri momenti, ve ne sbarazzerà e le sostituirà. Non lasciate che la vostra mente governi, discuta, determini ciò che occorre fare: perdereste il contatto con la forza divina e le energie inferiori riprenderebbero a agire per proprio conto e tutto diventerebbe movimento falso e confuso.
Il dono di sé o sommissione (samarpana) è richiesto a quanti praticano questo yoga, poiché senza tale progressiva consacrazione dell’essere, è del tutto impossibile avvicinarsi al nostro fine.
Nei primi tempi della sadhana, e con ciò non intendo dire un periodo breve, lo sforzo individuale è indispensabile. La sottomissione non si ottiene in un giorno. La mente ha le sue idee e vi si aggrappa, la natura vitale si oppone, la coscienza fisica è come una pietra. Solo chaitya purusha sa come consacrarsi ed esso al principio è generalmente molto velato. Quando si sveglia, conduce a una sommissione brusca e verace dell’essere intero. Fino ad allora lo sforzo è indispensabile. (Ligths on Yoga)

Rientrare totalmente in se stesso, per avere esperienze e trascurare l’azione, il lavoro, la coscienza esteriore, è uno squilibrio da un solo lato della sadhana. Il nostro è purna yoga (Yoga totale, integrale).
Ma il gettarsi all’infuori, vivere unicamente nell’essere esteriore, è anche squilibrarsi da un solo lato della sadhana.
Tutto dipende dallo stato interiore: l’azione esteriore è utile soltanto come mezzo per esprimere lo stato interiore, per renderlo efficace e dinamico.
Se fate o dite una cosa con il chaitya purusha predominante o con l’appropriato contatto interno, la cosa sarà efficace. Se fate o dite la stessa cosa sotto impulsi mentali, vitali o in un’atmosfera cattiva o torbida, la cosa sarà inefficace. Per fare una cosa vera, nel vero modo, bisogna trovarsi nella coscienza vera. Ciò è possibile nel modo crescente se chaitya purusha predomina e se l’essere intero è volto verso la Madre divina.
Quando potrete avere costantemente la percezione di un essere interiore calmo, mentre la mente superficiale svolge il lavoro, allora comincerà l’unione divina nell’azione. (Lights on Yoga)

Quando ananda viene in voi, è il Divino che entra. Ananda è più che la pace o la gioia: è la natura stessa del Divino supremo. Ananda può scendere con irruzione o frequenti discese o parzialmente o per un momento. Ma non può persistere in noi, se non siamo preparati. (Letters)
Non a tutti è dato di contenere e sopportare l’estasi possente della felicità divina. Solo coloro che sono stati bruciati dalle pene terrestri, dai calori cocenti della vita possono sopportarla senza esserne spezzati, mentalmente o fisicamente. Il vaso di terra non indurito dal fuoco, non può trattenere questo vino: si rompe e lo perde. Per poterlo contenere anche il nostro organismo deve essere preparato dai dolori e averli conquistati. (Arya, luglio 1915)

Lo yoga non è un campo di dissertazioni o d’argomentazioni mentali. Non è limitato alla mente che deve tacere.
Lo spirito del dubbio, dubita sempre: perché ne trae piacere. Esso adopera la mente come mero strumento per dubitare. Ribattere continuamente ai dubbi è del tutto vano, perché lo spirito del dubbio cerca solo se stesso e riappare perpetuamente.
La ragione non è una conoscenza che conosce, ma un’ignoranza che discute. (Letters)
Quando la pace del Supremo scende in voi, quando la Presenza divina è in voi, quando ananda si precipita su voi come una marea, quando la forza divina soffia trasportandovi come foglia al vento, quando l’amore universale fiorisce in voi e si spande in tutta la creazione, quando la conoscenza divina vi illumina e in un baleno chiarisce quanto era prima triste e cupo, quando tutto ciò che è intorno, tutto quello che vedete, udite, toccate si trasfigura nel Supremo, allora non potete più dubitare o negare, come non si nega la luce del giorno, l’aria o il sole nel cielo: solo nella fulgurea esperienza del Divino v’è certezza. (Letters)

La trasformazione della coscienza terrestre in coscienza divina è decretata e infallibile: la coscienza terrestre non ha terminato la sua ascensione e la mente umana non ne è il culmine finale.
Affinché la trasformazione avvenga, prenda forma e duri, occorre dal basso un appello e dall’alto il consenso del Supremo. La Potenza che sta tra l’appello ed il consenso è la Madre divina. Ella sola può infrangere il coperchio, strappare il velo, preparare il vascello e condurre in questo mondo d’oscurità, di menzogna, di dolore e di morte, la verità, la luce, la vita divina e l‘ananda degli immortali. (The Mother)

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