AMOR VERITATIS. PARTE QUARTA.

Recentemente, chi scrive ha avuto modo di leggere quanto apparso in internet su un notissimo social forum in alcuni post, normalmente a me inaccessibili in quanto ʽbannatoʼ – come oggi usa dire da parte dei ʽnavigatoriʼ della mediatica ʽreteʼ – da colui che aveva pubblicato i suddetti post. Su tale noto social forum, ed anche altrove, chi scrive ha avuto lʼonore di esser ʽbannatoʼ da varie persone, nonché coperto dʼinsulti, pubblicamente diffamato, e persino minacciato per aver disvelato e documentato varie scomode verità, che si intendeva tener ben celate, nonché menzogne ed azioni non proprio ʽcommendevoliʼ, la cui conoscenza, resa pubblica, avrebbe oltremodo imbarazzato chi indossava una ingannevole maschera per nascondere un volto davvero poco raccomandabile. Ma, nel caso qui in questione, il ʽbandoʼ è stato facilmente superato grazie al provvido ausilio di mano amica – che qui vivamente ringrazio – la quale ha voluto trasmettermi quanto ivi pubblicato, chiedendomi che cosa mai io ne pensassi in quanto la lettura aveva avuto per lei lʼeffetto di renderla alquanto perplessa. In effetti, detta lettura ha avuto lʼeffetto di ʽperplimereʼ – come direbbero coloro che si sforzano di parlare in maniera particolarmente involuta e difficile – non poco anche chi qui scrive.

Ma siccome testi sapienti ci invitano a cercare e rinvenire elementi positivi in ogni evento, in ogni manifestazione, trasformando tutto, persino eventuali difficoltà e stridenti difformità e contraddizioni, in preziose occasioni di lavoro interiore e di conoscenza, mi son messo diligentemente in cerca del positivo e devo dire chʼessa si è rivelata oltremodo interessante, e soprattutto fruttuosa. Prima di tutto, mi son ben letto più volte quanto pubblicato il 3 febbraio scorso sul detto social forum, ove appaiono le foto di quanto venne a sua volta pubblicato in maniera anonima su una rivista romana, che vorrebbe richiamarsi al pensiero di Massimo Scaligero, da parte di colui che su questo animoso e temerario blog uso, da svariati anni, chiamare lʼInnominato. Lo chiamo, scherzosamente, così perché costui non firma mai i lunghi e concettuosi articoli di apertura dei vari numeri della rivista, nei quali ho avuto spesso occasione di rilevare non pochi elementi ʽperplimentiʼ o ʽperplettentiʼ, che dir si voglia.

In tale articolo di apertura della suddetta rivista romana, intitolato «Ai lettori» e apparso nel dicembre dello scorso anno, lʼInnominato comincia con lʼesporre tutta una serie di norme legali in materia di diritti dʼautore, circa le quali non vi sarebbe, sia chiaro, in linea generale, nulla da obbiettare se non alcune peculiarità, che lʼautore del suddetto articolo si guarda bene dal mettere in evidenza. Per esempio, egli afferma che:

«… spetta allʼautore dellʼopera, ovvero a chi lʼabbia in seguito acquisito nei modi consentiti dalla legge, il diritto di pubblicare e riprodurre, in qualsiasi forma, lʼopera stessa, inclusa la corrisponenza epistolare». 

Ciò è inesatto. Per quanto riguarda la corrispondenza epistolare, lʼInnominato può legalmente pretendere una legittima proprietà del diritto dʼautore unicamente per la parte di corrispondenza effettivamente in suo possesso, nel caso in cui essa sia stata realmente acquisita «nei modi consentiti dalla legge», come egli stesso scrive. Ma le lettere, e quantʼaltro possa essere considerato corrispondenza, è per legge possesso di chi le riceve, il quale ha il diritto di farne – a suo libito – lʼuso, se si vuole anche criticabile, che costui meglio crede. E, questo, lʼInnominato lo sa benissimo, ma si guarda bene dal farlo presente.

Infatti, tanto per citare un caso concreto, Massimo Scaligero trascriveva ogni anno, a moʼ di diario, suoi pensieri e considerazioni interiori di natura ascetica, su vecchie agende, e alla fine di ogni anno li consegnava ad Alfredo Rubino, del quale Massimo Scaligero si fidava in maniera esclusiva, affinché questi li facesse pervenire in maniera sicura nelle mani di Marina Sagramora. Questa era la volontà certa ed esplicita di Massimo Scaligero, e di tale volontà mi sono più volte sincerato interrogando personalmente Alfredo Rubino, il quale ogni volta del fatto mi ha dato ampia, identica, conferma. So che, a suo tempo, lʼInnominato li richiese – anzi li volle perentoriamente esigere – da chi, per volontà di Massimo Scaligero, aveva ricevuto quei ʽdiariʼ, accampando – a suo dire – diritti di esclusivo possesso sui medesimi, nonché quelli di una loro eventuale pubblicazione. Ma si trattò di un mero bluff e, giustamente, la consegna di quei preziosi ʽdiariʼ – richiesti, peraltro, in modi che la mia amica Fang-pai, Figlia del Celeste Impero e Maestra del Dharma, giudicherebbe, sin troppo caritatevolmente, ʽinappropriatiʼ, tanto erano poco ʽurbaniʼ – giustamente fu rifiutata. Io stesso ho delle lettere di Massimo Scaligero, da lui indirizzatemi in anni ormai lontani della mia giovinezza, ed esse sono mio esclusivo possesso, e posso farne lʼuso che giudico più opportuno e giusto. Checché ne dica o ne pensi lʼInnominato, le cose stanno esattamente così, ed anche questo egli lo sa benissimo.

