Cari amici lettori, dopo qualche intemperanza torno serio e perciò dico e ridico sempre le stesse cose, speziandole un tanto per variarne – poco davvero – il sapore. Questa noterella potrebbe iniziare volgendosi esaustivamente all’eccezionale fenomeno che consiste nella capacità di comprendere le cose che cadono sotto la nostra osservazione poiché, seppure mediate dallo spazio e dal tempo e dagli organi del nostro corpo (e già a questo punto dovrebbe aprirsi un ampio capitolo sulla presunzione di oggettività di tali mediazioni: ciò è stato compiuto con assoluta profondità da Rudolf Steiner nel IV capitolo della Filosofia della Libertà e da Massimo Scaligero con Segreti dello Spazio e del Tempo), esse, prese di per sé, non offrono al nostro sguardo il loro significato di realtà, avendo il carattere di un tutto indiviso e incomprensibile.
La norma che permette di distinguere i caratteri di un ente dagli accidentali generali e dal resto del mondo già appartiene alla nostra attività pensante e non al percepito indiscriminato che senza dubbio c’è ma mai si saprebbe cosa sia. Già la III dimensione non si dà ma viene data dall’attività del soggetto. Questo fatto è intuibile a chiunque sia capace di pensare e dunque minimamente presente a due mondi: a quello sostenuto dal pensare e a quello indeterminato poiché privo di pensiero.
Nella sua indagine, Rudolf Steiner osserva che persino “in due oggetti dello stesso genere non vi è nulla di veramente comune se ci si attiene soltanto all’esperienza dei sensi”. Prendiamo l’esempio elementare di due triangoli: uno isoscele e l’altro scaleno, oppure uno piccolo ed il secondo grandissimo…potremo continuare all’infinito.
Occorre compiere uno sforzo riflessivo per realizzare che fermandoci alla mera esperienza sensoria (cioè priva di pensiero) non esiste alcun triangolo uguale ad un altro e non esisterebbe nemmeno la possibilità di riconoscere un secondo triangolo dopo il primo (a dire il vero non esisterebbe nemmeno la comprensione per il primo triangolo, ossia la possibilità di riconoscere che un triangolo è un triangolo). Normalmente invece riconosciamo la loro comune identità poiché portiamo loro incontro nel moto pensante la luce del concetto di triangolo: solo allora riconosciamo tutti i triangoli del mondo.
Ma in tale caso abbiamo oltrepassato la mera esperienza sensoria e il contenuto del concetto (di triangolo) dove siamo andati a coglierlo? Semplificando al massimo, la risposta è questa: dal mondo del pensiero.
Ci siamo avventurati in quel settore di realtà (teoricamente rifiutata dal positivismo filosofico, dal materialismo becero e dall’esoterismo di mezza tacca) senza la quale nulla delle cose del mondo sarebbe da noi compresa e comprensibile perché, per la nostra costituzione, manca nel puro mondo sensibile. Questa è l’esperienza interiore assolutamente necessaria alla comune condizione umana ed è parimenti quella meno avvertita consapevolmente.
In quanto uomini, l’esperienza interiore del pensiero è ciò che ci colloca al vertice di quelli che sino a ieri furono chiamati “regni della natura”. Ci distinguiamo dal resto della natura non perché ci muoviamo o respiriamo ma nemmeno per il fatto che qualcosa susciti in noi odio o amore con una fenomenologia quasi simile alla pioggia che cadendo modifica la precedente compattezza o morfologia del terreno.
La luce del pensiero genera l’uomo in quanto entità completa, e dalla interiorità di lui essa sgorga incessantemente donando compiutezza al mondo, ancora senza che lo si sappia, poiché per ora una consapevolezza desta non esiste ancora, o meglio, l’atto non viene avvertito durante il suo processo: dandosi, a posteriori, come riverbero (riflesso): la consapevolezza si riaccende solo dopo, nel riverbero, in cui coglie il compiuto, il mondo già fatto ed il pensiero come fosse soltanto un riflesso di questo: per moltissime anime tale pensiero viene sentito come una copia sbiadita e sicuramente più incerta del mio “oggettivo” portacenere.
So bene che le precedenti righe sono insoddisfacenti rispetto al tema ma da esse potrebbe risultare sufficientemente chiaro che tento di indicare, ripetitivamente, che la prima e più importante tra le esperienza interiori è la coscienza pensante: il chiaro pensiero del soggetto. Ciò dovrebbe essere una conquista, eppure rimane sempre il fatto più negletto, non solo in anime strutturalmente primitive ma assai spesso nei cenacoli dove, nelle intenzioni, andrebbero curate e aiutate le forze attinenti la difficile alba della cosiddetta “anima cosciente”. Ogni ulteriore esperienza interiore vera che si definisca occulta dovrebbe essere oggetto della pura coscienza pensante come in natura ogni cosa percepita abbisogna di un sano organo percepente.
