A RUDOLF STEINER. A MASSIMO SCALIGERO.
MAESTRI SOLARI
🟡
Tecnica dell’ascesi del pensiero ottenuta verificando autonomamente gli insegnamenti dati da MASSIMO SCALIGERO in base alle indicazioni di RUDOLF STEINER.
ASCESI DEL PENSIERO
La Verità esiste.
Eterna e una.
Reale e tangibile.
Pura e assoluta ma al tempo stesso continuamente applicabile alla realtà contingente che da impura e relativa può approssimarsi ad essa sino a livelli supremi.
E tale è il compito dei tempi attuali.
Manifestare la Verità.
Farla fluire nel mondo tramite la propria persona.
Accedere ad essa secondo i propri compiti e le proprie possibilità.
Ma non occorre cercarla – essa già esiste continuamente sfiorata e perduta dall’uomo che pensa – ciò che occorre conquistare è quella purezza, quella assenza di desideri consci e semiconsci, quella serenità di anima e pensieri che permette di scorgerla.
La Verità è ciò che si vede e si sa e si decide quando si è tanto coscienti e tanto puri da poterla concepire.
Non è un concetto o una dottrina o una ideologia da ripetere in branco, ma una luce intuitiva della coscienza capace – purchè pura – di concepire in prima persona ciò che è giusto e ciò che non lo è in rapporto ai propri compiti ed alle proprie capacità.
L’uomo continuamente sfiora questa luce, questa possibilità, questa potenza di retto giudizio che è implicita ad ogni pensiero, ma anziché ascendere sino ad essa, la ricopre dei propri “desideri interiori” e la degrada, la opacizza abbassandola al livello di opinione, di ciò che desidera che sia, di ciò che la sua conformazione caratteriale ed animica pretende che sia, perciò stesso perdendola.
I concetti, le ideologie, la cultura, le dottrine, gli ideali non sono la verità (e pertanto impararli cerebralmente a nulla vale) ma solo (e nel migliore dei casi, invero attualmente rarissimo) il prodotto di quella rarefatta, siderea dimensione di supremo equilibrio interiore e di lucida, cosciente trasparenza intuitiva che sola, aformale, eterna, archetipica, vuota è la Verità, e che è essa da conquistare, non i suoi prodotti dialettici, discorsivi, utilizzabili soltanto come appigli intuitivi per introdurvisi.
In questi termini la Verità è una con l’elevazione della persona e l’errore è il degradamento di essa al proprio livello umano, per quanto nobile o erudito o artisticamente acuto esso possa essere.
La via della Verità passa attraverso il troncamento, il superamento in alto dei propri limiti umani.
Niente altro.
Senza scampo.
In suprema nudità.
La Verità è vuota e non può essere analizzata.
E’ una luce di purezza interiore cui solo chi ascende può attingere, ed al cui chiarore soltanto si possono concepire idee conformi a giustizia, realmente incidenti sulla realtà, realmente morali.
E’ uno stato d’essere, non una documentata analisi.
Una siderea dimensione interiore, non una consolante dottrina.
Una luminosa qualità d’animo e di mente, non una monumentale teoria economica.
E’ inoltre un apice umano che ha in se stesso la propria ragione d’essere, che E’ senza dipendere da nulla altro, che occorre conquistare di per se stesso e non per le eventuali applicazioni intuitive che dall’alto di quella luce possano venire concepite, formulate, decise ed applicate alla realtà, in quanto la Verità è già agire sulla realtà, è la riconnessione (seppure temporanea e continuamente da riconfermare) dell’umano con la propria realtà originaria che compete ad ogni uomo secondo le proprie capacità e possibilità.
La Verità è la condizione normale dell’uomo.
Una assenza di desideri e di velleità naturalistiche insorgenti dalla componente semplicemente razziale, soggettiva, emotiva che è il rifiorire dell’IO umano al livello di nudità in cui soltanto è realmente libero, o in cui soltanto può iniziare ad esserlo, e dal quale soltanto può trarre indirizzi di azione e di decisione realmente giusti perché liberi e quindi morali.
