Ogni “paese che si rispetti” ha i suoi matti, conosciuti, coccolati, derisi, presi come termine di paragone, nutriti e accuditi come figli e fratelli di tutti.
E’ buffo osservare le reazioni che suscitano: ci sono quelli che li accolgono sempre a braccia aperte, offrono caffè e cibo, scambiano quattro chiacchiere e due sorrisi. Oppure quelli che se ne discostano, li additano da lontano, ne hanno paura e preferiscono non averci nulla a che fare. Eppure, volenti o nolenti, i matti non lasciano indifferente nessuno, hanno la rara capacità di metterti di fronte a te stesso, nudo e senza appigli. E questo spaventa e affascina al contempo.
La funzione del matto di paese è la stessa antica del giullare di corte: spezza i limiti delle convenzioni e dei pregiudizi sociali, mostra apertamente che oltre la barriera ereditata di cosa è giusto e sbagliato, del “abbiamo sempre fatto così’”, ci sono altre vie, altri modi sconosciuti e temibili di vivere. Strade senza indicazioni e, come tali, strade per folli che decidono di uscire dal seminato, dal già visto e già fatto ed esplorano territori vergini, mettendo in campo tutto ciò che sono, fino a perdersi per ritrovarsi diversi e sempre più reali.
Il matto è metafora vivente di possibilità ignote e per questo riverito e temuto. E’ esorcizzazione visibile di quella paura dell’ ignoto che ciascuno si porta dentro, non vista né, spesso, presagita. E’ un capro espiatorio e un perenne monito delle debolezze che non ci permettiamo di affrontare né superare. Il senso ultimo della lotta per la normalità che, in definitiva, non esiste se non come idea errata che, continuamente e inconsapevolmente, facciamo nostra e ci àncora alla stessa illusoria realtà, giorno dopo giorno.
Il matto ci sfida, è lui che ci deride; attore di un ruolo tragicomico nel quale paventiamo di riconoscerci, senza sapere che è porta di accesso ad altri piani in cui solo i più coraggiosi sono pronti ad avventurarsi. Emblema della libertà da schemi comportamentali e, perciò, familiari e sociali, rigidi e meccanici, che intrappolano dentro ruoli e convinzioni formali e stereotipate. Simbolo di quella terra di mezzo, ponte sospeso tra genio e follia, istmo interiore mai vissuto fino in fondo, che regola i ritmi e traccia una parvenza di percorso per arrivare alla libertà e comprendere cosa farne.
Chi ben comincia…e Kiarodiluna ha iniziato tostissimamente con un argomento che tocca noi da vicino…
In coda aggiungo che, sia in estremo Oriente che in estremo Occidente, nelle correnti spirituali non all’acqua di rose, si praticava la “pazzia (o follia) controllata” che non era un divertimento alternativo in una società rigidamente formale. Non lo sarebbe nemmeno oggi!
Una nuova, giovane e bellissima penna per Eco. Grazie Kiarodiluna, sei con noi da anni, gia’ dal vecchio forum, ma abbiamo l’opportunita’ di leggerti sul serio ora in questa occasione.Meglio tardi che mai!
Isidoro per favore dicci qualcosa di piu’, se puoi, di quella “pazzia controllata”……dovesse servirmi 😛
Isidoro e Savitri, troppo buoni… arrossisco! 🙂 Felice di essere con voi!! Anch’ io voglio saperne di più, Isidoro. Dicci, dicci… 🙂
Ma, carissime, voi proprio non dovete aggiungere nulla a ciò che…siete 🙂
hai visto Kiarodiluna come ci elogia l’Isidoro???????
Com’è che si dice, Savitri? Quando il diavolo ti accarezza… 😀
Ma che ci accarezza Kiaro! ci dice che gia’ siamo pazze di nostro! Se l’acchiappo!
😀
🙂
Che piacevolissima sorpresa leggerti carissima Kiaro!
E poi quando si parte coi matti, non si può che portare allegria!
Cibon, sempre caro! I matti portano allegria, è vero. E direi che di questi tempi c’è bisogno di un pò di sano e ilare distacco…