VERITÀ ED ERRORE NELL’INDAGINE SPIRITUALE: SUE CONSEGUENZE PER LA VITA SPIRITUALE DEGL’INDIVIDUI, DELLE COMUNITÀ SPIRITUALI, DEL MONDO. DECIMA PARTE.

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Abbiamo visto quali enormi, fatali, addirittura esiziali, errori, sia conoscitivi che morali, scaturiscano da una ‘chiaroveggenza’ atavica, visionaria, istintiva, la quale non può mai essere, a causa della sua passività, fonte e soggetto dell’atto conoscitivo del pensare. Semmai, è essa a necessitare urgentemente di divenire oggetto di una cosciente, volitiva, indipendente attività del pensare. Ed è tale manifestazione di una ‘con-fusa’ mescolanza di percezione, sensazione, emotività, istintività, e falsi ‘pensati’, suggeriti da una apparente spontaneità propria della natura inferiore, ad avere urgente necessità di una energica e indipendente attività pensante, che attraverso la cosciente, lucida, formazione di concetti – tratti, come insegna la Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner, dal proprio mondo ideale, e non dalla percezione stessa – e ad aver bisogno di venire restituita alla dimensione ad essa dovuta, fuori della quale una tale mistura, spacciata per ‘percezione spirituale’, è intossicante menzogna. Ma, come ho detto nelle precedenti pagine di questo studio, una volta che, con tutta chiarezza, sono stati individuati quali siano gli errori – che ad uno sguardo attento, e spregiudicato, risultano essere oggettivamente, vere e proprie menzogne – presenti, come ho ampiamente documentato, sin dalle prime pagine del libro Resurrezione di Orao, è urgente, oltre che necessario, ricercare, e rendersi conto, del come e del perché possano sorgere in un’anima simili errori: tutta l’impostazione della Via dell’Iniziazione ne dipende.

Grandissimo aiuto ad una tale necessaria chiarificazione ci giunge dal citato aureo libretto, Filosofia e Antroposofia, tradotto da Lina Schwarz, ed edito sin dal 1938, da “La Prora” di Milano, come primo testo della collana «Conosci te stesso», Quaderni di Scienza dello Spirito a cura di Rinaldo Küfferle, Nuova Serie, nel quale Rudolf Steiner, rispondendo ad una possibile obbiezione – che, come suo costume, egli stesso si fa, anticipando quelle di eventuali avversari della Scienza dello Spirito – alle pp. 95-99, così dice con parole che in parte metterò in particolare evidenza:

«Con tutto ciò, potreste anche obiettare che, se le comunicazioni dal mondo spirituale non sono viste da sé, si può sempre dubitare del loro valore. Ma ora poniamo accanto ai due che abbiamo messo dinanzi poc’anzi [scil. ossia il chiaroveggente spontaneo o atavico, e il chiaroveggente pensatore], un terzo, che non sia affatto chiaroveggente, ma al quale siano stati solo comunicati certi risultati dell’indagine spirituale acquistati per via del pensiero (cioè della chiaroveggenza accompagnata dal pensiero). Egli li accoglie e li comprende come ragionevoli, come fatti del mondo spirituale. L’uno, il pensatore veggente, li possiede; ma chiunque li abbia compresi con la sua ragione, li possiede pure, sebbene non ne sia cosciente. Non occorre affatto essere chiaroveggenti per avere in sé il pieno valore di quanto si è ricevuto come comunicazione. C’è una differenza tra il possedere qualcosa e l’essere coscienti di quel che si ha. Supponiamo, ad esempio, di aver fatto un’eredità e di non averne avuto ancora nessuna notizia; ciò nonostante, il valore dell’eredità fatta esiste già oggi per noi. Anche se non ne siamo ancora venuti a conoscenza, la possediamo ugualmente. Così è colui che apprende i fatti del mondo spirituale per mezzo dell’antroposofia; se li ha compresi con la sua ragione, egli li possiede già, e non ha che da attendere il momento nel quale ne diverrà cosciente. Ciò si mostra soprattutto dopo la morte. Possiamo chiederci, usando un’espressione spicciola per meglio chiarirci la cosa: «Dopo la morte, è più utile all’uomo aver veduto chiaroveggentemente i fatti spirituali senza lavoro di pensiero, oppure l’aver ricevuto la comunicazione antroposofica di quei fatti anche senza veggenza propria?».

È facile credere che, per la vita dopo la morte, la chiaroveggenza sia una preparazione migliore che non il semplice accogliere la comunicazione dei fatti spirituali. Eppure non è così. Dopo la morte, ben poco serve all’uomo ciò ch’egli ha veduto solo chiaroveggentemente; invece ha sùbito una realtà, non appena comincia a divenire cosciente delle comunicazioni spirituali che ha ricevute durante la vita, se le ha comprese con la sua ragione. Dopo la morte, ha valore appunto quel che si è compreso durante la vita; sia stato visto chiaroveggentemente o no. Anche il più profondo iniziato, capace di vedere tutto il mondo spirituale per mezzo della sua chiaroveggenza, non aumenta con ciò il suo valore dopo la morte, se non è stato in grado di esprimere quei fatti in concetti umani. Dopo la morte, possono servigli soltanto le cose che quaggiù egli possiede in concetti. Sono i semi per la vita dopo la morte. Naturalmente, chi è chiaroveggente e insieme pensatore si può avvantaggiare di quanto vede chiaroveggentemente. Ma due che non siano pensatori, dei quali l’uno sia chiaroveggente e l’altro senta solo raccontare ciò che l’altro vede, si trovano, dopo la morte, nell’identica situazione, poiché nella vita dopo la morte possiamo portare con noi solo quel che ci siamo conquistati quaggiù con l’ausilio del pensiero esercitato. È quest’ultimo che là germoglia come un seme; non già quel che troviamo nelle sfere in cui, dopo la morte, entriamo. Quanto riceviamo dai mondi superiori non ci viene regalato gratuitamente affinché ci divenga più comoda la via per abbandonare il piano fisico, ma ci viene dato perché lo convertiamo in moneta di questa Terra; e solo quel tanto che abbiamo convertito in moneta di questa Terra ci serve dopo la morte».