La via della Verità non è prefissata (e nessuno può studiarla cerebralmente o fideisticamente recitarla mediante dogmi o testi sacri rivelati o ciechi e intoccabili materialismi dialettici che tutto credono di spiegare lasciando immutata ed immota l’interiorità umana) ma è un compito di lucente, silenziosa, nobile ascesi interiore individuale, a cui nessuno può sottrarsi, poiché ognuno è veramente se stesso solo fra le vette del proprio assoluto e soltanto fra i ghiacci e le aurore interiori di quelle ascese è riposta la purezza animica e la luce intuitiva che è il proprio OGGETTIVO spiraglio sull’unica Verità.
Tale il compito.
La meta.
La conquista.
La Verità è una, molteplici spiragli su essa non potranno (non possono) che accordarsi fra loro, seppure raggiunti a livelli diversi e tradotti in concetti diversi.
Soltanto l’errore (la verità corrotta) può dividere, la Verità è universale, è un assoluto umano, è una condizione di chiarezza interiore che non può non unire secondo la realtà effettiva delle cose.
Il resto è solo ottundimento, sublimazione erudita, poetica, visionaria del soltanto umano, delle svariate componenti che sono diverse (più o meno nobili) per gradazione, intensità, qualità, in ogni uomo e che ne rappresentano soltanto il limiti, la componente subpersonale da superare e non da codificare dialetticamente, politicamente, religiosamente.
La Verità è in alto (nuda, pura, incorruttibile) e con essa è impossibile barare, così come è impossibile esaurirla in un dogma o in una filosofia, ad essa si può solo attingere elevandosi fra le vette delle proprie migliori qualità, che solo a tali altezze possono valicare i limiti del soltanto umano, iniziando a trasmutarsi in qualche cosa di oggettivamente, di universalmente valido, reale, operativo.
Così come fra uomo e donna quando fiorisce vero amore permeato di offerta interiore, di volontà di consacrazione reciproca, di dedizione interiore, l’archetipo di comportamento, la legge interiore, l’evidenza della realtà “amore” è identica per ambedue i componenti la coppia, o per ogni coppia che ascenda a tali livelli, altrettanto simile per ognuno è la realtà della Verità quando ad essa si voglia realmente ascendere, anziché subire il desiderio psicofisico di abbassarla a se stessi quali ci si trova ad essere per conformazione, sensibilità, predisposizioni innate, o sopraggiunte (imposte) tramite il caos contingente.
La Verità non è soggettiva e molteplice.
E’ una.
Sempre la stessa.
Ciò che è molteplice, multiforme, contraddittorio, opposto sono i veli che la alterano, le deformazioni di essa, le brame subconscie che la incrostano e che per poter esistere, comunque attingono ad essa come filtri sempre più opachi e plumbei di un’unica, incolore, siderea luce.
Rimuovere i filtri è ritrovare l’aurora che essi in vario grado e misura rendevano crepuscolo.
La via della Verità implica il superamento di se stessi, dei propri limiti, delle proprie (sempre meschine) velleità, e quanto più ci si libererà (purificherà) da essi (sempre più incenerendoli) tanto più come nuda evidenza oggettiva la realtà delle cose, un nobile criterio di giudizio, un cosciente intuito sicuro riguardo a ciò che è giusto, affiorerà come asse interiore fra le trame dei propri pensieri, illuminandoli.
E nei pensieri, nel proprio pensiero è l’inizio, il cardine, il campo di battaglia della via verso la Verità.
E’ nei pensieri che la luce di retto giudizio viene ad incontrarsi con le insorgenze automatiche della natura, del subconscio, delle predisposizioni emotive e caratteriali appartenenti alla “impalcatura organica” cui tale luce è innestata per trasmutarle in alto o per subirne la corruzione (l’oscuramento) qualora tale trasmutazione non avvenga.
L’Io dell’uomo è l’arbitro di questa lotta, colui a cui spetta la decisione di tale trasmutazione ed il compito di effettuarla.
L’uomo può essere concepito come una “impalcatura organica” evocatrice di sensazioni su cui è innestato un principio di luce conoscitiva che sono i pensieri, i quali “specchiandosi” nel corpo (individuandosi mediante esso, l’impalcatura organica) permettono che un Io individuale sorga.
