RAMANA

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Quando, ancora agli inizi degli anni settanta, dopo essere entrato nel suo studio, ti sedevi davanti a Scaligero, anzi davanti alla sua scrivania, era facile notare che sul muro, alla sua destra, stava appesa, a mo’ di quadretto, la foto di un volto dalla pelle scura, barba e capelli bianchissimi e uno sguardo pieno di bontà e mitezza.

La si vede, un po’ indistinta, in quella foto di Massimo che per molti è la più cara poiché lo riprende come noi anziani lo conoscemmo.

Riconobbi con sorpreso piacere il personaggio della foto appesa: già lo consideravo come il migliore tra gli asceti/maestri dell’India contemporanea. Da tempo praticavo anche secondo le sue indicazioni: le più semplici ed essenziali che erano come un fiore nuovo oltre l’immenso retaggio della millenaria spiritualità dell’Oriente

Era Ramana Maharshi (Bhagavan Sri Ramana Maharshi. 1879-1950).

Realizzò l’identità con l’Io universale a 17 anni.

“…quel giorno fui colto da una violenta paura della morte (…)è venuta la morte: il corpo muore (…)Ma con la morte di questo corpo io sono morto? Il corpo è io? E’ silenzioso e inerte ma io sento tutta la forza della mia personalità e la presenza dell’io dentro me, indipendente da esso. “IO è lo Spirito che trascende il corpo (…) Ciò significa che Io sono lo Spirito immortale. Tutto questo non era smorto pensiero, lampeggiava in me come verità viva, al di là del processo di pensiero. Da allora in poi l’assorbimento nell’IO continuò ininterrottamente.”

Poi Ramana abbandonò la famiglia e si recò a Tiruvaṇṇāmali, un paese ai piedi del sacro monte Aruṇācala, dove visse per il resto della vita.

Scrisse di Aruṇācala: “Sta come un monte insensibile. Per chiunque è difficile capire la sua azione. (…) Quando, acquietando la mia mente, mi chiamò a sé, e io mi avvicinai, scoprii che era l’Inamovibile”.

Che si può dire di un essere che si fonde col Sovraumano? Mi limiterò a narrare alcuni dei tanti fatti che accaddero durante la sua vita.

Un Funzionario che visse dal 1910 a Tiruvaṇṇāmali, si era recato a visitare Ramana, covando sopratutto il pensiero di quale fosse la forma reale del Santo: seduto davanti a Ramana fu ciò che gli chiese. Improvvisamente scomparve la figura del Maestro e del dipinto di Shiva che figurava all’esterno della grotta. Vi era solo lo spazio vuoto, senza neppure la roccia. Dopo un po’ apparve una nube bianca ed emersero i contorni della figura del Maestro e dell’immagine. Lentamente il devoto vide nuovamente la forma concreta di Ramana e i rimanenti dettagli. Silenziosamente si alzò, si chinò e e se ne andò. Tornò dopo un mese e allora il Maestro gli disse: “tu volevi vedere la mia forma: hai veduto la mia sparizione: io non ho forma”.

Anni dopo vi fu chi espresse una domanda simile e, dov’era seduto Ramana, apparve alle persone presenti nella stanza una gigantesca colonna di luce/fiamma roteante da cui balenavano infiniti occhi. Diversi tra i presenti intuirono d’aver visto Shiva stesso.

Visto il continuo flusso di devoti e visitatori, i discepoli che risiedevano nell’Ashram misero un cartello che vietava, nelle ore più calde, l’ingresso nella sala dove Ramana riceveva.
Uno di essi, passando davanti alla porta si accorse che il Maestro riposava accovacciato lì vicino a terra: “Maestro! Cosa fai qui per terra?” Ramana, col suo mite sorriso indicò la porta e il cartello. “Volevo riposare lì dentro ma c’è scritto che non si può entrare”.

Fin quando poté, Ramana amava camminare nella giungla intorno ad Arunachala. Tutti potevano seguire da lontano il suo cammino poiché sopra di lui volavano gli uccelli e dietro a lui le scimmie, gli elefanti e le tigri e i leopardi seguivano la sua passeggiata.