Dopodiché, Rudolf Steiner descrive, con geometrica precisione, quelli che sono i lati ambigui, equivoci, fonti di innumerevoli illusioni, propri della ‘veggenza visionaria’, di quella veggenza che non è stata sottoposta al vaglio severo della rigorosa coscienza pensante. Una volta di più, è necessario dire che, a tale riguardo, a nessuno, proprio a nessuno, possono esser fatti sconti di sorta, proprio perché altrimenti si espone noi stessi e gli altri, oltre che alle più svariate illusioni, e a situazioni animiche decisamente patologiche, a pericoli notevoli, circa i quali la storia dell’occultismo degli ultimi secoli fornisce, per chi voglia vedere e non illudersi, numerosi, plateali, esempi. E così, alle pp. 99-101, così Rudolf Steiner prosegue con parole ammonitrici, che l’attuale ricercatore spirituale farebbe bene a tenere sempre presenti, e a mai dimenticarle:

«Ma anche quaggiù sul piano fisico c’è una differenza tra il chiaroveggente visionario ch’è pensatore, e quello che non lo è. Certo, è bello e interessante guardare nei mondi spirituali; ma esiste egualmente una differenza tra il vederli solo per via di visioni e il comprenderli per mezzo del pensiero, anche prescindendo dal fatto che, se queste cose non si penetrano col pensiero, non si è mai protetti da inganni e illusioni. (Né c’è altro mezzo contro le illusioni che pensare chiaramente quanto si è veduto). Inoltre, tutto quello che vede un chiaroveggente visionario, così com’egli lo vede, è sempre compenetrato di elementi del piano fisico. Avete mai sentito descrivere un angelo altrimenti che con elementi tolti dal piano fisico? Lo si descrive con le ali, come le hanno gli uccelli; con un torso, come lo hanno gli uomini sul piano fisico, ecc. naturalmente, il modo come sono composte queste immagini, di cui parla il chiaroveggente visionario, non esiste sul piano fisico; ma i loro elementi sono ricavati dal mondo fisico. Quanto dunque ci appare in forme, in immagini tolte dal mondo fisico, non appartiene al mondo spirituale, ma è solo un «simboleggiamento» del mondo spirituale con mezzi del mondo fisico.

Ne ho parlato chiaramente nel mio libro La Scienza Occulta, dicendo che la chiaroveggenza odierna, quantunque debba prima sviluppare l’immaginazione, non deve arrestarsi ad essa, ma giungere ad eliminare da quel che si vede anche l’ultimo residuo di elementi terreni.

E qui, quando si toglie di mezzo ogni residuo terrestre, si presenta davvero un certo pericolo per il chiaroveggente. Quando, ad esempio, vedendo un angelo, egli ne elimina ogni residuo terrestre, c’è il pericolo che non veda più nulla. Se elimina tutte le immagini fisiche con cui lo simboleggia, corre il rischio di non vedere più nulla. E ciò che lo preserva dal perdere totalmente la cosa, quando sale davvero nel mondo spirituale, è il seme che può germogliare dal pensiero. Sono i pensieri che dànno allora la sostanza per afferrare quel che esiste nel mondo spirituale. E noi acquistiamo veramente la facoltà di vivere nel mondo spirituale, quando afferriamo qui, sulla Terra, qualcosa che non è più compenetrato di elementi sensibili, e che pure esiste sul piano fisico. E sono unicamente i pensieri.. nel mondo spirituale non possiamo portare null’altro che i pensieri; ad esempio di un circolo disegnato non ci è lecito portar con noi il gesso, ma solo l’idea del circolo. Coi pensieri ci si può elevare nel mondo spirituale, ma dell’immagine non ci è permesso di portare nulla».

Qui è da ricordare un punto fondamentale del quinto capitolo della Filosofia della Libertà, La conoscenza del mondo, ove a p. 72 dell’edizione del 1966, ottimamente tradotta da Dante Vigevani, e ripubblicata, anche recentemente, dall’Editrice  Antroposofica di Milano, nella quale Rudolf Steiner introduce, per la prima volta nella storia della conoscenza umana, un nuovo, rivoluzionario, concetto di ‘realtà’, ossia quello della realtà non come antecedente, bensì come ‘risultato’ dell’atto conoscitivo, mediante il quale il soggetto conoscente, ossia l’Io, ‘con-crea’ il mondo:

«Con che diritto considerate voi il mondo come completo, senza il pensare? Non produce forse il mondo, colla stessa necessità, il pensare nella testa dell’uomo e i fiori sulla pianta? Piantate un seme nel terreno: getterà una radice e un fusto, svilupperà foglie e fiori. Ponete la pianta di fronte a voi stessi: essa si unisce nella vostra anima con un determinato concetto. Perché questo concetto apparterrebbe all’intera pianta meno delle foglie e dei fiori? Voi dite che le foglie e i fiori esistono anche senza un soggetto percipiente, mentre il concetto appare soltanto quando l’uomo si contrappone alla pianta. Verissimo. Ma anche le foglie e i fiori si formano nella pianta solo quando vi sia della terra in cui collocare il seme, e vi siano luce e aria in cui foglie e fiori possano svilupparsi. Proprio così si forma il concetto della pianta, quando una coscienza pensante si accosta alla pianta».

Questo concetto di ‘realtà’, come ‘produzione’ del soggetto conoscente, e come ‘risultato’ dell’‘atto’ che ‘realizza’ l’unione di percezione e concetto nella coscienza ad opera del pensare fu ciò che mi colpì – come una folgorazione – sin dalla prima volta che lessi la Filosofia della Libertà, e mi è stato per cinque decenni l’idea-forza orientatrice di tutta la pratica realizzativa, che mi sono sforzato di perseguire nella ‘Via del Pensiero’. Mi fu sùbito chiaro che quel che Rudolf Steiner afferma nella citazione riportata, vale sì per l’esperienza sensibile, ma anche – e soprattutto – per l’esperienza sovrasensibile. Ed è il non rendersi conto di questo punto cruciale della Scienza dello Spirito – punto che non affatto è una mera questione filosofica di ‘teoria della conoscenza’, ma il fondamento operativo di tutto il prometeico ‘idealismo  magico’ che sta alla base dell’Antroposofia – a portare coloro che si affidano alla veggenza atavica a smarrirsi nei labirinti dell’illusione, e ad affondare nelle paludi della medianica degradazione morale. Sempre a p. 72 della sua Filosofia della Libertà, Rudolf Steiner così prosegue:

«È del tutto arbitrario considerare come una totalità, come un intero, la somma di tutto ciò che di una cosa apprendiamo dalla semplice percezione, e di considerare quel che risulta dall’attività pensante come qualcosa di aggiunto, che non abbia nulla a che fare con la cosa stessa».

E, poco oltre, a p. 73, egli descrive addirittura quale sia l’autentico ‘atto conoscitivo’ nell’esperienza spirituale, umana o non umana: la si potrebbe definire addirittura un’autentica ‘teoria angelica della conoscenza’:

«Parimenti non è permesso di prendere la somma dei vari elementi percepiti per la cosa stessa. Potrebbe benissimo darsi che uno spirito fosse in grado di accogliere il concetto, contemporaneamente e unitamente alla percezione. Ad un simile spirito non potrebbe neppure venire in mente di considerare il concetto come non appartenente alla cosa. Dovrebbe attribuirgli un’esistenza collegata inseparabilmente con la cosa».

