Mentre virgolettavo alcune parole di Charles de Bouelles, ebbi un’immagine (un quadretto) vivace dello splendore che, tra Francia e Italia, veniva a nascere ad opera di illuminati spiriti: uno splendore che afferra in profondità il sentimento umano.
Fu un momento forse irripetibile, in cui uomo, pensiero e Dio sembrarono intrecciarsi come in quel magico tappeto di cui in Oriente si narra che possedesse la virtù di sollevare verso il Cielo ogni essere puro che su esso si adagiasse.
Parlo in particolare di Giovanni Pico e Marsilio Ficino. Due volte si recò a Parigi Giovanni Pico: per attingere il sapere della gloriosa università e per trovare rifugio e comprensione quando veniva perseguitato dalla Chiesa romana.
Così in Francia fu grandissima l’influenza della cultura italiana e soprattutto del gruppo fiorentino (siamo sulla fine del Quattrocento).
Si attingeva in Ficino e in Pico quella sintesi neoplatonizzante di aristotelismo e platonismo, adatta al movimento spirituale iniziato dall’umanità.
Non più l’aristotelismo scolastico che, irrigidendosi in questioni di logica e di fisica aveva raggiunto grandi profondità ma si era anche dilapidato in esasperanti sottigliezze, ma neppure il platonismo evanescente divenuto troppo spesso materia di nebulose aspirazioni di imprecisi letterati e perdigiorno.
Il Pico aveva sognato l’accordo fra Platone e Aristotele, tra Avicenna e Averroè: voleva la “pace filosofica” come espressione dell’unità umana nella ricerca del vero e che sa sempre cogliere qualche aspetto positivo nella manifestazione dissimile. Infatti, scherzosamente fu chiamato dagli amici “Il principe della concordia”.
La filosofia, la filosofia perenne, è indagine insaziata, paga e inappagata, è platonico impennarsi dell’anima nella ricerca di quel sapere per il quale l’uomo si fa veramente uomo, ricongiungendosi nella sintesi sempre viva (unica) dell’umanità pensante, in tutti coloro che cercarono la verità una.
Il capolavoro di Pico – capolavoro filosofico del primo rinascimento – è il Discorso sulla dignità dell’Uomo (già riportato in Eco): esso trova il suo senso nell’esaltazione non del valore dell’uomo in quanto ente ma nell’uomo come pensiero.
E’ pensando che l’uomo si fa persona, ed in questa trasfigurata rigenerazione, solleva l’universo a Dio.
L’uomo centro del mondo, il microcosmo, non è tale perché posto da Dio in posizione privilegiata, non perchè riassume tutti gli elementi del mondo: l’uomo (che sarebbe un nulla) può essere al centro dell’universo perché è capace di una azione consapevole e il mondo lo riconduce a Dio poiché egli si solleva quando celebra in sé tutte le sue possibilità: libero artefice di sé pone se stesso e il suo valore come frutto di infinita libertà.
La libertà dell’uomo è il capovolgimento che si opera nella concezione della dignità umana.
Il microcosmo non è più la concentrazione degli elementi del mondo, non è più la sintesi materiale, soggetta al fato, dominata da leggi inesorabili, schiacciata da influssi astrali.
Il microcosmo è il concentrarsi della coscienza: l’universo che si invera per trovare il suo significato, per affacciarsi alla libertà dal mondo della necessità.
Però pochi accolsero il messaggio universale di Pico: Lefèvre d’Étaples lo valutò come spunto sincretistico, Gaguin vide soprattutto il moralista e l’asceta, altri il trait d’union tra i cristianesimo virgiliano di Spagnuoli e l’asprezza di Savonarola (amici di Pico verso la fine della sua vita).
Invece Charles de Bouelles (discepolo di Faber Stapulensis) colse l’ispirazione di Pico, pur sistemandola e fondendola con i familiari motivi del pensiero di Cusano. Bouelles, appena ventenne pubblicò un opuscolo, l’Ars oppositorum tra aristotelismo e mistica platonica: dove il primo è introduzione alla seconda: discorso che guida all’intuizione dell’Assoluto per il quale l’unico termine è il Silenzio.
“Tibi silentium laus” “Aristotele è vita nel sapere, Pitagora è morte, ma morte superiore alla vita. Perciò Aristotele insegnò con la parola, Pitagora col silenzio: ma questo silenzio è perfezione, quella parola difetto. In Paolo e Dionigi è grande il silenzio, silenzio nel Cusano e in Vittorino. In Aristotele invece scarso è il silenzio, molte le parole. Ma il silenzio parla, le parole tacciono”.
Il testo riuscì impervio e lo stesso autore ammise che nessuno lo aveva compreso.
