GIUSEPPE GARIBALDI ( parte ultima )

giuseppe_garibaldi_1866

CONCLUSIONE

*

Rapporto col mondo inglese, francese ed irlandese.

Nessun straniero ha suscitato in Inghilterra un tale entusiasmo quanto Garibaldi. Da quando, giovane e appena sfuggito ai pirati, incontrò un militare inglese che gli donò un paio di scarpe, ebbe sempre un rapporto privilegiato con questa nazione.

Era spiritualmente legato a quei popoli, si unì a loro anche animicamente quando entrò nella massoneria. Persino fisicamente: “I suoi modi calmi, i suoi movimenti relativamente lenti, i suoi capelli e la sua barba quasi sassoni, parevano caratteristici d’un europeo del nord, piuttosto che del sud; pure i suoi occhi, la sua voce e il suo portamento erano essenzialmente italiani”.

Gli inglesi accorsero in suo aiuto per tutta la vita e alcune delle formidabili condizioni che accompagnarono la spedizione dei mille furono, a detta di molti, pagate a caro prezzo in sterline. L’appartenenza alla massoneria spiega in parte ciò, l’entusiasmo e la simpatia popolare trascendono questo aspetto ed hanno radici più profonde.

Di contro, fin dai tempi in America, Garibaldi fu animato da una avversione per la Francia. Nato sotto il giogo di Napoleone, vide sempre Nizza in bilico tra due nazioni, fino al definitivo passaggio, con la Savoia, alla Francia. Il  sostegno  incondizionato  al  Papa  e  quello  ai  suoi  nemici  in  America segnarono le sue antipatie. Fu sempre nemico dei francesi fino alla battaglia di Mentana. Nel 1870 si schierò a favore della Terza Repubblica e combatté per essa. Le polemiche per la restituzione del vessillo tedesco e per l’abbandono di Digione rinfocolarono il suo astio.

Se l’Inghilterra lo adorò, l’Irlanda l’odiò. Gli irlandesi, pur continuando a vivere un cristianesimo pratico e vitale, dopo l’opera di San Patrizio, divennero papisti e quindi  anti – inglesi. Come fedeli di Roma non vollero tollerare le continue invettive di Garibaldi contro i preti.

Artù-Bohort

 

Garibaldi fu un Artù, egli primo tra i dodici trasmetteva il cristianesimo celtico ai suoi discepoli. Iniziato ai misteri d’Ibernia si mise al servizio del Cristo eterico per purificare i corpi astrali dei discepoli e preparare un nucleo di vera cristianità nel cuore dell’Europa.

Nell’869 si fusero le correnti del Graal da oriente, in cui l’impulso Cristo viveva nel cuore degli iniziati, e quella di Artù, da occidente, in cui si percepiva l’aura eterica del Cristo e si preparò il cristianesimo esoterico.

L’iniziazione del Parsifal è ora congiunta con quella di Galvano, la via microcosmica e quella macrocosmica divengono entrambe possibilità per l’uomo moderno, si preparano i nuovi misteri.

La leggenda di Parsifal, la cerca del Santo Graal si innesta quindi sui personaggi arturiani ad indicare anche il cambiamento a cui essi devono andare incontro. Nella “Cerca del Santo Graal”, manoscritto anonimo cistercense, la trattazione è leggermente diversa ed i cavalieri assumono connotazioni diverse dal “Parzifal” di Wolfram von Eschenbach. Qui diversi cavalieri partecipano alla cerca ed ognuno di essi assume un valore simbolico – archetipico e rappresenta una modalità di approccio diverso al Graal e alla moderna iniziazione cristiana.

Bohort è uno dei tre predestinati che portano a compimento la Cerca. È il rappresentante della  via eroica; è il solo a non essere vergine, ma casto; è quindi l’immagine della conoscenza del proprio corpo terrestre e lo sforzo ascetico per dominarlo e sorpassarlo (58).

Diversi avvenimenti lo portano al Graal, vediamo schematicamente quali

 

1) eremo: adotta una disciplina ascetica (si nutre di pane ed acqua)

2) tentazioni da vincere: libera la terra dalla dama della torre – mondo terreno

3) libera damigelle minacciate da violenze – combatte suo fratello Lyonnel e falsi eremiti    nella foresta – abbazia dei monaci bianchi: gli spiegano il significato  dei suoi sogni e delle visioni. – mondo eterico

4) combattimento: sfida con Lyonnel  vengono separati dalla folgore – incontro con il piccolo guardiano 

5) nave di Salomone e cavalcata solitaria per 5 anni  –  oltre la soglia

6) il castello del Graal: gli viene affidata la spada spezzata e rinsaldata di Galaad. Vede il Cristo. – Incontro con il grande guardiano.

7) Bohort è l’unico che ritorna indietro al castello di Artù – decisione del sacrificio per il bene dell’umanità – ulteriore incarnazione.