Arrivarono gli occidentali: Humphreys, Osborne, Paul Brunton: avventuriero dello Spirito e giornalista, il romanziere Graham Greene (Il filo del rasoio) e l’audace esploratore dell’inconscio C. G. Jung che, a pochi chilometri di distanza e vettura pronta accusò tali malesseri che gli fornirono l’alibi per evitare l’incontro e ripartire velocemente dall’India.

Brunton, già pratico di iniziazioni e meditazioni giunse del tutto scettico: “Appena gli occhi di Ramana si posarono sui miei, dimenticai tutte le domande che mi ero accuratamente preparato, mentre mi parve che un continuo rivolo di pace scorresse in me, riempiendomi di un’immensa quiete”.

Sri Bhagavan disse (tra le altre cose) a Brunton: “ Non si deve rinunciare alla vita attiva. Purché tu faccia una o due ore di meditazione ogni giorno, puoi continuare con i tuoi impegni. Se mediti bene, la corrente che viene indotta nella tua mente continuerà a scorrere nel bel mezzo del tuo lavoro. E’ come se un’idea venisse espressa in due modi allo stesso tempo; quello della tua meditazione e quello della tua azione.”

A chi voleva restare con Lui, abbandonando il mondo, Ramana disse: “Bhagavan (sinonimo di Dio) è sempre con te, dentro te. L’IO che sta in te è Bhagavan. Di questo devi rendertene conto. Rinunciare non vuol dire il gesto esteriore di gettare vestiti, famiglia e casa. La rinuncia è l’abbandono dei desideri, delle passioni e degli attaccamenti.
Chi rinuncia davvero si immerge nel mondo ed espande a tutto il mondo il suo amore.”

Sua madre visse nell’Ashram per 10 anni. Mentre moriva, Ramana le teneva una mano sul cuore e l’altra sul capo, non per farla guarire ma per acquietarle la mente affinché la morte fosse Mahasamadhi, riassorbimento nel Sé. Appena morta, Ramana, senza tristezza, si rialzò e disse: Adesso possiamo cenare, non c’è nessuna necessità di purificazione.”

Per Lui la vita sensibile non era un tesoro da economizzare: nel 1949 gli si manifestò un tumore al gomito sinistro; fu operato, contrariamente alla tradizione che non permette che il corpo di un Saggio venga trafitto dal metallo. Solo rifiutò qualsiasi anestesia.
Continuò a parlare ai tanti devoti, a tradurre stanze delle Scritture e costantemente disapprovando le ‘eccessive’ cure dategli. Prima di morire, ai discepoli più vicini che lo pregavano di non abbandonarli, con dolcezza rispose: “Io non me ne vado. Dove potrei andare? Io sono qui”.

Non lasciò molto di scritto ma con le sue parole trascritte dai discepoli si riesce a ottenere una stringata “Opera Omnia”, tradotta anche in italiano. A mio parere la più essenziale è quella curata da Arthur Osborne (Ubaldini edit.).

Gli scritti, per certi versi più importanti, sono: “La ricerca del sé” e “Chi sono?”.

Ramana non costruisce sistemi dottrinali ma indica un metodo, alquanto secco e diretto (del tutto rivoluzionario in un Paese stracolmo di tradizioni, riti e correnti che si contrastano da…migliaia d’anni).

Cerco di indicarlo abbastanza in breve.

L’ostacolo che si frappone tra la Coscienza Integrale e la condizione di ‘ignoranza’ è la mente comune.
Essa non è un’entità autonoma ma un coacervo ribollente di pensieri.
Smorzati i pensieri è smorzata la mente. Arrestati i pensieri la mente svanisce e alla nostra coscienza di esseri esistenti su tutti i livelli della Creazione, appare la nostra struttura nella sua integrità. Quanto di noi vive nel mondo fisico è sorretto dall’Essenza Universale.
Di questa Essenza, la mente non è un organo ma una facoltà e non ha quindi nemmeno quell’esistenza temporale che il corpo fisico possiede. Essa esiste in quanto funziona: fermata la sua attività, rimane al puro stato di potenzialità.
L’ego è un’illusione iniziata dalla mente e rafforzata con l’identificazione all’apparente oggettività delle cose, alla fisicità ed alla mente stessa.

