TERZA PARTE
La figura di Garibaldi si inserisce legittimamente in ciò che Steiner intendeva dire.
Il punto di partenza era la domanda: dove sono oggi gli antichi iniziati?
“Ho spesso accennato che anticamente esistevano degli iniziati, persone molto sagge che avevano raggiunto un alto gradino di evoluzione; a questo riguardo mi fu osservato: Se gli uomini tornano sempre a rinascere, dove sono attualmente quegli antichi iniziati? Non ve ne sono fra gli uomini del nostro tempo, fra quelli attualmente incarnati? Fra quelli ai quali sta bene dover sperimentare la loro incarnazione nel nostro tempo?” (25)
Steiner disse che inizialmente non provava alcuna simpatia per la vita di Garibaldi.
“Egli mi diventò più simpatico solo nel corso delle ricerche karmiche sul suo conto, perché alcuni aspetti, prima che ne riconoscessi i nessi karmici, mi sembrarono innaturali, ampollosi, ma in realtà egli non fu tale”.(26)
Steiner parla di Garibaldi in sei conferenze del ciclo: a Dornach, a Stoccarda e a Praga dal 22 marzo al 9 aprile del ‘24 e a Bratislava l’11 giugno. Nel corso di queste conferenze prende le mosse da diversi avvenimenti della vita di Garibaldi perché in essi nei quali ravvisa maggiormente l’influenza di un tessere del mondo spirituale che avviene dietro la sua figura. (27)
La scelta degli avvenimenti di vita nell’indagine del karma non è dunque arbitraria; proprio da singoli aspetti ed accadimenti al veggente si presentano le intuizioni sulle precedenti vite del soggetto.
Vediamo quindi quali avvenimenti colpirono Steiner:
1. La nascita di Garibaldi nel 1807. Il fatto che esplicò la sua azione oltre la metà del secolo diciannovesimo.(28)
2. In una ristretta zona geografica (Regno di Sardegna) ed in pochi anni nascono: Garibaldi a Nizza nel 1807, Camillo Benso di Cavour nel 1810 a Torino, Vittorio Emanuele II a Torino nel 1820 e Giuseppe Mazzini a Genova nel 1805.
3. Domenico Garibaldi: “uomo povero, che prestava servizio sui bastimenti”. (29)
4. Garibaldi aveva scarsa inclinazione allo studio, preferiva trascorrere il suo tempo in spiaggia o nei boschi, molte volte immerso nella lettura di qualche libro che gli piaceva.
5. Prima visita con il padre alla città di Roma: visione di Roma capitale.
6. Viaggi nell’Adriatico e sue avventure con i pirati.
7. Condanna a morte in contumacia. Garibaldi lesse la notizia su un giornale di Marsiglia. Fu la prima volta che vide pubblicato il suo nome.
8. Incontro con Anita. Egli la vide dalla sua nave attraverso il cannocchiale. Sbarcato ne conosce il padre.
9. Anita, credendolo morto, lo va a cercare sul campo di battaglia.
10. Per evitare la morte per assideramento del figlio, Anita se lo lega al petto.
11. Gelosia di Anita. Garibaldi si taglia i capelli a zero per lei.
12. Il 24 gennaio 1860 Garibaldi sposa Giuseppina Raimondi. Il matrimonio dura un giorno.
13. Garibaldi, fervente repubblicano, si adoperò, tuttavia, per unificare l’Italia sotto il monarca sabaudo Vittorio Emanuele II.
14. Il 7 novembre 1860 Vittorio Emanuele entra in Napoli accompagnato da Garibaldi. In realtà fu un tentativo di Cavour per sfruttare la popolarità di Garibaldi, allora dittatore della città, a favore del re.
15. Pessimi rapporti di Garibaldi con i generali piemontesi, soprattutto con Fanti e Farini ed in seguito anche con Cialdini.
16. Garibaldi partecipa alla guerra franco-prussiana. E l’unico a conquistare un vessillo tedesco che poi restituirà per testimoniare il valore dei nemici, suscitando le ire dei francesi.
Dall’indagine di Steiner risulta che la vita precedente di Garibaldi fu in Alsazia. Garibaldi fu iniziato ai misteri in Irlanda: “Egli aveva accolto quanto descrissi come sapienza dei misteri d’Ibernia, l’aveva accolto in altissimo grado. Prima aveva dimorato in Irlanda, dove era la sede principale di quei misteri e più tardi aveva guidato la colonia venuta a stabilirsi sul continente” (30). Visse nel IX secolo d. C. e quella fu quasi certamente la sua ultima incarnazione.
Nei misteri irlandesi l’iniziato che aveva raggiunto un certo gradino dell’iniziazione sottostava a un ben determinato obbligo. L’obbligo di continuare per tutte le vite successive a contribuire ai progresso dei suoi discepoli, a non abbandonarli” (31).
Suoi discepoli nella vita precedente furono proprio Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele.
