
.
.
Essere incrollabili (e rassegnati) davanti i “dardi dell’iniqua fortuna” perché capitomboli e incidenti sono universali.
E i motivi delle défaillance possono essere, anzi sono tanti. Possiamo esaminarli, almeno quelli che dipendono da noi, dai nostri errori umanamente più marcati.
Quasi sempre c’è di mezzo la rappresentazione personale. Ossia: ci rappresentiamo (con tribunale al seguito) quello che c’era, quello che c’è e quello che sarà o dovrebbe essere.
.
Un esempio tragicomico? Uno, sfregandosi animiche mani, dice a se stesso: “Ho la giornata libera, la dedicherò al lavoro spirituale”. Chi più chi meno non c’è uno tra noi che non sia caduto in questa tentazione. Allora inizia la giornata soddisfatto dal proprio elevato sentimento e, al momento opportuno, ben imbozzolato in una stanza… fa e strafà l’esercizio più dispersivo e deludente della sua carriera d’asceta.
Dopo due ore esce stracco ma imbottito di un malumore che si dissiperà lentamente con il misericordioso aiuto di qualche faccenda svolta nel più sensibile dei mondi. È un esempio, ma possiamo generalizzarlo.
Mi ricordo di quell’ amico che vacanzò con le migliori intenzioni immergendosi in una natura assai ventosa che gli portava via i pensieri. Non sto scherzando (e, poveretto, nemmeno lui).
C’è chi, sensibile agli spazi dilatati del cielo, sente come se la testa gli si vuotasse e non riesce a spiccicare due pensieri voluti di fila. Poi c’è chi non può fare nulla di niente sotto un particolare albero o arbusto. La lista è quasi infinita. Essenzialmente l’ostacolo vero è sempre uno solo ma, per un certo tratto, possiamo biforcarlo. Esiste l’ostacolo (gli ostacoli) esteriore.
.
Siamo del tutto ciechi a quanto agisca in noi il mondo esterno.
Dapprima, e per molto tempo, gli esercizi rimangono solo virtualmente estracorporei: questa è la giusta direzione, ma è una direzione in divenire. In realtà il corpo ci sostiene: abbiamo un Io forte e desto perché aderisce al corpo, pensiamo con vigore se pressione e glicemia sono ai valori ottimali. C’è chi senza un caffè crede di non riuscire a pensare.
I massimi sistemi sono affascinanti, ma è da qui che inizia il nostro lavoro interiore. Inoltre condividiamo la corporeità con il mondo che ci circonda. La corporeità è davvero mondo esteriore plasmato dal Principio umano. E di ciò non siamo consapevoli. Se al rabdomante vibra la bacchetta o ruotano le due bacchette passando su di un terreno sotto il quale scorre un rigagnolo o giace sepolto un pezzo di ferro, significa che le emanazioni sottili attraversano il corpo, cioè avviene nel corpo una mutazione in quel punto del terreno. L’esempio è, in un certo qual senso, grossolano ma facilmente percettibile negli effetti.
.
Più delicato e complesso è quanto emana dai luoghi: si avverte quanto sia salubre e benefico un punto, un masso, il bordo di un laghetto o, al contrario, quanto esso sia minaccioso e malefico… senza parlare del “genius loci”, che non è un modo di dire, e dei tantissimi esseri che popolano la natura tra il visibile e l’invisibile. Temi (realtà) che ci porterebbero troppo lontano.
.
Il senso del discorso? Noi andiamo di qua e di là, ma ignoriamo completamente cosa ciò comporti per la nostra realtà sottile. Questo è un aspetto di quello che ho chiamato un problema forcuto. Ma mettiamoci bene in testa che il problema fondamentale sta nell’altro ramo della biforcazione: in noi e nel nostro lavoro, che non inizia oggi e termina tra qualche mese o anno. Le discipline a cui assoggettiamo l’anima sono, per la nostra costituzione, un illimitato e continuo divenire. Iniziamo ‘spremendo’ più corpo che pensiero: assai spesso occorre tanto tempo per imparare a pensare volitivamente per una manciata di minuti.
