LA RICERCA DEL SANTO GRAAL. DODICESIMA PARTE.

Dopo una non breve assenza, Hugo ritorna ad affrontare il tema centrale di questo studio in più puntate. Difficoltà varie – sue e di alcune persone care – ed eziandio altri eventi, hanno impedito che quanto maturato in lunghe ricerche venisse ad avere la possibilità di essere qui pubblicato. Ma nulla avviene a caso, e il periodo trascorso ha permesso una ulteriore maturazione dei pensieri. Ciò fa sperare nellʼindulgenza del benevolo lettore.

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Elemento centrale della Esoterische Schule, della Scuola Esoterica fondata da Rudolf Steiner nel 1904 è il Sentiero della Conoscenza, del quale egli parla nel capitolo finale del libro Teosofia. Introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del destino umano, apparso nella sua prima edizione tedesca proprio nel 1904, e da allora tradotto molte volte anche nella nostra lingua. Una bella traduzione di quel libro fondamentale è quella di Iva Levi Bachi, molte volte ripubblicata dalla milanese Editrice Antroposofica. In quel capitolo finale Rudolf Steiner dà la trama di pensiero del Sentiero della Conoscenza, ossia del percorso che deve condurre il discepolo dalla illusoria conoscenza sensibile allʼautentica Gnosis, alla folgorante Conoscenza sovrasensibile: Conoscenza che è visione trasformatrice, trasfiguratrice e trasmutatrice dellʼintero essere umano.

Senza una intensa pratica interiore, lʼintera Scienza dello Spirito è un non senso: rischia di diventare o una grigia teoria, che ingolfa la memoria, o un misticismo sentimentale, o un eccentrico estetismo intellettuale. E precisamente questa fu ed è la tragedia del movimento antroposofico. Rudolf Steiner, con molta amarezza, più volte, mise in evidenza come molti antroposofi allora leggessero – e tuttora leggono – un libro come la sopra citata Teosofia come si legge un libro di cucina, mentre dovrebbe essere un libro ʽrisvegliatoreʼ, ossia la lettura di un tale libro dovrebbe essere un ʽRitoʼ sacro, un intenso esercizio interiore, capace di trasformare radicalmente lʼanima del lettore meditante. E aggiunse che se gli antroposofi avessero usato in cotal modo i libri da lui scritti – soprattutto Teosofia, Iniziazione, La Scienza Occulta, egli si sarebbe risparmiato la fatica di tenere migliaia di conferenze. Perché i contenuti di quelle conferenze sarebbero stati conquista interiore ed esperienza diretta degli asceti interiormente attivi e operanti. Ma così – nobili eccezioni a parte – non fu, e purtroppo ancor oggi non è, e questa, appunto, come sopra detto, fu ed è la tragedia del movimento e della Società Antroposofica. È tragico che in Germania, in ambienti esoterici seri, con feroce sarcasmo, si parli della Società Antroposofica come di «eine okkulte Gesellschaft ohne Okkultisten», ossia, detto nella lingua del nostro Dante l’attuale Società Antroposofica è una società occulta senza occultisti

Un discorso a parte va fatto a proposito della Scuola Esoterica da lui fondata e strutturata nelle tre Classi, delle quali ho avuto modo di parlare più volte su questo animoso e temerario blog. In essa, soprattutto nella prima Scuola Esoterica, che visse ed operò tra il 1904 e il 1914, appartennero alcune centinaia di discepoli occulti che si erano rivolti al Maestro chiedendogli una direzione spirituale, discepoli che operarono in silenzio a percorrere lʼarduo sentiero che conduce alla Iniziazione ad una superiore vita spirituale. A parte Marie Steiner, la fedele compagna e collaboratrice del Maestro, voglio ricordare soltanto Martina von Limburger in Germania, e Giovanni Colazza in Italia: figure luminose che, appunto in silenzio e riservatezza, portarono avanti lʼascesi indicata loro da Rudolf Steiner, e che ci hanno altresì trasmesso un prezioso lascito operativo. Lascito scaturito da una pratica interiore effettivamente eseguita, praticamente attuata, e non meramente letta nei libri o semplicemente immaginata.

All’interno della seconda Classe della suddetta Scuola Esoterica – la Classe culticoconoscitiva, in séguito conosciuta anche come ʻMystica Aeternaʼ – Rudolf Steiner donò la Leggenda del Tempio o Leggenda Aurea come tema centrale sul quale doveva incessantemente esercitarsi il meditare di coloro che erano stati accolti come membri della seconda Classe. I contenuti dellʼintera Scuola Esoterica furono preservati – e difesi dalla azione emarginatrice e disgregatrice della dirigenza della Società Antroposofica, messa in atto soprattutto ad opera di Albert Steffen e di Guenther Wachsmuth – dalla Rudolf Steiner-Nachlassverwaltung, ossia dal ʽLascitoʼ di Rudolf Steiner, e dobbiamo alla dedizione sacrificale, alla competenza sia interiore che professionale, al lavoro pluridecennale di Hella Wiesberger, alla quale va tutta la nostra gratitudine e il nostro amore, il fatto che oggi i contenuti della prima Scuola Esoterica siano giunti sino a noi e messi a disposizione del libero ricercatore spirituale. La pubblicazione di tale aureo patrimonio della Scuola Esoterica non fu affatto una arbitraria, e – al dire dei suoi detrattori – discutibile decisione di Hella Wiesberger – come in maniera insana e improvvida ha scritto in maniera oltremodo ingiusta e offensiva su un noto social forum N.R. Ottaviano – ma una precisa volontà di Marie Steiner, avallata dalla stessa parola di Rudolf Steiner, e testimoniata da sue disposizioni testamentarie scritte. Lei, ancora vivente, dovette addirittura difendersi da velenosi e calunniosi attacchi da parte di vari membri della ipersteffenianizzata Società Antroposofica allorché, negli ultimi anni di una vita tutta dedita a servire con amore – e a salvare – lʼOpera di Rudolf Steiner, curò la pubblicazione dei primi tre ʽQuaderni Esotericiʼ (lʼultimo dei quali uscì postumo), che costituirono poi il primo nucleo della successiva pubblicazione del lascito esoterico di Rudolf Steiner. Tali primi ʽQuaderniʼ furono sùbito tradotti una prima volta in italiano ad opera di Mario Viezzoli, che succedé a Giovanni Colazza nella direzione del Gruppo Novalis, ed io ne possiedo una copia con sopra gli appunti e le correzioni di mano di Massimo Scaligero, che custodisco come un piccolo prezioso tesoro. Quei ʽQuaderniʼ, poi completati con altro materiale, furono in séguito ritradotti in italiano più volte, anche tenendo conto delle osservazioni e correzioni di Massimo Scaligero, lʼultima versione dei quali ad opera di alcuni amici sotto la direzione di Romolo Benvenuti, che diresse per decenni il Gruppo Novalis dopo Giovanni Colazza, Mario Viezzoli, Caio Sallustio Crispo.

Il testo della Leggenda del Tempio ci è giunto in varie versioni, tutte di mano di Rudolf Steiner. La parte riportata nel presente articolo si trova nel volume 265 dellʼOpera Omnia del Dottore. Una parte di quel volume – il GA-265 dellʼedizione tedesca – è stato parzialmente tradotto ed in séguito pubblicato dalla milanese Editrice Antroposofica. Per vari motivi, che per il momento non intendo approfondire, tale edizione non è soddisfacente – sia perché manca larga parte della importante  introduzione storico-documentaria curata da Hella Wiesberger, sia per taluni grossolani fraintendimenti presenti nella traduzione pubblicata – per cui ho preferito tradurre a mia volta dallʼoriginale tedesco la parte che riporto nella presente puntata di questo mio studio. La parte che riguarda la versione della Leggenda del Tempio che ho scelto di tradurre, si trova alle pp. 365-368 della GA-265, che in tedesco ha titolo Zur Geschichte und aus den Inhalten der erkenntniskultischen Abteilung der Esoterischen Schule 1904-1914, Rudolf Steiner Verlag, Dornach, 1987. La traduzione è stata eseguita nella forma più letterale possibile – anche a costo di sacrificare la «venustà del periodare», per usare una espressione del caro «zio» Arturo – per tema di tradire il pensiero, che ne costituisce l’essenza.  

«La leggenda del Tempio.

«La parte significante simbolicamente lʼevoluzione dell’umanità»,

come essa veniva comunicata nel primo Grado.

Testo secondo il manoscritto originale di Rudolf Steiner.

All’inizio dellʼevoluzione terrestre uno tra gli Spiriti di Luce o Elohim discese dalla regione solare in quella terrestre e si congiunse con Eva, la madre primordiale del vivente. Da questa unione sorse Caino, il primo degli uomini terreni. In seguito, un altro spirito della classe degli Elohim, Jahve o Jehova, plasmò Adamo; e dalla unione di Adamo con Eva sorse Abele, il fratellastro di Caino. La diversità dellʼorigine di Caino e Abele (generazione sessuale e asessuale) provocò il contrasto tra Caino e Abele. E Caino colpì Abele. Abele era andato in rovina a causa della generazione sessuale, Caino a causa della caduta morale della vita nel mondo spirituale. Al posto di Abele, Jehova dette in sostituzione alla coppia come figlio Seth. Da Caino e Seth provengono due diversi tipi umani. I discendenti di Seth potevano guardare nel Mondo Spiritale in particolari (sognanti) stati di coscienza. I discendenti di Caino persero completamente questa visione. Essi dovettero, nel corso delle generazioni, elaborare la riconquista delle facoltà spirituali attraverso la graduale educazione delle forze umane terrestri.