Poi lʼInnominato aggiunge, dando una interpretazione pro domo sua, ossia affatto personale, partigiana e palesemente ʽinteressataʼ, di un articolo della medesima legge:

«Va precisato che la mera cessione di uno o più esemplari dellʼopera «non importa la trasmissione del diritto di pubblicazione e riproduzione (v. art. 109, legge cit.)», onde a coloro a cui Massimo Scaligero avesse donato o lasciato a qualsiasi titolo propri quaderni, diari, scritti in genere, non hanno perciò solo acquisito il diritto di pubblicarli e riprodurli».

Naturalmente, anche ciò è inesatto, anzi è proprio un palese bluff la parte dellʼaffermazione dellʼInnominato enunciante la sua personalissima, e contestabilissima deduzione e interpretazione della legge, ossia che:

«… onde coloro a cui Massimo Scaligero avesse donato o lasciato a qualsiasi titolo propri quaderni, diari, scritti a qualsiasi titolo, non hanno perciò solo acquisito il diritto di pubblicarli e riprodurli».

Nessuno, infatti, contesta che se Massimo Scaligero mi avesse donato uno dei suoi libri pubblicati – e me ne ha donati tantissimi – non per questo io avrei acquisito il diritto di pubblicarli a mia volta. Ma per quel che riguarda la donazione da parte sua di lettere, scritti autografi, o diari, le cose non stanno affatto come sostiene lʼInnominato, con la sua affatto ʽpartigianaʼ interpretazione della legge.

Dopo un cotal exploit di indubbia abile sapienza giuridica, lʼInnominato estensore dellʼarticolo di fondo apparso nel numero di dicembre della rivista romana, passa a fare – dandone, col suo consueto stile, più volte una fredda ed una calda, e viceversa – alcune apparenti, a mio modo di vedere molto infide, ʽgeneroseʼ concessioni, con lo scrivere:

«Fatta questa doverosa premessa, va detto che lʼAssociazione non ha alcuna pregiudiziale preclusione a concedere il diritto di pubblicazione e di riproduzione degli scritti di Massimo Scaligero a chi volesse con serietà e responsabilità contribuire al còmpito che la Tilopa edizioni e la rivista Graal si sono assunto. Tuttavia, è necessario che siano rispettate due ineludibili condizioni: la prima è che la pubblicazione e la riproduzione di questi scritti avvengano nel rispetto della legge sul diritto dʼautore e di quello dellʼeditore, posto che: «Occorre partire dallʼobbedienza alle leggi, per meritare di trasformarle»; la seconda è che la pubblicazione e la riproduzione avvengano con mezzi e in forme confacenti ai contenuti veicolati dallʼAutore, ciò che esclude in radice che possano effettuarsi a mezzo della rete internet. E ciò andrebbe esteso ad ogni contenuto analogo a quelli di cui si tratta, anche se di altri Autori pubblicati da Tilopa».

Anche su questo, in linea di principio, non vi sarebbe nulla da eccepire, tanto più che qui lʼInnominato vuol farsi forte di una citazione di Massimo Scaligero tratta da Il pensiero come anti-materia, Perseo, Roma, 1978, p. 120. Certo, il discorso è formalmente corretto, ma chi conosca quanto lo stesso Massimo Scaligero abbia lottato per una intera vita contro ciò che si presenta formalmente e dialetticamente corretto, pur essendo vuoto di contenuto, o addirittura rivestente un celato contenuto che invece è il contrario della verità – nellʼultimo, mensile, incontro rituale di meditazione, da me varie volte evocato su questo blog, il 25 gennaio 1980, ossia poche ore prima che ci lasciasse, egli ci fece ben avvertiti che «Arimane mente anche dicendo la verità» – non può farsi così ingenuamente ingannare da un tale sin troppo facile sofisma. Viviamo in un paese nel quale son spesso correnti due particolari azioni: in primo luogo, lʼeludere la legge compiendo azioni illegali e riprovevoli, avendo cura di tenerle ben celate, e, in secondo luogo, il servirsi della stessa legge come copertura e persino strumento di eventuali azioni illegali e riprovevoli compiute. questo, naturalmente, detto in linea generale, per così dire, in ʽvia di principioʼ, senza attribuzione veruna al caso specifico che qui ci riguarda. 