L’integrale riconessione con l’IO può avvenire dopo un completo processo di disidentificazione.

Il primo metodo è quello della continua analisi e discriminazione.

Ad ogni pensiero che sorge, Ramana suggerisce di porsi la domanda: “Chi è che pensa?
Donde viene codesto pensiero?”
In questo modo i pensieri svaniscono e svaniscono i successivi, finchè l’attività mentale cessa ed l’IO può apparire
(ricordo che l’opera si svolge durante la meditazione: è meditazione)

Tutti gli altri mezzi possono essere individualmente utili in quanto e soltanto come ausiliari,
ad esempio cito una risposta riguardante la pratica del pranayama: “Il controllo respiratorio può essere di aiuto. E’ uno dei vari metodi intesi ad aiutarci per raggiungere ekagratha, ossia la fissazione della mente in un solo punto e dev’essere usato solo per quello. Non ci si deve accontentare delle esperienze che possono derivarne ma bisogna strumentalizzare la mente con la domanda “Chi sono io?”, finchè la mente non si sommerge nell’IO.
E per le posizioni (asana): “Qual’è la migliore?” “La migliore è la mente puntata ad un solo bersaglio”.
Sui dubbi: “Tutti i dubbi cessano quando si è trovato ‘chi’ dubita e la sua sorgente. A nulla serve il togliere dubbi all’infinito. Tolto uno, eccone un altro, e così a non finire. Ma se si scopre che chi dubita è inesistente col ricercare la sua sorgente, tutti i dubbi cesseranno.”
Lo sforzo: “ E’ necessario poiché è necessario un incessante esercizio, fino a che non si raggiunge, senza il minimo sforzo, quello stato originario in cui la mente è libera dai pensieri: cioè finchè “io” e “mio” non sono del tutto strappati e distrutti.

Come per la concentrazione che adottiamo nella pratica della Scienza dello Spirito, l’assunto di Ramana è così semplice che desta infinite difficoltà. Ecco un esempio tipico (“D” sta per devoto e “R” per Ramana):
D.Come si può prendere coscienza dell’Io? R. L’Io di chi? Trovalo. D. Il mio; ma io, chi sono? R. Sei tu che lo devi scoprire. D. Io non so. R. Ripensa alla tua domanda: chi è che dice “io non so”? Chi è l’”io” nella tua affermazione? E cos’è che non conosci? D. Qualcuno o qualcosa. In me. R. Chi è questo qualcuno? E in chi? D. Perché sono venuto al mondo? R. Chi è venuto al mondo? Tutte le tue domande hanno la stessa risposta. D. E allora, chi sono io? R. (con un sorriso) Sei venuto a farmi l’esame? Tocca a te dire chi sei tu. D. Per quanto ci provi, non mi pare di poter afferrare l’io. Non riesco neppure a discernerlo chiaramente. R. Chi è che dice che l’io non è discernibile? Ci sono in te due tu, che l’uno non discerne l’altro?………

Questo scambio di battute non era raro (l’esempio riportato continuava). Forse colui che chiedeva vi parrà ottuso…ma in quanti decenni ho visto qualcuno capire il senso della Concentrazione?
C’è chi, fregiandosi “insegnante di occulte scienze” la ripudia avendola trasformata in bizzarria personale, chi la evita sgusciando in un fruscio di vesti pseudo sacerdotali.
(“ma gli Eletti non ne hanno bisogno?” “Si figuri, cara signora, Noi siamo un tantino più su” “Grazie Maestro” “Ma le pare…ehm, vuole che la benedica?” )

No, Ramana non era così: questa figura emaciata ed esile con una mitezza che trasformava il cuore alle tigri era solo una Luce del divino nel mondo.