Uno dei discendenti di Abele-Seth fu il sapiente Salomone. Egli aveva ancora ereditato il dono della chiaroveggenza sognante; aveva ricevuto questo dono, come predisposizione in un grado eccezionale; così accadde che la sua sapienza divenne così vastamente famosa, che di lui si racconta che possedesse un trono dʼoro e dʼavorio (oro e avorio come simboli della sapienza).

Dalla stirpe di Caino provennero uomini che, nel corso del tempo, sempre più si resero atti allʼevoluzione ascendente delle forze umani terrestri. Uno di questi uomini fu Lamech, il custode dei libri-T, nei quali venne riprodotta la sapienza primordiale nella misura in cui ciò fu possibile mediante forze umane terrestri, cosicché questi libri sono inintellegibili agli uomini non iniziati. Un altro discendente dell’umanità cainita è Tubalcain, che nella lavorazione dei metalli progredì talmente da poter plasmare artisticamente i metalli in strumenti musicali. E, come contemporaneo di Salomone visse Hiram Abif o Adoniram, della stirpe di Caino, il quale con la sua Arte era talmente progredito, che questa confinava in maniera immediata con la visione dei mondi superiori, e per lui vi era appunto appena un sottile diaframma da abbattere nei confronti della Iniziazione.

Il sapiente Salomone ideò il progetto di un Tempio, che nelle sue forme avrebbe dovuto portare simbolicamente ad espressione l’evoluzione dellʼumanità. Mediante la sua sapienza sognante, egli poté ideare i pensieri di questo Tempio in tutti i suoi singoli particolari, ma gli mancava la conoscenza delle forze terrestri per la sua effettiva edificazione, la quale doveva essere conquistata unicamente attraverso l’educazione delle forze terrestri nella stirpe di Caino. Perciò Salomone si alleò con Hiram Abif. Ora questi costruì il Tempio che esprimeva simbolicamente lʼevoluzione dell’umanità.

La fama di Salomone era giunta sino alla Regina di Saba, Balkis. Questa si recò un giorno alla corte di Salomone per sposarlo. Le vennero mostrate tutte le magnificenze della corte di Salomone ed anche il possente Tempio. Ella non poteva concepire, per le rappresentazioni che sino ad allora ella si era conquistata, come un architetto avente a disposizione unicamente forze terrestri, avesse potuto realizzare un qualcosa del genere. Ella aveva appunto saputo che la guida degli operai aveva potuto dirigere contemporaneamente sufficienti schiere di operai attraverso il possesso di ataviche forze magiche. Ella ottenne di poter vedere l ̓ architetto per lei degno in modo così raro. Non appena egli la incontrò, il suo sguardo fece su di lei una impressione eccezionalmente profonda. Poi dovette mostrarle, chʼegli guidasse gli operai attraverso semplici relazioni umane. Prese il martello, salì su di un colle, e ad un suo segno con il martello si appressarono grandi schiere di operai. La Regina di Saba notò come potevano essere sviluppate forze umane di cotale importanza. Sùbito dopo la Regina si recò con la sua nutrice (nutrice sta per persona profetica) di fronte alle porte della città. Qui incontrarono Hiram Abif. Nel momento in cui le due donne scorsero lʼarchitetto, lʼuccello Had-Had dallʼaria volò sul braccio della Regina di Saba.

La profetica nutrice spiegò ciò col fatto che la Regina di Saba era destinata non a Salomone bensì a Hiram Abif. Da quel momento in poi, la Regina sempre di più non pensò ad altro che a poter sciogliere il fidanzamento con Salomone. Si racconta poi come al Re, in uno stato di ebrezza, dal dito venisse levato lʼanello di fidanzamento, cosicché la Regina potesse ora esser considerata la sposa destinata a Hiram Abif. (Alla base di questo tratto della leggenda vi è il fatto che nella Regina di Saba deve vedersi lʼantica Sapienza Stellare, la quale fino a quellʼepoca era stata congiunta con le antiche forze ataviche, che vengono simboleggiate in Salomone. Le leggende occulte nei simboli di personaggi femminili esprimono la Sapienza, che può disposarsi con la parte maschile dellʼanima. Con lʼepoca di Salomone è cominciata lʼèra in cui questa Sapienza deve passare dalle antiche forme ataviche alle forze dellʼIo terreno riconquistate. Lʼ«anello» è sempre il simbolo dellʼ«Io». Salomone viene pensato come ancora in possesso di un io non pienamente terrestre, bensì di un io  che è tale  soltanto nel riflesso dellʼ«Io superiore» dellʼangelo nellʼatavica coscienza chiaroveggente di sogno. La «ubriacatura» incdica che questo Io viene nuovamente perduto allʼinterno delle forze animiche semicoscienti, mediante le quali era stato conquistato. Solo Hiram è in possesso di un «Io» umano-reale).

Da questo momento una violenta gelosia afferra Salomone nei confronti del suo Architetto. Fu facile perciò per tre compagni traditori trovare ascolto presso il Re per un’azione tramite la quale essi volevano rovinare Hiram Abif. Essi sono suoi nemici, giacché dovettero venir da lui respinti allorché pretesero il Grado e la Parola di Maestro, per le quali non erano maturi.

Ora, questi tre compagni traditori decisero di rovinare a Hiram Abif l’opera, ch’egli voleva eseguire a coronamento del suo lavorare alla corte di Salomone. Era la fusione del «mare di bronzo». Si trattava della fusione prodotta ad arte, a partire dai sette metalli fondamentali (piombo, rame, stagno, mercurio, ferro, argento, oro), sì da essere perfettamente trasparente. La cosa venne eseguita sino alla fusione finale, che doveva essere eseguita di fronte alla corte riunita – di fronte pure alla Regina di Saba – fusione mediante la quale la sostanza ancora torbida doveva essere cangiata sino a perfetta trasparenza. Ora, i tre compagni traditori mescolarono qualcosa di non corretto nella fusione, cosicché questa, invece di illimpidirsi, sprigionò scintille di fuoco. Hiram Abif cercò di placare il fuoco con lʼacqua . Non vi riuscì, anzi le fiamme divamparono da tutte le parti. Ma Hiram Abif udì uscire dalle fiamme e dalla massa rifulgente una voce: «Gettati nelle fiamme; tu sei invulnerabile». Egli si gettò nelle fiamme, e scorse sùbito che la sua via conduceva al centro della Terra. A metà strada incontrò il suo antenato Tubalcain. Questi lo guidò al centro della Terra, ove si trovava il suo grande avo Caino, nello stato in cui questi era prima della colpa. Qui Hiram Abif ricevette la spiegazione del fatto che l’energico sviluppo delle forze umane terrestri alla fine conduce al sommo della Iniziazione, e che l’Iniziazione ottenuta su questa via avrebbe dovuto subentrare nel corso della Terra in luogo della visione dei figli di Abele-Seth, che sarebbe scomparsa. La forza donatrice di coraggio, che Hiram Abif ricevé da Caino, simbolicamente viene espressa dicendo che Hiram ricevé da Caino un nuovo martello, con il quale egli ritornò alla superficie della Terra, toccò il Mare di Bronzo, e tramite ciò riuscì a provocare la sua perfetta trasparenza. (Mediante questa simbologia viene dato quel che nella corretta meditazione solleva l’entità interiore dell’evoluzione umana sulla Terra allʼImaginazione. Il Mare di bronzo può essere considerato come il simbolo di ciò che lʼuomo sarebbe diventato se non avessero preso posto nell’anima le tre forze traditrici: dubbio, superstizione, illusione del sé personale. Mediante queste tre forze lʼevoluzione dellʼumanità sulla Terra è giunta allʼepoca lemurica al divampare del fuoco, che non poté essere sedato mediante lʼevoluzione acquea nellʼepoca atlantica. Piuttosto, deve aver luogo una evoluzione delle forze umane terrestri tale, che nellʼanima venga reintegrata la condizione originaria, che era presente in Caino prima del fratricidio. Di fronte alle forze terrestri, possono conservarsi non le sognanti forze animiche dei fratelli di Abele-Seth, bensì quelle dei discendenti di Caino che giungono allo sviluppo pienamente reale dellʼIo).

Una ulteriore trascrizione della Leggenda del Tempio secondo un manoscritto originale di Rudolf Steiner.

(Manca la prima parte)

Da quel momento Salomone sʼinfiammò di gelosia nei confronti del suo Architetto. Si trovarono perciò ad appoggiarlo tre compagni traditori, i quali nella loro ambizione avrebbero voluto ottenere dallʼArchitetto la Parola e il Grado di Maestro, che questi non aveva potuto concedere loro, perché a ciò essi non erano maturi. Essi decisero allora di vendicarsi nel modo seguente.