Di ciò, oramai, non vi è più di che stupirsi, ché purtroppo fa parte di un mal costume corrente in molti ambienti, non solo in Italia. Dovrebbe stupire – ed invece, purtroppo, la cosa non stupisce più chi abbia occhi per ʽvedereʼ – come tale mal costume sia abbondantemente presente in ambienti che si dicono ʽspiritualistiʼ, siano essi religiosi od esoterici. In oltre cinquantʼanni di Scienza dello Spirito, nonché in precedenti anni passati seguendo Vie orientali, chi scrive può dire di averne viste davvero di tutti i colori: menzogne, furti eseguiti con destrezza e compiuti direttamente o fatti compiere su commissione, comportamenti omertosi e spergiuri in aule di tribunale attuati per coprire persone e gravi fatti delittuosi, persino terroristici, forme di ʽpirateriaʼ elettronica violando come hacker siti internet altrui, indebita appropriazione e sparizione di documenti che dimostrerebbero il buon diritto altrui, indebita appropriazione di fondi di Enti o Istituzioni pubblici, persino lo scassinare una porta e il sostituire il cilindro della chiave di uno studio, e via dicendo. Anche questo, naturalmente, sia ben chiaro, ripetuto in linea generale, per così dire, in ʽvia di principioʼ, a mo’ di esempio di casi correnti, senza attribuzione alcuna al caso specifico che qui consideriamo. Un tale deprecabile mal costume – giova ribadirlo – purtroppo si è verificato anche nellʼambiente di coloro che il mio amico C., coraggioso e valente asceta dʼaltra dottrina, mio grande amico, e compagno d’armi di tante aspre battaglie, chiama, con simpatico umorismo, ʽscaligeropolitanoʼ. Naturalmente, gli autori di comportamenti così poco encomiabili, son sempre pronti a giustificare, con abile formale dialettica, con una alluvione di argomenti ʽvalidiʼ, come tutto ciò, in definitiva, sia stato compiuto in nome di un eccellente fine più alto. Ma come dicevano, in tempi lontani, in Cina, Maestri del Tao come Lao-tzu e Lü-tzu, e come riaffermano, in tempi più recenti, Massimo Scaligero, e, di nuovo, la mia amica Fang-pai, ella pure, nobile Figlia del Celeste Impero, nonché sapiente Maestra del Dharma: «Il mezzo ingiusto rende iniquo il fine giusto».

Su di un tale disinvolto machiavellico sofisma, Massimo Scaligero si espresse più volte – sia per iscritto che oralmente – con parole veramente di fuoco. Per esempio, in Reincarnazione e Karma: Il ritorno sulla Terra come legge di equilibrio, Edizioni Mediterranee, Roma, 1976, pp. 193-195, egli così scrisse:

«Un principio della strategia della menzogna oggi dominante il mondo, secondo una direzione anti-karmica, e perciò sollecitante le forze del karma più severamente pareggiatrici, cioè demolitrici delle strutture che sono alla base della menzogna, è la persuasione che «il fine giustifica i mezzi». A questa massima va opposta quella del saggio cinese Lutzu: «Il mezzo ingiusto rende iniquo il fine giusto»: massima conforme alla realtà obiettiva del mondo, cioè alla sua struttura morale, e perciò alla dinamica delle leggi del karma.

Non esiste un fine che giustifica i mezzi, perché ciò che, secondo tale presunzione, sembra un fine, in realtà non è tale: non sta dopo, ma prima. Un valore che nel suo contenuto primo non ha il potere di suscitare le proprie necessarie mediazioni, per tradursi in realtà, non può essere un ideale verso cui si procede, bensì un presupposto a cui ci si subordina, senza possibilità di giudizio libero, perché non viene da una scelta cosciente, bensì dal dominio di quel che preventivamente si preferisce. Ciò che si preferisce senza coscienza critica, scaturisce sempre – salvo rare eccezioni – dalla natura animale. Il giusto fine esclude il mezzo ingiusto: quando esige tale mezzo, è un fine falso, cioè un falso ideale, perché gli è giocoforza attingere al livello a cui realmente appartiene, allʼanima senziente, dominata dalla natura animale. Se il fine fosse giusto apparterrebbe al livello della chiara coscienza, alla cui altezza è illimitata la serie dei mezzi pertinenti, cioè giusti, possibili ad una libera scelta. Il più desolato equivoco morale è legato alla norma «il fine giustifica i mezzi», perché muove dalla presunzione che il fine sia giusto e non il presupposto ingannevole, lʼillusoria persuasione, il pregiudizio, la superstizione, il credo fanatico, lʼidolo mentale, l’ossessione ideologico-nevrotica, il contenuto psicotico.

Allorché un risultato apparentemente positivo viene conseguito con mezzi illeciti, è inevitabile che la sua struttura sia precaria, perché manca di interna architettura di forze. Le autentiche forze architettoniche sono sempre forze morali».