A molti, tutto questo potrebbe apparire semplicemente ovvio, ma se davvero fosse così il mondo esoterico sarebbe una riproduzione fedele del cielo in terra.
Purtroppo così non è, la confusione regna e per “esperienza interiore” si intende proprio di tutto, essendo di sufficiente soddisfazione per la presunzione e l’orgoglio umano, l’esperienza di qualsiasi cosa che possa essere sentita e giudicata diversa o straordinaria se per una minuta briciola appare soltanto estranea all’ordinario vissuto. Spesso Rudolf Steiner ha rimarcato il desiderio di molti spiritualisti di ritrovare, nelle esperienze interiori, somiglianze con le cose che ci sono famigliari nel mondo sensibile. Ciò non inficia quello che ho scritto, poiché quasi tutte le esperienze vantate sono soltanto quantitativamente diverse dal menzionato portacenere: viene aumentata la quantità delle “cose” se posso anche vedere colori o udire suoni inesplicabili che semplicemente aggiungo a quanto mi è famigliare nell’esperienza comune. C’è chi giudica spirituale persino un sentimento: come se questo non ascendesse – o fosse mediato – dalle profondità dell’organismo sensibile, dunque si confonde l’esperienza animica con l’esperienza spirituale: carenza pensante!
E’ un errore tra i più profondi laddove si volesse chiamare esperienza interiore quanto può esser sperimentato dualisticamente, cioè con le caratteristiche del mondo sensibile e nel mondo sensibile, dove il prodotto della nostra attività supercosciente si arresta nella passività cosciente.
Trattare di esperienze “superiori” quando ancora non si abbia chiara e sperimentata la funzione (e persino l’esistenza) del pensiero, permette tutte le illecite illazioni che poi divengono chiese, scuole sapienziali, correnti spiritualistiche.
Anche l’imponente castello antroposofico patirebbe (patisce) le più malsane correnti se non avesse a proprio fondamento una esigenza di obbiettività scientifica.
Nonostante tutta la cura profusa dal Dottore, è un fatto visto e rivisto come troppo spesso l’antroposofia divenga comunque suggestione, atto di fede e persino vociare pettegolo senza attività di pensiero, dunque miserabile verbalismo, inferiore alla stessa dialettica in cui esiste ancora moto di pensiero. Così, usando la stessa terminologia antroposofica, pare del tutto legittimo a molte anime il tradurre la visione esoterica in misticismo luciferico che nell’uomo moderno trapassa in supina resa all’ envoutement arimanico: come a dire che spingendo proditoriamente in su un piatto della bilancia, l’altro scende vistosamente in basso. Situazione corrente.
Per questa devianza e anche per altri motivi più intimi e delicati, preferiamo usare il termine Scienza dello Spirito quando ci riferiamo alle comunicazioni spirituali: esse, dati i presupposti, si dichiarano obbiettive. Appunto: come risultati di attività scientifica.
La chiave del discorso scientifico è la pura, spassionata osservazione.
Ebbene, nel divenire scientifico è quasi una stravaganza storica e metastorica dover constatare che soltanto uno semisconosciuto ma promettente giovane filosofo, nel 1894 si portasse alla radice epistemologica, indicando come, alla radice dell’osservazione scientifica mancava, sino a quel momento, l’osservazione del fenomeno che sta alla base di ogni possibile osservazione.
Tra l’altro osservo che egli scrisse il suo chef d’oeuvre con un linguaggio spregiudicatamente piuttosto semplice, essenzialmente fruibile anche ai non addetti. Eppure il carattere dell’indagine e del tema portò allo Scritto un interesse inversamente proporzionale ad una sua completa comprensione.
E pare che le illuminanti aggiunte all’edizione del 1918 siano ben poco penetrate nelle dure teste degli uomini.
La Filosofia della Libertà (taccio per comodo Verità e Scienza e Linee fondamentali di una concezione goethiana del mondo) si presenta come un puro risultato di osservazione scientifica, e infatti Steiner volle sottotitolare il libro come “Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali”.
In che modo ciò è possibile? Troviamo la più stringata risposta in Verità e Scienza: “Io separo dalla mia immagine del mondo tutte le determinazioni di pensiero ottenute mediante il conoscere, e fisso soltanto quello che si presenta senza il mio intervento sull’orizzonte della mia osservazione”.