Hiram Abif doveva eseguire a coronamento dei suoi lavori alla corte di Salomone il cosiddetto Mare di Bronzo. Questo doveva essere una fusione metallica prodigiosa, nella quale erano fusi tutti i metalli della Terra in proporzioni tali da risultarne una splendida armonia. Tutto era stato predisposto da Hiram Abif sino allʼultimo atto. Questo doveva essere eseguito durante una festa particolare. Lʼintera corte si era radunata per lʼavvenimento, e vi era pure la Regina di Saba. I tre compagni traditori, in un momento decisivo, mescolarono un elemento errato nella fusione; ed accadde che il tutto non giunse ad unʼarmonica conclusione, dalla fusione si spigionarono delle fiamme. Hiram Abif tentò di placare le fiamme con lʼacqua. Ma dalla fusione si elevarono spaventose masse fiammeggianti. Tutti quelli che si erano radunati fuggirono. Ma Hiram Abif udì sortir dalle fiamme una voce, che gli disse: «Non temere, gettati nelle fiamme; tu sei invulnerabile». Egli si lanciò nelle fiamme. Si accorse sùbito che il suo volo conduceva al centro della Terra. A metà cammino incontrò Tubalcain, che lo condusse dal suo avo Caino, al centro della Terra. Caino era nella forma precedente alla sua caduta peccaminosa. Questi dette a Hiram Abif un nuovo simbolo-T, e gli disse di ripetere con esso la fusione, una volta tornato alla superficie della Terra. E che da lui sarebbe sorta una stirpe, la quale avrebbe vinto i figli di Adamo sulla Terra, ed avrebbe di nuovo introdotto il grande culto del Fuoco, riconducendo così lʼumanità alla divina Parola Creatrice.

Anche in questa leggenda vi è un significato profondo. Prima che l҆ʼuomo discendesse dal grembo della Divinità nellʼincarnazione terrestre, egli era in un regno spirituale che poteva percepire. Egli udiva la divina Parola Creatrice. Egli si incarnò in masse metalliche, che allora erano ancora allo stato fluido nel fuoco. Prima che ciò avvenisse, non avrebbero potuto avvicinarglisi i tre compagni traditori: dubbio, superstizione, e illusione del sé personale. Non avrebbe potuto dubitare del Mondo Spirituale, appunto perché questo era attorno a lui. Non avrebbe potuto cadere nella superstizione, perché egli vedeva lo spirituale nella sua vera forma. La superstizione consiste nella rappresentazione dello spirituale sotto falsa forma. Lʼillusione del sé personale non avrebbe potuto afferrarlo, poiché egli si sapeva nella spiritualità universale; non ne era ancora tagliato fuori con la sua reclusione nel corpo. Se questi tre compagni traditori non avessero potuto morderlo al calcagno, il suo corpo sarebbe diventato un puro, armonico, tramite con la materia. Essi mischiarono lʼimpurità, che gli fece obliare la Parola Creatrice divino-spirituale. Attraverso ciò la fusione venne distrutta. Quindi, il viaggio di Hiram Abif al centro della Terra rappresenta il procedere dellʼuomo sul sentiero occulto. Attraverso questo, lʼumanità ottiene nuovamente il possesso del T, della divina Parola Creatrice, la natura umana (Caino) conosce come essa fosse prima della caduta, e come possa nuovamente renderla pura».

Da tutto quanto abbiamo visto sinora, possiamo constatare come, alla luce della Scienza dello Spirito, vi sia una radicale contrapposizione tra la visione spirituale del mondo propria della ‘stirpe jahvetico-abelita’ e quella propria, invece, della ‘stirpe dei Figli del Fuoco’, ossia della ‘stirpe cainita’. Questa contrapposizione, che – dal punto di vista della Scienza dello Spirito – potremmo goethianamente definire ‘polare’, naturalmente, nell’evoluzione dell’uomo e del cosmo ha avuta la sua ragion d’essere. Il che, tuttavia, non la rende, ancor oggi, meno aspra, pur nella sua giustificata necessità.

Al fine di rendere meno impervia la comprensione di una tale ‘polare contrapposizione’, e, di conseguenza, aiutare l’intuizione del libero ricercatore che, sola, può far penetrare, in totale autonomia, il ‘mistero’ dal quale tale aspra contrapposizione scaturisce, giova forse richiamare – una volta di più – le immagini del ‘mito’ del ‘Concilio degli Dèi’. Ora, secondo tale ‘mito’ – ‘mito’ vero, pur nella poeticità delle sue immagini – l’Assoluto Divino pose, all’origine dei tempi – dei ‘nostri tempi’, naturalmente, ché nell’Assoluto tempo non v’è – alle Celesti Gerarchie un còmpito da esse difficilmente attuabile e realizzabile: portare ad esistenza nell’Universo la libertà. Còmpito invero arduo per esse, giacché esse stesse libere non erano affatto, essendovi, al principio, in esse solo ‘necessità’, sia pure ‘metafisica’, e non libertà.

Più volte Massimo Scaligero, rievocando in incontri e riunioni tale primordiale ‘Concilio degli Dèi’, mise in evidenza come le Gerarchie divino-spirituali, e le Entità ad esse appartenenti, fossero, a vari gradi, ‘manifestazione’, immediata e necessitante, dell’Assoluto Divino, del quale esse erano e sono emanazione ed espressione. In quanto tali, esse, di per sé, non hanno autonomia rispetto all’Assoluto del quale sono, appunto, la manifestazione: sono legate all’essere, come ad una ‘funzione’ alla quale non possono – per ora – sottrarsi. Ad esempio gli Spiriti della Sapienza o della Saggezza non si può dire che abbiano ‘Sapienza’, bensì che essi sono ‘Sapienza’, e non possono, per ora, sottrarsi a tale loro immediato essere, per essere diversamente da come attualmente sono. E così gli Spiriti del Coraggio, dell’Armonia, e persino gli Spiriti dell’Amore. Le Entità divino-spirituali, in special modo quelle più elevate, hanno sì ‘coscienza sovrasensibile’‘onnipotenza’, assoluta ‘bontà’ e ‘moralità’, ma non conoscono, e non hanno ‘Autocoscienza’‘Libertà’, e ‘Amore’.

Così come tali elevate Gerarchie divino-spirituali, anche le Entità Avverse – gli Ostacolatori – non sono affatto libere. Le Entità Ostacolatrici svolgono, esse pure, un ‘còmpito’, una ‘funzione’ alla quale – per così dire – sono ‘assegnate’‘costrette’, ‘comandate’, senza potersi a tale cogente condizione minimamente sottrarre. Gli Spiriti dell’Ostacolo svolgono la loro assegnata ‘funzione’ in maniera inesorabile, con l’impersonale ‘necessità’ delle forze della Natura.

L’unica possibilità, in quell’esiodeo ‘Concilio degli Dèi’, che le celesti Gerarchie ebbero di attuare il còmpito loro assegnato dall’Assoluto, e di portare quindi ad esistenza la libertà, era di ‘creare’, ossia da se medesime ‘generare’‘emanare’,  un primordiale ‘Uomo Cosmico’, al quale tutte le suddette Gerarchie donassero, come effettivamente avvenne, parte della loro ‘essenza’, e che, quindi, di esse tutte egli fosse  una mirabile ‘sintesi’. L’Uomo Primordiale – l’Adàm Kadmòn della Kabbalàh israelitica e cristiana – possedeva in sé ‘sapienza’‘potenza’, e ‘moralità’ esattamente come le Celesti Gerarchie – gli ‘Eoni’ di quell’antica Gnosi, tanto calunniata, soprattutto quella abbagliante culminazione ch’essa ebbe in Mani, Gnosi caricaturalmente sfigurata, violentemente avversata, sanguinosamente perseguitata dai Padri delle poco ‘cristiche’, ortodosse, Chiese cristiane – delle quali l’Uomo Primordiale era ‘emanazione’, ma come esse, appunto, egli non era, né poteva essere – perlomeno, non sùbitonon immediatamente, o non ancora – autocosciente e libero. Una conoscenza sovrasensibile, un atto morale, sorgevano in lui con la necessità immediata propria dei processi della Natura: così come nell’uomo oggi sorgono fame, sete, sonno, e tutta la serie immediata delle emozioni e degli istinti. L’Uomo primordiale era, in certo qual modo, un ‘automa spirituale’, e tale sarebbe eternamente rimasto – come un pupazzo, un burattino, o una marionetta, appeso a fili a lui ignoti, e meccanicamente, seppur sottilmente, mosso da agenti a lui esterni – finché fosse rimasto nel seno di quelle Celesti Gerarchie che, emanandolo, lo avevano generato. Ma, come scrive Massimo Scaligero in Guarire con il pensiero, Edizioni Mediterranee, Roma, 1975, p. 61, parlando dell’ineludibile còmpito che l’uomo ha di realizzare la più radicale autonomia,  la più incondizionata libertà, così ammonisce:

«L’autonomia profonda di simili forze è ciò che il principio cosciente, mediante il pensiero, dovrebbe realizzare come propria autonomia sul piano della coscienza di veglia. La dipendenza in effetto è, per il pensiero, la contraddizione con le Forze originarie. Giustamente, un tempo veniva insegnato che «Delude gli Dèi, colui che vuole dipendere dagli Dèi».

Perché l’Uomo è la mèta delle Gerarchie – come avverte Rudolf Steiner nelle Massime Antroposofiche – e non viceversa.  In questo senso, la posizione dell’Uomo è ‘suprema’, e ‘suprema’ è la sua dignità. In questo sta, nellʼessenza, la differenza tra la lunare jahvetica stirpe abelita, e la stirpe cainita, scaturita dallʼEloah o Eloha solare.