L’Io è conseguente ai pensieri, è tramite essi che un Io può sorgere ed innestarsi su questo piano di realtà, ed una individualità umana agire.
I pensieri non sono soggettivi, sono una pura, oggettiva, impersonale capacità conoscitiva che può venire soggettivizzata e quindi falsata, appunto dal mescolamento (oscuramento) che la componente biologica, emotiva, naturalistica (filtrandola impuramente) può operare se l’Io non agisce ma si limita a subirla.
L’Io, l’uomo, è il ponte e l’arbitro fra la Verità ed il degradamento, la corruzione di essa.
Liberare i pensieri dalle brame sub-semiconscie della propria natura equivale all’ affiorare graduale della Verità, poichè una pura capacità conoscitiva riaffiora per l’Io al livello in cui essa inizia a ritornare tale, e l’Io dell’uomo è l’unica ragione per cui tale processo può avvenire, tale urto verificarsi, tale possibilità presentarsi.
La Verità già esiste (Eterna, Atemporale, Vivente, Una) essa determina comunque anche le leggi biologiche (fisiche ed iper fisiche, sottili) che reggono l’impalcatura organica, l’unico elemento libero, autonomo, non determinato di tale processo e per il quale tale processo accade, si manifesta, è l’Io dell’uomo (l’ago della bilancia del creato) che può elevarsi ai vari livelli di tale Verità e da tali altezze manifestarla coscientemente, reinserendola operante e folgorante al livello di realtà in cui si trova ad esistere, oppure mancando a tale compito (ascesa) può corrompere tutto il piano di realtà (spirituale, sociale, fisica) che da lui dipende e che da lui attende conoscenza, edificazione, attività sacrale.
I pensieri sono l’inizio, è tramite essi che l’Io sorge a coscienza di sé ed è tramite essi che si ricollega al mondo ed è tramite essi che potrebbe raggiungere (concepire) spiragli sempre più vasti di Verità.
La purificazione può principiare solo nel pensiero.
Il pensiero non è ciò che si pensa ma ciò che permette di farlo, un principio di pura lucidità conoscitiva che può essere potenziato, liberato, purificato, oppure ottenebrato.
Il pensiero è la capacità impersonale di concepire le cose, non il concepito, il formulato, il pensato che ne costituiscono il prodotto soggettivo.
L’atto del pensare (continuamente folgorante la mente) avvenendo si trova innanzi un potenziale di innatismi e predisposizioni caratteriali, di desideri consci e semiconsci, di convinzioni e schematismi culturali imparati (letti o sentiti) ma raramente pensati in prima persona (di prima mano) che immediatamente lo vincolano, lo ottenebrano, lo guidano verso formulazioni cui fornisce vita ma in cui si “sporca”, perdendo la possibilità di retta intuizione che sorgivamente (se avesse trovato una mente ed un animo puri) portava con sé come possibilità e potenza, e l’Io a tal punto (per debolezza di pensiero) non può fare altro che fornire la propria individualità, ossia la recitazione di un soggetto agente per “proprie convinzioni”, a tale processo meccanico, subpersonale e cieco.
Il caos dei tempi attuali non ha altra origine.
Tale abdicazione del pensiero avviene sistematicamente nella generalità umana (salvo rare eccezioni) variando solo le forme di apparire ed i livelli di intensità e di degradamento di un unico generale stato di dipendenza interiore dell’uomo rispetto alla propria inferiore natura biopsichica.
Nessuno dei massimi esponenti della cultura attuale (ufficiale o rivoluzionaria che sia) escluso.
I meccanicismi razziali (innati ed acquisiti) già esistono comunque, per potersi purificare da essi l’unica via è rafforzare il pensiero sino a che sia tanto potente e radicato in sé da non venire travolto, guidato, manovrato da essi; a tal punto l’Io inizia a liberarsi ed a giudicare conformemente a verità, a giustizia, a serenità d’animo, a purezza, seppure applicherà i prodotti di tale elevazione secondo le proprie capacità e qualità ed attitudini personali depurate.
Tale la via della Verità.
Rafforzare il pensiero è il compito.
Purezza e serenità la meta.
