L’INCIAMPO DEL DILETTANTE

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Una quindicina di anni fa, un amico che lavorava a Milano e che talvolta ritornava a respirare un po’ d’aria di mare, mi raccontò una storiaccia che girava in quel di Dornach. Più precisamente tra persone che lavoravano nel “polo museale” chiamato Goetheanum.

Queste, avvalorando coscienziosamente la tesi della pericolosità della magia, narravano come a Trieste (Italy), diversi anni prima fosse stato officiato un rito finito tragicamente a causa dell’evocazione di forze che, incontrollate, avevano ucciso tre degli operatori.

Ciò chiacchierato a Dornach ma essendo accaduto in Italia, rimbalzò sino a Milano negli ambienti occultistici e antroposofici ed in questi ultimi l’amico venne a conoscenza della storia.

Tutto ciò mi parve assurdo poiché sarei, in diversi modi, venuto a saperlo. Se non altro per la riconosciuta capacità degli occultisti a mantenere il segreto sui segreti più segreti…

Poi, lentamente, mi affiorò nella mente una specie di déjà vu: un vecchio ricordo o una alterazione della memoria? La chiacchiera favolistica coincideva abbastanza con una delle disavventure in cui inciampai all’alba del mio breve tirocinio magico. E per mancanza di altre vicende simili, non poteva essere se non quella. Avessero saputo a Dornach i precedenti di un loro socio (munito pure di ambedue le tessere)!

Tenendo in considerazione gli sguardi corrucciati di chi mi legge, indico a mia parziale discolpa che il fattaccio avvenne quando fui e fummo molto giovani.

Tutto iniziò in un bel pomeriggio di primavera. Un mio amico – ruvido discepolo dei Tantra – aveva pescato un ragazzo assai suscettibile come soggetto per esperimenti d’ipnosi, durante uno spettacolo del prof. Steno Schaffer (costui fu uomo dalle multiformi capacità: esperto illusionista, per campare collaborava con i medici dell’Ospedale psichiatrico, si esibiva in esperimenti di telepatia e di fascinazione a distanza. Inoltre ho le prove che fosse conoscitore e operatore di vere operazioni magiche: almeno quelle di basso conio che vediamo nei film e che strabiliano i profani).

Così passammo parte del pomeriggio con la nostra cavia in esperimenti davvero interessanti. Esaurito un bel mazzo di questi, tentammo un salto di qualità. Ci sedemmo intorno ad una boccia di vetro riempita d’acqua – noi svegli, lui in trance – e procedemmo ad una invocazione tratta da un testo di Pietro d’Abano. Nessun risultato apparente e la cavia non vide nulla.

Al tramonto tornai a casa, con la sgradevole sensazione di non essere solo. Era una sensazione soltanto, ma perché mentre camminavo, da dietro i muri delle villette più vicine i cani si mettevano ad ululare (i lupi ululano, i cani abbaiano)?

Dopo cena, come al solito mi trovai con gli amici di zona su una strada a quel tempo deserta. Così dimenticai il pomeriggio. Alle dieci di sera eravamo rimasti in tre. Il discorso si incanalò sull’ipnosi e uno dei due mi sfidò a provare con lui. Dopo ripetute sollecitazioni, nel timore di perdere la faccia, acconsentii. In piedi, nell’androne semibuio di una casa isolata. Sentii subito una intensa corrente fluire dalle dita, quasi crepitante e bastarono pochi comandi per portare nella trance l’amico. Mi parve affaticato (una lacrima era scesa da un occhio) e quasi subito iniziai il processo inverso. Lui era scombussolato, perciò lo feci sedere su un muretto mentre parlavo con l’eccitato testimone.

Mi accorsi che l’amico seduto era rimasto immobile e fissava la luna piena. Troppo a lungo. Lo presi per una spalla per scuoterlo e distoglierlo: lui si girò con uno scatto violento, ringhiando.

Valutai in un lampo che la mia forza era superiore alla sua…ordinariamente. Ma quale poteva essere la forza di un uomo-lupo? Mi riavvicinai con maggior prudenza e delicatezza, ripetendo più volte il suo nome. Si alzò ma gli occhi erano fissi e sbarrati. Il volto una maschera congelata. Incominciò a palparsi e ad osservare i propri vestiti. Scoprì le tasche da cui estrasse le poche cose che teneva e le guardò attento. Osservò con attenzione anche una solitaria vettura che passava in quel momento. Sto usando termini inesatti poiché era privo di ogni espressione nel volto e nello sguardo.