“Fu anzitutto l’individualità di Vittorio Emanuele che Garibaldi dovette sentire legata a lui” (32).
Essi vennero in Alsazia per farsi suoi discepoli dai loro diversi luoghi di origine: “uno dal nord, l’altro dal lontano oriente, il terzo dal lontano occidente” (33).
Garibaldi non manifestò la precedente iniziazione in quanto, inserito nelle condizioni del secolo diciannovesimo, non gli fu possibile (34).
Egli quindi non poté vivere la sua spiritualità in maniera pienamente cosciente perché: “L’uomo è costretto ad usare il corpo che gli dà quella certa epoca. I corpi dei tempi antichi erano più duttili, più plastici per lo spirito…”
Per cercare di ampliare l’analisi circa la vita di Garibaldi è importante, dunque, considerare cosa avvenne nelle sedi dei misteri d’Ibernia e come si dipanò la corrente ad essi legata nel corso dei secoli.
I Misteri d’Ibernia
L’Ibernia, l’antica Irlanda, era la sede di iniziati legati direttamente all’oracolo solare dell’antica Atlantide. Era l’oracolo maggiore e più importante nel periodo atlantico e perciò più che in altre correnti poté venire conservata l’antica saggezza in una forma più pura (35).
Alcuni elementi caratteristici erano propri di quell’antico centro misterico, prima dell’avvento del cristianesimo. Gli organi chiaroveggenti dei grandi iniziati erano sempre, per così dire, rivolti al Sole e dagli esseri spirituali che vi dimoravano traevano la loro saggezza. Guardavano il mondo e l’universo intero da una prospettiva solare. Possedevano cioè una visione eliocentrica spirituale.
L’universo visto attraverso il sole si esplica nella saggezza della visione zodiacale del mondo. Il rapporto quindi dell’uno con il dodici rappresentava il centro di quella conoscenza iniziatica. Questa visione propria dell’estremo occidente è strettamente connessa con quella presente nel Medio Oriente, propria della civiltà persiana.
Zarathustra insegnò la via verso Ahura Mazdao, la grande “Aura Solare” e tutta la civiltà caldaico – babilonese era regolata dalla visione zodiacale del mondo. Il fatto di trarre la visione spirituale dalla medesima fonte e che questa fonte fu il Cristo stesso, legò queste correnti tra loro e quando le popolazioni indoeuropee si spostarono ad ovest si integrarono facilmente dando origine alla cultura celtica.
Gli antichi iniziati d’Ibernia potevano scorgere il mondo spirituale, di cui il sole era portatore, quando l’azione fisica di questo veniva trattenuta dalla materia. I Druidi utilizzavano cioè l’ombra dei dolmen per scorgere l’irradiazione spirituale del sole.
In questa “tecnica” iniziatica risiedeva un mistero più alto. Gli iniziati irlandesi si confrontavano con la materia, con l’oscurità e proprio da questo confronto potevano accedere alla luce spirituale del Cristo. Era la via di Michele, in perenne lotta con il drago, e l’Arcangelo solare era per l’appunto lo spirito di popolo in Ibernia.
Un terzo elemento era che, sebbene la via di iniziazione si rivolgesse alternativamente ad elementi del macrocosmo e del microcosmo, in realtà era molto più proiettata verso il mondo esterno. Seguendo l’avvicinamento del Cristo alla sfera terreste, fu possibile attingere sostanza spirituale dalle forze eteriche stesse della terra, e pertanto, da un certo punto in poi, il mondo elementare divenne la fonte primaria di investigazione per gli iniziati.
Questi tre elementi :
1) Visione del Cristo – Sole,
2) Incontro con le Potenze dell’Ostacolo,
3) Accesso alla soglia attraverso il mondo elementare,
erano gli aspetti caratteristici dei “grandi” e più nascosti Misteri d’Ibernia. Il discepolo veniva condotto di fronte a due statue: una era di aspetto maschile, di sostanza elastica con il sole sopra il capo, l’altra di aspetto femminile di sostanza plastica e molle, legata ad una immagine lunare.
Al cospetto delle due statue, dopo una lunga e severa preparazione, il discepolo aveva diverse esperienze immaginative. Accanto alla figura maschile veniva posta la parola “SCIENZA”. L’incontro con questa statua suscitava nel discepolo un irrigidimento animico fino ad una paralisi corporea, si sentiva al di fuori del corpo ed accolto nei suoi organi di senso. L’unità del suo io si perdeva e appariva moltiplicato per dodici. Aveva l’esperienza di paesaggi invernali fino a che non era preso nel turbine di una tempesta di neve ed acquisiva la coscienza della sua vita pre-terrena e dell’evoluzione passata della Terra.
La statua femminile, accanto alla quale era posta la parola “ARTE”, suscitava in lui uno stato febbrile, di intenso calore. Grazie ad una profonda esperienza volitiva si sentiva saldamente concentrato, raccolto come in un’unità nel proprio cuore. Aveva l’esperienza di onirici paesaggi estivi da cui sorgevano le possibilità future della terra e la visione della vita dopo la morte.