Sono ovviamente descritte le tappe iniziatiche che si svolgono nell’interiorità e nei mondi spirituali, dalla  purificazione delle forze dell’anima, all’incontro con il piccolo guardiano e la separazione del proprio io inferiore (Lyonnel) fino al grande guardiano. In questo senso è la via alchemica che trasmuta il piombo in oro.

Garibaldi la percorre interiormente come monaco irlandese del IX secolo e ciò che visse spiritualmente si ripresentò come avvenimenti esteriori nella vita successiva. Eccolo cavalcare solitario, guidato dalle sue visioni e dalla voce interiore. Libera terre spogliate, damigelle minacciate da violenza e attraversa foreste desertiche nel corso di cavalcate dure ed interminabili.

Bohort è il cavaliere “terrestre” divenuto “celeste”; Garibaldi dovette ritornare “terrestre” per le condizioni del tempo in cui scelse di vivere.

Seguì allora la profezia del Cristo ai dodici eletti della Tavola del Santo Graal: “Voi morirete tutti in servizio, ad eccezione di uno solo tra voi”.

Il significato di questa incarnazione è profondamente legato  alla  sfera arcangelica di Michele e Raffaele, come vedremo. Se unilateralmente Garibaldi è un rappresentante della via eroica di Bohort, in quanto maestro iniziato è legato alla figura di Artù.

Due aspetti della sua figura mi preme sottolineare. Artù è in qualche modo legato all’Italia ed in particolare all’Italia meridionale. Nella cattedrale di Otranto c’è un mosaico del 1165 in cui si vede Artù che ha in mano uno scettro e cavalca una capra. In Sicilia fiorirono numerose leggende secondo le quali Artù sarebbe stato ancora vivo in una caverna sotto l’Etna. Il miraggio che si vede nei pressi di Messina è noto come fata Morgana (la sorellastra di Re Artù).

Nel centro Italia visse l’enigmatica figura di san Galgano. Anche nel nome il riferimento a Galvano è  evidente. Egli infisse la sua spada nella roccia ripercorrendo proprio questa via iniziatica. Il castello di Klingsor, il mago nero malvagio con cui si confronta Galvano è il castello di Caltabellota in Sicilia. In un certo senso le profezie circa un ritorno di Artù in  Sicilia si concretizzarono nel 1860 con lo sbarco dei Mille.

Un altro aspetto si ritrova nel nome stesso di Artù – Arturo che è anche il nome della stella che Garibaldi, come abbiamo visto, si scelse come protettrice. Arturo è una brillante stella rosso – arancione che fa parte della costellazione di Boote. Il nome Arcturus viene dal greco e significa Guardiano dell’Orsa, mentre Boote è il mandriano che guida l’Orsa Maggiore attraverso il cielo; essendo essa una costellazione circumpolare è collegata con le tradizioni del nord e dell’ovest.

Nelle antiche tradizioni esoteriche si conosceva il rapporto di quella corrente con il male e la morte. Per i Persiani, ad esempio, l’Orsa era un feretro che trasportava i defunti. Nel mondo arabo c’è il  detto: “L’amicizia con l’orso è fonte di guai”. Numerosi altri motivi della vita di Garibaldi si riallacciano alle tradizioni del mondo celtico.

Caccia e astronomia

Sono due passioni di Garibaldi che si rifanno al mondo del Nord, da un lato la figura dell’eroe guerriero che prova la sua audacia e la sua bravura, dall’altro il Druido Sacerdote che regola le attività sociali ed agricole secondo l’andamento delle stagioni.

Nave

Il motivo della nave e dell’acqua è un motivo centrale nella cultura celtica.

Proprio per il legame con il mondo eterico i celti veneravano le acque e quindi gli esseri elementari e gli angeli che vi si manifestavano. I grandi “santuari” celtici sono i laghi e le fonti sacre. Tutti i popoli del nord – ovest erano dei grandi marinai e poterono tenere sotto controllo il continente americano utilizzando al  meglio questa possibilità.

Nella tradizione esoterica la nave ha assunto il simbolo da un lato del vagare dell’iniziando nel mondo astrale che ancora non domina e dall’altro è il veicolo che traghetta l’uomo nei mondi spirituali e in quello dei defunti.

Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele

Furono i quattro artefici dell’unità d’Italia. Nacquero tutti nel Regno di Sardegna tra il 1805 e il 1820. Avevano caratteri completamente differenti, concezioni politiche opposte  e  non  andarono  quasi  mai d’accordo. Tuttavia, per usare un termine medico, si comportarono come una unità funzionale, tesa al raggiungimento del fine ultimo: l’unità d’Italia. Appare invero miracoloso che queste quattro personalità abbiano potuto cambiare il corso della storia italica se non si tiene conto delle indicazioni di Steiner. Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele furono discepoli, in una vita precedente, di Garibaldi e arrivarono dai quattro angoli del mondo per apprendere l’insegnamento del  Maestro in  una di  quelle colonie monastiche che, come si è detto, fertilizzarono l’Europa centrale nella seconda metà del primo millennio. Confluirono tutti nella corrente occidentale e fino ad un certo grado percorsero l’iniziazione cavalleresca come l’abbiamo intesa precedentemente.

