.
Riesce dunque l’uomo ad opporsi o a sfuggire alle immagini (e ai sentimenti) che lo assalgono con la furia e la velocità dei predatori naturali, piombando in lui da luoghi oscuri ed ignoti, o piuttosto trascorre la vita subendo l’incessante dominio di forze scaturenti fuori dalla sua coscienza e comprensione?
.
Secondo l’osservazione della vita animica dell’uomo in quanto desto e autoconsapevole, la pratica della Concentrazione può configurarsi come l’istanza conoscitiva più estrema: guadagnare una condizione da cui sia possibile vedere cosa sia il conoscere, ed afferrarlo.
La Concentrazione non è tanto una sorta di esercizio mistico o magico, quanto l’urgere di una coerenza epistemologica che ancora non c’è o va perdendosi poiché manca l’umano. Invero domina il subumano a cui siamo stancamente abituati, fatto salvo un senso d’irrealtà e disagio morale verso la sceneggiata quotidiana, quale che sia la sua parenza di valore.
Siamo immersi in una sfera di sottocoscienza in cui libertà, impulsi morali, conoscenza, il vero o il falso sono le rappresentazioni fantasmatiche di una entità umana che non pensa ma viene pensata, che non sente ma viene sentita, i cui istinti sono scambiati per volizioni.
È un livello in cui non può reggere alcuna verità e alcun giudizio sull’azione che l’uomo compie, poiché, ad essere sinceri, non sappiamo da chi e perché le azioni sono state compiute.
Tutti sono innocenti, anche gli esseri più abbietti, dato che essi, al pari dell’uomo dabbene, sono mossi dallo sconosciuto altro-da-sé. L’essere umano contemporaneo è, di norma, un medium inconsapevole della propria medianità.
L’ordinario fatto che tutti combattano tutti a fin di bene e con giusta causa, traendo il senso di sé dal risentimento e dall’avversione, persino nelle cosiddette comunità spirituali, dovrebbe almeno indurre a qualche riflessione che difficilmente trova coincidenza con le magnifiche e progressive sorti.
.
Quando il ricercatore dello Spirito inizia l’esercizio interiore, si muove da una situazione animica non dissimile, poiché non è più desto degli altri uomini, né possiede organi per conoscere la giustezza della sua scelta. L’ottemperanza alle minime regole interne alla tecnica della concentrazione porta l’uomo interiore a modificazioni essenziali che (ben oltre gli occasionali fenomeni estranormali) verranno colte quali trasformazioni dell’anima dopo tempi lunghi di maturazione.
Predeterminare una linea di pensieri o un unico pensiero da pensare, limitando solo a ciò tutta l’attenzione cosciente di cui si sia capaci, attiva il circuito di una forza celata dal volere e mai prima avvertita, in spazi d’anima sconosciuti a qualsiasi precedente autosservazione. Il dazio da pagare per chi si rende capace di ripetere tale operazione sarà sempre un pesante tributo alle difficoltà generali che sembreranno moltiplicarsi o assumere carattere di sacrificio.
.
L’uomo, dal momento in cui si predispone ad una definita coscienza terrestre, è privo della capacità di concentrarsi volitivamente, almeno in una misura degna di nota. Molti credono di concentrarsi quando vengono afferrati da un’idea che s’impone nell’anima trasportandoli lontano dalle sensazioni immediate. Allo stesso modo, quando l’imponenza e la bellezza di forme e colori naturali cattura la coscienza nel percepito, alcune nature giudicano a posteriori d’avere vissuto una esperienza mistica o cosmica: non impossibile ma improbabile, almeno per chi si attiene alla robusta concretezza dei veri mistici, che non sono fantasiosi. Osserva con sagace senso pratico Teresa d’Avila, nel suo Castello interiore: “Sono convinti che si tratti di arrobamiento (estasi) ma io lo chiamo abobamiento (ottusità).
Al contrario, chiunque potrebbe provare in qualsiasi istante che gli è impossibile mantenere l’attenzione per un significativo periodo di tempo su un qualsiasi particolare di quanto lo attornia. Come se qualcosa lo obbligasse a spostare di continuo occhi e coscienza da un particolare ad un altro, a un altro ancora. Senza posa.
Numerose Logge, Congreghe, Officine, Conventi ecc. detengono tecniche, tra loro assai simili, capaci di scantonare nei riguardi delle forze di coscienza dei nuovi tempi e di quanto a queste possa o debba corrispondere. Quando il tutto non si riassuma in una liturgia di simboli noti e persino ingenui, e in riassunti di approfondimento su incastri alfanumerici, beninteso gabbati come preziose reliquie dell’“antica Sapienza egizia”, il nocciolo del lavoro interiore corrisponde sempre a sistemi propizianti l’ipnosi o la trance autoindotta. Il restante, quello che gira liberamente e con ampia diffusione, è in unico blocco l’espressione tout-court della trionfante riforma spiritualistica dipendente dal subumano.