.
L’esecuzione ripetuta ci irrobustisce interiormente e ci rende capaci, tra pochi alti e molti bassi, a delle temporanee modificazioni del corpo astrale. Sono operazioni che, in fondo, non finiscono mai, poiché esigono una attività sempre più intensa. Non esiste alcun ‘fissaggio’ o, peggio ancora, alcuna meccanicità su cui poggiarsi. I miglioramenti si situano solo nell’accrescimento della capacità.
Poi, se il lavoro prosegue costante, come un bicchiere che venisse riempito assai lentamente ed il cui contenuto eccedesse l’orlo, il prodotto essenziale dei cambiamenti attuati nell’anima, ancora più lentamente si trasferisce al corpo delle forze formatrici (corpo eterico).
.
A questo punto – che non è un punto ma un ulteriore e superiore operare – subentrano modificazioni più importanti che manifestano una maggiore e diversa stabilità interiore e persino esteriore, giacché ogni mutamento eterico “tinge” in qualche misura persino il corpo fisico. Solo ora una parte della nostra coscienza raggiunge una certa indipendenza dal corpo e dagli influssi inconsci di questo. È come se nell’anima venisse costruita una stanza vuota: chiusa al mondo ma aperta alle sollecitazioni dell’universo spirituale. Di norma inattaccabile ai colpi o graffi dell’astrale inferiore. Da qui è possibile quello che nel mondo sensibile sarebbe una contraddizione: uno stato che con i termini disponibili chiameremo riposo o quiete, simultaneo ad un genere di attività totale.
.
La “stanza vuota” continua ad esistere e basta un gesto interiore, simile al silenzio, per percepirla. È lì che tutto inizia ad essere possibile per l’operatore: meditare in condizioni che sarebbero da considerarsi proibitive, accogliere esperienze ultrasensibili sotto gli altoparlanti di una band… e girare il mondo senza defluire nei luoghi lontani ed estranei alla nostra costituzione. Certo, non è detto che le esperienze di Tizio o Caio si dipanino nel modo che ho descritto. Però una cosa è certa, ed è la spina dolorosa di chi fa gli esercizi: il corpo fisico dà l’impressione di una certa fissità. Mi siedo fermo e le braccia non vanno per conto loro, la pelle non si increspa come il mare agitato, persino barba e baffi restano al loro posto. Questa staticità non è del tutto vera ma, solo per comodo nostro, vediamola in questo modo.
.
Per gli altri corpi è tutta un’altra cosa: l’astrale è un luna park in miniatura tra feste e lutti, l’eterico è un flusso continuo come una possente fiumana. Il Soggetto che fa gli esercizi, pur non vedendo nulla, si trova ad operare in un complesso di corpi che seguono movimenti di tutti i tipi. Perciò trovare per una buona volta l’assetto migliore è… una favola bella.
La Via è dunque tutto un gioco di discipline che di volta in volta vanno bene e poi male o malissimo. È un continuo ricominciare, spesso daccapo: ma non è un ricominciare, è un diventare più forti delle burrasche: basta tener saldo il timone e non mollare mai. Se il cuore ha deciso, l’Io prende il comando e si lega alla volontà in un patto morale che non andrà mai spezzato. Mai: qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa si creda di essere.
.
La vera moralità non consiste nel dire a se stessi: “Ho tanti difetti. Sono debole. Sono un criminale” ecc., ma nell’inesausto tentativo di modificare, con la disciplina, la propria anima oltre ogni debolezza, cattiveria, depravazione e aggiungetevi quel che volete. La disciplina è moralità concreta, attiva, e i piagnistei su se stessi sono viscidume, melma. Certo, occorre rimettere in moto virtù obsolete: fedeltà, coerenza, coraggio, trasparenza interiore ecc.
.
La buona notizia è che tutto questo non si acquista al dettaglio ma c’è già nell’anima umana, e cresce non con pelosi autocompiacimenti ma con le discipline più semplici. Poche o pochissime, tentate giornalmente e disperatamente al meglio possibile.