È noto come la cinica norma machiavellica, affermante che «il fine giustifica i mezzi», sia stata fatta sua dalla mai troppo infamata Compagnia – come la epitetava il pitagorico Giulio Parise, amico sin dalla sua gioventù di Massimo Scaligero – sia come principio teologico giustificante che come metodo di azione efficace: il tutto ad maiorem Romanae Ecclesiae gloriam, naturalmente. Si conosce bene quanto i militi della suddetta mai troppo esecrata Compagnia abbiano operato, adoprando i mezzi più sozzi e subdoli per infangare la figura di Rudolf Steiner, ostacolare la diffusione del suo pensiero, e distruggerne lʼOpera. Ho già avuto modo scriverne diffusivamente su questo temerario blog. Ben sapendo di dire il falso, come ho ampiamente documentato, essi scrissero che Rudolf Steiner aveva studiato in seminario, che era un prete spretato, e durante la seconda guerra mondiale, con lʼItalia occupata dalle truppe germaniche, i militi della suddetta non certo molto stimabile Compagnia, chiesero al comando germanico la messa al bando e la distruzione delle opere di Rudolf Steiner, asserendo – sempre mentendo sapendo di mentire – chʼegli fosse di sangue ebraico. Conosco questa vicenda – e ne do, assumendomene tutta la responsabilità, aperta testimonianza – dallʼavermene parlato lo stesso Massimo Scaligero, il quale mi descrisse quanto, con coraggio ed indubbia abilità, a mio giudizio, egli allora fece, con una azione ad hoc, per scongiurare una simile iattura. A ciò potrei aggiungere la spietata persecuzione «antigraalica» attuata – servendosi appunto degli strumenti della legge – da militi di sì nefasta Compagnia nei confronti dello stesso Massimo Scaligero.

E, visto che stiamo trattando di vicende editoriali, è arcinoto negli ambienti occulti come proprio la perfida azione della machiavellica Compagnia, nel 1958, riuscì – usando mezzi assolutamente legali – a portare al fallimento ed alla chiusura la benemerita casa dei Fratelli Bocca Editori, che tanti libri di Rudolf Steiner aveva pubblicato e diffuso in Italia. Anche questa triste vicenda, oltre che dal mio amico L., mi fu ampiamente più volte descritta, sin dai primi incontri, da Massimo Scaligero. Chiunque può vedere quanto potesse esser ʽnobileʼ il fine che quei diligenti militi si proponevano di conseguire, impadronendosi delle azioni di detta casa editrice, ritirando dalle librerie le copie delle opere di Rudolf Steiner, e portando al fallimento una storica e tanto benemerita casa editrice.

Il metodo è sempre quello di impadronirsi di beni materiali per attuare i propri moralmente discutibili fini, non certo ʽnobiliʼ e ʽspiritualiʼ. Perché, in definitiva, come diceva il santo vescovo e martire Cipriano dʼAntiochia, di fronte a cotanta gesuitica spregiudicatezza, si deve concludere che:

«Terribile contraddizione: chiamano beni ciò che serve loro a far del male».

Mentre, nellʼAntico Testamento, (Isaia, 5.20), il profeta così stigmatizza gli abili e illudenti malvagi:

«Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro».

Del resto, non molto diversamente agirono nel secolo scorso Albert Steffen, e il suo degno ʽcompagno di merendeʼ, Guenther Wachsmuth, allorché nella loro campagna di aggressione e di denigrazione di Marie Steiner, arrivarono a scippare, oltre al conto in banca – con metodi che Marie Steiner stessa definì da ʽgangstersʼ –, anche la casa editrice Philosophisch-Anthroposophischer Verlag, da lei fondata e finanziata, il tutto allo scopo di attuare anchʼessi un abile ʽtrasbordo ideologico inavvertitoʼ, usando, alla bisogna, anche i mezzi legali.

Colpiscono non poche, davvero inquietanti, analogie con quanto è successo dopo la dipartita di Massimo Scaligero. Su questo temerario blog, chi scrive ha avuto modo di illustrare a lungo contenuti e metodi di un altrettanto esiziale ʽtrasbordo ideologico inavvertitoʼ, e lʼaver fatto ciò ha scatenato sul noto social forum e altrove – del resto non poteva esser diversamente, date le premesse – contro il sottoscritto una canea di accuse, di insulti, di minacce, e di esternazioni, in taluni casi veramente divertenti, per quanto erano comiche e circensi. Ma tantʼè, tutto come da previsioni. Anzi sarebbe stato preoccupante se così non fosse stato. Naturalmente, anche qui, ʽtrasbordo ideologico inavvertitoʼ a parte, stiamo facendo un discorso generale – in linea di principio, come più sopra scritto – senza attribuzioni specifiche, altrimenti chi scrive dovrebbe tenere ben altro tono e ben altro discorso, ed esser molto meno gentile. 

Quanto alla seconda condizione, ʽgenerosamenteʼ (si fa per dire…) posta dallʼInnominato, ossia che:

«… la seconda è che la pubblicazione e la riproduzione avvengano con mezzi e informe confacenti ai contenuti veicolati dallʼAutore, ciò che esclude in radice che possano effettuarsi a mezzo della rete internet. E ciò andrebbe esteso ad ogni contenuto analogo a quelli di cui si tratta, anche se di altri Autori pubblicati da Tilopa»,

vi sarebbe, di per sé, poco da eccepire, trattandosi di una legittima scelta – giusta o sbagliata che sia – che un editore è liberissimo di fare su ciò egli stesso pubblica. Ma, è evidente che una tale scelta non può riguardare altri che lui e per quel che è di sua competenza. Se, per ipotetico caso, mi pungesse vaghezza di pubblicare le lettere di Massimo Scaligero da me ricevute, o altri suoi manoscritti in mio possesso, su internet, o in altro modo, tale decisione – giusta o sbagliata ch’essa sia – non potrebbe competere altro che a me, ed io solo ne porterei la responsabilità morale, cosa molto diversa dalla liceità legale. 