Ma proseguiamo a leggere, alle pp. 101-103, quel che Rudolf Steiner espone nella conferenza che costituisce la seconda parte del libretto Filosofia e Antroposofia. Egli descrive la differenza che vi è tra l’esperienza che ha il veggente atavico, visionario, non pensatore, e l’esperienza ‘ritardata nel tempo’ che, invece, ha dello spirituale sovrasensibile colui che percorra la ‘Via del Pensiero’:

«Ed ora posso descrivere ancora più precisamente il processo soggettivo esposto dianzi. Poniamo di nuovo che qualcuno veda un ostensorio. Poniamo che il semplice chiaroveggente lo veda in a, mentre il chiaroveggente pensatore lo veda soltanto in b.

a ———— b

Il pensatore diventa cosciente dell’immagine solo più tardi, quando giunge in b; ma per questo fatto riceve l’immagine al tempo stesso col pensiero, e può compenetrarla di pensieri. E nel momento in cui il chiaroveggente pensatore compenetra l’immagine di pensieri, per il chiaroveggente visionario essa diventa nera e indistinta, al punto b. Sicché il semplice chiaroveggente non è mai in grado di collegare il pensiero con le immagini, e non ha mai il senso di esser stato presente col proprio Io alla sua esperienza.

Sono fatti che portano a penetrare molto intimamente la cosa e sui quali è importante rifletter bene, poiché conducono a riconoscere quanto sia importante sviluppare il proprio pensiero e superare quell’inerzia che si rifiuta di acquistare il sapere, la conoscenza. È mille volte meglio aver da prima afferrato per la via del pensiero le rappresentazioni antroposofiche e soltanto in seguito, – prima o dopo, a seconda del proprio karma – divenir capaci di salire da sé nei mondi spirituali, che veder prima, senza compenetrarle col pensiero, le verità sovrasensibili che vengono comunicate. È mille volte meglio conoscere l’antroposofia e non possedere ancora alcuna chiaroveggenza, che vedere immagini e non aver la possibilità di compenetrare anche col pensiero le cose vedute, poiché la mancanza di una tale possibilità genera incertezza».

Naturalmente, è assolutamente necessario che i pensieri, ai quali ci si rivolge per illuminare le esperienze della ‘veggenza spirituale’, siano veri, e non falsi, ossia che corrispondano ad autentiche realtà oggettive, e non a irreali illusioni soggettive. Da qui, la grandissima responsabilità di comunicare conoscenze spirituali, risultati di esatte investigazioni, solo dopo averle vagliate, esaminate, e più volte verificate con quella scientifica metodicità dimostrata da Rudolf Steiner in tutta la sua opera scritta o orale, metodicità della quale, come abbiamo visto in parti precedenti del presente studio, egli parlava a Friedrich Rittelmeyer. Dopo aver dovuto constatare nel libro Resurrezione di Orao tutta una serie di errori gravissimi relativi ad elevate entità delle Gerarchie spirituali, nonché su oggettivi dati della cosmologia, ed aver persino dovuto constatare l’insincerità di una aperta impostura, la menzognera alterazione del pensiero e dell’Opera del Maestro dei Nuovi Tempi – ed abbiamo esaminate sin qui soltanto poche pagine, e pochi paragrafi, di Resurrezione – francamente, non è possibile riconoscere in tale testo quei caratteri di verità, di oggettività, di autenticità, di scientificità che son propri, invece, di tutta l’Opera di Rudolf Steiner. Abbiamo visto come Rudolf Steiner indichi la pericolosità dei risultati di una errata, deviata, chiaroveggenza visionaria. Pericolosità non solo per lo stesso veggente visionario, ma anche per l’azione distruttiva che tali contenuti esercitano sulle anime di coloro che, non facendo uso del loro sano raziocinio, del loro sano buon senso, li accolgono acriticamente con mistica fede sentimentale. I risultati di una errata e deviata veggenza visionaria agiscono, nel mondo astrale e in quello spirituale, oggettivamente come entità ostacolatrici anche nei confronti degli autentici ricercatori spirituali: entità che, come dice Rudolf Steiner, devono essere aspramente combattute, e vinte.  E, sempre nelle pagine di Filosofia e Antroposofia, vediamo che vengono indicati grandi limiti morali inerenti all’ostentazione di una cotale veggenza visionaria. Addirittura, alle pp.103-104, con parole insolitamente durissime, Rudolf Steiner stigmatizza i limiti morali di una tale veggenza visionaria:

«Si può esprimere la cosa ancora più esattamente, dicendo: al tempo nostro vi sono pensatori molto acuti che comprendono razionalmente la concezione antroposofica; e appunto questi hanno talvolta tanta difficoltà per arrivare alla chiaroveggenza. Perché? Coloro che non sono acuti pensatori riescono con relativa facilità a raggiungere una chiaroveggenza visionaria, e diventano allora facilmente arroganti verso i pensatori; mentre questi hanno difficoltà per divenir chiaroveggenti. Ecco lo scoglio dove si manifesta una certa superbia mascherata. Nulla suscita la superbia, quanto la chiaroveggenza non illuminata dal pensiero; e questa è così particolarmente pericolosa, perché generalmente la persona in questione ignora d’essere presuntuosa, anzi si crede molto umile. Non sa nemmeno giudicare quale immensa presunzione sia quella di disprezzare lo sforzo conoscitivo dell’uomo, e di dare il massimo valore a certe ispirazioni. In questa tendenza sta nascosto e mascherato un orgoglio mostruoso».

A questo punto, alle pp. 103-107, Rudolf Steiner dice qualcosa di estremo interesse per chi, con ardore e abnegazione, si dedica alla ‘Via del Pensiero’: ‘Via’, che non può essere – come ammonisce Laotsu – la via ordinaria, e che, indubbiamente, invece, è una ‘Via’ essenziale, scarnaaspra, dura, faticosa, ovvero, come la definisce il mio amico C., valoroso asceta daltra dottrina, e compagno d’armi di mille battaglie, una Via molto ‘achea’, ‘dorica’, ‘spartana’, ossia una ‘Via eroica’«attuabile forse da pochissimi», come ammonisce, nel Trattato del Pensiero Vivente, Massimo Scaligero:

«Ma la questione da risolvere ora è questa: «Perché appunto a certi pensatori riesce così difficile – come insegna l’esperienza – diventare chiaroveggenti?». Ciò sta in rapporto con un fatto importante. Il pensiero logico, la facoltà umana del giudizio, del discernimento, che appunto il pensatore sviluppa, produce una trasformazione ben determinata  di tutta le struttura del cervello. Lo strumento fisico viene trasformato dal pensare acuto. L’indagine fisica sa ben poco di ciò, ma un cervello che sia stato adoperato da un pensatore acquista una struttura diversa da quello appartenuto a un non pensatore. Il fatto di essere chiaroveggenti trasforma poco il cervello. Chi non pensa ha un cervello dalle circonvoluzioni molto complicate: il pensatore acuto invece ha un cervello particolarmente semplice, senza grandi complicazioni. Il pensare si esprime appunto nella semplificazione delle circonvoluzioni del cervello. Il pensiero acuto è quello che può abbracciare l’insieme; non quello che dirige la propria attività all’analisi. Da ciò la maggiore semplicità nelle circonvoluzioni cerebrali del pensatore. […] Avviene dunque, come ho detto, una trasformazione dello strumento del pensiero.; e questa trasformazione dello strumento del pensiero dev’essere prodotta dall’attività del pensiero. Nessuno nasce con tutte le facoltà che acquisterà più tardi; avrà le disposizioni, ma le facoltà deve prima svilupparle; sicché, dopo una vita di pensiero, il cervello sarà diventato diverso da quel ch’era prima.