Senza entrare nei particolari, si può vedere come anche nelle vite di questi personaggi qualcosa tesse alle loro spalle; alcuni archetipici propri del mondo celtico affiorano dietro le quinte della loro vita.

Analizziamoli molto brevemente.

Vittorio Emanuele era un uomo bello, brillante. Era conosciuto in tutta l’Italia come il Re Galantuomo. Andava volentieri a caccia, preferiva curiosamente i rustici piatti contadini con aglio, ai banchetti regali e allo stesso tempo preferì una donna del popolo alla nobiltà di corte. Questo fu un suo aspetto caratteristico; balzato al trono improvvisamente al posto di Carlo Alberto, non sembrò sempre a suo agio in quel ruolo.

Garibaldi gli rimase fedele in maniera incondizionata anche quando questi  lo tradì palesemente; spesse volte lo trattava da suo pari o addirittura sembrava che il sovrano fosse lui, scandalizzando ovviamente il parlamento subalpino.

Dietro di lui si staglia la figura del cavaliere Galvano, che rappresenta lo stadio di apprendistato pre – iniziatico. È il cavaliere terrestre contrapposto a quelli celesti Parsifal e Galaad.

“Nel corso del suo peregrinare, Galvano incrocia un giorno una Dama e tralascia di salutarla. Costei oltraggiata dalla dimenticanza, gli lancia un sortilegio, augurandogli di assomigliare al primo cavaliere che incontrerà. Galvano incrocia allora il nano di Estrangore, un tempo figlio del re, che aveva assunto questa forma per i malefici di una maga. È d’altronde probabile che sarà a seguito di un’avventura analoga, che egli farà il voto di salutare e rispettare le Dame”(59).

Galvano divenne quindi il cavaliere galantuomo (!). Galvano è l’appoggio, il sostegno di re Artù; Galvano rappresenta infatti le forze lunari che traggono forza e vitalità dal sole. Vittorio Emanuele è il discepolo a cui Garibaldi è più legato, in particolar modo, per il legame con lui, il Maestro sente l’obbligo di reincarnarsi, e Vittorio Emanuele è il Galvano che fu primo a fare il voto di entrare nella Cerca, seguito da tutti.

Il simbolo di Galvano è l’aquila bipenne ed egli porta ed usa sia la spada nella roccia che Excalibur; sono simboli da un lato di uno status regale temporale, dall’altro dell’inizio della lotta per la purificazione delle forze dell’anima.

Se Galvano ricevette in sogno la visione dei cavalieri della Tavola Rotonda come 150 tori, Vittorio Emanuela pose la sua tavola Rotonda nella città del toro, Torino. Pur essendo di nobili origini, Galvano ebbe la visione nella notte di Santa Maria Maddalena, un chiaro simbolismo della presa di coscienza del lavoro ancora da compiere sulla propria anima, un evento che lo avvicina al popolo. Vittorio Emanuele era amante dell’arte e a differenza di Garibaldi e Cavour sapeva trattare con la gente grazie alla sua sincera partecipazione emotiva.

Cavour era conte e proprietario terriero, aveva passato alcuni anni quale paggio reale alla corte sabauda; alla carriera militare preferì dedicarsi allo sviluppo dell’agricoltura nei suoi possedimenti. Fu sempre fedele al Regno di Sardegna più che a quello d’Italia; riteneva che per conseguire l’unità d’Italia fosse più utile costruire delle ferrovie piuttosto che attuare un assassinio politico. Aveva una figura inelegante, la faccia tonda e grassa, i suoi occhiali, i suoi abiti trasandati lo facevano assomigliare più ad un mercante che ad un aristocratico.

Dotato di un grande senso pratico fu un ottimo amministratore, e un diplomatico molto abile e privo di scrupoli. Non era però un grande pensatore e come statista aveva notevoli debolezze. Poteva andare a scoppi emotivi che oscuravano il suo giudizio, ed era spesso influenzato da preconcetti e da antipatie personali; e non sempre trattava le persone con il tatto dovuto. In lui si intravede la figura di Keu, il siniscalco.

Keu è il siniscalco sarcastico, fratellastro di Artù non ne riconosce la grandezza spirituale e pur tuttavia lo serve fedelmente. È espressione del pensiero morto, preda delle passioni e negatore delle verità spirituali. Per il suo carattere non docile in alcune tradizioni lo si chiama Kai olo Grenant (Keu il brontolone).

A Mazzini si può accostare la figura di Sagremor, l’altro fratellastro di Artù, che pretende dapprima di fargli da maestro e poi successivamente lo serve fedelmente. È caratterizzato dall’impetuosità ed è l’espressione della volontà non ancora purificata, delle passioni.