Verità lo scopo.
Rettificazione dell’umano il risultato.
Manifestarsi del Divino.
L’ASCESI
Arida.
Apsichica.
Geometrica.
Concentrazione contessuta di volontà.
Che è volontà del vero.
Amore del vero.
Volontà di amore.
Occorre poggiare inizialmente la capacità di pensare su di un oggetto artificiale fabbricato dall’uomo, il più semplice ed il meno emotivamente interessante possibile (penna, scarpa, spilla, bottone, bicchiere, cavatappi, zappa, etc…) e in solitudine ricostruirlo mentalmente, analizzarne e visualizzarne la forma, le singole componenti, il colore, il materiale, l’uso a cui serve, le connessioni logiche e gli altri oggetti che ad esso si riconnettono, se ne può fare brevemente la storia rintracciando l’evoluzione dell’oggetto.
Tutto ciò in solitudine, concisamente, attentamente, il più minuziosamente possibile, senza divagazioni, concentrando i pensieri solo su tale operazione volitiva di ricostruzione e di unificazione mentale di un oggetto ideato dall’uomo.
Ciò per circa qualche minuto.
Limpida attenta minuziosa operazione di pensiero contessuta di volontà.
Al termine di questa azione preliminare, occorre riprendere l’insieme dei pensieri dipanati attorno all’oggetto (ossia tutto ciò che si è pensato nel corso degli almeno alcuni minuti) e tentare di contemplarli TUTTI INSIEME, in sintesi, in un unico “concentrato” di significato.
Compiere o tentare di compiere ciò per almeno qualche altro minuto, regolandosi temporalmente ad intuito.
Così come spontaneamente, senza neppure esserne coscienti, al termine della lettura di un libro, il senso (la sintesi) di tutto ciò che si è letto affiora nella mente in un unico insieme intuitivo, adialettico, che precede nei pensieri le parole con cui eventualmente si potrebbe descrivere ciò che si è letto, così (coscientemente e volitivamente) al termine della ricostruzione mentale dell’oggetto occorre fermarsi contemplativamente al livello di pensiero in cui la SINTESI di tutto ciò che si è pensato è una pura evidenza, un’idea allo stato formante, un senso pieno di significato che PRECEDE LE PAROLE con le quali eventualmente lo si potrebbe esprimere scomponendolo.
In definitiva si viene a consumare, ad incenerire, a trascendere il dialettismo, il dispiegarsi delle parole, la frase fatta, poiché quando si tenta di osservare unitariamente, in sintesi, in un unico “colpo d’occhio” mentale, tutto ciò che si è pensato attorno all’oggetto, NON SI PUO’ PIU’ PENSARE A PAROLE, si salta di livello, si è costretti a raggiungere, si è in grado di “toccare” la zona interiore in cui il pensiero sta per rivestirsi di un contenuto, di un significato discorsivo, è sul punto di farlo ma non è più le parole con cui lo si può tradurre e scomporre, è qualcos’altro, inizia a ritornare nudo: spogliato delle parole con cui si determina, il pensiero inizia a rafforzarsi ed a mostrarsi in quella zona sorgiva in cui ancora non può rivestirsi di errore.
L’apparente semplicità della tecnica concentrativa, l’apparente meccanicità che sembra contraddistinguerla, l’apparente lontananza da ogni contenuto metafisico – simbolico, magico, religioso può trarre in inganno i “miopi dello spirito”, mentre in realtà è l’inizio e la chiave di volta pressoché imprescindibile di ogni rettificazione individuale, di ogni ascesa conoscitiva dell’uomo verso il proprio assoluto.
Tutto il resto è erudizione.
Nulla può essere compreso se la capacità di comprensione è impura in partenza.
La prima ascesi attualmente è la rettificazione della propria capacità conoscitiva.
L’inizio di tutto non può essere un verità imparata (qualunque essa sia e per quanto “giusta” essa possa essere) dalla quale dedurre norme, orientamenti e dogmi, ma soltanto ed unicamente la verifica e la rettificazione della capacità che permette di imparare, ossia la coscienza e l’esperienza dell’atto del conoscere che è tutt’uno con la sua purificazione.