 Il fatto è che il nostro corpo eterico, che dobbiamo liberare dal nostro cervello fisico perché possa prodursi la coscienza chiaroveggente viene di nuovo incatenato al cervello fisico. Questo lavoro del pensiero collega strettamente il corpo eterico al cervello.. se l’uomo, pel suo karma, non ha anche le forze per liberarlo di nuovo al momento giusto, può darsi che in quella incarnazione non gli sia possibile raggiungere gran che in fatto di chiaroveggenza; ciò dipende dal karma. Supponiamo che, per karma, egli sia stato un acuto pensatore in un’incarnazione precedente; in tal caso il suo pensiero non unirà ora tanto strettamente il suo corpo eterico al cervello, sì ch’egli riuscirà relativamente presto a liberare il corpo eterico e, poiché i pensieri sono i migliori semi per l’ascesa ai mondi superiori, sarà in grado d’investigare nel modo più sottile i segreti del mondo spirituale. Ma naturalmente dovrà prima riuscire a liberare di nuovo il corpo eterico dal cervello. Invece, se il corpo eterico nel cesellare, per così dire, il cervello fisico con le facoltà pensanti, vi si è talmente impigliato da rimanerne esaurito, allora può darsi che, per karma, quell’uomo debba aspettare molto tempo prima di poterlo nuovamente liberare. Quando però riuscirà a salire nei mondi spiirtuali, egli sarà passato davvero per il punto del pensiero logico e allora nulla andrà perduto per lui di quel che avrà conquistato, e nessuno glielo potrà togliere. Ciò è infinitamente importante ed essenziale; altrimenti la chiaroveggenza può sempre andar perduta.

Vi faccio osservare ancora una volta che voi tutti foste chiaroveggenti in tempi passati. E perché attualmente non possedete più la facoltà della chiaroveggenza? Perché allora non eravate collegati e uniti con l’esistenza terrestre, ma eravate «rapiti» nel mondo spirituale; e non avete portato giù quei mondi superiori fino alle vostre facoltà umane, perché la chiaroveggenza visionaria si fondava sull’estasi». 

La situazione drammatica dell’uomo in questa epoca è determinata dal fatto che, dalla fine del Kali Yuga, dell’Età Oscura, i corpi eterici degli esseri umani vanno lentamente, e progressivamente, allentandosi, sganciandosi, dallo stretto legame che per millenni hanno avuto con i rispettivi corpi fisici. Ma questo evento non è affatto, come taluni troppo affrettatamente cocludono e pensano, un fatto di per sé automaticamente  positivo, e salutare, perché se questo allentamento rispetto al fisico non è accompagnato da un adeguato livello di coscienza, della vitalità spirituale delle emergenti facoltà s’impadroniscono, e vampiricamente si nutrono, avverse deità ostacolatrici – luciferiche, arimaniche, asuriche – le quali concupiscono deviare la coscienza umana verso la medianità, verso una chiaroveggenza visionaria, verso uno spettrale mondo di illusioni. Gli strumenti da essi usati, per giungere alla corruzione delle forze dell’anima cosciente, sono, da un lato, lo sprofondamento sempre più coinvolgente nel consumante, interiormente erodente, apparire materiale, ossia in un ‘materialismo etico’, fatto di lavoro logorante, arrivismo economico e politico, ‘dis-trazione’ televisiva e telematica, falsa e ottenebrante ‘cultura’, evasione tramite droghe et similia, e dall’altro, l’occultismo e l’esoterismo alterati e deviati, la medianità, lo spiritismo, il channeling, la new-age, il misticismo sentimentale, la magia cerimoniale, la magia sessuale, l’adulterata e falsificata ‘alchìmia’, ossia un ‘materialismo magico’ spacciato per spiritualismo.  

Ma, come usavano dire gli Antichi, ‘corruptio optimi pessima’, ossia il massimo bene, profanato, degradato, sfigurato, deformato, diventa il peggiore dei mali. Quasi due millenni di storia del Cristianesimo confessionale lo dimostrano, una volta di più, ad abundantiam. E la massima tragedia spirituale del XX secolo è stata – a mio modo di vedere – il tradimento del dono che il Cielo e i Numi avevano fatto all’umanità con la Scienza dello Spirito, l’Antroposofia recata dal Maestro dei Nuovi tempi: tradimento dapprima di alcuni pochi, che poi ha causato la latitanza, la diserzione, la dispersione, l’infiacchimento, l’accidia, la vanità, il traviamento di molti, e successivamente la banalizzazione, la culturalizzazione, la spettacolarizzazione, e addirittura in taluni casi la pagliaccesca caricatura di contenuti sacri. Proseguendo nella degradazione, si è avuta la sostituzione degli originari contenuti autentici con ‘altri’ di matrice confessionale, e infine la commistione, nonché l’infeudamento, dei contenuti autentici con quelli di vie palesemente antispirituali. Si è giunti persino, nell’àmbito della stessa dirigenza della Società Antroposofica Generale, da parte di personalità preminenti della medesima, all’aperta, calunniosa, critica della figura umana e morale di Rudolf Steiner, e di molti aspetti del suo insegnamento. Tutte cose ben documentate, e documentabili: perfettamente accessibili a chiunque voglia coraggiosamente conoscere, e non vegetare, dormendo, in turpe ozio. Ma la stessa strategia – peraltro in forma ancor più sottile, e indubbiamente più abile e perfidamente infida – è stata messa in atto anche nei confronti dell’Opera di Massimo Scaligero, che pur aveva dedicato la vita a rimettere al centro il filone aureo dell’insegnamento antroposofico e rosicruciano di Rudolf Steiner, e a rettificare le conseguenze dei tradimenti e delle inadeguatezze emerse nel movimento spirituale antroposofico. Anche nei suoi confronti sono state pronunciate e scritte – proprio da coloro che meno di tutti avrebbero dovuto farlo – parole di ingiusta, ingiustificata, calunniosa e falsa, critica sul suo insegnamento, sulla sua figura umana, sulla sua intelligenza, sulla sua ascesi, sulla sua moralità. E anche nei suoi confronti è stata tentata una surrettizia, non apertamente dichiarata ‘sostituzione di contenuti’, nell’àmbito del più volte ricordato – e famigerato – ‘trasbordo ideologico inavvertito’. Anche questo, sin troppo facilmente documentabile.