Per cui, l’Uomo Primordiale, l’Adàm Kadmòn, dovette venire ‘isolato’‘escluso’, e per così dire ‘espulso’ da quella ‘comunione’ con le Gerarchie, e con l’Assoluto, che costituisce – come ricorda Massimo Scaligero ne La Via della Volontà Solare, Fenomenologia dell’Uomo Interiore, Edizioni Tilopa, Libreria Rocco, Roma, 1962, pp. 275-296 – quella ‘Quiete delle Gerarchie’ di cui parlava, nel Medioevo, la platonica Scuola di Chartres, e che Giovanni Colazza chiamava, con un’espressione di sapore estremo-orientale, taoista o chán, il ‘Riposo Divino’. Naturalmente, ‘fuori’ dell’Assoluto‘fuori’ dello Spirito, ossia ‘fuori’ dell’Uno, dell’Essere, a rigor di termini, niente è. Perché – come ammonisce Parmenide di Èlea nel suo Περί ΦύσεωςPerí Phýseos, nel suo De Rerum Natura – l’Essere ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, è, e non è possibile che non sia, mentre il non-essere ἡ δ’ ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, non è, ed è necessario che non sia.

Quindi, a rigor di termini, solo apparentementeillusoriamente, l’Uomo Primordiale poteva essere ‘escluso’ dalla comunione con l’Infinito, con l’Assoluto. L’Uno, essendo ‘unico’, non può avere ‘fuori’ di sé né ‘altro’, né ‘altri’. Per cui la ‘unicità’ dell’Uno Unissimo – come veniva concepito nella Accademia Platonica d’Atene, perlomeno sino a che essa non venne soppressa nel 529 dall’infamissimo, intollerante, sacrilego e assassino, imperatore Giustiniano, violento persecutore dell’Ellenismo, del culto di Iside a Philae in Egitto, dei Manichei – non viene distrutta dal sorgere delle ‘apparenze’, le quali sono soltanto un illusorio ex-sistere, un mero diveniente ‘esistere’, non un autentico permanente ‘essere’. Tale illusorio apparire incontestabilmente ‘esiste’, ma non ‘è’Est et non est, avrebbe detto, nel XIII secolo, in Occitania, il sapientissimo Maestro cataro Bartolomeo di Carcassona, o Giovanni di Lugio, anche lui cataro, autore del Liber de duobus principis, fortunosamente sfuggito alla furia distruttiva della Santa Inquisizione dell’eretica pravità, e ritrovato nel 1939 alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, per una sorta di ironia del destino, dal R.P. Antoine Dondaine, domenicano, e la stessa cosa, nell’VIII secolo della nostra èra, avrebbe affermato Śaṅkarâcârya, Maestro dell’Advaita Vedânta, il quale affermava che la Mahâ Mâyâ, la ‘grande illusione’‘è, e non è’.

Il còmpito di ‘espellere’ l’Uomo Primordiale dalla comunione immediata con l’Assoluto, il farlo ‘cadere’ nella dionisiaca frantumazione dell’apparente molteplicità, sino ad ‘isolarlo’ – gradualmente nel corso di molti millenni – completamente nell’unidimensionale visione sensibile, fu ‘affidato’ a ‘Spiriti dell’Ostacolo’, i quali vennero – essi pure – ‘esclusi’ dalla ‘Quiete delle Gerarchie’, dal ‘Riposo Divino’. Giunto al totale ed esclusivo isolamento nell’apparente sfera sensibile, l’essere umano non avrebbe più ricevuto ‘ispirazioni’‘oracoli’‘comandamenti’ dagli Dèi, ed avrebbe dovuto ‘scegliere’ da se stesso, in totale autonomia con le sole proprie forze, a proprio rischio e pericolo, attraverso il doloroso e faticoso, oltremodo accidentato, aspro sentiero dell’errore e dell’esperienza, la propria ‘via’.

Ma, pur isolato in tale mondo di illusorie apparenze, e imprigionato, a causa della offuscante ‘ignoranza’ in lui generata dagli ‘Spiriti dell’Ostacolo’, sempre più negli astringenti vincoli corporei di una inferiore natura, un tale uomo è pur sempre fondato sull’Assoluto – e non potrebbe essere diversamente – e ad un tale Assoluto, al Divino, comunque base del suo essere, egli può sempre fare liberamente appello. Ed è questo ciò che gli Dèi si attendono da lui: ch’egli esca da una sorta minorità spirituale, da una ‘irresponsabile infanzia divina’, e finalmente ‘voglia’, liberamente – ossia non obbligato, non sollecitato, bensì in totale autonomia – ‘voglia’ il proprio stesso volere e il fine, l’oggetto, di tale suo autonomo volere. Vi è un momento in cui cessano le ‘rivelazioni’, che dal mondo divino hanno accompagnato l’uomo nel suo progressivo discendere verso il fondo dell’abisso, nel quale lo attendeva la suprema prova dell’abbandono, del silenzio, della solitudine, del gelo, e della morte. A tale proposito, Massimo Scaligero ha parole di assoluta, inattenuata, radicalità, parole che non lasciano spazio alcuno a dubbi, o ad accomodanti ‘adattamenti’. Infatti, in Graal. Saggio sul Mistero del Sacro Amore, Perseo, Roma, 1969, nel primo capitolo, La Via adamantina d’Occidente, pp. 10-11, così scrive:

«Nei testi tantrici sembra posseduta quella conoscenza che in Occidente sta alla base della moderna filosofia, circa l’esaurita funzione delle antiche metafisiche: non si dà più ausilio dagli Dèi, dalle rivelazioni, dalle ispirazioni: gli Dèi hanno lasciato l’uomo perché si sorregga da sé, realizzi in sé con la sua forza l’originaria natura. Chi vuol tornare indietro, segue la «via dei morti», in quanto non fa che disseppellire in sé antichi stati di coscienza, oltre i quali ormai l’uomo dovrebbe portarsi, per essere. Che egli percorra sino in fondo la via della liberazione, è in effetto ciò che gli Dèi attendono da lui: non il suo ritorno a uno stato di dipendenza che solo in antico era giustificato, quando ancora egli traeva le sue forze dal grembo della Madre. Lungo il tempo, accompagnata dalla correlativa rivelazione, l’individualità dell’uomo si fa sempre più indipendente dall’antica matrice cosmica, ma questa indipendenza essa paga con la perdita degli stati trascendenti. La sua esperienza si fa sempre più terrestre: è il kaliyuga, l’oscura notte che precede l’alba. La Madre lascia l’uomo nella solitudine dell’esperienza sensibile, perché egli affronti l’impresa della libertà: ma appunto per questo, qui nella materia, nel sensibile, nel corpo fisico, ormai il potere della Madre va ritrovato. La decisione di ritrovarlo non può essere un dono della Madre, bensì autonoma iniziativa dell’uomo: ciò che egli può volere, ma anche non volere. La via della libertà è anche la via del ritrovamento del Divino, secondo una comunione incomprensibile a chi sia immerso in quel tradizionalismo in cui la Tradizione ha cessato di fluire. Ritrovare la Madre, come virtù originaria, o come coscienza cosmica rispetto a cui l’odierna coscienza è immersa nel sonno profondo, è un còmpito di cui si possono ravvisare aspetti similari nella mistica d’Occidente».

Ma la discesa dell’Adàm Kadmòn, dell’Uomo Primordiale, sin giù nel baratro dell’individuazione e della frantumazione, sin giù nell’abisso della più tenebrosa solitudine, è qualcosa che è avvenuto con una certa gradualità. Nel suo discendere in tale tenebroso e divorante baratro, che potremmo con Virgilio, – Aeneis, I, 118,  Adparent rari nantes in gurgite vasto, Appaiono pochi naufraghi nuotanti nel vasto gorgo. Aeneis VI, 295-297, Hinc via Tartarei quae fert Acherontis ad undas. Turbidus hic caeno vastaque voragine gurges / aestuat atque omnem Cocyto eructat harenam. Di qui la via che porta alle onde del tartareo Acheronte. Qui un gorgo torbido di fango in vasta voragine ribolle ed erutta in Cocito tutta la sabbia. – chiamare “gurge”, o “voragine”, l’essere umano è stato accompagnato da Deità “regolari”, contrastanti l’opera oscuratrice e disgregatrice delle Entità “ostacolatrici”. Questa azione viene esemplarmente descritta – con parole che sarebbe savio meditare profondamente e a lungo – da Massimo Scaligero in Kundalini d’Occidente. Il centro umano della potenza, Edizioni Mediterranee, Roma, 1980, pp. 21-22:

«Secondo il mito, Jehova, accogliendo l’uomo nel Paradiso terrestre, sostanzialmente tende ad impedire che egli acquisisca la conoscenza. Jehova tende a dominare, o a guidare l’uomo, in modo che senza traumi, o senza libertà, egli giunga a realizzare lo Spirito. Lucifero invece ha interesse a donare allʼuomo la conoscenza come esperienza senziente, perciò lo spinge verso la libertà, ancor prima che egli disponga di forze morali per usarla giustamente. Come entità celeste caduta, Lucifero tende a riconquistare il rango perduto, servendosi dellʼuomo. Agisce come intermediario tra l’uomo e il Divino: aiuta l’uomo, ma al tempo stesso ha bisogno, come Jehova, di dominarlo. Perciò lʼuomo, mentre necessita dell’aiuto di Lucifero, ha bisogno altresì di sottrarsi al suo assoluto dominio, proprio mediante l’uso cosciente della forza da Lui inoculatagli. Attraverso l’uomo, Lucifero in definitiva tende a ritrovare il Cristo, per redimersi. Ma l’uomo che si liberi, può diventare lui l’intermediario verace tra Lucifero ed il Cristo: mediante libertà superando Jehova, ma superando anche Lucifero. Questo è il segreto. Christus Lucifer verus. Senza la redenzione dell’uomo, non può esservi redenzione di Lucifero. Infatti, ove sulla Terra l’uomo riconosca il Cristo, troverà, dopo la morte, quale divinità superiore orientatrice, Lucifero, riemergente alla sua funzione celeste».