Insistere nella tecnica concentrativa permette di prendere coscienza del livello di luce in cui ancora non si pensa discorsivamente, poiché osservare in sintesi – tutti assieme – l’insieme di pensieri discorsivi dipanati attorno ad un oggetto e cercare di mantenere per alcuni minuti tale osservazione, implica un salto di livello interiore, ci si trova ad avere a che fare con UNA FORZA che tiene unita un’evidenza, che tiene unita l’essenza, l’idea, il concentrato adialettico (privo di parole) di quanto si è pensato.
Tale forza è pura.
Tale forza è ciò che continuamente dà vita a ciò che si pensa, ma che mai si è in grado di sperimentare, perché si è troppo avvinti al significato di ciò che si pensa, al prodotto del pensiero, al concetto pensato e non a ciò che permette di concepirlo.
Insistere nella tecnica concentrativa purifica.
E’ l’inizio.
E’ il progressivo SPERIMENTARE sempre più lucidamente l’elemento formativo dei pensieri, che non è i pensieri pensati ma ciò che permette di produrli.
E’ il progressivo prendere coscienza di sé al livello in cui i pensieri STANNO PER FORMARSI, superando il comune livello di veglia e dell’errore in cui si diventa coscienti di sé e del mondo nel pensato, fra i prodotti dialettici, discorsivi in cui l’elemento formante si è già rinchiuso e degradato, poiché gli innatismi e le predisposizioni caratteriali e la razza dell’anima sono ciò che ha ricoperto il suo cadere – folgorare – fra loro di per sé inerti.
E l’Io inizia a purificarsi nel prendere coscienza di sé senza dover pensare qualcosa ma pensando soltanto, poggiando sul potere formante dei pensieri e non sui pensieri già formati.
E’ l’inizio della libertà dalle opinioni,dalle verità accettate perché desiderate in quella forma, dalle frasi fatte che la propria personale natura preferiva.
Tramite la disciplina “concentrativa” l’Io si conquista un terreno vergine, una zona pura, una luce di serenità di giudizio, ossia una autonomia dai propri vincoli che parallelamente è la possibilità di scorgere sempre più disinteressatamente (secondo i propri compiti e le proprie possibilità) il “nocciolo dei problemi” che si pone, sino a che la soluzione può spontaneamente fiorirgli in animo come naturale conseguenza del seme posto con la progressiva liberazione dell’Io.
Tale la via della Verità.
L’inizio di essa:
E con tale inizio l’anima si rischiara.
Poiché conoscere, concepire secondo verità è elevarsi alla qualità delle cose, alla loro bellezza morale, alla riposta purezza della realtà, mediante un atto interiore che è lucidità conoscitiva e splendore animico contessuti di volontà ossia di amore (si può volere solo ciò che si ama).
LA VIA DELLA POTENZA
La concentrazione del pensiero fa appello ad una zona di determinazione interiore che è la chiave della potenza, sia nell’analisi dell’oggetto creato dall’uomo, sia nella contemplazione della sintesi dei pensieri dipanati attorno all’oggetto, si attinge ad una zona di decisione interiore che è crogiuolo di potenza.
Fissare l’attenzione pensante su di un oggetto insignificante e banale fabbricato dall’uomo e poi contemplare – o tentare di contemplare, il che è lo stesso – tutti assieme i pensieri sviluppati intorno all’oggetto è sviluppare una volontà di attenzione cosciente fluente tramite i pensieri che è potenza.
Potenza dell’Io.
Potenza di determinazione.
Potenza di decisione.
Una individuale potenza di decisione che è asse interiore di fedeltà, di consacrazione, di dedizione al vero.
In antico tale potenza di decisione – che è consacrarsi ad un valore – poteva venire e veniva sollecitata ed eretta grazie alla spontanea capacità evocativa del sentire, dei sentimenti, dell’anima che sapevano “toccare” valori ideali (entità viventi) e dall’ardore che tale contratto accendeva, si enucleava forza di decisione interiore, la capacità di votarsi completamente, di consacrarsi del tutto ad un compito scelto in conformità a quei valori.
Ed era l’idealismo innato e spontaneo degli antichi.