Successivamente, conciliando la luce di Dionigi e del Cusano con la salda fede nell’uomo di Pico, nel 1510 col Liber de Sapiente, raccogliendo i temi sparsi nel De sensu, nel De intellectu e in altri scritti, si trova una organizzazione che abbraccia natura, uomo e Dio (Pico, nell’Heptaplus, aveva ordinato la Creazione con i commenti dei Padri e dei cabbalisti, ma la sua attenzione si era concentrata sull’uomo agente piuttosto che sull’uomo contemplante: solo la fattiva “carità” apre l’ascesa e dischiude i misteri).
De Bouelles volge lo sguardo al conoscere: l’uomo è il centro del mondo perché in lui il mondo prende coscienza di sé. Da oggetto diviene soggetto, da essere conoscenza.
L’uomo nel suo immediato, è cosa, natura. E’ ente fra gli enti. Ma Dio – ripete de Bouelles con Pico – non ha dato all’uomo “una” natura: l’uomo non è: il suo essere è frutto del suo farsi.
L’uomo sarà pietra, pianta, animale, angelo o Dio, secondo la sua opera. E per l’autore, quest’opera è conoscenza: la dignità umana è essere coscienza del mondo. L’uomo di natura si fa uomo d’arte: l’oggetto si fa soggetto.
Dunque l’uomo diventa centro del mondo perché specchio del mondo: non cosa allineata con le cose ma punto di confluenza dei raggi che convergono da ogni realtà. Specchio vivente: non dato di fatto bensì potenza di conquista e conquista non dall’esterno delle cose ma dall’interno, dallo Spirito. Come l’occhio che volto all’esterno è capacità visiva solo per la metà del suo globo, così deve guardare con l’altra sua metà: guardare l’uomo nell’intimo. Così affiora il Sapiente, miracolo eterno del cosmo.
Il Sapiente è arbitro del suo destino, è Dio terreno con il compito e l’infinita responsabilità della propria libertà, verso cui gravita l’intero universo.
L’Uomo Sapiente, sillaba incancellabile di Dio, insieme padre e figlio di se stesso, è il fine sacro del mondo: egli è Dio per l’altro uomo, Dio per la natura che reverente si china innanzi a lui. E’ lui che offre al Dio dei Cieli l’universo redento.
Questo è il tragitto che viene offerto a tutti gli uomini di buona volontà, perchè ognuno di essi può giungere alla Sapienza solo che voglia combattere la sua buona battaglia.
Forse in ciò si celava l’intuizione cristiana più profonda che il Rinascimento osava riscattare affinché il divenire del mondo potesse farne uso come la direzione ed il programma in esso più sacro. Ora, con la Filosofia della Libertà, tentiamo in fondo di portare avanti queste ignorate seminagioni.
Ps: il grande Guenon (visto il suo tombale giudizio sul Rinascimento) e la sua abbondante prole non sarebbero d’accordo su alcuna delle cose scritte: di tutto il quadro con cornice compresa: ce qui me honore très…
In un mondo sempre più inquieto e più buio, è bello leggere pensieri che mettono in luce la potenziale grandezza dell’essere umano, grandezza che troppi poteri vorrebbero nascondere per mantenere in vita se stessi!
Ma nel cuore dell’uomo, continuano a risuonare le parole che Pico ha saputo esprimere nel suo mirabile discorso sulla dignità umana, parole che sintetizzando potrebbero risuonare così ” Se tu Uomo mi segui, allora fai quello che tu stesso pensi e vuoi!”
Grazie Isidoro per questo contributo! Un progetto così immenso, quello umano, e sempre così in pericolo, sempre a sfiorare il fallimento…
Je suis très heureux que le blame de Monsieur Guénon t’honore beaucoup!
Hugue, très très terribilissime
Eh,eh:dato come pacifico dato che il fenomenale tradizionalista BIASIMO’ tutto quello che non gli andava a genio, nonostante tutto ammiro ancora la sua sintetica sentenza che riguardava il Rinascimento: ” Essi, con la scusa di conquistare la terra, persero i Cieli”.
I tradizionalisti di ferro (ruggine) sono acuti nel volgersi all’indietro ma vere talpe nel guardarsi intorno. Non intuendo barlumi nel divenire, rifiutando come un inconoscibile diabolico l’umana evoluzione, il loro sbocco naturale è un mondo piatto e circolare in se stesso: cripto-mussulmani o mussulmani…a cui logicamente approdò monsieur Guenon.
Rifiutando l’evoluzione hanno abbracciato l’involuzione: cosa che i discepoli dei discepoli dovrebbero pensarci un po’ su.
Ma chi si lascia indottrinare è improbabile che pensi (ciò, onestamente vale per i discepoli di TUTTE le correnti).