Non è facile capire la gigantesca portata di questa frase, poiché se pure immersa in un contesto di forma filosofica, essa indica un operare tanto radicale che per l’anima umana significa il portarsi allo zero di sé: annientamento cosciente e voluto, che sottende una disciplina straordinaria.
E questo, se non sbaglio, è uno dei momenti culminanti del percorso Reale sulla Via iniziatica.
Però è così, allo stesso tempo, che le due esigenze dell’uomo contemporaneo vengono soddisfatte: il bisogno di scientificità e di (vera) spiritualità.
Certamente, per il nostro essere quotidiano la via è poi dura, difficile o molto difficile: la chiamiamo Scienza dello Spirito ma è strada in salita. Forse per la stessa ragione, i molti preferiscono i mercatini dove si incarta antroposofia…cosa volete che costino otto righe di saggezza altrui?
Trovo, per farmi qualche risata, che uno swami pavoncello mette in guardia i suoi ammiratori circa l’abuso di disciplina interiore…Abuso? Eccesso? Dove, chi, quando? Evidentemente, immolati ad Atagartide i resti della sensatezza e di una infiacchita virilità, il povero swami forse crede che qualcuno possa davvero eccedere in ciò che è mortalmente difficile… Certo è che raglia su ciò che lui non conosce se non a parole. E come uno Svengali dell’antroposofismo mistico, così ha pure intortato pazzi da legare e persone ingenue (raccolta indifferenziata). Mah!
A proposito della Filosofia della Libertà si può osservare come siano amate le conferenze e gli scritti che la esaminano da tutte le parti, perquisiscono ogni sua riga: notevoli esibizioni di raffinata cultura e di intelligenti riflessioni. Esse sembrano virtù. Anzi: “umile” lavoro intellettuale (espressivo di kulturaristokatie). Possibile che siano pochi a rendersi conto che questo poderoso armamentario sposti nel limbo indefinito delle cose lontane proprio ciò che è oggetto di tante attenzioni?
Anche questo è un evitare e far evitare il lavoro personale, il confronto del proprio pensiero (e della propria anima) con il percorso del Testo, la sua organicità e la possibile sperimentazione del suo fondamento, cioè il senso per cui era stato scritto.
Ma forse a ciò lo sforzo ordinario potrebbe essere non sufficiente. Per chi ne è capace (nessuno può saperlo prima di tentare), forse sarebbe cosa migliore, parallelamente allo studio severo, abusare, per un tempo non limitato, della disciplina posta a fondamento e colonna di ogni attività d’attenzione consapevole, almeno nei casi in cui si sappia distinguere quando si dorme e quando no.
complimenti!
Isidoro merita sempre i complimenti. Per ogni suo articolo. Per tutti i suoi articoli.
Complimenti non meritati, miei cari: dipende ogni volta da uno spirito diverso: dal fruttato Chardonnay bianco, dall’acido e rosso Barbera, dal Groppello del Garda…per omettere l’ovvio, cioè il Prosecco e il Tocai friulano ( e, aggiungo, Vitovska e Terrano del mio Carso quando mordicchio gli antrochissacosa).
Cin cin! (ch’ing – ch’ing)
…e ci giurerei, tutti di coltivazione bio-dinamica…o no?? 🙂
Ah, ah! Quasi tutti bio-dinamici certo! Ma pure qualche bio e, raramente, anche di ignota madre purché riempiano il bicchiere di rosso rubino o pallido oro…
E, per penitenza, almeno due calici di Lacryma Christi rosso Vesuvio!
(ma non diciamolo a Hugo che funziona a sake, shochu e awamori) 🙂 🙂
E MENO MALE CHE AVEVO INTITOLATO L’ARTICOLO “DELLA VERA ESPERIENZA SOPRASENSIBILE”…. 🙁
te la suoni e te la canti? ich! 🙂
Uh, la pepponissima! Ma qui siamo in pieni Misteri Dionisiaci, anzi decisamente Bacchici! La calda ispirazione del Dio ha sui nostri amici un effetto divino, o dovrei meglio dir DI VINO! Questa poco filosofica e filosofal marmaglia pare davvero uscita dal famoso Antro di Bacco!
Per riportar un po’ d’ordine e compostezza in questa dissoluta congrega, credo che DOVRò rivolgermi al Senato Romano – quello vetusto e antico, non quel gregge ovino e caprino attuale – e chiedere di rinnovare ed inasprire le severe misure prese dai Patres coscripti del noto “Senatus consultum de Bacchanalibus” del 186 a.C., onde ricacciar nel buio dionisiaco antro gli scomposti e troppo loquaci avvinazzati!