Indi, il nostro Innominato autore dellʼarticolo apparso sulla rivista romana, prosegue con una precisazione – una sorta di ostativo ʽconsiglio che non si può rifiutareʼdato, sempre a suo dire naturalmente, dallo stesso Massimo Scaligero – precisazione nella quale egli specifica quali forme di pubblicazione siano, a suo modo di vedere, da evitare:

«Lo stesso Massimo Scaligero aveva reso avvertiti coloro che più gli erano intimi che mai avrebbero dovuto divulgare contenuti scientifico-spirituali attraverso mezzi quali radio o televisione. Non si tratta di una anacronistica opposizione alle innovazioni della tecnica, ma della coerenza richiesta a chi, volendo farsi cultore della Scienza dello Spirito, non può non percepire con chiarezza lʼintima contraddizione del mezzo rispetto al contenuto che intende rendere noto ad altri. Pure chi sia mosso dalle più elevate intenzioni, potrà facilmente comprendere come anche lʼacqua più limpida possa intorbidare se fatta scorrere in condotti inappropriati».

Che dire? Si tratta, con tutta evidenza di una valutazione, e di una conseguente scelta – basata, a suo dire, su una indicazione di Massimo Scaligero – che compete esclusivamente allʼInnominato, e che – viste le sue precedenti considerazioni legali – non possono legare altri che lui, appunto lui e non altri. Chi qui scrive si guarda bene dal contestare la liceità legale di una cotale sua più che legittima scelta. Ma, se si osservano le cose e i fatti non da un punto di vista formale e legale, bensì da un punto di vista sostanziale, ossia da un punto di vista schiettamente etico e spirituale, ci sarebbero alcune considerazioni da fare.

Ovvero, se è verissimo che, come scrive lʼInnominato – e non si adonti costui dellʼepiteto scherzoso per lui da me umoristicamente scelto, ché ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, nella sua tragica grandezza, lʼInnominato è una figura bellissima, per la quale nutro grandissima simpatia – «Pure chi sia mosso dalle più elevate intenzioni, potrà facilmente comprendere come anche lʼacqua più limpida possa intorbidare se fatta scorrere in condotti inappropriati», è pur altrettanto vero, purtroppo, anche il contrario. Ossia, come in condotti «appropriati» possano scorrere acque molto torbide e liquami schifosi: la storia di venti secoli delle confessioni sedicenti cristiane, molto poco cristiche, e soprattutto la lunga storia della potenza straniera dʼOltretevere, mostrano, ad abundantiam, come sovente il Vangelo sia servito come conduttura e veicolo di qualcosa, che non era affatto unʼ«acqua di vita», come la definisce il Signore nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni, cap. 4, vv. 10-15, nel suo discorso alla fortunata samaritana. Meglio, in questa sede, non entrare in particolari, ché non mi voglio guastare il buon umore.