Mazzini finissimo pensatore, non partecipò mai ad una attività politica pratica, anzi i tentativi di insurrezione ispirati alle sue teorie fallirono sempre in bagni di sangue.

Riepilogando:

 

  • GARIBALDI – MAESTRO – ARTU’ – RAGGIUNGE IL GRADO DI ARTU’ attraverso la via eroica di Bohort.
  • MAZZIN I- PENSIERO – SAGREMOR
  • VITTORIO EMANUELE – SENTIMENTO – GALVANO
  • CAVOUR – VOLONTÀ – KEU

 

Un grande percorso iniziatico

 

Proprio grazie alla nave, al suo essere marinaio, Garibaldi ripercorre fisicamente le tappe della iniziazione ai misteri d’Ibernia. Prima raggiunge l’Oriente, va a Costantinopoli. È il polo luciferico: lì ha una gran febbre che lo costringe a letto e dopo svolge una attività didattica, vive nel pensiero. Poi la nave gli serve per raggiungere l’America, il polo arimanico: qui è tutto volontà, diviene corsaro e incontra la guerra.

Il centro dovrebbe per lui essere Roma, è ossessionato dalla liberazione della Città Santa (o Roma o Morte), ma in realtà la potenza franco – papalina glielo impedisce. Il suo equilibrio lo troverà a Caprera, dove troverà pace.

 

ORIENTE CENTRO OCCIDENTE
COSTANTINOPOLI CAPRERA AMERICA
CAPO SIST. RITMICO VOLONTA’

 

“Bardo”

 

Accanto a questo percorso “iniziatico” nello spazio egli compie un percorso temporale, in cui vengono riprese le figure della società celtica.

A COSTANTINOPOLI: Parte come marinaio (Guerriero), la guerra, più che altro la subisce e diventa insegnante (Bardo)

A NAPOLI:  il popolo in festa lo acclama chiamandolo “Bardo”, in realtà è al culmine del suo essere guerriero, è addirittura Dittatore (Re)

A CAPRERA:       Si dedica all’agricoltura e alla pastorizia. Come parlamentare e Gran Maestro Massonico assume il ruolo di guida etica, sociale e spirituale (Druido). Per tutti, però, è il grande guerriero.

Questi due percorsi portano con sé diversi aspetti:

= A differenza di un percorso iniziatico interiore accaduto nel mondo e non nell’anima del ricercatore.

= Non sono tappe di un percorso interiore cosciente e volontario,Garibaldi è trascinato dagli eventi di destino che gli si fanno iincontro.

= Non è un percorso che modifica tanto l’interiorità di Garibaldi, quanto modifica invece le persone, le società e le nazioni nel cui contesto esso si trova.

È la via del Galvano di Wolfram von Eschenbach, ma questa è presentata, come deve essere, connessa a quella interiore di Parsifal. Si crea così una situazione sbilanciata e non consona ad uomo moderno. Come mai ?

Tristano ed Isotta

 

Il suo incontro con Anita avviene in circostanze straordinarie. Ancora una volta sono le forze del karma che conducono per mano Garibaldi. Le modalità con cui questo incontro avviene lo uniscono in un contesto che va ben oltre le comuni vicende della vita.

Per comprenderlo bisogna guardare oltre, avventurarsi in grandi incontri tra innamorati descritti nelle antiche culture. Essi narravano, però, non solo avvenimenti terreni: erano anche descrizioni in cui l’amata (l’anima) veniva sottratta al marito (io inferiore) e fuggiva con il bel principe (l’io superiore). Il racconto celtico di Tristano e Isotta è in questa dimensione.

L’incontro di Garibaldi ed Anita ripercorre queste tappe, ma qui tutto è nel mondo fisico. I due amanti, come rapiti in un incantesimo, si incontrano e si riconoscono. Fuggono dal marito di lei; novello re Marco, e danno vita ad una stupenda storia d’amore che culmina con la morte di Anita.

Garibaldi vede per la prima volta Anita attraverso un cannocchiale.

Isotta è in lingua celtica Adsiltia (colei che è guardata!) e in tedesco medievale Isolde (fermezza di ghiaccio), qualità che ben si adattano alla storia ed al carattere di Anita.

In realtà quella di Tristano ed Isotta è una storia che si rifà all’antico racconto mitologico greco di Perseo ed Andromeda; quando ancora il mondo greco celebrava la via eroica del guerriero. E cosi vediamo Anita cercare il marito tra i morti sul campo di battaglia come le donne di Ilio nel poema omerico.

La vita amorosa di Garibaldi continua, imprevedibile, ad intrecciarsi alle vicende di Tristano. Questi nel poema decide, consigliato dall’eremita Ogrin, di restituire Isotta a Marco e così pure Garibaldi deve, costretto dalla vita, abbandonare la sua Anita, morta, alla famiglia Ravaglia per la sepoltura. Dopo molte peripezie Tristano in preda all’angoscia per aver perduto la sua amante acconsente a sposare Isotta dalle Bianche Mani, proibendosi però di consumare il matrimonio. Lei lo porterà alla morte.

