CONCENTRAZIONE E MEDITAZIONE (di F. De Pascale)

Ho sempre pensato – in maniera oltremodo estremista – che la concentrazione sia una “tecnica”, e che la meditazione sia invece un’ “arte”.

Ciò implica che la concentrazione sia essenzialmente un’operazione della volontà nella corrente del pensare, ed essa deve essere attuata con precisione scientifica, eseguita con modalità esatte, con energia, senza verun sentimentalismo, addirittura brutalmente quando necessario.

La meditazione è, al contrario, un’operazione interiore più “delicata”, implicante uno stato interiore di “degnità” interiore. Tale “degnità” non è richiesta come prerequisito della concentrazione: semmai ne è indiretto e prezioso risultato. La concentrazione richiede coraggio, energica volontà, salda risoluzione, e infinita tenacia. Perciò la concentrazione è una operazione attuabile da ogni tipo umano, anche il più “indegno”, se costui ha ferma volontà di una radicale trasformazione interiore.

La fase iniziale della concentrazione è decisamente brutale: è l’azione dell’Io come ego, che giunge ad essere così potente da attuare il volitivo annientamento della forma “ego” dell’Io: non la si può attuare senza volontà risoluta e crescente energia. Se tale sforzo interiore non viene pavidamente evitato, se non ci si risparmia, se si dà veramente tutto di noi stessi, allora la fase successiva della concentrazione si attua come atto di una volontà più sottile, più “delicata”, e in questo più affine alla meditazione.

La meditazione in quanto “arte” è un’operazione spiritualmente più “esigente”, in quanto già presuppone il conseguimento di un almeno minimo dominio del pensare, che normalmente è frutto di una intensa e prolungata disciplina della concentrazione. La meditazione si alimenta di un’energica disciplina della concentrazione. Essendo un’operazione spirituale essenzialmente non egoica, la meditazione presuppone che con l’ego si siano già fatti risolutamente i conti nella concentrazione: sino ad arrivare ogni volta sempre più al dissolvimento della forma egoica dell’Io. Questo dissolvimento dell’ego va attuato senza sconti, senza attenuazioni, senza misericordia: oggi soltanto la Via del Pensiero, come Via dello Spirito OLTRE e MALGRADO l’anima, dà concretamente questa possibilità. Non è affatto sano e consigliabile farsi troppe illusioni che attraverso le comode “vie dell’anima” si possa giungere a un dissolvimento dell’ego, e ad un’autentica azione spirituale, indipendente dal coinvolgimento nei melmosi e oscuri meandri dell’anima ferreamente legata alla natura corporea.

Il consiglio di Massimo Scaligero di una non contiguità tra la concentrazione e la meditazione, secondo la mia esperienza di sperimentalista selvaggio, è motivato dall’esigenza che sia nella concentrazione che nella meditazione l’asceta deve tendere a dare tutto se stesso, impegnandosi senza residui con tutta la sua volontà, sino al superamento del limite personale.

La concentrazione che deve essere tenuta temporalmente distinta dalla meditazione, è quella che intensificandosi diviene concentrazione profonda ed infine contemplazione ed esperienza della pura forza-pensiero vuota di pensieri. In quanto tale, la concentrazione profonda è essa stessa “meditazione”. Meditazione e concentrazione hanno lo stesso scopo: divenire esperienza della forza fulgurea del cosmico pensare pre-individuale, che si fa individuale in noi nella contemplazione meditativa e concentrativa, senza tuttavia cessare di fluire in noi nella sua purezza sovraindividuale.

Tuttavia, per esperienza personale, un breve esercizio di concentrazione può essere efficacemente introduttivo alla meditazione profonda: Una breve concentrazione può disperdere il “fatuo accendersi dei pensieri”, riducendoli al silenzio ed instaurando quel clima interiore che è necessario all’attuarsi della meditazione. Essendo quella del meditare una “arte” sottile e spirituale, pur dovendo essere sempre estremamente rigorosi, non si può essere in essa legnosamente rigidi seguendo ottuse regolette filistee. E Massimo Scaligero consigliava pratiche diverse a persone diverse, a seconda della reale esigenza interiore ogni volta riscontrata. Questo non significa affatto che nel meditare si possa fare come più aggrada, ossia quel che compiace ogni volta all’ego. Anche un savio medico darà farmaci diversi a pazienti diversi, e ciò ovviamente non autorizza un paziente ad assumere a suo libito i farmaci più diversi: gli effetti sarebbero sicuramente disastrosi.

L’arte della meditazione si alimenta della concentrazione e dello studio rituale della Via del Pensiero, altrimenti facilmente può prendere ambigui “sentieri laterali”. La Concentrazione – parola di Massimo Scaligero – perseguita con coraggio, tenacia, fedeltà e volontà consacrata, da sola, può portare all’Iniziazione. La meditazione, senza la Concentrazione, porta facilmente alla follia.

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