Il paragrafo che si trova a p. 90 nel libro Resurrezione di Orao, e che si è dimostrato essere una palese impostura, perché – come abbiamo visto e documentato –  non si trova affatto ne La conoscenza della costituzione umana come base della pedagogia, testo tradotto da Lina Schwarz, pubblicato a Roma, nel 1947, dalla Editrice Cultura Moderna, e ripubblicato in seconda edizione dalla Editrice Antroposofica di Milano, come traduzione della GA-293 tedesca, col titolo Arte dell’educazione. I° – Antropologia, né – a quel che a me risulti da una diligente e puntigliosa ricerca sui testi originali – in nessun’altra opera di Rudolf Steiner, non è affatto un quid di isolato, qualcosa di casuale, ‘incastonato’ senza riferimenti, o collegamenti, senza una ragione, in un discorso più ampio. Tutt’altro: è un discorso funzionale al proporre – e ciò viene fatto in maniera abbastanza esplicita – una ‘nuova via iniziatica’. Per comodità del lettore – repetita juvant – riproduco quel passo qui di séguito:

«Nell’opera La conoscenza della costituzione umana quale base della nuova pedagogia, lo Steiner rivela che: «durante il congiungimento fisico l’uomo può sperimentare il contatto diretto con la prima Gerarchia, Troni, Cherubini, Serafini», ed ancora più avanti «il congiungimento fisico rappresenta nell’umano l’atto unico in cui non esiste più dualità per l’uomo, ma si attua eccezionalmente la completa unità fra la natura superiore e natura inferiore dell’uomo». Occorre quindi, ancora al presente, tenere in una certa considerazione tale esperienza per il significato che questa può mantenere al grado di evoluzione terrestre, ossia quale momento conoscitivo importantissimo per determinati conseguimenti e quale momento, per l’uomo e la donna, entro cui attuare l’atto resurrettivo della natura corporea da parte della natura superiore».

Ora, l’esperienza da «tenere in una certa considerazione», alla quale nel passo citato allude Orao, quella esperienza che dovrebbe costituire un «momento conoscitivo importantissimo per determinati conseguimenti», sarebbe – al dire di Orao – l’attuazione di una «via graalica», di una «via iniziatica della coppia», ed in effetti l’intero capitolo del libro Resurrezione, dal quale è tratta la citazione, e che si estende da p. 81 a p. 102, si intitola La ricerca del Graal, mentre il successivo capitolo, da p. 103 a p.130, porta il nome I gradi della Iniziazione graalica. Naturalmente, non metto affatto in dubbio che il percorrere la ‘Via del Graal’ sia esperienza suprema, e che lo sia per coloro che aspirano a realizzare l’Androgine Celeste, e quindi soprattutto per quella che una persona mia amica chiamò la ‘Coppia Superumana’, ma è necessario – assolutamente necessario – che la ‘Via del Graal’, ossia l’esperienza indicata con quel sacro nome sia quella autentica, e che, chi ne parla, tale autentica ‘Via’ l’abbia effettivamente percorsa, e concretamente realizzata.  Perché, come veniva detto dagli Antichi Sapienti: «Nemo dat quod non habet», ossia nessuno può dare quel che non ha realizzato, quel che non possiede, quel che non ha conquistato. Altrimenti si arriva a quella sacrilega ‘parodia’ dei Sacri Misteri, che Greci e Romani chiamavano, con severo disprezzo, ‘mistificazione’, e della quale in questi ultimi anni vediamo molteplici esempi. Ora, al di là dei contenuti esposti – sui quali vi sarebbe, vi è, e vi sarà, moltissimo da eccepire, e moltissimo da scrivere – vi sono alquante cose riguardanti la forma e il merito di una tale “esposizione” circa le quali non è possibile, né tampoco giusto e lecito, tacere. E non tacerò. Perciò, neque amore et sine odio, sine ira et studio, parlerò, esponendo, con la maggiore oggettività possibile, quanto risulterà ad un imparziale esame.

Tempo fa – per la precisione il 27 dicembre dell’ormai trascorso anno – mi è capitato di leggere sulla pagina di un gruppo chiuso, che su un social forum vuole occuparsi, o dice di occuparsi, di Scienza dello Spirito, l’affermazione stupefacente – per lo meno, per me, essa è oltremodo stupefacente – che Orao «ci piaccia o no, nel volume Resurrezione ha descritto, per la prima volta nella Storia a quanto mi risulta, la via iniziatica della Coppia, con le sue varie tappe…». Cosa che a me non risulta punto essere affermazione veritiera. Anzi, è dimostrabile che vero proprio il contrario. Certo, nel libro si parla molto, ed anche con forti accenti emotivi emotivi, del Graal e della Coppia graalica, ma la ‘via’ indicata, il ‘sentiero’ descritto non sono affatto quelli indicati dalla Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner, e non sono la ‘Via del Graal’ indicata da Massimo Scaligero. Sono qualcosa di molto, moltissimo, diverso.

Che io non mi sbagli affatto in questa mia conclusione, che il mio non sia un punto di vista mio personale, che il mio non sia per niente un giudizio ‘affrettato’‘soggettivo’ e – come mi potrebbe, polemicamente, essere imputato dalla parte avversa – ‘presuntuoso’, risulta proprio dalle affermazioni, che son state fatte più volte da taluni all’interno della Comunità Solare, secondo le quali la Via del Pensiero di Massimo Scaligero sarebbe «una via incompleta e superata», e che «in Massimo Scaligero manca il Cristo, manca il Graal», che la ‘Via’ di Massimo Scaligero sarebbe «antica, orientale, yoghica, buddhista, niente affatto cristiana», nonché che vi sarebbe stato «un Iniziato molto più grande di Massimo Scaligero, un Iniziato che aveva portato al mondo la ‘Via del Cristo’, e la ‘Via del Graal’». Circa quella che – a quel che udii – sarebbe la novella, iniziatica, ‘Via del Cristo’, mi venne data, già ventiquattro anni fa, una sommaria descrizione delle varie tappe di una contemplazione, in forma d’immagini, del Mistero del Golgotha, cosa che mi ricordava moltissimo la Via crucis della vecchia pratica cattolica, ossia quanto di più lontano si possa immaginare dal metodo, dai contenuti e dal clima stesso – rosicruciano e antroposofico – della Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner, e quanto di più lontano dalla Via del Pensiero rimessa al centro della medesima da Massimo Scaligero. In buona sostanza, si trattava di una forma di ‘misticismo’ a forte coloritura confessionale, e di un ‘occultismo cattolico’, come ve ne sono a giro nel mondo molteplici e svariati esempi. Invece, sulla questione della “rivelazione”, che questo Iniziato avrebbe portato per la prima volta al mondo – che, sempre a quel che mi veniva detto, sarebbe stato molto più grande di Massimo Scaligero – le persone, a quel tempo, si mostravano alquanto più reticenti: quasi temessero di tradire il Grande Arcano. Ma, ora, con la pubblicazione dei due volumi di Orao, Resurrezione e Madre (oltre ai quali non saprei dire se ne verranno pubblicati altri), quale sia la misteriosa ‘Via del Graal’ portata nel mondo per la prima volta da questo «Iniziato molto più grande di Massimo Scaligero», oramai è palese, e palese è altresì di quale natura essa sia.   

