«Io, Johann Faust, dottore, dichiaro che, dopo aver intrapreso lo studio degli elementi […] ho fatto voto di sottomissione a […] Mefistofele». – ‘L’alchimista’, di William Fettes Douglas. 1853
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Spregia pure il sapere e la ragione,
queste supreme facoltà dell’uomo.
Lascia pur che lo Spirito bugiardo
sempre piú t’irretisca in artifici
d’inganno e di magia.
E senza via di scampo,
nelle mie grinfie t’avrò stretto alfine.
Chiuse in costui la sorte
un indomato spirito
che disfrenatamente lo riscaglia
di mèta in mèta sempre piú lontano,
e nell’impeto suo precipitoso
tutte scavalca le terrene gioie.
Ebbene: quello spirito indomato,
io lo trascinerò per la piú matta
bestialità del vivere bestiale:
per squallidi deserti
di frivolezze vane.
Ei si dibatterà tra le mie panie,
per ivi irrigidirsi
ed invischiarsi affranto.
La sua sete inesausta e la sua fame,
alle labbra dinanzi
prendere si vedrà bevande e cibi:
ma inutilmente implorerà ristoro
a sete e a fame. E pur se non si fosse
al demonio di già legato in patto,
precipitar dovrebbe in perdizione.
(Mefistofele/Faust-Goethe)
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“Il dott. Johann Georg Faust (1480 – 1540) fu un alchimista tedesco nato nel villaggio di Knittlingen, Württemberg (si sostiene anche che potrebbe essere nato a Roda nella provincia di Weimar o anche a Helmstadt vicino a Heidelberg nel 1466). È stato conosciuto alternativamente con i nomi “Johann Sabellicus” e “Georg Faust”. Nel 1507 Johannes Trithemius di Sponheim scrisse che Faust era un truffatore e un vagabondo che si approfittava dei creduloni, fu allontanato da un posto di insegnante a Kreuznach dopo aver lì molestato diversi ragazzi.
Potrebbe poi aver proseguito gli studi all’Università di Heidelberg, dove nel 1509 ottenne la laurea in teologia, e poi essersi trasferito in Polonia, dove un amico di Martin Lutero, Filippo Melantone, affermò che Faust studiò magia all’Università di Cracovia. Melantone è stato un teologo e riformatore tedesco, seguace di Lutero della prima ora, il suo pensiero si caratterizza per le sfumature mistiche, i toni concilianti e la svalutazione di dogmi e rituali, caratteristiche che lo resero molto apprezzato negli ambienti riformatori italiani per la sua ricca cultura umanistica, per la sua possente preparazione teologica e per le sue posizioni vicine all’adiaforismo erasmiano (e valdesiano), divenendo così un interlocutore privilegiato per gli “spirituali” e per i cattolici non intransigenti.
Si narra che Martin Lutero e Filippo Melantone abbiano sostenuto che Faust intrattenesse abitualmente rapporti con il diavolo.
Dopo di che appare all’Università di Ehrfut nella Germania centrale. Si narra che quando teneva lezioni su Omero evocasse gli eroi di Omero per i suoi studenti.
Fu espulso da Ehrfut dal monaco francescano Dr. Klinge (che fu predicatore della cattedrale dal 1520 al 1556). Il Dr. Klinge chiese il pentimento di Faust. Faust rifiutò l’offerta di intervento del monaco e ammise di aver firmato un patto con il Diavolo, e disse che si fidava del Diavolo più che di Dio.
Nel 1523 si racconta che abbia frequentato la taverna di Auerbach a Lipsia, dove fece uscire il vino da un tavolo e cavalcò una botte di vino. Goethe visitò spesso la stessa taverna da studente secoli dopo.
(Illustrazione: Johannes Faust esce a cavallo di una botte dalla cantina di Auerbach)
Da quel momento in poi, man mano che la sua fama di genio cresceva, cresceva anche la sua notorietà e fu espulso da diverse città.
Si dice che Faust avesse predetto che il vescovo di Münster (Franz von Waldeck) avrebbe conquistato la città di Münster e che avesse correttamente previsto l’esito della spedizione venezuelana di Philipp von Hutten.
Una volta, mentre era in prigione, in cambio di vino si offrì di mostrare a un cappellano come togliersi i peli dal viso senza usare il rasoio. Il cappellano gli fornì il vino e Faust gli diede un unguento di arsenico, che gli tolse sia i peli che la carne.
Faust morì nel 1540 o nel 1541. La leggenda narra che fece una fine terribile nei pressi di Wittenberg, dove il diavolo lo fece a pezzi e lo lasciò su un mucchio di letame, con gli occhi incollati a un muro.”
Dalla storia alla leggenda
“Nel 1587 fu pubblicato un libro in poemi “Historia von D. Iohan Fausten” sui peccati di Faust, che fu presto tradotto in inglese, il quale ispirò Christopher Marlowe. Il Dottor Faust di Marlowe fu studiato da Johann Wolfgang von Goethe (che potrebbe aver letto anche la versione tedesca) e la leggenda di Faust crebbe.
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) scrive il suo monumentale poema Faust dal 1772 al 1832, in un arco di tempo lungo sessant’anni. Il contenuto narrativo si ispira a un personaggio realmente vissuto tra la fine del Quattrocento e la fine del Cinquecento in Germania: Johannes Georg Faust, un ciarlatano che millantava di saper praticare le arti magiche e di poter evocare il contenuto di opere mai rinvenute di autori come Platone e Aristotele.