Per cui, lʼInnominato non si dolga pel fatto che, avendo egli sollevato questioni di legale correttezza editoriale, che il sottoscritto non ha alcuna intenzione di contestare, gli vengano rivolte alcune osservazioni su come la Tilopa talvolta ha svolto il còmpito chʼessa si è voluta assumere. Sul presente blog, chi scrive in passato ha dovuto rilevare alcune azioni, le quali dal punto di vista sostanziale, e non meramente formale e legale, sono apparse profondamente scorrette, suscitando, non solo al sottoscritto ma anche a non pochi altri, alquanti dubbi e perplessità. Voglio qui citare solo alcuni di questi casi, fra molti altri che, per brevità, sono costretto a trascurare. Rispetto allʼedizione originale del libro di Massimo Scaligero, Manuale pratico della Meditazione, Teseo, Roma, s.d. ma 1973, le edizioni più recenti appaiono aver subito interventi piuttosto discutibili con sostituzioni di parole, che cambiano il senso del discorso, e quant’altro. Nelle ultime edizioni de Lʼuomo interiore, pubblicato dalle Edizioni Mediterranee, a Roma, nel 2012, manca il sottotitolo, invero importante, Lineamenti dellʼesperienza sovrasensibile, presente nellʼedizione originale, pubblicata sempre dalle Edizioni Mediterranee nel 1976, e manca altresì, nella quarta di copertina, gran parte della sintesi del libro che, come era suo costume, e come pure è evidente a chiunque, era stata scritta dallo stesso Massimo Scaligero. Per non dire il grande stupore che suscitò in molti la evidente manipolazione di un testo di Massimo Scaligero, Dallo Yoga alla Rosacroce, Perseo, Roma, 1972, ripubblicato in seconda edizione, nel 2012, dalle Mediterranee, con lʼarbitraria interpolazione nel testo – a mio modo di vedere, cosa oltremodo scorretta – di un intero capitolo, al dire dell’Innominato ʽineditoʼ, ma in origine ʽprevistoʼ dall’Autore, che in realtà era – come ho potuto dimostrare, anche fotograficamente, sul presente blog – un opuscolo commemorativo che Massimo Scaligero aveva scritto, come gesto conciliativo per estinguere precendenti annose e aspre polemiche, su richiesta di sua sorella Adelina, “Luciana Virio”, dopo la morte del marito, l’esoterista ultracattolico Paolo Marchetti “Virio”, le cui sedicenti alchemiche pratiche operative «a due vasi», alle quali egli era stato iniziato dal patrizio fiorentino, il conte Umberto Alberti “Erim” di Catenaia, erano, a dir poco, oltremodo scabrose. Su questo blog, a suo tempo, chi scrive ebbe modo di documentare – anche pubblicando foto eloquenti – tale arbitraria interpolazione. Sempre in Dallo Yoga alla Rosacroce, nell’anonima Introduzione – non firmata, ma sicuramente attribuibile all’Innominato – vi sarebbero da contestare molte ʽimprecisioniʼ – in taluni casi, a mio giudizio, volute – su dati storici, alcuni dei quali riguardanti persino il sottoscritto a proposito, per esempio, della nascita, della formazione e dellʼorientamento della cerchia dei discepoli di Massimo Scaligero nella mia città. Ma anche in conferenze di Rudolf Steiner – anche questo fu dimostrato dal sottoscritto nel blog che ospita i suoi fastidiosi articoli – lʼInnominato ebbe modo di interpolare ʽcreativamenteʼ, per esempio in Edouard Schuré, L’Iniziazione dei Rosacroce, testo che in realtà era di Rudolf Steiner, ed aveva il titolo originario di Esoterismo Cristiano, già edito nel 1940 dai Fratelli Bocca, nella onesta traduzione di Bruno Roselli, testo al quale lo Schuré fece solo lʼIntroduzione, frasi inesistenti nel testo tedesco pubblicato a Dornach dalla Rudolf Steiner Verlag e in francese a Parigi da Triades. Vi sarebbero molte altre cose da riportare e da eccepire, non meno importanti, che per brevità son costretto a tralasciare.

Che cosa direbbe di un tale modo piuttosto disinvolto – che purtroppo invale sempre più in molti àmbiti, sacri e profani – di trattare la sua Opera, e la sua stessa persona, Massimo Scaligero, il quale fece sempre dell’onestà più rigorosa e della correttezza assoluta la pratica costante della sua vita? È sufficiente, a tale proposito, ascoltare quanto egli stesso dice nella registrazione di una riunione in Via Barrili, tenuta il 18 marzo 1978 – registrazione questa, altrimenti a me inaccessibile, trasmessami dalla stessa mano amica che qui, di nuovo, vivamente ringrazio – riunione nella quale egli usò parole molto forti contro il mal costume di inquinare il patrimonio sacrale della Sapienza Celeste, di alterarne i testi, di manipolar persone e situazioni, di far deviare i cercatori dello Spirito dal retto sentiero, e – aggiungo io – di attuare un esiziale ʽtrasbordo ideologico inavvertitoʼ: 

«Ci troviamo nei guai se non abbiamo la conoscenza, e se non si capisce che la vera conoscenza viene da una linea onesta. Se uno scopre che cʼè qualcuno che fa il maestro, e poi taglia i pezzi, cambia i testi, li manipola, e in maniera da manovrare le persone, questo non è onesto. E quando abbiamo scoperto questo, abbiamo cominciato a dire «basta» con questi esseri, perché la vera caratteristica del Maestro spirituale è la terribile onestà, la formidabile onestà, la correttezza assoluta, il non voler influenzare nessuno, ma aiutare la nascita dell’essere libero, non voler entrare nella sfera sacra di un altro, ma dargli modo di conoscere e di agire da quella sfera come un essere libero».

Certo, allʼInnominato, come attuale possessore dei diritti dʼautore sullʼopera di Massimo Scaligero, è lecito legalmente attuare la politica editoriale che preferisce, perché la legge gliene dà ampia facoltà. Formalmente, non si può obbiettar nulla circa la liceità legale – ripeto, legale – di un tale comportamento, ma se si guardano le cose da un punto di vista meno borghese e filisteo, e più sostanziale, ossia etico e spirituale, le cose appaiono, e sono, molto diverse. Questo, per mostrare come non sempre quella che scorre in «condotti appropriati» – per usare una espressione dellʼInnominato – sia unʼacqua limpidissima.