Naturalmente, l’affermazione che non Massimo Scaligero, bensì la personalità che si celerebbe dietro l’eteronimo di Orao, avrebbe portato concretamente nel mondo, «per la prima volta», la ‘Via del Graal’, la ‘Via della Coppia iniziatica’, e che solo Orao avrebbe portato nella Comunità Solare quell’«elemento christico del Logos», che – a quanto mi fu detto esplicitamente – mancherebbe gravemente in Massimo Scaligero, non è punto mia, ma ben di coloro la fecero, apertis verbis, in più occasioni, per cui non fa meraviglia che si sia poi deciso di pubblicare gli scritti di Orao, che sto esaminando.

Altrettanto naturalmente, non mi aspetto affatto che venga confermata, mettendola per iscritto, una tale paradossale, estrema, compromettente, affermazione circa l’incompletezza, e altresì circa il suo esser superata, della ‘Via del Pensiero Vivente’ di Massimo Scaligero, che – al dire di taluni che strumentalizzano frasi delle opere di Rudolf Steiner e di Massimo Scaligero, staccate dal contesto – potrebbe diventare per il temerario ricercatore spirituale «una via del sublime egoismo».  Da una tale «opinione» non solo è lecito, ma addirittura savio e salutare dissentire fortemente. Vedremo perché.   

Pertanto, non mi stupii affatto allora, né tampoco me ne stupisco oggi, e anzi  proprio oggi ben me ne spiego il perché, allorché, pochi anni dopo, mi trovai a leggere nel numero 81-82 della rivista romana – quelle parole le ripropongo, volutamente, ogni tanto, per ricordarle agli ‘immemori’, che con ‘opportuni accomodamenti’ trovano modo di ‘obliare’, e far dimenticare altrui, una scomoda verità – che: «l’esperienza del pensiero puro-libero dai sensi è un’esperienza spontanea, ma non cosciente e quindi egoistica», a correzione della quale viene proposta, e contrapposta, come ‘farmaco’ risanatore, una poco salutare, veterotestamentaria, «circoncisione eterica». Ma, in greco antico, la parola φάρμακον, phármakon, ha molteplici interessanti significati, tra i quali non solo quelli di «rimedio medicinale», «droga», «filtro», ma altresì quelli di «veleno», «sostanza tossica», mentre il termine φαρμακός, pharmakòs, aveva persino il significato di ‘espiatoria vittima sacrificale’, di ‘capro espiatorio’, ‘espiaculum culpae’, non solo in determinati rituali ellenici di sacrifici umani, ma anche in quelle che furono le veterotestamentarie ‘guerre teocratiche’, e nelle sanguinose, e plurisecolari, ‘crociate’ antiereticali della Chiesa cattolica. Il che è, francamente, molto inquietante, ed eziandio cosa che, per chi non avesse ardente vocazione al martirio, consiglierebbe estrema prudenza.

Anzitutto, è necessario rispondere alla, volutamente ‘dis-orientante’, affermazione essere la ‘Via del Pensiero’, indicata da Massimo Scaligero una «via incompleta e superata», e all’affermazione, altrettanto errata, e – a mio modo di vedere – anch’essa volutamente ‘dis-orientante’, che «l’esperienza del pensiero-puro libero dai sensi è un’esperienza spontanea, ma non cosciente, e quindi egoistica», della quale ho avuto modo spesso di scrivere su questo temerario blog. La migliore risposta la dà proprio lo stesso Rudolf Steiner  in quelle pagine della sua Scienza Occulta nelle sue linee generali, che furono lette da Massimo Scaligero in quella fatidica primavera del 1940: pagine che determinarono una svolta radicale e definitiva in lui, il riconoscimento della grandezza spirituale di Rudolf Steiner, il suo collegamento con Giovanni Colazza, e la consacrazione totale della sua vita alla rosicruciana Scienza dello Spirito, all’autentica Anthroposophia. Ecco che cosa scrive in quelle memorabili pagine – 276-279 dell’edizione del 1969 – il Maestro dei Nuovi Tempi:

«Per chiarire questo punto bisogna riflettere che il pensare umano, quando si stimola interiormente con energia, arriva ad abbracciare un campo molto più vasto di quello che di solito gli viene assegnato. I pensieri contengono infatti una essenza interiore che è in rapporto con il mondo soprasensibile. L’anima di solito non è cosciente di questo rapporto perché è abituata a educare il suo pensiero soltanto in relazione al mondo dei sensi, e perciò giudica incomprensibili le comunicazioni tratte dal mondo soprasensibile; ma queste sono comprensibili, non soltanto per il pensiero educato alla disciplina occulta, ma anche per ogni pensiero che sia cosciente di tutta la propria forza e desideroso di servirsene. Assimilando in tal modo gli insegnamenti dell’indagine occulta, ci si abitua ad un pensare che non attinge alle percezioni dei sensi; si impara a riconoscere che nell’intimità dell’anima un pensiero vien contessuto dall’altro, un pensiero si associa all’altro, anche quando il nesso non è determinato dalla forza dell’osservazione sensoria. L’essenziale è il fatto di accorgersi che il mondo del pensiero ha una vita interiore, e che mentre veramente si pensa ci si trova già nel campo di un vivente mondo soprasensibile. Ci si dice: «Vi è in me qualcosa che forma un organismo di pensiero, ma io sono tutt’uno con quel “qualcosa”». Abbandonandosi al pensiero libero dai sensi si diventa coscienti di un’essenza che fluisce nella nostra vita interiore, così come le proprietà delle cose sensibili fluiscono in noi attraverso i nostri organi fisici, quando osserviamo con i sensi. L’osservatore del mondo fisico dice: «Là fuori, nello spazio, vi è una rosa; essa non mi è estranea, perché mi si rivela per mezzo del suo colore e del suo profumo». Orbene, quando agisce nell’uomo il pensiero libero dai sensi, basta che egli sia abbastanza spregiudicato per poter dire ugualmente a se stesso: «Qualcosa di essenziale si rivela a me, ricollega in me un pensiero all’altro e costituisce in tal modo un organismo di pensiero». Vi è però una differenza nei sentimenti di fronte a ciò che l’osservatore del mondo sensibile esteriore ha nell’occhio, e ciò che di essenziale si annunzia nel pensare libero dai sensi. Il primo osservatore si sente esterno alla rosa, mentre chi si abbandona al pensare libero dai sensi ne sente l’essenza che gli si rivela come dentro si sé, si sente tutt’uno con essa. Chi più o meno coscientemente da valore di essenza soltanto a ciò che gli sta di fronte come oggetto esteriore, non potrà avere che una cosa di per sé esistente possa rivelarsi a lui anche per il fatto che egli si senta tutt’uno con essa. Per discernere la verità a questo riguardo, occorre poter avere la seguente esperienza interiore. Bisogna imparare a distinguere fra le associazioni di idee volontariamente create, e quelle sperimentate in noi quando la nostra volontà è messa a tacere. Nell’ultimo caso si può dire: «Io rimango completamente tranquillo in me stesso, non provoco nessuna concatenazione di idee, mi abbandono a ciò che “pensa in me”». Allora si può dire con ragione: «Agisce in me un alcunché di essenziale»; come pure si ha il diritto di dire: «Ricevo un’impressione dalla rosa, quando vedo un determinato rosso, o percepisco un determinato profumo». Non vi è nessuna contraddizione nel fatto di avere attinto il contenuto dei propri pensieri dagli insegnamenti dell’indagatore spirituale. I pensieri già esistono quando ci abbandoniamo ad essi; ma non si potrebbero pensare se non si creassero ogni volta a nuovo nell’anima. Si tratta appunto di questo: che l’indagatore dello spirito desti nei suoi uditori o lettori dei pensieri che questi devono attingere anzitutto in se stessi; chi invece descrive delle realtà sensibili indica qualcosa che può essere osservato dall’uditore o dal lettore nel mondo sensibile».   

Queste furono le parole decisive che, nella primavera del 1940, Massimo Scaligero lesse nella Scienza Occulta di Rudolf Steiner, e che lo spinsero ad un cambiamento radicale della propria ascesi e della propria visione del mondo. Parole che lo decisero alla scelta definitiva della rosicruciana Scienza dello Spirito, dell’Antroposofia. A questa ‘Via completa’, a questa ‘Via insuperata’, indicata dal Maestro dei Nuovi Tempi, ‘Via’ ch’egli aveva cercato appassionatamente per decenni, volle consacrarsi Massimo Scaligero con ogni sua forza. Questa è l’aurea ‘Via Regia’ – come me la definirono due Iniziati, che ora sono nei Campi Elisi, e che moltissimo ammiravano Massimo Scaligero – ‘Via’ ch’egli ci indicò sino alle ultime ore della sua vita: sino a quell’ultimo colloquio che, come l’ultimo venerdì di ogni mese, veniva seguìto dal Rito della meditazione: incontro che alcuni amici avemmo, esattamente quarant’anni fa, quella fatidica sera del 25 gennaio 1980. La ‘Via’ alla quale, in quell’indimenticabile estremo incontro, egli ci chiese esplicitamente – a me e a coloro che quella sera erano con me – di «rimanere sempre fedeli». Forsan et haec olim meminisse iuvabit: forse un giorno gioverà ricordare anche queste cose (VirgilioEneide, I, 203).

Massimo Scaligero, che molto aveva cercato spiritualmente, e sino ad allora inutilmente, una risposta nelle Vie orientali, e in quelle del mondo ‘tradizionalista’, descrisse l’apparente ‘casualità’ di quell’evento, così carico di destino, in Dallo Yoga alla Rosacroce, Teseo, Roma, 1972, pp. 65-67:

«Questa risposta mi doveva venire dalla direzione che meno supponevo. A un dato momento, ero entrato nella persuasione che solo attingendo a me stesso avrei avuto la risposta: perciò comincia a organizzare un metodo a mio uso e consumo: cominciai una descrizione delle esperienze, in modo da poter in qualche modo farle entrare nella veste del pensiero e giungere così minimamente a obiettivarle: pensavo che, di notazione in notazione quotidiana, avrei piano piano tracciato qualcosa  di riconoscibile, come mettendo insieme dei caratteri, per poter leggere ciò che essi volevano unitamente significare. Cominciai così, di pari passo con lo sperimentare interiore, a riempire pagine e pagine, quaderni di appunti, descrizioni e interpretazioni, cercando di percepire un filo unitario: mi avvidi ben presto che tale filo esisteva e talora riuscivo a intravvederlo, ma esigeva ulteriore paziente lavoro.

Così avvenne che un giorno avessi la risposta dalla direzione che meno mi aspettavo. Era un pomeriggio di primavera e stavo seduto su una comoda sedia per leggere qualcosa di semplice – giornale o rivista – prima di rimettermi al lavoro, quando, mancandomi un qualsiasi foglio o libro di leggera lettura, allungai una mano verso un reparto della mia libreria in cui raccoglievo i volumi di scarso interesse o di frivola lettura, e ne trassi La Scienza occulta di Rudolf Steiner. L’opera mi era stata donata dall’amico prof. Gislero Flesch, psicologo e criminologo, in un momento in cui egli si andava disfacendo, per un trasloco, dei libri non direttamente connessi con il suo ordine di studi.

Trassi dunque dalla libreria La Scienza occulta, proprio per leggere qualcosa di semplice come una favoletta o un racconto sensazionale, dato che non avevo altro sotto mano. Aprii a caso il libro verso la metà e il mio occhio andò su una frase che immediatamente mi colpì: mi parve dirmi qualcosa di molto familiare: lessi e rilessi il periodo, lo meditai alquanto, e l’impressione di trovarmi dinanzi a qualcosa di essenziale gradualmente si accrebbe in me. Lessi ciò che veniva prima di quel punto e quello che veniva dopo, e mano a mano avevo la certezza di trovarmi dinanzi a quello che mi attendevo da tempo. [..]

Ricordo che quel giorno, chiudendo il libro, ebbi per la prima volta l’idea che dietro la figura e l’opera di Rudolf Steiner si celasse la personalità del Maestro che molti affannosamente cercano in Oriente o nei recessi della Tradizione».

Siccome, ancora una volta, «le carte son piene», è necessario rimandare al proseguimento di questo studio, l’esame approfondito della seconda affermazione: quella riguardante l’avere solo Orao portato concretamente nel mondo, «per la prima volta», la ‘Via del Graal’, la ‘Via della Coppia iniziatica’. Un simile esame mostrerà tutta l’infondatezza di tale temeraria affermazione, e mostrerà soprattutto come quella descritta da Orao in Resurrezione non sia affatto quella ‘Via del Graal’, quella ‘Scienza del Graal’, che indicano Rudolf Steiner e Massimo Scaligero: perché non lo sia, e  perché non lo possa essere.