Presente in tutti gli antichi, seppure in vario grado e misura, ed è una possibilità esaurita che non può essere imboccata in senso ascendente.
Ed è una via morta.
I mistici ed i cavalieri medievali agivano in questa direzione e da essa traevano forza.
Ma l’anima in essi era sana, forte, vigorosa, capace di orientarli nel mondo etico dei valori, capace di spietrificare le dottrine ed i simboli religiosi poggiando su essi la propria capacità intuitiva e morale, capace di sentire le qualità ideali come buone e sane o come cattive e malate.
Un’anima vasta e generosa splendente di un contatto emotivo per le qualità che sorreggono il mondo.
Un’anima che nell’unificare l’uomo secondo gli eterni valori non incontrava barriere celebrali.
La nascita del pensiero cerebrale moderno – ossia di un pensiero privo di intuizioni morali, capace di dipanare nessi logici soltanto razionali, capace di articolarsi in virtù di un intrinseco canone logico interno al pensiero e sordo ai suggerimenti evocativi dell’anima ad esso esteriori – ha segnato la fine, lo strangolamento, la morte dell’anima come organo di conoscenza innata e di orientamento spontaneo.
La barriera cerebrale è quanto si è sviluppato nell’uomo moderno e ha dato origine all’attuale civiltà agnostica e priva del sublime (del Divino).
E’ la solitudine – nei migliori è l’angoscia – che ogni uomo moderno sperimenta all’interno dei propri pensieri.
E’ la solitaria potenza razionale in cui ciascuno sa – più o meno consapevolmente – di essere separato da tutto e da tutti, dal vivente, dalle certezze ultime, da un reale rapporto con l’Eterno, con l’assoluto, col sublime, col superumano.
E’ l’isolamento all’interno della propria potenza concettuale, una vera e propria barriera che sa solo scomporre in pensieri razionali ogni aspetto del mondo e degli altri, che sa solo ricomporre in cerebralismi privi di slancio e di spontaneità il mistero dell’esistere, che sa solo parlare, pensare a parole, quando si vorrebbe provare amore o pietà, coraggio o dolore, amicizia o tripudio, ossia quando si tenta il collegamento unificante con una qualità, con un valore vivente super razionale.
La barriera cerebrale è un potere di pensiero che isola da tutto e da tutti, un deserto, un nulla puramente logico in cui ciascuno è solo, in cui ciascuno è libero, in cui ciascuno può disporre di se ed è responsabile di quanto compie.
Gli antichi erano meno liberi.
Mancando – poiché in via di svilupparsi – la barriera cerebrale, un orientamento riguardo al senso della vita era spontaneamente fornito dall’anima.
Mai un antico ha avuto problemi esistenziali.
Non avrebbe potuto.
Vi furono antichi che scelsero il male, ma – in occidente – la loro visione del male era sorretta dalla comprensione animica del bene, sapevano di compiere il male nella visione di un bene che sapevano esistere, che conoscevano, che sapevano di trasgredire, di tradire, di offuscare ma che esisteva, e che veniva da loro percepito.
Sapere di compiere il male non è compierlo fino in fondo, poiché una visione animica del bene ne è alla base e ne crea il rimorso, la nostalgia del celeste, una dilacerazione interiore che impedisce di demonizzarsi, di corrompersi del tutto.
Percepire il bene compiendo il male è compierlo in uno stato di relativa ingenuità.
Gli antichi erano ingenui.
Qualunque atrocità abissale da loro commessa – e ne commisero molte – è paragonabile alle perfidie (a volte atroci ) dei bambini: sono compiute in stato di inconsapevolezza parziale di semicoscienza, di ingenuità sostanziale, il bene può rifiorire in ogni istante facendovi appello, il male non è mai definitivo.
Le atrocità ma soprattutto i superbi splendori degli antichi rientravano ancora in una “economia dei divini”, in uno scontro tra potenze ideali, tra Dei che agivano tramite le anime degli uomini, la cui responsabilità interiore – che comunque vi era – era minore di ora .