Questo motivo si ritrova in tutto il mondo nordico: Sigfrido è costretto a dimenticare Brunilde e a sposare Crimilde; secoli dopo Shakespeare ne riprenderà alcuni elementi per il suo “Romeo e Giulietta”.

Garibaldi prova a consumare un matrimonio “borghese”, ma anche la sua

Isotta dalle Bianche Mani (Giuseppina Raimondi) lo delude ed il matrimonio ha la durata di un giorno. Invece di condurlo a morte, però, la vicenda fa da preludio alla impresa dei Mille. Garibaldi ritrova in un certo senso la sua amata quando dalla torre di Faro guarda attraverso il cannocchiale  le sponde della Calabria che di lì a poco avrebbe conquistato.

Ferite e malattia  

Il tema delle ferite è molto importante nella tradizione culturale celtica e la loro descrizione e la parte anatomica colpita non sono mai arbitrarie, ma richiamano la connessione del corpo fisico dell’uomo con le forze spirituali che lo edificano. In questo senso possiamo leggere anche le ferite di Garibaldi.

La prima ferita grave avviene il 15 giugno del 1837, poco prima di compiere trent’anni. Una pallottola si infila nel collo e miracolosamente si ferma sulla carotide. Il tema della ferita al capo e della decapitazione è frequentissimo nel ciclo arturiano. In particolare ricorda l’episodio dell’incontro di Galvano con il Cavaliere Verde (Sir Gawain and the Green Knight). È lo scontro con la forza della Natura: perdendo il capo, il mondo fenomenico dei sensi e mettendosi nelle sue mani ci si svela il mondo spirituale che opera in essa e comincia così il mondo iniziatico.

Garibaldi vive anche le potenti forze elementali del Sud America, quando è ferito. È giunto nel Rio Grande del Sud per fare il commerciante, diviene dopo un anno corsaro e questa ferita, nel suo primo vero combattimento lo inizia alla guerra. Le successive ferite sono elementi ancor più archetipici.

Le ferite alla caviglia e alla coscia in Aspromonte fermarono il suo spirito rivoluzionario ed egli consegnò definitivamente l’Italia nelle mani del re

Vittorio Emanuele II. E’ la ferita nel tallone di Achille e nella coscia di Artù, per entrambi il segno della fine della loro attività.

Anche la malattia reumatica che lo accompagnò per buona parte della sua vita nasconde un segreto. Certo i reumatismi in un marinaio non sono rari, ma al di là delle cause fisiche, in una vita come quella di Garibaldi è necessario vedere quale aspetto della sua attività spirituale si presenta qui.

I reumatismi compaiono durante la sua esperienza in America. È l’incontro dell’antico iniziato irlandese con la statua maschile. Egli doveva provare uno stato di irrigidimento fisico di inverno nel corpo.

Così, prima, a Costantinopoli sorse la febbre, quale eco della sensazione di calore che l’iniziando dei Misteri d’Hibernia doveva suscitare in  sé  davanti alla statua femminile.

Questa iniziazione così particolare produsse quella strana combinazione tra l’idealista fantasioso, ma inconcludente nel pensiero ed il vecchio marinaio che, bloccato dai reumatismi doveva essere portato in giro a braccia. In mezzo a ciò, però, sorse in lui la figura del Cristo ed egli poté comunque agire come cavaliere di Michele.

Un momento emblematico si ha nel giorno della morte della madre, l’antica chiaroveggenza di cui il Maestro era, nella vita precedente, dotato, ritorna in quanto si ripresentano quelle condizioni favorevoli, la tempesta (la forza degli elementi) e l’attacco reumatico (la particolare capacità di irrigidimento fisico) che furono gli elementi tipici dell’antica iniziazione celtica.

Il ciclo epico irlandese

 

Anteriormente alla saga di Artù, diversi altri racconti celebravano il mito del re eroe e guerriero. Sono questi racconti in cui si evidenzia maggiormente l’elemento pagano, quella vivida religiosità che già prevedeva l’evento del Golgota.

Si avvicinano molto alle celebrazioni degli eroi del mondo greco antico, per esempio Ercole o Achille. In realtà la matrice indoeuropea è comune ed ambedue traggono origine dalle precedenti epoche della storia umana, in particolare dal mondo persiano. Anche in oneste saghe traspaiono alcuni elementi archetipici che si ritrovano nella vita di Garibaldi e dei suoi discepoli.

Garibaldi ricorda insieme Cù Chulainn, l’eroe irlandese e Fergus Mac Roich il maturo e saggio guerriero.

Vittorio Emanuele sia il re Couchobor Mac Nessa che lo stesso Cù Chulinn in quanto giovane che deve venire condotto all’iniziazione.

Cavour incarna invece Sencha Mac Ailella, il saggio consigliere e l’arbitro delle dispute.