Posta tra questi due opposti sorgeva in mezzo la figura del Cristo. Iniziatori ammonivano il discepolo con queste parole:
“Accogli nel tuo cuore
la parola e la forza di questo essere.
E ricevi da lui
ciò che ti volevano dare le due figure:
Scienza ed Arte”.
Al discepolo diveniva così chiaro che solo l’impulso del Cristo avrebbe consentito l’ulteriore evoluzione dell’uomo. La concezione tripartita del mondo metteva in evidenza il centro quale elemento risanatore in equilibrio dinamico tra polarità unilaterali. Tale concezione divenne norma regolatrice di tutta la vita di queste popolazioni.
La società stessa era strutturata secondo questo principio; accanto alla casta dei guerrieri con i re e a quella dei giudici sacerdoti, i druidi, esistevano i bardi, portatori dell’elemento ritmico, animico, cantori e medici. Se la casta guerriera trovava il compimento del proprio essere nella “lotta eroica” e curava le attività venatorie come espressione simbolica della propria attività bellica i druidi, invece, guidavano l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.
La convivenza sociale era altresì retta dai bardi, cantori al contempo della spiritualità elementale di boschi ed acque e delle gesta degli eroi.
Il confronto con le unilateralità che si cercava di investigare e al contempo tenere in equilibrio, fece sì che gli antichi Misteri d’Ibernia assumessero un particolare rapporto con il problema del male. Abituati ad occuparsi dei problemi connessi con il superamento della Soglia, divennero essi stessi, per la loro posizione geografica, guardiani di una Soglia importante per l’umanità europea.
Per millenni conservarono il segreto dell’esistenza dell’America in quanto il continente in cui maggiormente le forze tellurico-magnetiche di Arimane possono esprimersi sarebbe stato distruttivo per la giovane civiltà europea che si andava formando.
La venuta del Cristo quindi era ampiamente prevista e il Mistero del Golgotha venne percepito nell’aura spirituale della Terra quale involucro rappresentato dal Suo spirito vitale (36).
Con l’avvento del Cristo le antiche tradizioni celtico-irlandesi mutano nella forma. A sud della Gran Bretagna inizia a prendere piede la figura di Artù e dei suoi cavalieri della Tavola Rotonda. Nel mito e nella figura di Artù rivivono quegli elementi archetipici del mondo irlandese. Artù e i suoi cavalieri sono gli annunciatori e i portatori dell’impulso Cristo nella sfera eterica e si confrontano con il problema del male: “Poi inviavano i loro messi in tutta l’Europa per combattere quanto era selvaggio nei corpi astrali delle popolazioni, per purificarle e civilizzarle, poiché questo era il loro compito” (37).
Coglievano lo spirituale nel gioco degli elementi: “Diventare paganamente religiosi significa essere dediti agli dèi della natura che dappertutto giocano, si rafforzano, operano e intessono nell’essere, nel tramare della natura” (38); e dopo l’avvento del Cristo iniziarono a leggere nel suo spirito vitale e ad accogliere il significato del mistero del Golgotha attraverso di esso.
Quale che sia il dibattito circa l’esistenza di un Artù storico e del ruolo che ebbe in questa corrente il castello Tyntagel, diverse esperienze caratterizzate da questi elementi distintivi vi furono realmente in seno al mondo celtico-irlandese. Sebbene il ciclo arturiano si riferisca chiaramente alla trasformazione che la venuta del Cristo impresse alla casta dei guerrieri-re, in realtà tale cambiamento avviene molto lentamente e fino al periodo carolingio, ed ancor più con l’avvento della cavalleria monastica, non si può parlare di cavalleria cristianizzata.
Fu invece il monachesimo irlandese che inizialmente assunse in sé questi aspetti e pertanto maestri e santi di questa corrente furono i primi reali Artù che guidarono i successivi passi della nobiltà celtica e franca (la figura di Giovanni Scoto Eriugena è in questo senso emblematica).
Il monachesimo irlandese
La più antica attività missionaria irlandese di cui abbiamo testimonianze riguarda la fondazione, in Britannia, dei monastero di Jona nel 563 d.C. da parte di San Columba (Colum Cille). Da Jona il messaggio cristiano venne recato da missionari irlandesi nel nord dell’Inghilterra e, a partire dalla loro nuova base fondata nel 635 d.C. a Lindisfarne (Holy Island), i missionari crearono, nella metà settentrionale dell’Inghilterra, un sistema di organizzazione ecclesiastica assai simile al loro.
Dall’Inghilterra settentrionale i missionari si spostarono progressivamente a sud fino a varcare la Manica ed a porre la loro attività sul continente europeo, benché le prime missioni iniziarono già immediatamente dopo la morte di San Columba, quando nel 597 d.C. da Bangor il monaco Colombano partì con dodici compagni alla volta della Borgogna. Qui fondò tre monasteri (Luxenil, Fontaine e Annagray) che divennero importanti centri di influenza irlandese sulla chiesa franca nel VII e VIII secolo.