Ora – voglio qui esprimere alcune mie personalissime valutazioni e considerazioni, non obbligatoriamente condivisibili – tenendo conto di quanto lʼInnominato disse, apertis verbis e davanti ad una testimone, che se volesse potrebbe benissimo confermare la cosa, nelle uniche due visite chʼegli fece a casa mia, nel 1996 e nel 1997, circa quello chʼegli realmente pensava di Massimo Scaligero, del suo modo di vivere, della sua intelligenza, della sua Ascesi, della Via del Pensiero da lui indicata, del suo rapporto col Logos, e con il Graal, tutte cose chʼegli in Massimo Scaligero allora criticò con aspre e ingiuste parole, chi qui scrive reputa – questa è una sua personale valutazione, purtroppo ai sui occhi supportata da molti fatti ed evidenze – che lʼInnominato giudichi tuttora addirittura ʽprovvidenzialeʼ l’aver egli potuto ottenere – non importa qui come – la proprietà legale dei diritti dʼautore sulle opere di Massimo Scaligero, proprio ai fini di attuare un da me più volte citato ʽtrasbordo ideologico inavvertitoʼ in favore della nota potenza straniera dʼOltretevere. Questa è almeno la personalissima, e – se vi vuole – contestabilissima, opinione di chi qui scrive. Si dirà che sono prevenuto, e devo confessare di esserlo moltissimo, perlomeno attualmente. Un tempo non lo ero affatto, anzi – essendo ancora allʼoscuro di molti fatti da me conosciuti solo in séguito – lo reputavo un ʽamicoʼ, e in molte occasioni, a suo tempo, lo difesi lottando acerbamente con le unghie e coi denti. Poi la cruda e spietata realtà dei fatti – ed anche i provvidi avvertimenti di una persona che negli anni novanta dello scorso secolo mi aprì completamente e definitivamente gli occhi – mi rese consapevole chʼegli ʽamicoʼ non mi era affatto, e che – glielo riconosco – egli perseguiva, a suo modo, un non palese, ben celato, non confessato, ʽidealismoʼ, che però non era, e non potrà mai essere, il mio, bensì un altro, inconciliabile con la Scienza dello Spirito, con l’Anthroposophia di Rudolf Steiner, e con la Via del Pensiero di Massimo Scaligero, ʽidealismoʼ che, nei suoi programmi di attuazione, lo collegava con le finalità della suddetta potenza straniera dʼOltretevere, che dellʼAnthroposophia di Rudolf Steiner e della ʽViaʼ di Massimo Scaligero vuole, e metodicamente persegue da oltre un secolo, lʼannientamento totale. Si dirà che queste mie crude considerazioni siano fortemente ʽprevenuteʼ ed ʽestremisticheʼ – non ho veruna difficoltà ad ammetterlo – ma sinora nessuno mi ha mai portato convincenti ragioni del fatto che io sarei in errore. Se qualcuno mi dimostrasse – concretamente, ossia con fatti accertati, non solo dialetticamente mi dimostrasse, ripeto, che sbaglio  ne sarei felicissimo, mi darei da solo pubblicamente del somaro, e potrei ridere allegramente di me stesso. Purtroppo, rebus nunc sic stantibus, così non è, e dubito fortemente che in un prossimo futuro vi saranno cambiamenti in proposito.

LʼInnominato termina lʼarticolo di apertura del numero dello scorso dicembre della rivista romana con considerazioni che vorrebbero apparire esser un appello ad una maggiore responsabilità da parte di coloro che si riconoscono nel pensiero e nellʼOpera di Massimo Scaligero, e conclude con una frase dal sapore dolciastro:

«Questi chiarimenti vorrebbero invitare ad una maggiore responsabilità tutti coloro che hanno avuto la preziosa occasione di trovare nella vita un punto di tangenza con Massimo Scaligero e la sua opera. LʼAssociazione vorrebbe continuare ad astenersi dallʼintraprendere iniziative che, pur fondate sul piano giuridico, finirebbero per compromettere ulteriormente lʼunità dei ricercatori in questi tempi estremamente difficili e perciò richiedenti un comportamento eticamente ed esotericamente adeguato.

A.C. Fondazione Massimo Scaligero».

Naturalmente, non si può non concordare con un sì lodevole invito «ad una maggiore responsabilità». Ma, proprio per questo, appunto, un simile appello morale dovrebbe valere erga omnes e, va da sé, in primis per chi lo propone. In questi oltre quarantadue anni dalla dipartita di Massimo Scaligero sono accadute molte cose tragiche, estremamente dolorose, allʼinterno della Comunità Solare, come la chiamava lo stesso Massimo Scaligero. Molti, compreso lʼInnominato, facendosi un esame di coscienza, dovrebbero chiedersi se con la loro azione, palese o celata, non abbiano contribuito poco o molto alle difficoltà che in tale Comunità spirituale negli ultimi quattro decenni sono sorte, e se con la loro azione non abbiano anchʼessi determinato molti tragici esiti, che nel tempo si sono verificati. Questo è un problema che esula completamente da una valutazione meramente legale della questione riguardante il diritto dʼautore, al quale sembra proprio che lʼInnominato dialetticamente voglia ridurre gran parte del problema nel citato articolo. E proprio «un comportamento eticamente ed esotericamente adeguato» richiederebbe che ci si astenesse – a meno che non si perseguano altri non chiari, e non dichiarati, fini – dallʼusare nei confronti di sinceri appartenenti alla Comunità Solare, che dovrebbero essere considerati ʽfratelliʼ, e soprattutto nei confronti della persona alla quale Massimo Scaligero dedicò il libro Graal e molti altri suoi libri, un dolciastro linguaggio, completamente fuori luogo, che a taluni potrebbe apparire forse anche vagamente ostativo e minatorio, con lasciar intendere che esisterebbe la possibilità di «intraprendere iniziative che, pur fondate sul piano giuridico, finirebbero per compromettere ulteriormente lʼunità dei ricercatori in questi tempi estremamente difficili».

