(Raffaele- di Mara Maria Maccari)
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Cenni scolastici.
Gli angeli vanno di moda: svolazzano tra libri e siti, con tutte le immagini ben colorate, con le istruzioni per semplici e dotti sul come contattarli e – quasi sempre – usarli: una tra le tante bestialità, ovviamente anti-sacre, che riempiono all’inverosimile il piatto già colmo dei mali contemporanei.
Allora, per pulire un poco l’idea di questi esseri, da umile lustrascarpe non vado a fare il pappagallo del Dottore, avendo assai scarsi diritti di comunicare il comunicato, e m’accontento di spolverare i concetti che animavano l’Occidente quando questo teneva in rispetto sia il pensiero dell’uomo che i Messaggeri degli Dei.
Secondo Tommaso d’Aquino (Summa contra Gentiles II), Alberto Magno, eccetera, gli spiriti puri non possiedono una intuizione immediata delle cose corporee e neppure, essendo puri esseri spirituali, la conoscenza che è il prodotto del pensare discorsivo-concettuale pure se questo astrae dalla percezione sensibile. Conoscenza che, per l’uomo, può raggiungere i molteplici aspetti della complessa realtà soltanto per via di giustapposizione e di successione.
Secondo l’Aquinate, l’oggetto formale della conoscenza angelica non è l’essenza delle cose in quanto materiali, bensì la natura della loro specie angelica, che essi attualizzano nella sua intera pienezza quali individui di cui ciascuno è irripetibile.
Pertanto ciascun angelo costituisce un “piccolo mondo” in sé conchiuso – cioè un aevum o aion – e fa di se stesso l’oggetto formale della sua innata conoscenza intuitiva.
In definitiva si tratta della realizzazione perfettissima di quella esperienza interiore del proprio essere più concreto, che all’uomo, in quanto essere al contempo corporeo e spirituale non è mai concessa completamente in un singolo atto, quale totum simul (Op. cit. II, pp.99).
Tutto il resto – l’intero mondo sensibile e gli altri angeli, comprese le superiori Gerarchie – non forma l’oggetto proprio dell’intuizione angelica immediata: la natura di quelli, cioè l’essere concreto del mondo e delle Gerarchie creatrici, viene contemplata soltanto analogicamente: per così dire sullo sfondo e nello specchio della propria essenza.
Pertanto l’angelo percepisce solo “genericamente” tutto ciò che non è direttamente oggetto della conoscenza di se stesso che gli è congeniale, fatta eccezione per le particolari conoscenze del concreto che il Divino gli comunica tramite le sue idee infuse e senza le quali la conoscenza angelica sarebbe imperfetta.
In altre parole: la conoscenza non infusa del mondo esterno – il quale resta sostanzialmente precluso all’angelo secondo il suo essere immateriale – essendo analoga, è sì intuitiva, però per così dire, “allegorica” (nell’ampio significato applicabile alla conoscenza angelica).
Secondo la visione della Scolastica, l’angelo conoscerebbe il mondo esterno soltanto indirettamente nello specchio e nella similitudine del mondo (saeculum) spirituale del suo “evo”.
E l’uomo? Sino al 16°/17° secolo c’è per l’uomo verso l’angelo confronto e aspirazione: con un realismo che nemmeno ci si immagina che sia esistito: “L’anima pensante è congiunta e immediatamente vicina a quell’atto che primo fu generato, che fu destinato a sussistere fuori della materia, che chiamiamo inizio di ogni opera divina, concetto, atto primo e prima creatura. Atto che è l’angelo il quale, stando sempre vicino a Dio, bontà creatrice di tutte le cose, attende senza posa alla sua contemplazione. L’Areopagita lo chiama intelligenza somma che, con assoluta costanza, rende grazie a Dio…” (Charles de Bouelles, 1510: Liber de Sapiente. Einaudi, 1943, pag. 57).
Sempre nel pensiero di quei giorni, l’uomo che contempla può conoscere la visione analogica dell’universo nello specchio della propria essenza, cioè in maniera attribuibile esclusivamente agli spiriti puri. Ciò potrebbe configurarsi come una “presunzione angelica” da parte di coloro che si arrestano alla discorsività e oltre proprio non ci vanno.
In realtà, la conoscenza contemplativa dell’uomo si distingue dalla conoscenza connaturale e intuitiva dell’angelo per il fatto che questo contempla i tratti analogico-essenziali del cosmo a priori nella sua essenza spirituale. Al contrario, l’uomo, essendo un essere corporeo e spirituale, conosce il mondo non propriamente a priori, bensì partendo dalla conoscenza empirica non del cosmo stesso ma della propria natura, dapprima corporea e poi spirituale, la quale rievoca oggettivamente, nella sua complessa natura, la costituzione essenziale della totalità mondiale.
L’intuitività di tale conoscenza è dunque relativa, ma tuttavia imita la contemplazione angelica nella visione globale e veramente universale di tutte le corrispondenze che congiungono microcosmo col macrocosmo.
Grazie a tali rispondenze e relazioni, l’uomo – spirito anima corpo – viene innalzato alla dignità come una specie di “evo” umano. Per tali motivi si pensò che la vera conoscenza spirituale o “pneumatica” non potesse essere univoca e concettuale, bensì analoga-multivoca (allegorica) e simbolica.
Bene: ho finito. Certo che stringendo il più possibile ho reso il tema quasi incomprensibile. Ma se lo leggete almeno due volte potrete trarne il senso, cioè che passano differenze non minime tra angelo e uomo e che l’angelo non andrebbe antropomorfizzato (in sé è un assoluto) come succede di solito nell’ottusa blandezza della spiritualità liberata dal pensiero così come dal pensiero non liberato dai pensieri. Va anche tenuto presente che l’abbozzata concezione risente dei limiti del suo tempo, cioè di un pensiero grossolano, confuso…o no?