Una seconda ondata di pellegrini irlandesi si ebbe a partire dal VII secolo. Erano a volte viaggiatori solitari, ma per lo più si muovevano insieme a compagni, nello stesso numero degli apostoli come avevano fatto Columba e Colombano.
Uno dei primi fu Fursa, fondatore del monastero irlandese di Peronne in Piccardia (Perrona Scottorum), che prima aveva operato in Inghilterra, dalla quale era stato espulso. Altri seguirono. Primi furono i suoi due fratelli Ultàn e Foillàn, che fondarono monasteri a Laguy, nei pressi di Parigi e a Fosses, presso Namur.
Ben presto si istituì una rete di strette relazioni tra i monasteri (paruchia) che influenzarono profondamente la società franca. Il centro di Nivelles fu il monastero di famiglia dei primi Carolingi. I monaci non si stanziarono soltanto nella Francia meridionale, alcuni di essi raggiunsero i popoli germanici alle frontiere orientali ed occidentali dei regni franchi.
Marianus e Amianus erano monaci operanti in Baviera, probabilmente nella prima metà del VII secolo. A Würzburg si ricorda ancora oggi il monaco Kilian seppure i particolari della sua vita siano completamente perduti. Accanto a questi centri più strutturati sorsero un po’ ovunque delle piccole cerchie di oranti intorno a singoli monaci eremiti (cenobi). Tali cenobi erano profondamente diversi dalle successive esperienze monastiche. Erano composti da dodici discepoli presso un maestro ed essi conducevano vite separate, ritrovandosi spesso solo per le orazioni.
La regola dei monaci irlandesi fu la prima ad essere redatta ed era particolarmente rigida. I monaci portarono dunque l’antica sapienza d’Ibernia nell’Europa continentale. Avevano pratiche rituali e liturgiche che si rifacevano direttamente agli antichi misteri, portavano la tonsura druidica e calcolavano la Pasqua in maniera autonoma.
Il compito arturiano di propagare in Europa un cristianesimo non solamente legato ai fatti di Palestina venne da loro adempiuto in maniera mirabile. Portatori di una tradizione celtica che, come abbiamo visto era abituata a confrontarsi con la materia ed il male (39), entrarono in stretto contatto con il mondo politico del tempo come già avevano fatto, primi, San Columba e San Colombano.
“L’iniziativa spirituale tra le libere genti franche venne favorita dalla penetrazione dell’elemento celtico. Il celtismo divenne maestro e guida dei Franchi, spiritualmente meno attivi” (40). “Tutto ciò rese possibile che il Cristianesimo a quel tempo non fosse il riflesso di condizioni esteriori, bensì, non costretto da pressioni materiali, si sviluppasse in un terreno libero” (41 ).
Inizialmente i Franchi accettarono di buon grado la cultura che veniva loro incontro dal mondo irlandese.
“Anche il mondo ideale di Platone trovò accesso in questa vita spirituale. Ciò avvenne soprattutto ai monaci scozzesi ed irlandesi, e in particolare a Scoto Eriugena con il suo De divisione naturae , un opera che rappresenta un momento culminante nella storia del pensiero”.
I monaci irlandesi erano dotti e traghettarono il mondo aristocratico-guerriero verso un mondo culturale che prima era stato da esso rifiutato completamente. Fu un processo particolarmente lungo e lento, in realtà per molti secoli la società medioevale fu spaccata in due. Da un lato i monasteri detentori del sapere e dall’altro oltre ai servi ed ai contadini, anche principi, duchi, re che non sapevano né leggere né scrivere e praticavano caccia, guerra e agricoltura. Nei monasteri la cultura irlandese si integrò con la sapienza del sud portata in particolare dai benedettini e costituì la base per il successivo sviluppo della Scolastica.
Questo fatto fu in realtà una delle conseguenze di importanti avvenimenti spirituali che accaddero proprio nel IX secolo. Steiner ci dice che Garibaldi visse in Alsazia nel IX secolo. Posta tra la Francia e la Germania, l’Alsazia rappresentò, e rappresenta tuttora il cuore dell’Europa. Proprio lì si ebbe la prima tappa per la nascita dello spirito europeo.
Il mondo franco nel 700 d. C. cambia faccia. I Carolingi, pur accettando inizialmente il messaggio spirituale irlandese, con il tempo si rivolgono sempre più agli aspetti temporali della Chiesa pensando di trarne profitto. Si rivolgono sempre più quindi alla Chiesa romana.
“Sulle isole britanniche operavano illustri dotti… poi monaci in serio raccoglimento. Qui si è davvero lavorato per la riassunzione del platonismo e per la sua fusione con il Cristianesimo… Vediamo irraggiare da qui una mistica, una dogmatica, ma anche un entusiasmo, un fervore appassionato. Da qui provengono i primi missionari: Colombano, Gallo, Bonifacio che convertì i tedeschi.
