Questa nota, ben poco mia è stata scritta per un amico. Riadattata, la riporto su Eco con la speranza – qualità che non chiude mai tutte le porte – di ricordare agli operatori due tecniche di concentrazione meditativa che, da un lato riassumono molte altre discipline in maniera proficua e che per altro verso dirigono la forza-pensiero ordinata, disciplinata ma sotto il limite, alla sua origine sovrasensibile.
Chi ha letto i volumi che raccolgono i fascicoli di UR le conosce. Esse fanno parte delle indicazioni che il dott. Colazza dettò a J. Evola, il quale le fece stampare (integre, con un errore a parte) sui fascicoli della Rivista.
In pratica le ricopio e ci aggiungo, separatamente, qualcosa di poco commento.
Il Senso dell’Aria.
“Una di queste attitudini si può chiamare il senso dell’aria. Noi possiamo vivere nell’immaginazione l’elemento “aria” – che tutto penetra e vivifica, ed anche la sua mutevolezza, la sua silenziosa presenza, tutte le gradazioni del moto, dallo sfioramento sottile, insensibile, alla forza, all’impeto, alla violenza. Noi lo sentiamo infinitamente libero, senza radici, senza origini, senza causa, pronto alle variazioni più estreme in un batter d’occhio. Quando la nostra immaginazione, impadronitasi di questo senso, l’avrà sentito e vissuto – occorre trasportarlo in noi, farne uno stato della nostra stessa coscienza da mantenere attuale di fronte alle esperienze col mondo esterno.”
Per la pratica: Nessuna parola mentale, solo immagini. Tratte semplicemente dalle nostre esperienze vissute: ricostruire situazioni in cui si è potuto sperimentare qualcosa dell’aria, magari cominciando dal soffio della brezza . Se si è in città si può constatare come sopra case e rumori, il cielo onnipresente pervade l’immensità oltre le cose degli uomini. Poi come, invisibile, sia presente nella stanza in cui sediamo, ecc.
Il senso primario è che si formi, allato dell’aria, un quid, un’impressione. Ciò succede, poco coscientemente, presso ogni percezione. In questo caso, per la doppia natura dell’esercizio (solo immagini interiori su qualcosa di invisibile), l’esperienza inizia ad essere sempre più libera dai sensi. Tale impressione è ciò che conta: ma deve assolutamente essere un prodotto che si forma come risultato, non una sorta di “risultato” artificioso, creato da noi. Durante tale opera possono verificarsi esperienze non banali come, ad esempio l’accorgersi del fatto che noi non respiriamo ma veniamo respirati dall’aria, oppure si inizia a “vedere”l’aria: ci si accorge che essa è una sostanza, simile ad un minerale liquido e trasparente. Forse è possibile per qualcuno giungere alla visione dell’Essere angelico che sovraintende l’elemento aereo ma è meglio non ricercare questa esperienza. Come tutti gli esseri realmente sovrasensibili Costui con la sua intensità può atterrirci: è insopportabile per il soggetto comune: eccesso di differenza di potenziale.
Si può notare che un simile esercizio contiene tutte le condizioni che l’operatore è chiamato ad esercitare lungo il cammino interiore: concentrazione, immaginazione e meditazione.
Nessuna esagerazione nella pratica. Credo che qui serva poco il molto e il moltissimo che possono servire invece per la concentrazione. La chiave degli esercizi di concentrazione meditativa è di giungere a momenti di vivezza, non di stanchezza. Certamente vale “ripetizione e ritmo”, ma non è una questione di tempo di esercizio.
“Quello che abbiamo chiamato il “senso dell’aria” diviene un senso profondo di libertà di fronte a quanto vi è in noi di ereditario e di automaticamente acquisito. E’ un liberarsi dalle catene delle reazioni istintive, delle reazioni sproporzionate o deformi – è una elasticità che permette di far sorgere accanto al massimo riposo o raccoglimento il massimo dispiegamento di forza attiva. E’ il sentirsi spregiudicati e pronti a ricevere esperienze nella vera luce che è loro propria – senza le deformazioni istintive e passionali.”