Questa condizione dell’essere umano esiliato dalla patria spirituale, apparentemente ‘abbandonato’ da quegli Dèi, che pur lo hanno generato, viene anch’essa descritta in maniera radicale, tale da non dar luogo ad equivoci di sorta  da Massimo Scaligero in un’opera fondamentale come L’Uomo Interiore, Edizioni Mediterranee, Roma, 1976 – alla quale purtroppo, nella ristampa del 2012, è stato ‘tagliato’, secondo una ben discutibile, totalmente arbitraria, ma non casuale, scelta, il sottotitolo, Lineamenti dell’esperienza sovrasensibile, e parte della sintesi descrittiva del contenuto del volume, scritta direttamente dall’Autore, nella quarta di copertina – ove alle pp. 204-207, possiamo leggere parole di un realismo assoluto, tali da togliere ogni residua illusione circa la possibilità di indugiare nel ‘sogno’ di una Tradizione oramai irrimediabilmente perduta, e quella di una mistica ‘via dell’anima’, che permetta di evitare lo sforzo e l’impegno nella lotta spirituale per l’essere o il non essere dell’uomo:  

«L’epoca di tale comunione spontanea con lo Spirituale si conclude con il periodo che nel mondo risponde alla protostoria mediterranea: è il periodo in cui la « conoscenza » non è più comunione diretta, ma « visione imaginativa », che più tardi si rifletterà nel mito: questo a sua volta avrà la sua sensibilizzazione nella poesia cosmogonica e nell’epos, mentre si verifica il compimento di un processo millenario: una sorta di distacco (il termine ha valore puramente allusivo, ossia relativo a un modo di essere dello Spirituale) del mondo animico o psichico, dal dominio sovrasensibile: una perdita di rapporto dell’« umano » riguardo al « divino », che non può non essere – per l’umano – regresso, o caduta, in uno stato inferiore. In séguito a tale evento, che si verifica attraverso lunghi decorsi di tempo, o epoche, l’uomo è costretto a elaborare il suo conoscere entro i limiti della individualità psichica, la cui massima possibilità comincia con essere la capacità razionale.

Lo Spirituale con cui prima la personalità dell’uomo costituiva un tutto e dal quale traeva motivo di elevazione, limitandosi ad essere impersonalmente conferme alla sua legge, diviene ora – dal punto di vista della « caduta » dell’uomo – mondo esteriore. Vedendolo ormai separato da sé e non più essendone posseduto ed ispirato, l’uomo in sostanza non lo vede: lo riduce alla sua attuale limitata visione, è costretto a rivolgersi ad esso come ad oggetto – d’indagine, cosi che di esso via via non rimarranno se non il nome ed il concetto: sul piano religioso, la vuota forma rituale, e, nell’anima umana. L’inconscio impulso a riferirsi a un potere fatale o provvidenziale, che continui ad agire invece dell’Io personale nascente. […]

Si è veduto, però, come la necessità di trarre la coscienza dell’Io da un livello inferiore, in quanto condizionato dalla esteriorità sensibile, pur apparendo una caduta, in definitiva abbia come obiettivo il compimento dello « stato umano ». L’uomo tende a ricostruire la vita spirituale all’interno della individualità, con i mezzi che la coscienza, costretta a trarre il senso di sé dal mondo finito, va via creandosi, per recare luce là dove l’antica spiritualità si è fatta natura. È l’esperienza della libertà: che non può essere al principio essendovi al principio solo necessità, sia pure metafisica. Ma tra lo stato d’illuminazione originaria e la possibilità d’illuminazione cosciente, v’è una fase di oscuramento: lunga, per i suoi trapassi, per le sue crisi e per le mutazioni che si verificano nella costituzione interiore dell’uomo. La coscienza si strappa alla trascendenza per darsi la dimensione individuale e per resuscitare la trascendenza entro se stessa. Sarà inevitabile che la ricerca patisca i limiti dell’astrattezza e da questa si faccia in varie forme deviare. Ma, a un dato momento, essa può scoprire di poter evocare al livello della individuazione e come superamento del finito la « forza interiore originaria »: può riconoscere quel principio Logos che in un determinato punto del tempo ha operato nel terrestre la rettifìcazione invisibile: non conosciuta, che potrà essere conosciuta: che sorge come possibilità di libertà.

L’uomo può ridestare in sé la luce originaria – quella che « risplende nelle tenebre » – e rendere il pensiero cosciente (acquisito attraverso l’apparente discesa in una sfera anti-metafìsica) organo di percezione dello Spirituale, nel mondo che per ora in lui è dominato dall’incosciente e dalla natura animale: potrà riconoscere come questa sia in effetto l’impresa per cui si può realizzare nella realtà umana l’evento adombrato nel mito del Graal. Diviene atto ciò che è stato posto come germe invisibile per virtù di un culto perenne, ai confini del sensibile, simbolicamente riflesso nella imagine del San Graal: il cui mistero, appena alluso nella leggenda, riguarda la possibilità dell’uomo di ritrovare, mediante spirito eroico e conoscenza, l’Io originario perduto.

Il processo di distacco, come si è accennato, implica da prima un oscuramento e una perdita: con le sole forze della individualità, da quel momento, l’uomo deve cominciare a guardare il tema dell’essere. Chiuso nei limiti egoici, egli tenderà a evocare in sé il Divino: tenderà a questo anche attraverso fasi di inconsapevolezza; ma il Divino agirà sempre in lui sotto forma di questo impulso all’auto-superamento, mentre echi e reviviscenze dell’antica comunione con il Sopra-mondo lo assisteranno lungo il cammino, operando attraverso la funzione mediatrice di Santi e di Mistici e grazie ad una residua apertura del « sentire » umano: sino al momento – l’attuale – in cui cessa del tutto la risonanza, sia pure emotiva, del Sovrasensibile nellʼanima umana: ché ogni « sentire » è ormai contessuto con la natura fisico-sensibile.

La solitudine del mondo sensibile è ora il limite dell’uomo, ma anche l’àmbito della possibilità del suo risorgere: condizione che, pertanto, riguarda l’uomo in generale, ma in particolare l’« individuo » più recente, che, nel suo agnosticismo, essendo più indipendente, dall’antica esperienza sovrasensibile, si può considerare il più evoluto: più prossimo alla possibilità della risalita, o della reintegrazione cosciente, ma perciò stesso, per la sua autonomia rispetto ad ogni tema trascendente, più chiuso ai richiami dell’esperienza liberatrice.

Al tipo di uomo capace di attraversare il processo della individuazione e di percorrerne le tappe, i mezzi che si offrono per portare a· compimento l’opera sono da prima il pensiero e i sensi: soltanto con questi egli può muovere alla conoscenza del mondo e organizzare la sua vita. È l’esperienza dell’Occidente, dalla quale nasce la civiltà meccanica e materialistica. In tale civiltà si riflettono obiettivamente i caratteri del pensiero che l’ha prodotta: pensiero matematico, scientifìco, nettamente individuato, ma disanimato: pensiero astratto, ormai chiuso ad ogni forma di fede, ma appunto per questo recante una indipendenza che è già una dimensione spirituale, mai prima conosciuta e che, positivamente assunta, secondo Scienza dello Spirito, può resuscitare nell’anima l’essenza sovrasensibile come forza cosciente».

Un caro amico, nostro sodale, lʼeleusinio Trittolemo, in una nostra conversazione avvenuta mesi fa, si stupì dellʼaffermazione circa la non libertà degli Esseri delle Gerarchie Celesti, anche di quelle più elevate. Naturalmente lʼaffermazione non era mia, ché io riportavo, con la massima fedeltà, quanto più volte esposto da Massimo Scaligero in varie riunioni nelle quali egli evocava – come in una sorta di mito esiodeo – quel ʽConcilio degli Dèiʼ nel quale, ai primordi della immemorabile storia dellʼuomo e del Cosmo venne deciso di portare ad esistenza nellʼUniverso la libertà. Ma lʼaffermazione della non libertà delle Gerarchie Celesti la possiamo leggere – con parole che più chiare non potrebbero essere – in Rudolf Steiner, per esempio nel ciclo di conferenze Geistige Hierarchien und ihre Widerspiegelung in der physischen Welt. Tierkreis, Planeten, Kosmos, GA-110, Rudolf Steiner Verlag, Dornach, 1991, edizione curata da Hella Wiesberger con la collaborazione del Dr. G.A. Balaster, tenuto a Düsseldorf dal 12 al 18 aprile 1909, con risposte a domande dei partecipanti nei giorni 21 e 22 aprile 1909, traduzione e prima edizione italiana di Lina Schwarz, Fratelli Bocca, Milano, 1940, riveduta da Iberto Bavastro e pubblicata dalla Editrice Antroposofica, Milano, 1972. Ora, basta leggere quel che dice Rudolf Steiner nellʼultima conferenza, quella del 18 aprile 1909, che cito dallʼedizione della Editrice Antroposofica, dalla quale stralcio, mettendone in rilievo alcuni punti, – ma andrebbe letta e ben meditata tutta – quanto è scritto alle pp. 148-149 e segg.:

«Abbiamo dato così un rapido sguardo al divenire del nostro sistema solare e ci siamo chiesti: quale posizione ha dunque realmente lʼuomo di fronte alle entità delle gerarchie superiori che in sostanza furono i suoi predecessori umani? Possiamo cominciare dai più elevati, da serafini, cherubini, troni, e appunto col caratterizzarli potremo farci un giusto concetto dellʼuomo. Se ci innalzassimo al di là dei serafini entreremmo nel campo della Divina Trinità. Qual è dunque la speciale caratteristica dei serafini, dei cherubini, dei troni, chʼessi soli posseggono sopra le altre entità del mondo? Hanno ciò che si è chiamato «la visione immediata della Divinità». Essi possiedono fin dal principio quello che lʼuomo deve conquistarsi a poco a poco. Noi uomini diciamo che dobbiamo prendere le mosse dal nostro punto attuale, per raggiungere sempre più elevati poteri di conoscenza, di volontà ecc.; e questo modo ci avvicina sempre più alla Divinità. Essa ci sarà presente sempre più. Noi evolviamo verso ciò che per noi è ancora coperto da un velo, verso la Divinità. La differenza tra i serafini, i cherubini e i troni, e lʼuomo è che fin dal primo inizio della nostra evoluzione queste supreme entità delle gerarchie spirituali circondano immediatamente la Divinità, la Trinità Divina, e ne godono la visione sin dal principio. Esse possono già quello a cui lʼuomo deve pervenire. È dunque dʼimmensa importanza sapere che quelle entità, quando cominciano a esistere, vedono Dio, e mentre vivono continuamente contemplano la Divinità. Quanto esse operano, quanto fanno, è suscitato dalla loro visione di Dio; Dio agisce attraverso esse. Non sarebbe loro possibile fare diversamente, non sarebbe loro mai possibile agire diversamente da come agiscono, perché la visione divina è una forza tanto possente, agisce su di loro in tal modo, che esse con immediata sicurezza, con immediato impulso, eseguiscono gli ordini della Divinità. Ponderare, giudicare, tutto ciò non esiste nelle schiere di quelle entità; non vʼè che la visione degli ordini divini e il conseguente immediato impulso a tradurre in atto quanto si è loro palesato. Vedono così la Divinità nella sua forma originaria e vera, la Divinità quale è. Esse si vedono solo come le esecutrici del volere e della saggezza divina. Così è per la gerarchia suprema».

È evidente che in tale conoscenza diretta, senza mediazione alcuna, e in tale immediatezza esecutiva della volontà, non vi è spazio veruno per la libertà. Non vi è separazione alcuna, nessuna successione temporale, tra potenza e atto, tra conoscenza e volontà, tra percezione e azione. Si può dire che vi sia una immedesimazione identificativa con la Divinità, che diviene fulminea simultaneità nel volere. Ma non molto diversa è la condizione degli Esseri delle Gerarchie, sottoposte come seconda Gerarchia a quella suprema di Serafini, Cherubini e Troni. Infatti, sùbito dopo, a p. 150, possiamo leggere:

«Se scendiamo alla successiva gerarchia, a quelle entità che chiamiamo dominazioni, virtù e potestà, o anche spiriti della saggezza del movimento e della forma, dobbiamo dire: esse non hanno più così direttamente la visione della Divinità, non vedono più Dio nella sua forma immediata quale Egli è, ma nelle sue rivelazioni in cui Egli (se così si può dire) si rivela per mezzo della sua faccia, della sua fisionomia. Naturalmente è loro impossibile non riconoscere che quella è la Divinità; hanno anche loro un impulso immediato di seguire le rivelazioni della Divinità, come è per serafini, cherubini e troni. L’impulso non è più tanto possente, ma è ancora immediato. Per serafini cherubini e troni sarebbe impossibile dire che essi potrebbero non eseguire ciò che vedono essere prescritto da Dio; sarebbe impossibile a motivo della loro prossimità a Dio. Ma sarebbe pure assolutamente escluso che le dominazioni, le virtù e le potestà intraprendessero qualcosa che non fosse voluto dalla Divinità stessa».

Dopo di che, Rudolf Steiner passa a descrivere lʼorigine del Male. Anzi, potremmo dire: lʼorigine prevista, voluta, programmata, organizzata del Male, e la sua funzione nel divenire dell’Universo. E che questo sia un punto cruciale, decisamente difficile da concepire ed accettare per i più, si evince dalle stesse parole di Rudolf Steiner, che così si esprime, sempre a p. 150: «Affinché lʼevoluzione potesse progredire. Dovette perciò avvenire un fatto del tutto particolare. Qui entriamo in un campo che fu sempre di difficile comprensione per gli uomini, anche per coloro che erano progrediti fino a un certo grado nella saggezza dei misteri». In effetti quella dellʼorigine del Male, della sua temporanea funzione nell’evoluzione del uomo e del Cosmo, della sua trasmutazione in un più grande Bene, è il punto centrale dei Misteri Manichei, che tanta esiziale opposizione trovò nella storia dellʼesteriore Cristianesimo ecclesiale sia cattolico, che ortodosso, e protestante.

E così, infatti, leggiamo poco dopo a p. 151-152:

«Nel periodo intermedio tra lʼevoluzione di Giove e quella di Marte (tra lʼantico Sole e lʼantica Luna), a un certo numero di entità appartenenti alla sfera delle virtù [Dynameis] fu dato lʼordine, se mi è lecito esprimermi così, d’intervenire in modo da porre ostacoli al processo evolutivo invece di favorirlo. Questo fatto è quello che abbiamo imparato a conoscere come la lotta nei cieli. Dunque fu come introdotta nellʼevoluzione lʼopera di certe virtù a cui era stato impartito quel comando; le gerarchie imperanti dovettero infatti dirsi: «Mai potrebbe avvenire ciò che deve avverarsi, se la via continuasse a procedere diritta. Mète più alte devono esser raggiunte!» […]

Poniamo che la Divinità avesse lasciato lʼevoluzione quale essa era fin dopo Giove; certo gli uomini avrebbero potuto svilupparsi bene; ma, ponendo ostacoli sulla via dellʼevoluzione, lʼumanità poteva divenire anche più forte. Per il bene dellʼumanità si doveva dare quel comando a certe virtù; queste non erano malvagie; non occorre concepirle come virtù malefiche; si può dire persino chʼesse si sacrificarono opponendosi quali ostacoli al processo evolutivo. Queste virtù si possono perciò chiamare le Divinità degli ostacoli, nel più vasto senso della parola. Sono infatti le Divinità degli ostacoli; degli ostacoli che furono posti sulla via dellʼevoluzione. Da questo punto in poi fu data la possibilità a tutto quanto si verificò nellʼavvenire. Queste virtù così comandate non erano ancora cattive per se stesse; erano al contrario le grandi forze promotrici dellʼevoluzione, in quanto contrastavano lʼevoluzione normale. Ma appunto perché la contrastarono, furono le generatrici del male; ché, in seguito a ciò, a poco a poco nacque il male»

Poi, Rudolf Steiner espone come questa azione comandata dallʼAssoluto alle Virtù, alle Dynameis, e perciò da esse recepita in modo tuttʼaltro che libero, abbia poi agito in maniera “seduttiva” su una parte delle entità angeliche della terza Gerarchia, che sullʼantica Luna attraversavano il grado umano, generando appunto il Male. Una parte di queste entità angeliche recepirono lʼazione “seduttiva”, mentre una parte non lʼaccolsero. Ma, a p. 153, Rudolf Steiner ribadisce: «Ma le azioni delle virtù erano ben fondate nel piano cosmico-divino: dobbiamo sempre tenerlo presente». Per cui è da ben riflettere quanto abbia potuto essere “libera” lʼazione di quelle entità angeliche, sia di quelle che subirono la “seduzione” delle Virtù-Dynameis, sia di quelle che unendosi alle entità solari la rifiutarono. Che, in qualche modo, vi sia stata scelta, è certo, ma – appunto – quanto libera? Si è liberi se si conoscono i motivi-impulsi delle proprie azioni, ossia se li si compenetrano con un pensare autocosciente che sia realmente indipendente da quelle azioni e da quei motivi e impulsi. Si è realmente e totalmente liberi, se si è i creatori mediante vivente pensare ideante dei motivi delle proprie azioni. Ma ciò, allora non era ancora possibile, in quanto l’Io autocosciente non era ancora nato. Certamente, vi era un Io in quelle entità angeliche, ma non autocosciente, non fondato su se stesso, non “autore” del proprio conoscere e del proprio agire. La conseguenza di questo coartante processo cosmico di evoluzione è quanto Rudolf Steiner aggiunge a p. 153:

«Tutto ciò fece sì che durante lʼevoluzione terrestre vi fossero uomini-angeli più avanzati e altri rimasti indietro. Gli uomini-angeli più avanzati si accostarono allʼuomo allʼepoca lemurica, quando egli divenne maturo per ricevere il germe dellʼio umano, e rimisero al suo arbitrio il salire subito nei mondi spirituali, non occupandosi più di quanto, dallʼepoca lunare, si era frammischiato al corso regolare dellʼevoluzione cosmica. Furono gli esseri che allora erano rimasti indietro, e che chiamiamo entità luciferiche, quelle che vennero a influenzare il corpo astrale dellʼuomo (allʼio non potevano accostarsi), e innestarono nel corpo astrale tutte le conseguenze della lotta nei cieli.. mentre dunque le virtù erano state comandate a provocare la lotta nei Cieli, erano state create Divinità degli ostacoli, le conseguenze delle loro azioni sʼinsinuarono ora nel corpo astrale umano, e qui ebbero un significato diverso; qui significano la possibilità dellʼerrore e la possibilità del male. Oramai lʼuomo aveva acquistato la possibilità dellʼerrore e la possibilità del male, ma al tempo stesso anche la possibilità dʼinnalzarsi per forza propria al di sopra dellʼerrore e al di sopra del male».