Questi primi missionari, non avendo di mira altro che l’elemento spirituale del Cristianesimo, non erano propensi ad adattarsi alle condizioni delle genti franche. Essi costituirono una forza propulsiva ed esercitarono, specialmente con Bonifacio, la loro maggior influenza presso i Germani orientali. Di contro a ciò prese piede nel regno dei Franchi una crescente influenza da parte di Roma (42).
Roma rappresenta un altro punto nodale nella tarda storia del monachesimo irlandese. L’Europa era attraversata da pellegrini irlandesi; oltre a rappresentare un vero e proprio “gregge di filosofi”, come furono dipinti, intenti alla evangelizzazione dell’Europa, molti di essi avevano come meta finale Roma, “Limina apostolorum“. Molti irlandesi riferiscono che due ecclesiastici di Leinster del VI secolo, Fiachira Goll ed Emivè, “uno die quieverunt in Roma” (morirono a Roma nello stesso giorno). Erano solo l’avanguardia di una corrente ininterrotta di Irlandesi diretti alla Città Eterna (43).
Di contro la chiesa romana avversò in ogni modo il monachesimo irlandese. Il Papa divenne sempre più il rappresentante di una società temporale che perpetrava modelli sociali imperiali romani, avverso allo sviluppo dell’anima cosciente nell’umanità che si andava preparando nell’Europa centrale.
Proprio a tal fine nel IX secolo dovette avvenire un importante avvenimento spirituale. L’anno 869 fu centrale per l’ulteriore sviluppo della spiritualità europea. La corrente misterica nord-occidentale di Artù si fuse con quella sud-orientale del Graal. Esse sparirono esteriormente, ma costituirono un’aura spirituale nell’Europa che servì al nuovo sviluppo del Cristianesimo.
Erano due esperienze diverse ed unilaterali del Cristianesimo. Da un lato la corrente di Artù coglieva l’essere Cristo nel mondo circostante; il Cristianesimo sorgeva dall’incontro con il mondo elementare e viveva nella organizzazione della società stessa. Dall’altro la corrente del Graal aveva vissuto direttamente gli eventi di Palestina e le forze del Cristo erano riposte nel sangue e nel cuore degli uomini.
Gli antichi misteri di Horus rivivevano in forma cristianizzata nei percorsi meditativi degli iniziati. Questi aspetti si incontrarono e si completarono a vicenda, da allora la via macrocosmica e quella microcosmica furono poste nelle potenzialità evolutive dell’uomo. Questo avvenimento si ripercosse a diversi livelli nella società medioevale di allora.
Vediamo schematicamente come:
1. Il monachesimo irlandese e quello benedettino progressivamente si fondano: da questo incontro nasce poi il movimento cistercense legato alle esperienze templari: i guerrieri divengono ai contempo monaci.
2. Nasce il ciclo del Graal. Parsifal arriva al Graal, ma è contemporaneamente cavaliere di Artù. Galvano svolge i propri compiti nella società come cavaliere di Artù, ma al contempo è alla ricerca del Graal. Si tratta in realtà dei due aspetti ora congiunti nella medesima persona (lato notturno- Parsifal; lato diurno-Galvano). Galaad incarna la nuova spiritualità. E’ contemporaneamente cavaliere di Artù e giunge al castello del Graal. Anche Bohort, come vedremo, rappresenta una figura importante.
Contro questi impulsi di evoluzione spirituale altre correnti si destano per impedirne lo sviluppo:
1. nell’ 869 a Costantinopoli viene negata l’esistenza dello spirito quale entità distinta. La tripartizione dell’uomo, base della spiritualità celtica scompare dalla conoscenza umana.
– IMPULSO ROMANO.
2. Sempre nell’ 869 nei mondi spirituali avviene un “incontro” tra diverse individualità: Aristotele, Platone, alcuni cavalieri di Artù e l’individualità vissuta come Harun al Raschid a Baghdad. Si pongono le basi per l’ulteriore sviluppo spirituale cristiano dell’Europa (Chartres e la Scolastica), ma Harun al Raschid non accetta di porsi al servigio del Cristo. Si reincarnerà come Francesco Bacone dando vita al moderno materialismo.
– IMPULSO ARIMANICO (44).
Quando avvennero questi avvenimenti, non sappiamo se l’individualità spirituale di Garibaldi fosse in vita, o meno, ma comunque lo dovettero interessare direttamente. E’ estremamente difficile fare delle ipotesi circa la precedente sua incarnazione. Piccoli centri di spiritualità irlandese a cui afferivano discepoli da ogni luogo sorsero in moltissimi luoghi e nella quasi totalità dei casi i nomi dei monaci sono a noi ignoti. Inoltre su tutto ciò che si riferisce alle correnti di Artù e del Graal si posa un velo spirituale che le occulta e ne rende difficile l’investigazione (45).