E’ possibile vedere in questa operazione così sintetica l’attivazione delle forze che potrebbero venir suscitate con la pratica di altri esercizi tra cui i cinque ausiliari. Una condizione di libertà da se stessi che mondo e natura non ha mai dato. Via molto diretta ma non certo più facile.
Il Senso del Calore
“Un’altra attitudine immaginativa è quella che si può chiamare il senso del fuoco o senso del calore. Essa consiste nell’avere l’immagine del godimento benefico del calore, sentendosi penetrati e vivificati da esso – come di vita feconda in noi e fuori di noi – presente e perenne come la luce solare. Sentire in noi questo calore come cosa nostra, come se il sole fosse in noi, radiante.
Questa immagine si porterà spontaneamente nel “cuore” – essa troverà direttamente la via ai centri sottili del cuore, poiché non è possibile sentirla intensamente e pur mantenerla nel cervello.
Questo centro-calore dovrà essere sempre presente nella nostra esperienza interiore, come emozione attiva contrapposta alle emozioni riflesse e passive provocate da cause esteriori.
Tutte le regole e gli indirizzi di educazione occulta non daranno frutti senza questo senso del fuoco risvegliato nel cuore.
…le pratiche esposte ci abitueranno a vivere intensamente nei movimenti interiori astraendo dalle impressioni sensorie e pur con la vivezza e la realtà propria a queste ultime. Avremo così uno spontaneo sviluppo di quegli organi sottili che diverranno i centri della visione superiore.”
Questo secondo esercizio è più difficile del primo. Ed è di una importanza enorme. Comunque i due possono venir fatti in parallelo o in successione. Vanno eseguiti lontano dalla concentrazione, anche se potrebbe sorgere la tentazione di sfruttare immediatamente la condizione della mente già disciplinata dalla concentrazione.
Per certi versi l’immaginazione del calore può sembrare di attuazione più “difficile” rispetto a quella dell’aria. E lo è davvero. Persino nell’evocare immagini conformi.
Il “calore”, se si realizza anche per un attimo l’impressione interiore proposta, viene davvero percepito nel suo trasferimento dalla zona della testa alla zona cardiaca. Serve ricordare che si indica una condizione, uno stato che non è riconducibile ad una sorta di sentimento comune? E’ simile ad un innamoramento intenso ma, per l’appunto, attivo, percepente e non solo percepito ed è localizzato. Senza entrare nel contesto di una capacità percettiva di avvenimenti sovrasensibili, si può segnalare che quando un concetto o una immagine venga ad adagiarsi in questo calore del cuore, il contenuto del concetto o dell’immagine viene recepito come se salisse dal profondo della propria anima con la stessa caratteristica che conosciamo quando ricordiamo qualcosa da noi sperimentato in precedenza nella vita.
Il Dottore indica qualcosa di simile su un testo fondamentale. Ne parlai tempo fa e ci furono reazioni poco felici (un cretino, famulo di noto prepotente, ne scrisse come di “supercazzola”, credendosi il conte Mascetti) perciò ora non dirò nulla in merito. In fondo basta leggere quello che si trova scritto da qualche parte. E capirlo.
Queste due discipline hanno anche una valenza “magica”: esse portano persino a sottili cambiamenti che toccano attività fisiologiche, basi per reali modificazioni di consapevolezza interiore, ma consiglio di considerarle, ad un primo gradino, semplicemente come congrue discipline ausiliarie. Sono comunque discipline occulte e si comprende il loro carattere con il tempo, la pazienza attenta e le maturazioni interiori. Non sono assimilabili alla concentrazione né ad essa sostituibili.
Del resto le forze sono “misurate” e l’uomo interiore è immenso: una contraddizione che non rende più facile la vita del ricercatore. Quello che serve è non mollare mai. Attitudine che chiamo fedeltà. Poi, nel quadro generale, occorre disdegnare il dialogo interno: quello che facciamo con noi stessi e semplificare ogni cosa.