Ora, questo bel discorso dellʼInnominato è – tanto per usare una locuzione sportiva – davvero un po’ troppo ʽfuori tempo massimoʼ, visto che sono decenni che registrazioni delle riunioni di Massimo Scaligero vengono ascoltate ogni quindici giorni a Roma nella sede di Via Pindemonte, ove si svolgono da oltre trent’anni le riunioni del Gruppo Novalis, e le riunioni tenute un tempo da Alfredo Rubino, e sono decenni che vedo tali registrazioni girare di mano in mano, finendo non poche volte anche in mani indebite. Sono decenni che le registrazioni di Massimo Scaligero, intere o parziali, appaiono in internet, e vengono scaricate da chiuque voglia. Sono decenni che le opere scritte di Massimo Scaligero – sia quelle da tempo esaurite, sia quelle di più recente pubblicazione – sono state digitalizzate in maniera eccellente o anche in forme più scadenti, e si trovano su vari siti in internet. In questi ultimi anni, si sono svolti a Roma alcuni convegni, ai quali partecipavano, peraltro, eziandio ʽamiciʼ dellʼInnominato (alcuni dei quali, fossi io lui, direi: da certi ʽamiciʼ ben mi guardi Iddio…) – convegni nei quali sono state ascoltate anche registrazioni delle riunioni di Massimo Scaligero

Quanto alla ʽnon confacenzaʼ del fatto che intimi contenuti spirituali siano veicolati attraverso la radio, la televisione o la ʽreteʼ elettronica di internet, si potrebbe, in parte e in linea di principio, essere, forse, d’accordo, se non fosse che l’urgenza e la ʽnequizia dei tempiʼ a situazioni straordinarie impongano oggi, spesso, di usare, in mancanza di altri più adeguati ed efficaci, degli strumenti, di per sé neutri, straordinari. Ma, allora, sposando, sia pure in via ipotetica e parzialmente, il punto di vista dell’Innominato sulla questione, stupisce assai vedere come nel cast tecnico di produzione di un film – circa la qualità del quale, come su alcune altre analoghe ʽiniziativeʼ del genere, chi scrive preferisce tacere – sulla figura di Massimo Scaligero compaia proprio la figlia artista, sceneggiatrice e cineasta dellʼInnominato, e il fatto che colui che ha ideato, voluto, sponsorizzato, e potremmo dire ʽprodottoʼ, un tale film sia chi, forse più di tutti, alla radio, in televisione, su internet, diffonde registrazioni, foto, interi libri digitalizzati, ed eziandio giornaliere riproduzioni sul noto social forum di quel Diario. Invece, la pubblicazione di quel Diario, che viene fatta una sola volta al mese – in forme peraltro più che degne – sulla rivista LʼArchetipo, curata da Marina Sagramora, svolge una funzione molto positiva, ed oserei dire, necessaria, nella continuità logica e ascetica con quanto Massimo Scaligero aveva scritto nella serie degli altri Diari, che le aveva donato e fatto recapitare tramite Alfredo Rubino. Non è, per caso, che sia proprio il fatto che quel Diario venga pubblicato su LʼArchetipo che disturba? Su tutto ciò, per decenni, lʼInnominato sino ad oggi ha sempre perfettamente taciuto, quindi perché proprio ora? Così come ha sempre altrettanto perfettamente taciuto, e tace tuttora, sulla pericolosa strumentalizzazione politica e pseudoesoterica in pessima fede, che del nome e dellʼOpera di Massimo Scaligero viene perpetrata, su siti internet e su fogli vari, da parte di ambienti appartenenti ad ideologie molto problematiche e ad esoterismi alquanto deviati, fortemente antagonisti rispetto alla Scienza dello Spirito e alla Via del Pensiero, i quali, tuttavia, oltre a mettere, cinicamente strumentalizzandole su pubblicazioni, convegni e siti web, figure come Rudolf Steiner, Giovanni Colazza, e Massimo Scaligero sullo stesso piano e alla medesima stregua di Julius Evola, René Guénon, Giuliano Kremmerz, Georges I. Gurdjieff, e Aleister Crowley, spesso le deridono pure, suscitando lʼingiusto giudizio del mondo su loro: soprattutto su Massimo Scaligero.

Certo che – a mio modo di vedere – se si vuole davvero evitare di «compromettere ulteriormente lʼunità dei ricercatori in questi tempi estremamente difficili», ci dovrebbe astenere dal fare inopportuni ʽpronunciamentiʼ, che la mia sapiente amica Fang-pai definirebbe sin troppo educatamente ʽinappropriatiʼ, e che possono ferire la persona che mai Massimo Scaligero vorrebbe venisse ferita, e che possono davvero ostacolare, dividere e paralizzare quella Comunità Solare, alla formazione e alla cura della quale egli si dedicò, senza mai risparmiarsi, sino agli ultimi attimi della sua vita terrena. Voglio proprio sperare che non si voglia questo!

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