Tuttavia non appare primariamente così importante conoscere nei dettagli la vita precedente di Garibaldi, quanto piuttosto respirarne l’atmosfera con cui si può ampliare la nostra comprensione circa la sua vita nel XIX secolo. Anche Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele vissero in quel periodo come suoi discepoli.
Alcune suggestioni riecheggiano dalla Cronica Anglosassone quando “riferisce che nell’ 891 d.C. tre irlandesi giunsero da re Alfredo su una imbarcazione priva di remi… perché desideravano andare in pellegrinaggio per amor di Dio, non importa dove” (46).
Altre sorgono da una lettera conservata a Bamberga, in Baviera “in cui si riferisce come durante il viaggio verso il continente tre irlandesi fecero tappa alla corte di re Mervyn Vrych nel Galles dove furono sfidati a decifrare una scritta segreta. Gli irlandesi consultarono i loro libri e riuscirono a scoprire il codice secondo cui tale scritta era stata compilata e annunciarono il loro trionfo in una missiva al loro mastro in Irlanda” (47). Sono appunto soltanto suggestioni, ma permettono di immaginarci tutto il fervore religioso e la dedizione al maestro che dovettero avere anche i discepoli di Garibaldi.
Per quanto riguarda Garibaldi, Steiner dà soltanto una piccola indicazione quando dice che come maestro monaco, ora sconosciuto svolse una funzione più importante del più noto Bonifacio nell’evangelizzare le popolazioni dell’Europa centrale (48).
Steiner parlò di Bonifacio fin dal 1904, quando teneva le lezioni di storia all’Università Popolare di Berlino. Parlò del diverso modo di portare il Cristianesimo ai popoli germanici al confine con i regni franchi. Da un lato i Franchi si fecero portatori dell’impulso romano ed imposero con la forza a quelle popolazioni il cattolicesimo. Bonifacio, il fondatore del monastero di Fulda, svolse un ruolo di primaria importanza in questo processo. Per contro il monachesimo irlandese portava un Cristianesimo spirituale che “non viene inculcato nella loro anima come qualcosa di estraneo: i luoghi di culto, le usanze sacre, i costumi e le persone vengono rispettate a tal punto che si utilizzano vecchie istituzioni per riversarvi il nuovo contenuto. Interessante è come l’ antico diventi la veste, il nuovo, l’ anima”.
Un esempio di ciò viene descritto nella stessa conferenza poco dopo:
“Di quell’epoca possediamo, proveniente dalla tribù sassone, un racconto della vita di Gesù: viene assunta la figura di Gesù, ma tutti i particolari vengono rivestiti di elementi germanici. Gesù appare come un duca tedesco, il rapporto con i discepoli assomiglia ad un’assemblea di popolo. Così viene descritta la vita di Gesù nell’ Heliand ” (49).
“L’Heliand è un poema in 5983 versi in allitterazione, composto in lingua basso sassone da un monaco anonimo che ne aveva ricevuto l’incarico intorno all’anno 830 dall’imperatore Ludovico il Pio” (50).
Arturo
“La notte del 26, sulla strada di Marineo, Garibaldi cavalcava silenzioso, a fianco gli era Türr, le stelle brillavano di intensa luce, ad un tratto Garibaldi, guardando il ciclo, mormorò: “Bizzarrie della vita, noi tutti abbiamo una stella, io scelgo Arturo”. “Ebbene - fece Türr – Arturo risplende, voi entrerete a Palermo”. “Certamente!”, rispose Garibaldi…” (51).
Garibaldi, disse Steiner, non fu in grado di essere cosciente del suo ruolo di grande iniziato a causa delle condizioni del tempo in cui visse. Il secolo diciannovesimo fu improntato dal materialismo, anche se il Kali-yuga volgeva al termine, il rapporto dell’uomo con i mondi spirituali era da riallacciare. I corpi stessi degli uomini avevano ormai ridotte al minimo le possibilità di essere plasmati al servizio degli impulsi spirituali. La concezione del mondo che si iniziò ad insegnare ai giovani divenne distruttiva per le possibilità di sviluppo spirituale.
“Così è impossibile che attraverso un corpo, che fino ai diciassette o diciott’anni è stato educato secondo le vedute della civiltà odierna, si manifestino le condizioni di saggezza degli antichi tempi nella forma in cui ci si aspetterebbe di vederle” (52).
Al contempo, come abbiamo visto, l’eccezionalità della vita di Garibaldi è indice di un operare del mondo spirituale che si rivolge alla volontà stessa del Generale.
“Era stato iniziato e aveva accolto in una precedente vita impulsi volitivi che portò poi a compimento nella vita come Garibaldi” (53). “Tutto quello che si manifesta in Garibaldi è impulso volitivo” (54).
Gli avvenimenti che gli accaddero assumono quindi un aspetto archetipico che fece dire a Rudolf Steiner:
“Ciò a cui m’interessai soprattutto nella vita di Garibaldi fu l’aspetto karmico, il fatto che in lui vi fosse una personalità la cui vita è difficilmente spiegabile, perché in un certo senso Garibaldi è la verità stessa” (55).