Attorno alla figura di Johannes Georg Faust e alla sua vita avventurosa e ammantata di mistero, sorgono numerose leggende già quando l’occultista è ancora in vita. Sono di poco successive le diverse rappresentazioni che affrontano la storia di Faust in forma più esplicitamente fantastica: la più celebre è sicuramente la Tragical History of Doctor Faust del drammaturgo inglese Christopher Marlowe (1564-1593), la cui prima rappresentazione attestata è del 1594, ma che è stata composta nel 1588. Anche Marlowe porta in scena caratteri ed episodi che vengono poi mutuati da Goethe, come la tragicità insita nel personaggio o l’amore per Elena di Troia.
Goethe ha modo di avvicinarsi al Doctor Faustus di Marlowe già in giovane età, durante uno spettacolo di marionette (i tradizionali Puppenspiel tedeschi). La storia dell’alchimista, metafora del rapporto dell’uomo con la conoscenza e con il senso ultimo della vita, attraversa tutta la vita del poeta e drammaturgo tedesco, dalle prime bozze del 1772 fino all’edizione definitiva del 1831. Nel suo Faust Goethe fa confluire tutte le suggestioni storiche, estetiche e culturali del suo periodo, fondendole con la cultura classica (soprattutto nella seconda parte dell’opera) e delineando una vicenda universale di ricerca, perdizione e redenzione. I tratti romantici dell’Urfaust, che risentono delle teorie di Herder e Hamann e dell’influsso dello Sturm und Drang, si rintracciano ancora nella tensione titanica verso l’infinito del protagonista, ma vengono anche mescolati con temi più tipicamente classicheggianti, come la riflessione sul rapporto tra bellezza e piacere, sulla funzione dell’arte e dell’agire umano, sui limiti della nostra conoscenza.
Centro dell’epopea di Goethe è il rapporto tra Faust e Mefistofele, che attraversa tutta l’opera e che è sottoposto a tensioni ambivalenti. Da un lato Faust, nella sua tensione all’ignoto, nella sua urgenza di ampliare la propria conoscenza o il proprio potere, è il motore degli eventi e – in accordo con il principio romantico dello Streben – è sempre insoddisfatto dei risultati acquisiti, nonostante gli infiniti doni di Mefistofele. Il diavolo, d’altro canto, persegue un suo fine specifico – la conquista di un’anima e la vittoria sull’ordine divino – che lo mette in antitesi contro il principio stesso del cambiamento che anima Faust: la dimensione del tempo (che è quella che permette a Faust di evolvere e di vivere anzi più esistenze diverse) e del mutamento è quella che Mefistofele non comprende, perché essa rimanda al miracolo divino della Creazione. Mefistofele nel finale dell’opera, proprio quando si interroga sulla futilità della “creazione” e proclama la sua fede nel “vuoto eterno”, si vede sottrarre dagli angeli il premio della sua scommessa, ovvero l’anima di Faust.
La conclusione positiva dell’opera goethiana – molto discussa dalla critica – può essere allora interpretata come un’accettazione positiva dell’etica di Faust, che, pur tra mille difficoltà ed errori, giunge infine alla rivelazione dell’obiettivo più alto (l’attivismo benefico per gli altri) dell’aspirazione romantica all’Assoluto.
Goethe ha voluto positivamente vedere nel Faust l’uomo che fiduciosamente, “viaggiando” nelle epoche, si concede il tempo per evolvere e giungere alla perfezione, dunque alla salvezza.
Non si deve però, nello stesso tempo, mai dimenticare ciò che il Dottor Steiner indicò: La Via diretta è la più sicura.
Accanto a Lui Massimo Scaligero ne indicò il metodo ma insieme anche le difficoltà, i ritardi e la possibilità di mancare il grande importante compito che proprio in in questi particolari tempi, con gli strumenti a disposizione, possiamo affrontare: ossia con lo strumento del pensiero astratto e logico razionale, traghettante in quanto trascendibile, non da conservare stanziale, trattenente, permanente e definitivo: la vera permanenza essendo solo la vita del pensiero.
La libertà contempla la salvezza ma anche il fallimento, la sconfitta, così come fu sconfitto il “vero” Faust, quello che calcò realmente il suolo tedesco. Un giusto Inizio che i mondi spirituali gradiscono sopra ogni altra cosa è il Rispetto, la Reverenza e la Devozione verso I Maestri, verso il Divino, solo allora Essi si aprono a noi e riversano i loro doni. Mancando il Rispetto, la Reverenza e la Devozione meglio affidarsi al karma, al tempo e alle reincarnazioni, evitando nel frattempo di commettere errori gravissimi e forse irreparabili come tradimenti nei confronti dei Maestri, errori come menzogna, raggiri nei confronti di molti che, incapaci di discernere, vengono distolti dalla Via e dalla Verità: non è obbligatorio divenire Iniziati in questa vita, nè mancare l’appuntamento è una vergogna, ma se lo si vuole allora bisogna prepararsi per stare di fronte alla Verità con sentimenti sacri.
Che il Faust di Goethe ci sia di speranza e il ciarlatano Johann George di monito.
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