Dissi al testimone superstite (che stava tremando) di correre a chiamare gli unici due occultisti che abitavano vicino. Un “vicino” assai relativo ed il poveraccio dovette farsi una maratonina per raggiungerli. Io intanto sorvegliavo e seguivo l’amico perduto che gironzolava intorno.

Arrivarono il prima possibile. L’essere prese un rametto spinoso, lo spezzò e, a gesti, mi fece capire che dovevo impugnarlo nella destra. All’amico del pomeriggio, terribile discepolo della Potenza, diede un fiore. Simbolismo palese: io minacciato, lui coccolato.

Mandammo a casa il corridore che stava cedendo ad una crisi di paura (dormì per sei mesi con la luce accesa). Il terzo “tra cotanto senno” occulto, lanciò intorno a It diversi pentacoli mentali che non suscitarono alcun effetto.

Poi, non ricordo chi, ebbe l’idea di scrivere sul dorso del muricciolo un simbolo magico. Funzionò. Chi era dentro al mio amico, a gesti, volle il pezzo di mattone e iniziò a coprire un tratto del muro con tante figure geometriche di cui riconoscemmo solo la stella a cinque ed a sei punte, una spirale e poco altro. Poi fissò il buio sopra di noi e tracciò un segno zigzagante: un istante dopo crepitò in cielo il primo di molti fulmini non lontani. Pensai per un attimo che fosse stato lui a chiamarli, magari per poi incenerirci.

Forse (di sicuro) esasperato dalla nostra totale ignoranza abbandonò l’impresa di comunicare e, subito dopo, entrò nel cantiere di una casa in costruzione, nel garage che era già finito. Ci ritrovammo tutti e tre con l’essere che ci veniva incontro, ma che, improvvisamente, si arrestò. Vedemmo meravigliati che non poteva superare un’asticella di legno poggiata per terra. Il legno era per lui un ostacolo insormontabile.

Allora, rapido, con una scheggia di mattone, il “pentacologo” disegnò un cerchio intorno a noi tre. Funzionò. Fu impressionante vedere come il mio ex amico trovava un invalicabile impedimento, sia a terra che nell’aria. Ci trovavamo, noi e lui in una classica posizione di stallo alla messicana. Non ricordo chi suggerì, dopo un po’, di lasciarlo entrare. Bastò un segno sul cerchio per annullare la sua difesa. Del resto avevamo avvertito che il senso di rabbia o frustrazione se n’era andato. Sul muro alle nostre spalle, tracciò sopra le teste per ognuno un complicato segno diverso. Poi si sedette su dei mattoni accatastati, noi lo imitammo.

Che potevo fare? Pregai con tutte le mie forze per il ritorno del mio amico. It, come percependo ciò, mi mise una mano sulla nuca e, a gesti mi fece raddrizzare il rametto spezzato che da ore tenevo in mano. Era un ottimo auspicio, come se mi avesse perdonato. Poi si alzò e sfregiò i segni che aveva fatto sopra le nostre teste. Uscì velocemente dal garage mentre i tuoni stavano tambureggiando con maggior violenza. Si fermò accanto ad una buca, si tolse la maglietta e, a gesti, chiese il fuoco di un accendino che avevamo usato per fumare nervosamente qualche sigaretta.

Accese la maglietta e la tenne alta in mano mentre bruciava. Poi la gettò nella buca. Prese una pietra abbastanza grande e piatta, vi incise due segni: riconobbi uno dei due: era simile all’omega greco. Gettò anche la pietra nel buco. Poi, furiosamente, lo riempì di terra con le mani.

E corse. D’istinto lo chiamai per nome. Lui alzò una mano a palmo aperto, come a dire “fermatevi”. Noi lo seguimmo lo stesso e vedemmo che spezzava (annullava) tutti i simboli con cui aveva coperto il dorso del muretto per dieci metri buoni. Bastava un taglio minimo.