La domanda che sorge ora è quale fosse questo elemento archetipico a cui per certi versi si conformò una vita di per sé cosi anticonformista? Si può rispondere considerando a quale corrente spirituale appartiene l’individualità che si incarnò come Garibaldi. Le vite dei grandi iniziati di ogni corrente misterica hanno da sempre svolto un ruolo archetipico. La vita dell’iniziato rappresenta la via dell’iniziazione stessa in quanto incarnazione di verità spirituali.
Il forte valore simbolico della vita fa sì che la saga, il mito, l’opera che la narra diventi leggibile a più livelli e che normalmente nel corso dei secoli si sia da un lato persa la comprensione degli avvenimenti spirituali che si narrano, e contemporaneamente si sia persa la capacità di discernere se quella vita fu realmente vissuta o abilmente inventata. Da Gilgamesh a Sigfrido, da Ercole a Cù Chulainn fino a Parsifal, la reale comprensione di ciò che è raccontato andò perduta.
Anche tutto ciò che riguarda la corrente dei misteri occidentale subì, dunque, questa sorte. In realtà gli scritti inerenti al mondo celtico – irlandese sorsero ben dopo 1’869 d. C. quando cioè quella corrente che era espressione di un cristianesimo unilaterale non esisteva più. Il nuovo impulso cristiano esoterico si stava organizzando ed effondeva la sua aura come una nuvola spirituale che avvolgeva l’Europa, nuove possibilità erano donate agli uomini.
In realtà un ciclo arturiano compiuto non può ritenersi anteriore al X secolo; anzi fino al XII secolo la leggenda di Artù sorge in maniera frammentaria dalla poesia gallese. È proprio a causa dei fatti del IX secolo che dallo scrigno dei bardi poté essere tratta la figura di Artù, che risaliva alla tradizione misterica.
Una difficoltà nell’analisi deriva dal fatto che le opere del ciclo arturiano si rifanno più ad una tradizione gaelica e bretone, sono molto tarde nella loro realizzazione e la stesura e raccolta avviene grazie ai monaci legati alla chiesa cattolica, con tutte le possibilità di cambiamenti che ciò comporta. Accanto al ciclo arturiano si stagliano altri racconti ben più antichi che, sebbene raccolti e compilati anch’essi in “scriptoria” monastici, presentano quella dimensione ancestrale ed archetipica del mondo celtico pagano; in particolare: il “ciclo dell’Ulster”, il “ciclo di Cù Chulainn” e il “ ciclo dei Fiana”.
Proprio il passaggio da questi antichi personaggi, iniziati nella casta dei re-guerrieri e cantati dai bardi, alla figura della Tavola Rotonda presuppone il mistero del Golgotha e inserisce quest’ultima nella spiritualità cristiana. Accanto al primo Artù cantato nella poesia gaelica, prende piede il grande ciclo di Parsifal e Galvano, portato da Wolfram von Eschenbach. Tale tradizione diviene da un lato la base della iniziazione temporale cavalleresca e quindi innestata nelle cerimonie iniziatiche regali anche se oneste sono sempre meno capite, in realtà si rivolge a tutta l’umanità a testimonia degli avvenimenti di 400 anni prima.
Nel corso dei secoli, poi, Artù divenne piuttosto un grande personaggio letterario e il prototipo delle cavallerie nobili di tutta Europa. Il tentativo di cogliere dietro le sue avventure elementi archetipici di esperienze iniziatiche avvenne sostanzialmente nel nostro secolo, con la rinascita di una certa indagine spirituale. Ovviamente l’avvento psicoanalitico da un lato, la spinta comparativa con la tradizione indiana dall’altro, e in sostanza la scarsa capacità di discernimento spirituale, rendono molte opere sull’argomento enigmatiche ad una analisi che voglia tener conto di realtà superiori.
Garibaldi come si evince dalle parole che scrisse a Türr si sentiva in qualche modo collegato con Artù, grazie alla sua “volontà visionaria”, come la definì Steiner. Anche un altro grande personaggio italiano, forte dell’intuizione del poeta, presagì questo legame. Giovanni Pascoli scrisse un poema sul grande Maestro. Pascoli definisce qui Garibaldi, “monaco rosso” e “cavaliere templare” in azione su una nuova Terra Santa.
“Esci dalla foresta e fa la nave
per questa Italia e per la sua fortuna:
giovine Italia, grande, libera, una.
Tu lascia squadre e mazze: ecco la spada.
Il caval nero pasce erba e rugiada
nel cimitero, il lenzuolo morto indosso.
Montavi ancora su, monaco rosso!
Galoppa ancora, cavalier templare!
in questa Terra Santa fa volare
sul saio rosso il gran bianco mantello!
Popolo avanti! Teco è Dio! – Fratello!-
Il giovin fulvo si lanciò, s’apprese
alla sua mano, l’abbracciò, gli chiese:
– Chi è? – Tu? – Garibaldi – Egli, Mazzini” (56).