Mazzini ricorda Bricriu Nemhthenga “Lingua velenosa”, colui che esaspera le inimicizie e semina discordia tra gli amici.

In Cù Chulainn abbiamo sia il motivo del cambio del nome che lo avvicina a Garibaldi, sia quello del confronto con il toro, come abbiamo già visto per Galvano, che li accomuna a Vittorio Emanuele.

Accanto a questo “ciclo dell’Ulster” particolare interesse rivestono pure i racconti legati alle “Fiana”. “La Fiana è una confraternita di uomini privi di radici che hanno troncato le proprie affiliazioni tribali per abbandonarsi alla pericolosa libertà della vasta terra di nessuno che si estende al di là dei confini della società organizzata. E costoro vagano, con fenomenale velocità e agilità, per le terre indomite dell’Irlanda e della Scozia gaelica,  combattendo, cacciando e mercanteggiando” (60).

Questo superamento dei limiti imposti dai legami di sangue è, naturalmente, un impulso michaelita e rappresenta la fase precedente nel cui contesto dopo l’evento del Golgota compaiono le figure dei cavalieri della Tavola Rotonda. Quanto sono simili le gesta dei Fiana alle intenzioni da Garibaldi espresse a Londra nel 1854!

“Che c’è di meglio della mia idea, che c’è di meglio che raggrupparsi ad alcuni alberi di nave, e scorrazzare l’oceano temprandosi nella dura vita del mare, nella lotta con gli elementi, con il pericolo?  Una rivoluzione navigante, pronta ad attraccare a questa o a quella sponda, indipendente ed irraggiungibile”.

Il cavaliere della carretta

Garibaldi intraprende il suo esilio in Sud America quando legge la notizia della sua condanna a morte sul giornale: è l’incontro di Galvano con il cavaliere della carretta. La carretta era il mezzo con cui venivano trasportati i condannati a morte, ed infatti Galvano, spaventato da questa immagine di morte, rifiuta di salirci.

I condannati a morire sono gli uomini che si incarnano, il carro, con le sue ruote, rappresenta il karma che tesse. Garibaldi salì sulla carretta. Quando fu condannato a morte in Italia andò a cercarla e a vincerla in America.

Inoltre Garibaldi si reincarna per adempiere ad un compito che è connesso con la responsabilità che ha nei confronti dei suoi discepoli. Il sacrificarsi incarnandosi per gli altri contraddistingue i veri iniziati cristiani; in questo senso Garibaldi si pone nella “Imitatio Christi” e può adempiere al compito più grande che gli assegna S. Michele.

Il cavaliere vermiglio

Il 20 aprile 1843 a Montevideo per la prima volta Garibaldi e i suoi soldati indossano la camicia rossa. Meglio di qualsiasi altro, questo simbolo rappresenterà le azioni e gli uomini legati a lui. Da allora per i nemici diverrà il “Diavolo rosso” ed egli si presenterà con quella veste a tutte le sedute del Parlamento a cui prenderà parte. La veste rossa contraddistingueva la casta dei guerrieri – re nel mondo celtico, prima e poi divenne il simbolo dei cavalieri – monaci Templari. Nel ciclo del Graal compare come armatura rossa. Dapprima è il cavaliere vermiglio ad indossarla.

Quando Parsifal giunge alla corte di Artù, si presenta anche costui che ingiuria il re e la regina. Parsifal raccoglie la sfida e lo uccide con un colpo di giavellotto. Spogliatolo però non è in grado di indossarne l’armatura e pertanto la fa trasportare dal suo cavallo. In questo contesto dunque l’armatura rossa rappresenta le forze del sangue legate ai tempi antichi che devono essere trasformate.

Sarà Galaad, il cavaliere iniziato ai misteri del Graal, a presentarsi con la croce rossa in campo bianco. Simbolo della trasformazione cristica del sangue e della riunificazione della corrente regale (rosso) con quella sacerdotale (bianco). La veste rossa è quindi connessa con l’impulso di Michele che accende la volontà e modifica i vincoli di sangue: il segno esteriore che la vita di Garibaldi si pone al servizio dell’Arcangelo del tempo e prepara le condizioni perché l’ulteriore sviluppo dell’Italia sia possibile.

L’impulso di Michele

Perché un iniziato ai misteri di Irlanda si è incarnato in Italia ed è stato l’artefice della sua riunificazione? In parte Steiner dà la risposta quando ci parla del legame che unisce il Maestro ai discepoli nella corrente di Artù.

Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele, da soli, non avrebbero potuto adempiere a questa missione. Tutti e quattro insieme, invece, pur scontrandosi quasi sempre sulla teoria, hanno potuto, forti nell’unitarietà dello scopo, portarlo a termine. È chiaro che così si sposta però solo il problema su tutti e quattro ed occorre indagare le reali  motivazioni  spirituali  che agiscono  nella riunificazione dell’Italia.