Della nota divina triade Bacco, Tabacco e Venere, io onoro soltanto le ultime due Deità, e pur vivendo nella bella Terra di Enotria, ai Misteri di Bacco preferisco celebrare i Misteri della Sapienza tabaccologica. Nel Seicento e nel Settecento vi furono, partiti dalla Terra d’Ausonia – dei pitagorici che diffusero nelle Gallie e nella patria di Albione cotal mistica sapienza, disvelado ai loro inizianDi come la pianta del tabacco fosse la misteriosa erba Moly che Ermete dette ad Ulisse per vincer le porcine malie di Circe!
E, sull’esempio dei Maestri, or mi accenderò un sigaro toscano, immergendomi nella “Etrusca Disciplina”, come la chiamavano i Romani. Del resto Meyrink, ne”L’ANgelo della finestra d’Occidente”, scrive, quando l’eroe porta le sigarette al quasi morente principe Michailov, che “L’unico favore l’uomo può fare a Dio è di mandare in fumo le cose di questo mondo”!
I Misteri Bacchici? Niente fumo e niente arrosto!
Hugo cattivissimo
sempre nel suo fumar
prestantissimo.
Può anche darsi che Isidoro e bacchica truppa, in preda a conversione mistica, per non esser tacciati di pagani, come ormai è voce pubblica per quello sciagurato di Hugo, si diano a fervide novene di devozione a San Giovese!
Qual sciagura! Qual immane jattura! Non c’è più paganesimo (a parte questo lupaccio impenitente)!
Hugo de’ Paganis,
che in questa epoca sciagurata
or si beve l’aranciata
Non temete, l’obbligo della rima non vuol dire che Hugo si beva una velenosa aranciata. Anzi lui deve stare attento proprio alle arance e ci sta attento! Bravo Hugo!
Cari amici, reduce dal faticosissimo convegno di Oriago della SA in Italia e pur arricchito da nuove conoscenze tra i quali, stranamente, anche alcuni estimatori di Scaligero, mi sono immerso nella difficile e deconda lettura dei Segreti dello spazio e del tempo, prezioso regalo di una preziosa amica.
P.S. A Oriago i libri di Scaligero sono da sempre banditi…
Caro Salibus,
avrei voluto consigliarti un severissimo lavoro di espurgo dopo il Convegno della S.A. ma, visto che vuoi confrontarti con “Segreti dello Spazio e del Tempo”, di sicuro ciò basterà come penitenza e assoluzione!
Vedi, L’edificio di Oriago avrebbe potuto essere un bel posto. Fu costruito da Salvatore Colonna che ci mise anima e salute, duramente sollecitato dal dott.Bargero, il più notevole segretario della Società (uomo coltissimo e “duce” impietoso: contrario a Scaligero poiché temeva una deriva orientaleggiante. Come figura spirituale, Massimo invece lo rispettava:”E’ una spada spezzata”, mi disse di lui un giorno).
Colonna mi fu caro, la sua dedizione alla S.A. era totale: organizzava e seguiva il possibile e l’impossibile. Devo a lui la partecipazione a interessanti convegni triveneti. Nel tempo, quando era più stanco e affranto si rifugiava presso amici di Mestre, conoscendo la loro/nostra devozione verso Scaligero. Anzi, dopo aver frequentato la dirigenza nazionale, restò così deluso “un covo di vipere” che, abbandonate progressivamente le tante illusioni, si avvicinò realmente ai contenuti espressi da Scaligero.
Circa i testi, non c’è da meravigliarsi. Da Oriago, con le ed. Arcobaleno, il pezzo forte è stato “Tempo di decisioni con Rudolf Steiner” di Friedrich Hiebel: un monumento – il libro e lo scrittore – alla più piatta incomprensione della Fondazione del 1923. Esso (l’uomo) divenne il perfetto commentatore per ogni tema a lui superiore ed incomprensibile e valletto fedelissimo di Albert Steffen. In lui si rispecchiò, seppur banalmente, ciò che lo spirito germanico non avrebbe mai dovuto essere.
Non me la sto prendendo con Hiebel più del dovuto, dico solo che capito lui, capisci tutto il resto: l’edificio senza più gloria di Oriago ed il suo genius locis: del tutto giustamente un libro di Scaligero starebbe molto, molto lontano da lì!
Carissimi Salibus e Isidoro,
vi sbagliate tutti e due alla grande! Infatti, non sono i libri di Massimo Scaligero ad essere banditi in quel di Oriago, sulle amene rive del Brenta, bensì sono i banditi di Oriago che vogliono cacciare i libri di Massimo Scaligero, al fine che nessuno sospetti che possa esistere una pratica interiore realizzatrice dell’esperienza spirituale dell’Iniziazione!
Hugo, che essendo alquanto stufo,
pigramente sta fermo sul ramo
e guarda il mondo come un gufo.