Può forse stupire – e lʼeleusinio amico Trittolemo nella nostra conversazione di mesi fa in effetti se ne stupì assai – che le Celesti Gerarchie abbiano sì coscienza sovrasensibile, illimitata sapienza e travolgente potenza, ma non conoscano autocoscienza e libertà, eppure proprio così è. In questo, la sapienza indiana – sia il Sanatana Dharma hindù, che il Saddharma buddhista, che il Jainismo di Mahavira – concordano assolutamente con quanto afferma la Scienza dello Spirito, ossia che la condizione umana è suprema, potendo egli liberamente realizzare lʼAssoluto, lʼIncondizionato, mentre gli stessi Dèi – gli esseri delle Celesti Gerarchie, per conoscere il mondo in concetti e sperimentare la libertà, devono incarnarsi sulla Terra come uomini, o attendere che un giorno lʼUomo, liberatosi da ogni condizione limitante, si faccia emanatore della libertà, e addirittura – come scrive Massimo Scaligero ne LʼUomo Interiore – liberatore di altri mondi. Questo è la ragione precipua per cui – come afferma Rudolf Steiner nelle Massime Antroposofiche lʼUomo è la mèta delle Gerarchie. E non viceversa. Ma, poiché a molti spiritualisti, anche a seguaci della Scienza dello Spirito, la cosa risulta di difficilissima comprensione – ed in effetti, essa lo è sempre stata, altrimenti il Manicheismo non sarebbe sorto, e non sarebbe stato così spietatamente perseguitato – giova riportare le esplicite, inequivocabili parole del Maestro dei Nuovi Tempi, che più chiare non potrebbero essere. Anche a costo di esser pedantemente antologico, trascrivo quanto Rudolf Steiner afferma a p. 154:

«Vediamo così che sotto un certo riguardo soltanto per il fatto che le virtù ricevettero quellʼordine, fu data allʼuomo la possibilità di raggiungere per forza propria la mèta che neppure i più elevati serafini potevano raggiungere per forza propria. Questo è lʼessenziale. Serafini, cherubini e troni non possono assolutamente agire altrimenti che seguendo direttamente gli impulsi dati dalla Divinità. Nemmeno le dominazioni e tutta la seconda gerarchia possono agire diversamente. Delle virtù una parte ricevette il comando di opporsi allʼevoluzione; dunque anche le virtù, che per così dire si frapposero come ostacolo sulla via dellʼevoluzione, non potevano fare altro che che seguire i comandi divini. Anche in quello che si potrebbe chiamare lʼorigine del male, anche in ciò eseguiscono il volere divino. Facendosi serve del male, compiono il volere divino il quale, attraverso il male, vuole sviluppare il più forte bene. Se discendiamo ora alle entità che chiamiamo potestà, anchʼesse, da sé non avrebbero potuto divenire «cattive» per forza propria; neppure gli spiriti della personalità e neppure gli spiriti del fuoco. Quando questi infatti erano uomini sul Sole, le virtù non avevano ancora ricevuto quel comando, e non esisteva ancora la possibilità di diventare cattivi. I primi che ebbero la possibilità di diventare cattivi, furono gli angeli, perché questa possibilità cominciò ad esistere soltanto a partire dallʼevoluzione lunare. Fu allora, tra lʼevoluzione del Sole e quella della Luna, che si svolse la lotta celeste. Una parte degli angeli rifiutò questa possibilità, non si lasciò per così dire sedurre dalle forze che dovevano introdurre degli ostacoli, e serbarono fedeltà allʼantica natura. Così fino agli angeli, e ancora in una parte di essi, troviamo entità delle gerarchie spirituali che non possono assolutamente far altro che seguire il volere divino, per le quali non vi è possibilità di derogare dal volere divino. Questo è lʼessenziale».

Risulta chiaro, da quanto esposto da Rudolf Steiner, come nella scala delle Gerarchie neppure le più alte – anzi soprattutto le più alte – non conoscano né attuino la libertà, che rimane per esse, per lo meno attualmente, un mistero. Quanto alla Gerarchia degli Angeli veri e propri – quella che sta immediatamente al di sopra del grado umano – una parte rimase fedele allʼantico rapporto col Divino – rapporto di assoluta conformità al volere divino, non certo di libertà – mentre unʼaltra accolse in sé lʼazione di ostacolante opposizione degli Spiriti del Movimento, o Virtù-Dynameis. Ma è evidente che anche questa parte della schiera angelica dovette “scegliere” di accogliere una tale azione oppositrice, altrimenti lʼintero piano divino in funzione dellʼuomo e della sua attuazione della libertà sarebbe fallito. In altre opere, infatti, Rudolf Steiner afferma che questi Angeli, per così dire “deviati”, avevano lʼimpulso ad essere “istigatori” della libertà, e non erano essi stessi liberi. Si può dire che la loro “ribellione” fosse stata programmata e voluta dal Divino stesso, al fine di permettere allʼuomo di compiere lui stesso, e non loro, lʼesperienza della libertà. In realtà, sia gli Angeli “fedeli”, sia quelli “ribelli”, obbedivano, sia pure in maniera diversa, al comando divino. Infatti, se leggiamo quanto scritto nel paragrafo successivo, sempre a p. 155, la cosa apparirà immediatamente chiara:

«Giungiamo ora a due categorie di entità: anzitutto agli angeli che si sono precipitati nella corrente prodotta dalle virtù durante la lotta nei cieli; sono quelli che, a cagione delle loro azioni seguenti, chiamiamo esseri luciferici. In seguito, durante lʼevoluzione terrestre, queste entità si accostarono al corpo astrale dellʼuomo e gli diedero la possibilità del male, ma insieme anche quella di svilupparsi per propria libera forza. In tutta la scala delle gerarchie troviamo così la possibilità della libertà [si noti bene la possibilità della libertà, non ancora la libertà] solo in una parte degli angeli e negli uomini. Per così dire nella schiera degli angeli comincia la possibilità della libertà, ma solo nellʼuomo essa si sviluppa del tutto e nel giusto modo».

Ora, per non prolungare eccessivamente, abusando ulteriormente della paziente e diligente buona volontà del candido lettore, la presente esposizione, mi limiterò – abbreviando a malincuore – a riportare solo alcune delle parole più rilevanti, connesse col nostro tema, di Rudolf Steiner, che possiamo leggere alle pp. 160-161:

«Abbiamo dunque nellʼuomo un membro delle nostre gerarchie e lo vediamo differire grandemente dagli altri. Vediamo come la condizione dellʼuomo sia diversa da quella dei serafini, cherubini e troni, diversa dalle dominazioni, virtù e potestà, diversa anche da quella degli spiriti della personalità o principati, degli spiriti del fuoco o arcangeli, e di una parte degli angeli. Se si guarda al futuro lʼuomo può dirsi: io sono chiamato a cercare nella mia più profondainteriorità tutto quello che mi spinge allʼazione, e non nella vista della Divinità, come i serafini. […]

Con ciò vediamo pure come in realtà lʼevoluzione universale non si ripeta semplicemente, ma accolga in sé del nuovo, perché unʼumanità quale la vive lʼuomo non era ancora mai esistita, né fra gli angeli, né fra gli arcangeli, né fra i principati. Tocca allʼuomo compiere una missione completamente nuova nel mondo, la missione che abbiamo ora caratterizzata. Per compierla è disceso nel mondo terreno, e come libero aiutatore è sorto nel mondo il Cristo, non come un Dio che agisce dallʼalto, ma come il primogenito fra molti.

Solo così comprendiamo tutta la dignità e lʼimportanza dellʼuomo tra i membri delle nostre gerarchie, e guardando verso lo splendore e la grandezza delle gerarchie superiori, possiamo dirci: Siano esse pur grandi, siano esse pur sagge e buone tanto da non poter mai deviare dalla retta via, grande è pure la missione dellʼuomo, poiché egli deve portare nel mondo la libertà, e con la libertà quello che si chiama amore, nel vero senso della parola. Senza libertà, lʼamore è infatti impossibile. Un essere che sia incondizionatamente costretto a seguire un impulso, lo segue senzʼaltro; ma per un essere che può anche agire in modo diverso, vi può essere una sola forza motrice: lʼamore. Libertà e amore sono due poli tra loro connessi».