Le spinte nazionalistiche che investono il mondo tra le fine del 700 e il XX secolo traggono origine da reali impulsi provenienti dal mondo spirituale. In realtà le rivoluzioni che portano a questi sconvolgimenti politici in America, in Francia e poi in Italia rispondono da un lato ad un progressivo risveglio della coscienza individuale e nazionale connesso con il compito della nostra quinta epoca post – atlantica. Dall’altro recano alcuni elementi sovra – nazionali ed universali che li collocano nel periodo di reggenza di Michele.

Tuttavia ogni medaglia ha il suo rovescio e qualcosa degli avvenimenti in questione pare stridere con le fonti morali archetipiche da cui hanno tratto spunto. Le grandi rivoluzioni d’America e di Francia immettono anticipatamente nel subcosciente gli ideali di libertà nella cultura, uguaglianza nel diritto e fraternità economica che l’uomo può iniziare a comprendere e piano piano a cercare di portare a compimento soltanto con la fine del Kali – Yuga e l’inizio della reggenza di Michele nel 1879.

In realtà questi ideali angelici vengono immessi con il sangue nella civiltà umana dalle logge occidentali, delle quali la Massoneria è buona rappresentante. Ne scaturiscono alcuni elementi caricaturali drammatici in Francia, il Terrore, e il contraccolpo da essi generato porta alla dittatura napoleonica.

Come sempre Michele deve confrontarsi con il drago. La sua reggenza si prepara già nel IX secolo dopo Cristo. Le correnti dei misteri cristianizzate si pongono al suo servizio nel già ricordato incontro nell’869. Le dure correnti confluiscono nel centro dell’Europa, si pongono in un sano equilibrio dinamico che è la forza stessa del Cristo. Accanto a questo avvenimento evolutivo ne originano altri due che ne rappresentano una deformazione demoniaca.

Nel nord la corrente misterica del sud si impianta direttamente in Inghilterra, dando origine alla Massoneria, la quale però nel tempo tende a fenomeni di degenerazione. Nel sud la corrente dei cavalieri si impianta direttamente nella chiesa romana, la quale a sua volta nella sua estrema degenerazione dà origine al gesuitismo.

Così al Nord la penetrazione dell’impulso luciferico penetra nel regno arimanico portando alla degenerazione quelle correnti massoniche che si allontanano dall’impulso cristico, mentre al Sud l’impulso arimanico che penetra nel regno luciferico porta a corruzione le correnti religiose nelle quali è andato sempre più perdendosi il collegamento con l’evento del Golgotha. Nell’Europa centrale viene a manifestarsi l’impulso cristico autentico nella corrente rosicruciana.

Massoneria degenerata, e Gesuitismo sono entrambe delle deformazioni del sano sviluppo michaeliano. Mentre, però, l’impulso di Michele è sovranazionale e fraternità, libertà, uguaglianza sono ideali che gradualmente devono venire in libertà conquistati da tutta l’umanità, queste due correnti non attraggono lo spirito individuale degli uomini, ma si impiantano nella loro anima inferiore ed assumono un aspetto nazionale e nazionalistico.

Paradossalmente Gesuitismo e Massoneria degenerata non riconoscono l’identità comune dei loro scopi nella loro unilateralità e si combattono, almeno in teoria, strenuamente. Garibaldi in parte viene in contatto con ambedue queste forze.

Lui è un uomo del Nord e pertanto si sente attratto dalla Massoneria come tutte le anime delle grandi personalità del Nord. Dalla Massoneria accoglie nella coscienza la dottrina spirituale, però in realtà immette in essa una quantità impressionante di nuovi impulsi che conducono ad una sua profonda modificazione. In particolare vede la necessità per la Massoneria di uscire dal settarismo per riportare i suoi impulsi nel sociale e quindi cristianizzarsi realmente e di aprirsi alle donne, cosa che poi proprio grazie a lui avvenne. Fu anche promotore e artefice della riunificazione dei diversi rami della Massoneria e venne da essi unanimemente proclamato “Il primo Massone del mondo”.

Garibaldi si rivolse, come tante grandi individualità del ‘700 – ‘800 alla Massoneria perché trovava unicamente lì, l’eco della antica spiritualità perduta nel materialismo. Ciò si spiega con la particolare costituzione animico – spirituale di Garibaldi. Egli mai percorse la via di iniziazione dell’uomo moderno.

L’io dell’uomo è oggi al contempo Parsifal e Galvano, deve poter unire il microcosmo al macrocosmo, la via di progresso interiore ed il risanamento sociale. Per le condizioni di educazione del tempo, ci dice Steiner, Garibaldi non poté percorrere appieno il percorso dei nuovi misteri in coscienza desta e per scelta libera.

Tuttavia è un soldato di Michele, sceglie cristianamente il sacrificio della sua via di Parsifal per poter aiutare i suoi discepoli a compiere la missione di reimmettere l’Italia nel giusto corso della storia, gettando le basi per lo sviluppo dell’anima cosciente.