Altrettanto impressionò il poeta il viaggio con i dodici sansimoniani, “i dodici esuli in veste bianca”, ed egli scrisse:
“Sovra coperta un gruppo era adagiato a tondo,
di dodici stranieri in lunghe vesti bianche.
Avean bordone al lato ed una corda all’anche.
Avanti loro, dritto e grave, era il Secondo”(57).
Nella vita di Garibaldi sono riscontrabili una serie di elementi tipici ed archetipici che sono in qualche modo legati alla tradizione cavalleresca celtico-irlandese. Non tanto eccezionali se presi singolarmente, la contemporaneità di essi in una singola vita fa riflettere.
(CONTINUA)
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Note
25) Rudolf Steiner, Considerazioni sui nessi karmici, Vol. I Conf. del 23/3/1924
26) O.O. 239 – conf. dell’11/6/1924
27) “Gli uomini altamente evoluti in tempi passati possono per conseguenza solo venir riconosciuti da chi guardi alle manifestazioni della vita che si presentano piuttosto dietro l’uomo che non per lui stesso”, in O.O. 235 .- conf. del 23/3/1924.
28) O.O. 235 – conf. del 22/3/1924
29) Ibidem
30) Conf. del ciclo Considerazioni esoteriche sui nessi karmici.
31) Ibidem
32) Ibidem
33) Ibidem
34) Ibidem
35) Per una descrizione più dettagliata si veda: B. Lievegoed, Correnti dei Misteri in Europa, Ed. Antroposofica, e R. Steiner, Sedi dei Misteri antichi.
36) O.O. 340
37) Ibidem
38) Ibidem
39) Rudolf Steiner, La nascita dello spirito europeo. Lezioni di storia medioevale, O.O. 51,Ed. Tilopa
40) Ibidem
41) Ibidem
42) Ibidem
43) Daibhì O’ Croinin, Le missioni irlandesi.
44) O.O. 240
45) Ibidem
46) Daibhì O’ Croinin, Le missioni irlandesi.
47) Ibidem
48) O.O. 51
49) Ibidem
50) Nota di G. Roggero in O.O. 51, Ed. Tilopa
51) L’Opera di Stefano Türr nel Risorgimento italiano, a c. di Stefania Türr, Firenze, 1925, 4°, p. 49.
52) In Considerazione sui nessi karmici, O.O. 235 – 240
53) Ibidem
54) Ibidem
55) Ibidem
56) G. Pascoli, Il credente.
57) G. Pascoli, I dodici esuli.
Il nostro eleusinio Trittolemo continua a donarci abbondante pastura per l’anima affamata, attingendo all’Opera di Rudolf Steiner, ai suoi studi documentatissimi, e ad una personale profonda intuizione.
Dietro la figura spirituale di Garibaldi si celano profondissimi misteri, che lo studioso diligente, che sia anche un audace meditatore, potrà disvelare nella percezione interiore del suo cuore. Proprio come sta facendo il nostro Trittolemo,il quale – come il suo Avo dell’Antichità – ci porta qualcosa di quella “agricoltura celeste”, che dona all’anima un cibo vivificante, alquanto migliore della rozza e non nutriente mistura di ghiande e segatura, che ci viene offerta dal materialismo attuale.
Nutrirsi di tale “eleusinia pastura” vivifica anche la interiore “memoria celeste”, che giace in torpido stordimento nel profondo del cuore umano, e aiuta così a ri-cordare e a scuotersi da quel sonno letèo, che è appunto letale.
Hugo de’ Paganis,
non conoscendo mai misura,
or s’accinge alla pastura,
e con fare davvero voglioso
or si dà al pasto gioioso.
Il caro Trittolemo, da quanto ho potuto capire, non ha scritto un articolo ma un’epopea!
Arretro muto e contento e con piacere ne leggo le puntate, sperando che l’amministrazione di Eco non sia così tirchia da centellinarle in spazi di tempo tanto dilatati da superare l’arco del mio karma d’incarnato.
Ho saputo che queste puntate piacciono a molti: così siamo tutti d’accordo.
Miracoloso Trittolemo!!
Caro nostro Isidoro, appunto per non torturarti abbiamo deciso di concentrare quello che in origine era destinato ad essere centellinato in 8 puntate in quattro parti solamente, chiaramente queste risulteranno piu’ lunghe da leggere ma tu potrai serenamente varcare quella certa soglia senza procurarti un karma futuro di desiderio ardente.
Trittolemo, grazie, ci hai piacevolmente sorpreso con questo tuo studio e noi tutti qui speriamo di poter leggere in futuro altri tuoi contributi.
A scuola non è che simpatizzavo molto per il risorgimento (preferivo il medio evo) :P, ma rileggere di Garibaldi in chiave scientifico-spirituale mi da qualche speranza in più.
Grazie Trittolemo per l’impegno che ci stai mettendo