La realizzazione dellʼimpulso alla Conoscenza e alla Libertà è stata nei millenni la caratteristica della stirpe cainita, e non avrebbe mai potuto realizzarsi a partire dalla stirpe abelita, la cui caratteristica fondamentale è stata non la Conoscenza ma la fede nella Rivelazione, non la Libertà ma la Legge, conformità a quanto emanava da Jahve-Jehova, ossia dallʼEloha o Eloah che scelse come sua sede la Luna. Tuttavia, ambedue glʼimpulsi sono stati necessari alla realizzazione di quel còmpito che lʼAssoluto volle dare agli Dèi, ossia agli esseri delle Gerarchie Celesti. Le note del presente studio sono state altresì redatte e pubblicate per rettificare idee pericolosamente errate – come mostrato su questo temerario blog in un mio precedente studio – circa la cosmologia della Scienza dello Spirito in generale, e in particolare lʼerrata identificazione di Lucifero con lʼEloha lunare Jahve-Jehova, apparse in una serie di libri pubblicati da una casa editrice romana sotto lʼeteronimo di Orao. Tali idee errate possono avere conseguenze esiziali per il ricercatore spirituale, che acriticamente le accolga come vere, e generare dubbi paralizzatori della volontà, nonché una immagine caricaturale dello Spirituale, una superstizione che agisce in maniera distruttiva nellʼanima del ricercatore spirituale e nel mondo, e che deve essere respinta, perché il Maestro dei Nuovi Tempi così si esprime in Teosofia. Introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del destino umano, trad. di Ida Levi Bachi, Editrice Antroposofica, Milano, 1994, nel capitolo Il sentiero della conoscenza, p. 149:

«Svaniscono i dubbi che ancora potevano sorgere in lui riguardo allo spirito, poiché dubitare può soltanto chi sia ingannato dalle cose sul conto dello spirito che opera in esse. Poiché il «discepolo della saggezza» può comunicare con lo spirito stesso, scompare in lui anche ogni falsa immagine che se nʼera fatta prima. La falsa immagine in cui ci si rappresenta lo spirito è superstizione. Lʼiniziato è al di sopra di ogni superstizione, perché conosce quale sia il vero aspetto dello spirito. Lʼaffrancamento dai pregiudizi della persona, del dubbio e della superstizione è il contrassegno di chi, sul «sentiero della conoscenza», sia salito al grado di discepolo».

***

La tredicesima parte concluderà questo lungo studio, ed il lettore verrà ricompensato della sua pazienza da una piccola “sorpresa”, che spero sarà gradita.

 

12 pensieri su “LA RICERCA DEL SANTO GRAAL. DODICESIMA PARTE.

    • Prego, gentile Glorfindel!
      La nostra maggior gratitudine va a Rudolf Steiner, a Massimo Scaligero, che ci hanno pòrto l’aureo dono della Scienza dello Spirito!

      Hugo

  1. Grazie davvero Hugo.
    Durante questa sofferta assenza (diceva Christian Morgenstern: “tutto quello che non accade non ha il permesso di accadere”) sempre ho gettato uno sguardo sul sito nella speranza che la tua voce tornasse a risuonare.
    Grazie ancora.

    Uther Pendragon

    • Gentiissimo Uther Pendragon, purtroppo la latitanza di Hugo, non dipendeva da lui, ma da una serie di circostanze indipendenti dalla sua volontà: circostanze relative non solo a lui, ma anche ad altre persone care.

      Ma tutto ha poi, alla fine, un suo “perché” – anche se sovente sul momento non lo scorgiamo – ed accade nel momento necessario. L’impegno a testimoniare in maniera leale, degno, e più responsabile in favore del dono che la Celeste Sophia ci ha pòrto tramite Rudolf Steiner e Massimo Scaligero, ossia la Scienza dello Spirito, è per Hugo un giosioso dovere, e si impegnerà in tale direzione sempre di più con tutte le sue forze. E’ una promessa!

      Hugo de’ Paganis

  2. Un caro saluto Hugo de Paganis.
    Leggo sempre attentamente questi scritti, attesi con gioia e pazienza. Lo riporto adesso che apprendo essere questa la penultima parte.
    Stia bene.

  3. Mi associo ai ringraziamenti. Personalmente ho trovato sempre molto motivante e stimolante questo mito (nel senso antico del termine) oltre che molto chiarificatore. Effettivamente l’idea che gli Dei siano beati ed immortali ma proprio per questo soggetti al limite posto da queste qualità è sicuramente presente anche altrove e questo è molto stimolante perché restituisce positivamente all’uomo la sua propria posizione ontologica di vivente potenzialmente in grado di andare oltre l’essere proprio perché partecipa anche del non essere, che gli Dei non possiedono, per usare un linguaggio simil filosofico. Comunque, non so perché, questo mito ha un effetto davvero benefico, fa da sostegno in qualche modo, e questo è ciò che conta, secondo me.
    Grazie, un saluto.

  4. Buongiorno Hugo, nel ringraziarla per le pagine di conoscenza che ci regala in questo cattivissimo blog, dalle quali traggo nutrimento spirituale da qualche tempo, vorrei chiederle se l’Eloha che si è unito a Eva per generare Caino potrebbe essere il Cristo. Grazie, un caro saluto.

    • Buongiorno, gentile Lebowski! Chiedo indulgente venia per il ritardo della mia risposta, ma, per una serie di motivi di impegni sanitari, questo è stato un periodo per me particolarmente difficile. Difficoltà che mi hanno altresì rallentato nella mia partecipazione attiva al blog Ecoantroposophia. Per fortuna il periodaccio sta passando. Gilda, mia nonna, donna sarda, energica e savia, diceva che come passa il bello, passa anche il brutto. Quanto alla domanda de Lei posta, devo risponderLe sulla negativa, ossia che l’Eloha che si unì ad Eva, non è il Christo. Egli è al di là della contrapposizione tra “abeliti” e “cainiti”. Egli è altresì, per così dire, in qualche modo anche “immanente” alle due correnti, anche se il cammino spirituale dell’uomo e dell’umanità va da “Abele” a “Caino”, ossia – come esplicitamenteafferma Giovanni nel Prologo del suo Vangelo – da Mosé, da Jahvè, dall’Antico Testamento, ossia dalla “Legge”, al Christo, al Nuovo Testamento, ossia alla “Grazia” e alla “Libertà”. In che dà un particolare valore alla corrente “cainita”. Infatti, la corrente “abelita” è volta ad un ritorno al passato, mentre la corrente “cainita” procede coraggiosamente verso il futuro.
      Un caro saluto a Lei!
      Hugo de’ Paganis.

      • Grazie Hugo, quindi “Libertà” sarebbe la traduzione più corretta dell’ “aletheias” del Prologo?
        Già che ci sono coglierei l’occasione per avanzare umilmente la richiesta di dedicare qualche pagina del temerario blog a una lettura “guidata” delle prime parole del testo giovanneo.

        • Gentilissimo Lebowski, no e sì! La parola greca ‘Alètheia’, ἀλήθεια, è una parola profondissima che dis-vela, senza mai esaurirsi, vari significati nello scorrere dei secoli e presso autori diversi. Essa è stata volta a volta tradotta come «dischiudimento», «svelamento», «rivelazione» o, infine, appunto, come «verità». Etimologicamente, ἀ–λήθεια significa il dissolvimento di uno stato di oblio, di stordimento, di alienazione rispetto alla memoria di sé. Quindi, «lo stato del non essere nascosto; lo stato dell’essere evidente»: uno stato di trasparenza luminosa e di sincerità. Mentre in greco ‘libertà’, ‘Eleutherìa’, ἐλευθερία, è addirittura connessa ai Misteri Classici, e in particolare ai Misteri eleusini. Nell’equivalente romano della eleusina Demetra, in Cerere, abbiamo persino il fatto ch’ella ha una figlia di nome ‘Libera’, mentre ‘Libero’ è il Dioniso romano!

          Ma i due concetti di verità e di libertà sono anche strettamente connessi, perché il Lògos affermò: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi!”. e la chiusa del Prologo di Giovanni ci indica come attraverso il Christo avvenga il superamento dalla schiavitù della Legge mosaica.

          Ora, Lei, gentile Lebowski mi fa una proposta di quelle, per dirla col mio amato Dante, mi fan “tremar le vene e i polsi”. Fare un commento o una lettura “guidata” al Prologo di Giovanni?! Se io fossi Giovanni Scoto Eriugena, o Meister Eckhart forse – dico: forse – mi ci azzarderei, come affermato in Inf. II, vv. 31-36 della Commedia:

          “Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
          Io non Enëa, io non Paulo sono;
          me degno a ciò né io né altri ’l crede.

          Per che, se del venire io m’abbandono,
          temo che la venuta non sia folle.
          Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono”.

          Ma io sono solo un ormai anziano praticante – un lupaccio della steppa – che si affatica e si affanna com può su una Via luminosa quanto difficile, un “sentiero alto e silvestro”: poca è la mia sapienza, e molti son stati i miei errori, che pur nel cammino si son rivelati fecondi. Ma perché, si rivolge a me, Gentile Lebowski, quando Rudolf Steiner ha dedicato più cicli di conferenze all’esegesi del Vangelo di Giovanni, e in particolare del suo Prologo?! Se cerca nel catalogo dell’Opera Omnia del Dottore, vedrà che potrà trovarvi una vera miniera in proposito! Le auguro buona ricerca!
          Hugo de’ Paganis

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