 

il fu RASTIGNAC

8 pensieri su “RAMANA

  1. Quando, per la prima volta, mi presentai all’incontro con Massimo Scaligero, era pressappoco un decennio che leggevo e studiavo i suoi scritti, ormai diventati tanti. Però la mia complicata natura, durante quegli anni, mi aveva indotto a seguire, come pratica interiore, la via limpidissima e semplice che Ramana aveva insegnato. Due volte al giorno per mezz’ora, mi dedicavo all’ atma-vicara o ricerca del Sé che consiste nel chiedersi, meditativamente, chi o cosa si sia veramente. Si parte dall’osservazione del corpo (Io sono le mie mani? Sono il mio respiro? ecc.) via via risalendo ai pensieri, allo “spazio che c’è tra essi, poi al silenzio, sempre con la stessa attitudine interrogativa. Con questa domanda-nocciolo ci si affaccia sul Nulla, dove l’ego deve arrestarsi e consumarsi. Durante il cammino, molte sono le esperienze che incontriamo: il corpo fisico diviene immobile come un pezzo di legno, poi persino “scompare”. Lo stesso succede poi alle funzioni vitali che normalmente percepiamo. Ad esempio sembra che cessi il respiro e con esso le funzioni nervose. Si può avvertire come la coscienza percettiva venga attirata con dolcezza, “catturata” verso un luogo di “calore” e/o verso una sottile e fiammeggiante luce dorata. Questo luogo è il cuore, il Sacro Cuore delle pitture religiose. E lì si offre in sublime dedizione ciò che resta (di noi) ad un Potere più alto…
    Poi Massimo mi indicò la Concentrazione e altri tre esercizi. Fu implacabilmente gentile…però fu, per molti mesi, una conversione di marcia incredibilmente dura, difficile.
    Se confronto tali cose con le chiacchiere intorno allo Spirito…lasciamo perdere…

    Beato Rasty, che, come vedo, ha finito di soffrire (sperando che NON resti nei nostri cuori: era una zecca) 🙂

  2. Per l’uomo d’oriente mi sembra meravigliosa ma per l’occidentale manca dell’attitudine desta e volitiva che è il proseguimento di ciò che esso porta in sé come propria evoluzione.
    Con l’ascesi del vicara entri nello Spirito ma il mondo resta solo illusione: si continua a non comprenderlo, sostanzialmente ci si libera da esso…che puntualmente si ripresenterà con il suo enigma. Poi, tentare di operare con direzioni diverse non porta a nulla.
    Queste sono righe opinabili: uno si immerge in Ramana, poi fa lo stesso lavoro con la Via del pensiero e infine ascolta quello che la sua interiorità gli dice.
    Questo mi pare onesto.

  3. l’esempio del colloquio fra discepolo e maestro inserito in questo articolo rappresenta uno degli esempi dei tanti sbagli compiuti in questi tempi
    In pratica il maestro “cuoce” il discepolo a “fuoco lento” non lasciando nessun appiglio al suo ego il quale sarà costretto solo dopo riconoscimento a cedere il passo al vero IO
    Tutt’altra cosa rispetto alla pedagogia odierna ma soprattutto alle trappole create ad arte da vari sistemi sociali e mass mediatici volti a creare nuove sovrastrutture oltre quelle già pesanti che ci si porta dietro da millenni

  4. Ora, di fronte a queste grandi figure spirituali, chi riesce ancora a trovare il coraggio di saccheggiare come un porcellino gli scritti altrui non fa pena?

    Signori “antroposofi” se siete ridotti così male vi do un bel consiglio: chiudete le pagine di facebook ed iniziate a vivere. Non è mai troppo tardi.

    • Sì, dopo la segnalazione pervenutaci abbiamo potuto verificare direttamente l’interessante copia incollatura altrove, in facebook, del nostro articolo, senza la citazione della fonte della originale pubblicazione. Non è la prima volta.
      Non si può fare a meno di notare che Eco è molto seguita e copiata.
      E come lo notiamo noi così lo notano i lettori del web.
      Del resto la copia-incollatura è prassi del web, ma il rispetto della sua regolamentazione non tanto.
      Vedremo.

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