In Occidente ad ogni antico – dopo la venuta del Logos – era innata la sensazione, il calore, il sentimento, la percezione animica del bene ( di ciò che è universalmente il bene, la potenza solare che tutto sorregge ) sia che vi aderisse – secondo le proprio possibilità – sia che vi rinunciasse per desiderio di vita.
Comunque agisse sapeva del bene.
Spontaneamente la forza del bene fluiva in tutti.
E quindi uno stato di ingenuità – ossia un potere di redimersi, una forza del rimorso – obbligava tutti a non potersi incattivire del tutto, obbligava tutti a vedere comunque, a vivere comunque, a percepire comunque il bene.
Poi l’avvento della barriera cerebrale.
L’avvento dell’uomo solo, che dipende da sé, dai propri pensieri astratti – perché incapaci di vedere il mondo quale è: sorretto dal bene e assediato dal male – pensieri che proprio in quanto astratti (ossia ciechi verso le potenze morali del mondo ) sono liberi.
Liberi di restare astratti (ossia di incattivirsi) o di superare l’astrattezza.
Liberi da ogni percezione obbligata – perché spontanea – del bene e quindi capaci di compiere il male peggiore: quello completamente estraneo ad ogni percezione del bene, quello la cui scelta ricade completamente sulle responsabilità individuali, quello privo di ingenuità, privo di rimorsi, arido, consapevole, tetro, convinto di sé.
Un male diretto, privo di scrupoli, convinto della propria potenza che è potenza di non essere più umano.
Il male del pensiero astratto che non vuole saperne di vincere la propria astrattezza, di riattingere all’eterno, al vivente, agli eterni valori, che vuole continuare ad inebriarsi dell’assenza di vincoli morali che la astrattezza fornisce, che vuole restare quale è, irrimediabilmente vincolandosi sempre più al subumano.
Questo male può essere vinto.
Deve essere vinto.
La barriera cerebrale isola da ogni percezione obbligata del bene (e quindi anche da ogni percezione del male, poiché la percezione del male può sorgere solo dal paragone col bene), la barriera cerebrale è una nebbia molto intelligente che può giostrare con i concetti in maniera tanto abile quanto errata, è come possedere un grande potere di comprensione intellettiva senza riuscire ad avere realtà viventi da comprendere, senza avere “materiali” su cui esercitare, su cui usare tale potere; pertanto è un potere che gira a vuoto, che non afferra nulla, che vorticosamente accelera la ginnica intellettiva nell’astratto.
Tale potere intellettivo astratto, proprio in quanto tale ha come costante sottofondo semiconscio la sensazione di soffocare.
Si tratta della percezione semiconsapevole del potere cosciente, dell’enorme potere di intelligenza individuale che ci si trova a dover amministrare e che d’altra parte non riesce ad afferrare nulla, non riesce ad afferrare entità, realtà capaci di soddisfare la sete di potenze reali nelle quali immettersi tramite il pensiero.
E’ come essere intelligenti nel punto zero di tutti i valori.
C’è l’intelligenza ma mancano i valori sui quali poggiarla.
C’è l’intelligenza ma manca il terreno, la realtà su cui poggiarla.
C’è l’intelligenza ma non c’è nulla che possa nutrirla.
Tale è la situazione iniziale dell’uomo moderno.
Si è intelligenti nella totale sterilità di un mondo e di una vita che sembrano privi di senso, scopo, mete.
Tale intelligenza può compiere una sola azione: contemplare se stessa.
Può compiere unicamente l’ascesi del pensiero.
La tecnica della concentrazione.
Nel punto zero di tutti i valori, un solo valore resta: il potere che permette di accorgersi di tale vuoto.
L’acume pensante.
In cui già è presente – inespresso – il bisogno, ossia il ricordo di una realtà capace di dare un senso alla vita.
Il bisogno di una realtà di cui il deserto è la mancanza e la negazione.
Ed è la via della potenza.
La via dell’impossibile potenza.
Poiché all’intelligenza astratta appare impossibile superare il deserto, pur riconoscendone l’esistenza, pur soffrendone la presenza.
Ed invece la potenza capace di spezzare il deserto gli è interna: è la potenza che permette ai concetti di concatenarsi tra loro.
E’ la potenza che permette di muoversi entro i pensieri.
E di una forza si tratta.