6 pensieri su “VERITÀ ED ERRORE NELL’INDAGINE SPIRITUALE: SUE CONSEGUENZE PER LA VITA SPIRITUALE DEGL’INDIVIDUI, DELLE COMUNITÀ SPIRITUALI, DEL MONDO. DECIMA PARTE.

  1. Carissimo Hugo (spero non ti disturbi il tono confidenziale dettato da rispetto e profonda stima).
    Sono tempi terribili, nei quali i marosi sembrano travolgere tutto quello che di sacro e di fondamentale dovrebbe essere al centro degli obiettivi degli esseri umani, soprattutto di quelli hanno scelto di seguire interamente il sentiero tracciato dal Dottore e da Massimo Scaligero. Gli assalti sono continui, ininterrotti. Alla luce di tutto questo, i tuoi scritti, e tutta l’attività di questo blog è supporto fondamnetale per ritrovare la barra del timone, ogni volta che che sembri sfuggire dalle mani.
    Due aspetti, pur tra molt altri, sono per me importantissimi;
    1) Non è possibile semplicemente “leggere” i tuoi scritti; o si è coinvolti in profondità, e ci si mette contemporaneamente in completa discussione, o non si è in grado di procedere neanche di una riga. Dopo aver partecipato non si può non essere diversi, cambiati.
    2) C’è, secondo me, un lato non evidente ma fortemente presente nel blog: La prospettiva di contribuire ad un karma che non sia più quello della “necessità”, ma inizi a diventare quella della “libertà”
    Grazie ancora.
    Con riconoscenza
    Uther Pendragon

    • Gentile Uther Pendragon,
      sono davvero tempi terribili, nei quali siamo costretti a vedere che gente senza coscienza fa del “sacro” strame, e in molti cresce – come una mala erba – una vera e propria “voluttà” di sottile o grossolana derisione dello Spirituale. Vediamo altresì comportamenti cinici e volgari da parte di gente senza scrupoli e senza morale, che non indietreggiano di fronte a niente, pur di arrivare a soddisfare la propria vanità, la brama di visibilità e di applaudente consenso. Ma tant’è, così va, oggi, questo immondo mondo.

      Ma vi sono anche coloro – e non son pochi – che in silenzio lavorano interiormente con alacrità, che sono leali nei confronti della Verità, e tenaci nel perseguire i fini dello Spirito. L’importante è mantenere la coscienza limpida, e il cuore puro. Quel che lo Spirito ci chiede è di lavorare con umiltà, e di essere “fedeli e coraggiosi”, come mi disse una persona cara decenni fa a Dornach. Il resto lo lasciamo al Cielo e al Destino.

      Grazie per le Sue parole!

      Hugo de’ Paganis

  2. Buonasera signor Hugo, in questo suo decimo intervento ci sono molti passi di estremo interesse, grazie per averli riportati.
    Uno, breve ma denso, mi riporta ad una questione secondo me decisamente importante; il passo è questo:
    “E’ del tutto arbitrario considerare come una totalità, come un intero, la somma di tutto ciò che di una cosa apprendiamo dalla semplice percezione, e di considerare quel che risulta dall’attività pensante come qualcosa di aggiunto, che non abbia nulla a che fare con la cosa stessa”.
    A questo proposito mi viene in mente il caso dell’”uomo che scambiava la moglie per un cappello”, riportato da Oliver Sacks. Quel che mancava a quell’uomo, che non era un folle e che era comunque in grado di vivere la propria vita anche se naturalmente facendo delle gaffe, non erano certo i sensi, perfettamente funzionanti, o lo spirito di osservazione, quanto piuttosto la capacità di dare un significato a cose e esseri, anche i più semplici come un cappello o un guanto; come se fosse incapace di cogliere il pensiero portato dalle cose stesse, o se si vuole, l’aspetto “pensiero” di cose ed esseri. Mi vengono in mente anche gli animali che scartano e ignorano totalmente, come se non esistesse, tutto ciò che non è in sintonia con il “pensiero” della propria specie di appartenenza, come se non sapessero dargli un significato. Mi sembra una dimostrazione del fatto che la nostra realtà non è soltanto percezione sensoria ma anche e soprattutto pensiero; proprio nelle cose apparentemente più semplici, come riconoscere e dare un significato ad una sedia piuttosto che ad un bottone o a uno spillo, classici temi della concentrazione scaligerianamente intesa.
    Cordiali Saluti

  3. Gentilissimo Hugo,
    vorrei, a sostegno delle sue parole, riportarne alcune di Massimo Scaligero, tratte da “Il Logos e i Nuovi Misteri”, ed. Teseo, pag. 150:
    “Solo alle più elevate forze dello Spirito è possibile scendere nella sfera dei sensi. L’esperienza di tali forze deve trapassare ad ascesi cosciente, inizialmente almeno ad opera di pochi, acciocché l’Io sia desto nell’anima del mondo, o nell’anima della collettività, secondo un’azione univoca nella molteplicità individuale”
    Parole cariche di un’enorme positività e di altrettanto enorme fiducia che trasmettono: nessuno sforzo, autentico e puro, “fedele e coraggioso”, è invano.
    Uther Pendragon

    • Appunto, caro Uther Pendragon, dal nobile arturiano eteronimo!
      Come mi disse in quel di Dornach, Hella Wiesberger: «Wir müssen treu und mutig sein!», ossia: dobbiamo essere fedeli e coraggiosi! Bisogna amare la Verità, ma non c’è amore senza coraggio, e l’autentico coraggio scaturisce dalla Conoscenza della Verità: dalla Conoscenza vissuta sin nel midollo delle ossa, sin nelle viscere, direbbero i Maestri del Ch’an cinese, e dello Zen giapponese! Al contempo l’amore per la Verità, suscita il coraggio, e apre la strada alla Conoscenza!

      Leonardo da Vinci diceva: Il grande Amore è figlio della grande Conoscenza: chi tutto conosce tutto ama! Ed io aggiungo: la grande Conoscenza è figlia del grande Amore: chi tutto ama, tutto conosce! . Per fortuna quei “pochi” ci sono, e sono molto risoluti: indifferenti agli ostacoli, agli insulti, alle mille difficoltà, che trasformano in occasioni interiori. Certo vi sarà molto da lottare, ma come disse Massimo Scaligero al gruppetto di sfegatati della mia città: Voi dovete essere instancabili, e disperati! Poi aggiungeva: Noi siamo “condannati” a vincere, perché noi abbiamo il pensiero!

      Buon lavoro interiore, e buona lotta Uther!

      Hugo de’ Paganis

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