Poi si fermò, immobile. Un momento dopo si piegò, come uno che prende un pugno in stomaco. Si raddrizzò nuovamente con l’espressione e gli occhi allegri che ci erano famigliari.

Erano passate quattro ore dall’inizio di questa storia e le sue prime parole furono: “Ma cosa vi succede? Avete gli occhi fuori dalla testa”. Lui, riposato e fresco, non ricordava nulla.

Poi, come succede nei racconti, arrivò una pioggia scrosciante che cancellò parte dei segni, rendendoli irriconoscibili.

Quella notte, credo poco dopo, un maremoto si abbatté contro le rive di una cittadina attigua a Trieste e due persone persero la vita.

Nei giorni successivi vi fu un pellegrinaggio di occultisti che volevano decifrare il muretto. Non credo che qualcuno ne ricavasse qualcosa. Con me furono gentilissimi, prevedendo la mia morte a breve. La connessione logica non l’ho mai trovata appieno ma in quei giorni ero pronto ad accettare il mio destino di colpevole.

Fu una lezione che non dimenticai. Mai più, dissi a me stesso. Coerentemente, l’anno dopo e nello stesso giorno del medesimo mese, dopo una lunga opera di convincimento, la vittima della nostra follia si trovò disteso su di un letto, ben legato e circondato da un vero pentacolo, mentre, con le passate magnetiche, lo trasportavo nella trance profonda. Ma questa è un’altra storia.

Così, narrando questa piccola avventura, regalo un po’ di fieno alla greppia dei fessipedi e solipedi che giudicano non tanto bene chi scrive e questo sito di matti. 

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7 pensieri su “L’INCIAMPO DEL DILETTANTE

  1. Ma, Isidoro querido, tu ti rendi conto -vero?-, che con questo sconsiderato outing, ti sei giuocato le residue speranze di passare alla storia come “…eminente personalità dell’ambiente antroposofico italiano dei primi anni 2000 blabla…” ???
    Perché lo hai fatto, perché???
    E’ proprio vero che tra te e quell’altro pagano non convertito di Hugo, Eco sta proprio messo bene… ahinoi…. ☹

  2. Dicono che l’avventura è divertente per chi, in poltrona, legge il racconto di altri che se la passano assai male lontano nel tempo o nello spazio.

    Così ho raccontato in relativamente poche righe una storia drammatica che si svolse lontano nel tempo e che ricordo con l’umorismo del molto dopo.

    E ho taciuto di ciò che successe l’anno dopo per non calcare la mano sugli orrori che ne seguirono…

    Però, miei cari, l’obbiettivo allora è stato centrato: ho finalmente perso lo straccio di “eminenza” che veeraj ha ricordato.

    Lo avesse saputo il caro Evola, forse mi avrebbe immortalato accanto a Crowley nella sua ultima manomissione ai Testi di UR…

  3. Ora che il nostro Isidoro ha manifestata tutta intera la sua birbonaggine estrema è veramente più che degno di essere accolto nella cerchia più trucida del nobilissimo Attila, Re degli Unni, detto “flagellum Dei”. In effetti i nobilissimo Re già da tempo desiderava il tergestino Isidoro nella sua trucidissima cerchia, ma aveva soltanto qualche residua remora. Ei si chiedeva se il nobil Isidoro non fosse in realtà un “buono”, ed esitava a compier il gran passo di cooptarlo in si elevato consesso. Ma avendo egli manifestata tutta intera la sua lupesca natura, che ha dissolto come neve al sole ogni sua regale remora, il Re delle unniche orde mi incarica di comunicargli ch’ei si sentirebbe molto onorato – ed altresì lusingato – della sua partecipazione al commendevolissimo Ordine del Lupo Ululante, partecipazione alla quale il trucido tergestino non potrà sottrarsi in quanto gli viene imposta da reale decreto. Le sue magiche imprese verranno cantate dai bardi nelle sedute attorno ai fuochi notturni nella gelida steppa, sferzata dai gelidi venti di settentrione, i venti di Borea e saranno note e magnificate in tutta l’Asia!

    Hugo de’ Paganis,
    che diviene sempre più fetente,
    e pensa pensa ognor convinto
    che sangue di lupo non mente.

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