Di una potenza.
Una realtà che è oltre ogni barriera razionale.
Oltre ogni morta aridità.
Oltre ogni deserto.
La via della Potenza.
La potenza di manifestare il sovamentale consacrato.
LA FONTE
Se vi è sufficiente acume per accorgersi del deserto:
Se vi è sufficiente limpidità per soffrirne:
Se vi è sufficiente vastità intuitiva per comprendere che si è sull’orlo di un abisso razionale incolmabile: allora la potenza può essere ipotizzata.
Si può giungere a sospettare che l’estrema capacità intellettiva è in se una forza.
Ed è in se l’unica vita in una sfera di morte conoscitiva.
Ed è la via dei tempi attuali.
L’unica via.
Il passo ulteriore è viverla questa potenza.
Percepirla.
Elevarsi ad essa.
Abbeverarsi al suo fluire.
Ed è la tecnica della concentrazione.
Indicata da Massimo Scaligero.
Donata da Massimo Scaligero.
In base agli insegnamenti di Rudolf Steiner.
Poiché tentare di contemplare la sintesi dei pensieri usati per descrivere un oggetto, è in definitiva finire per contemplare la forza che li tiene uniti, la forza che tiene unito il senso, il significato che essi sono.
Tale forza è la vita.
Dapprima appunto potrà essere concepita solo come una potenza ma sperimentata che sia, essa col tempo si disvelerà come un valore che vive.
La potenza si svelerà: vita superiore.
Vita.
Valore in cui l’intelligenza ed il puro sentire diventano tutt’uno.
Valore in cui l’intelligenza svela la propria anima eterna.
L’impossibile.
Ciò che all’interno della barriera razionale appare impossibile diviene realtà: l’anima eterna cui gli antichi si abbeverarono tutti, è intima al pensiero, è intima alla potenza che permette di pensare e di muoversi nei pensieri.
Ed è la progressiva morte di ogni deserto.
E’ superare l’abisso razionale.
E’ riuscire a respirare oltre ogni soffocamento.
Poiché ora l’intelligenza ha veramente ciò su cui immettere l’enorme acume che prima dispiegava unicamente per dubitare e per soffrire del vuoto.
Ed è proprio questo il senso del deserto e della barriera razionale: che tutto rivelandosi vuoto e privo di scopo, permette in quella suprema nudità sofferente di accorgersi della nuova vita che albeggia là ove si riflette sul vuoto, là ove si diviene coscienti del nulla.
Tale nuova vita è una potenza che può logicamente essere ipotizzata.
La potenza del proprio muovere entro pensieri che sanno di essere giunti là ove ogni ulteriore riflettere sul mondo, sulla vita, sui valori è un barare con se stessi.
Ogni pensiero può essere errato o irreale ma indubitabile è la realtà di ciò che li concatena e li fa muovere.
Una potenza.
La potenza.
La fonte di vita.
Nella sintesi della concentrazione essa affiora.
In quello sforzo.
Nello sforzo di mantenerla.
Nella lotta interiore che si sviluppa per continuare a contemplare la sintesi.
Tale lotta, tale sforzo impegna il più intenso acume di pensiero, poiché si ha a che fare con un ente che si è manifestato tramite l’oggetto analizzato, ma che non ha nulla a che vedere con esso, in quanto ciò che si finisce per contemplare è il mistero del prodursi dell’intelligenza in un uomo.
Si finisce per contemplare ciò che in noi è il mistero del nostro essere individui raziocinanti.
Si finisce per contemplare il potere che in noi si fa intelligenza individuale.
Si entra in contatto con il mistero della nostra vita cosciente. Tale mistero è una potenza in cui sottile ed impalpabile vive il sentire, l’eterno sentire, l’anima eterna del solo valore, la fonte eterna di ogni verità.
Una fonte oggettiva, universale, valida per tutti, seppure individuale e sperimentabile unicamente all’interno del proprio pensare.
Ed è la via della potenza.
La potenza di ritrovare l’anima eterna.
Il sentire.
HELIOS FK AZIONE SOLARE
http://folgoperis.blogspot.com/
http://fuocoimmateriale.blogspot.com/
Grazie Helios!