SPIRITO : Sviluppa l’impulso di Michele

ANIMA: Segue l’impulso michaeliano come via di Galvano. E tutto protetto all’esterno, gli impulsi spirituali gli giungono dalla vita. Diviene il tramite per la creazione di un nuovo stato sociale, tanto in America del Sud, quanto in Italia. Il lato interiore non segue la via di Parsifal, ma trova conforto nella Massoneria. Il vero compito che ha Garibaldi venne espresso da Steiner a Dornach il 20 ottobre 1918, quando disse :

“E in Italia? Da dove attinge l’Italia moderna la forza impulsiva con la quale l’elemento nazionale si impone fino a chiamarsi “sacro egoismo”? Bisogna spesso cercare in profondità le ragioni degli avvenimenti del mondo, e se si risale a quel decisivo momento della storia precedente l’inizio dell’epoca dell’anima cosciente, si vede che la forza dell’Italia moderna, nei suoi diversi aspetti, proviene da quanto il popolo romano ha immesso nell’anima italiana.

L’importanza del papato per l’Italia, risiede proprio nel fatto che esso ha instillato la sua essenza nell’anima italiana, anche se, come spesso avviene agli apprendisti stregoni, ne è risultato proprio quanto non si voleva, cioè il distacco dell’Italia moderna dal papato stesso. Spesso l’intenzione cozza coi risultati ottenuti.

Le forze di sentimento e di entusiasmo, esistenti pure in Garibaldi, sono residui del vecchio entusiasmo cattolico che, invertendo la direzione, si è rivolto contro il cattolicesimo. In Italia la possibilità di poter sviluppare l’anima cosciente dovette seguire una strada particolare. Garibaldi quale iniziato ai misteri di Hibernia aveva già acquisito fino ad un certo grado l’anima cosciente. Dovette, per sacrificio sociale, immergersi fino in fondo nell’anima senziente italiana ed iniziare a trasformarla. Per fare questo dovette rinunciare ad uno sviluppo regolare in condizioni sociali migliori”.

Egli non solo si rivolse all’Italia, ma anche contribuì a portare l’America del Sud ad un maggiore grado di coscienza. Rinunciò alla vita contemplativa spirituale per immergersi da vero cavaliere michaelita nella materia. Perché individualità legate all’Irlanda dovettero sentire questo legame con Roma da un lato e con l’America dall’altro. Questo è in relazione al momento dell’evento del Golgota e che gli irlandesi poterono percepire nel corpo eterico della Terra.

In realtà in quel momento percepirono non solo la morte di Gesù sulla croce; ebbero la loro più grande immaginazione legata alla loro particolare scuola di iniziazione essi videro in America e a Roma, connessi con l’avvento del Cristo si ebbe lo scuotersi delle potente luciferiche ed arimaniche.

Compito dei nuovi Misteri è ricondurre anche queste popolazioni nel vero impulso cristiano. Garibaldi e i suoi discepoli si assunsero questo compito e combatterono per portarlo a termine. Se la storia è, come disse Hegel: “Il progredire dell’umanità nella coscienza della libertà”, allora Garibaldi vi prese parte non in uno, ma in due Mondi.

 

________________________________________________________

Note

58) G. de Sorval, Missione cavalleresca, I libri del Graal.

59) D. Viscaux, L’iniziazione cavalleresca nella leggenda di re Artù, Ed. Mediterranee.

60) Proinsiac Mac Cana, Il cielo epico irlandese.

6 pensieri su “GIUSEPPE GARIBALDI ( parte ultima )

  1. Grazie Trittolemo.
    Aspettavamo la conclusione di questa “epopea” del nostro eroe. Attendiamo ora i commenti dei nostri “anziani” 😛 del blog.
    Intanto ricordiamo ai lettori che tutte le puntate del lavoro di Trittolemo su Garibaldi sono raccolte e archiviate alla sua categoria dedicata il cui link trovate sempre a lato della homepage insieme a quelli di tutti gli altri argomenti trattati nel blog.
    https://www.ecoantroposophia.it/category/giuseppe-garibaldi/

  2. Mi scuso con Trittolemo: anziché dotti apporti, sbandamenti in libertà 🙁

    @ veeraj: il Maresciallo Radetzky mi risulta esser stato una bravissima persona e la Radetzky Marsch è il mio personale inno alla gioia :))

  3. Ps: A Milano gli irredentisti (non più del 4% della popolazione) attesero la palingenesi portata dall’italico straniero: infatti appena liberati dall’Impero che li soffocava ebbero la buona novella della quadruplicazione delle tasse…

    Immortale vizietto, eh!

    Dalle mie parti vige una strana imprecazione “Quella maledetta barca!”. E molti, pur non essendo antroposofi, neppure sanno cosa stia a significare.
    Nella realtà essa ricorda la prima nave da guerra italiana che attraccò ai moli…

Lascia un commento