A chiarimento di cosa si stia parlando, prendo, purtroppo a caso, una rivistina patinata e di buona grafica che impudicamente si titoleggia in copertina come “Itinerari dello Spirito”, riportando l’incipit dell’articolo principale: «Ho incontrato molte persone che mi hanno detto: “Ho provato a fare meditazione ma non ci riesco”. Impossibile, dico io, meditare è la cosa piú facile che ci sia. Il problema è che c’è un enorme malinteso. Meditare non vuol dire concentrarsi, costringere la propria mente a pensare questo o quello. Gli esercizi di concentrazione servono, in teoria, a prepararci a meditare, ma non sono meditazione. Anzi secondo me sono inutili, se non dannosi. Inutile tentare di impedirsi di pensare, è una cosa impossibile. Se penso di non pensare sto comunque pensando…lo scopo della meditazione è quello di rilassare il cervello, farlo riposare… pensando ci sforziamo. Bisogna smettere di sforzarsi a pensare. Essere pigri, sonnolenti, sornioni…».
Il tanto suesposto vale per tutta la marea del consimile su cui considero perfettamente inutile il giudizio. Per giungere a tali realizzazioni basterebbe un buon sonno o qualche molecola della famiglia delle benzodiazepine, ma giacché la coscienza comune chiama sognare sé ed il mondo col nome di veglia, l’ardimentoso spiritualismo confezionato per tale coscienza osa di più: vorrebbe fare dell’uomo un essere che dorma da sveglio. L’occultista sa che questa è una spaventosa ma realistica possibilità. L’alternativa comune all’uomo non ancora robotizzato consiste nel venire continuamente dominato da una sorta di natura emotiva autonoma che è il centro motore dei suoi pensieri ed azioni; essendo per giunta del tutto impreparato a dominarla.
.
Cosa potrebbe fare allora il povero apprendista mago? Egli cammina, come tutti gli altri uomini, per le strade della vita, subendo una impollinazione incrociata tra sogno e veglia, e ciò avviene anche quando, seduto in silenzio, crede di meditare. Forse, prima di concentrarsi con sperabile profitto, il nostro motivato apprendista dovrebbe sospettare che il suo attuale mondo è sognato; a dirla tutta, anche per quanto crede di sapere sui mondi occulti, soprattutto su quanto concerne lo Spirito.
.
Come fa a svegliarsi da sé uno che sogna? È un mistero. Ma forse, se il sognatore si addensasse in se stesso, se non temesse per attimi di dirsi io, IO e nient’altro? Proprio così. Distinguendosi, con uno scatto intimo, da pensieri, valori, abitudini, caratteri ai quali si attribuisce sempre una identità con se stessi, questo potrebbe essere il piccolo germe di un risveglio.
.
Se qualcuno decidesse, con studio, comprensione e dedizione, di tentare la strada dell’Infinito e della Libertà, gli occorrerebbe, quanto prima e sempre troppo tardi, realizzare la più ovvia delle verità, ossia l’indiscutibile fatto che il dominatore e la cosa dominata non possono essere identici.
Con un’immagine presa a prestito: cavaliere e cavallo sono due, non una cosa sola. Finché non si impara a dominare il cavallo, non sarà possibile riconoscere con chiarezza chi è il cavaliere. Il cavallo (l’animale) è certamente forte ed esigente: non gli bastano tutti i pensieri del mondo. Non è disposto a cedere quei pochi minuti che con la disciplina interiore si cerca di sottrarre al suo avido potere.
.
Non appena evocato un tema di concentrazione, uno sciame di pensieri aggredisce lo sperimentatore portandolo a dimenticare il tema proposto (e anche cosa sta facendo lì seduto). Il carattere di tali pensieri è la capacità di farsi pensare con l’urgenza prepotente dei più importanti pensieri del mondo. In quel confuso campo di battaglia della nostra sbrindellata coscienza, dove il buon cavaliere perde sempre, è forse possibile un barlume di resistenza, una futura rivincita? In una sola esistenza? Forse sì o forse no. Personalmente lo credo possibile, ma sono solo un pessimista che esercita la positività.
Salve signor Giovi e grazie per i preziosi suggerimenti pratici che ritmicamente ci offre; vorrei farle una domanda: a suo parere esiste un buon metodo che consenta a colui che pratica la concentrazione di capire se sta procedendo bene oppure se sta sbagliando qualcosa? Immagini lo scenario: pochi anni di pratica nella concentrazione intesa in senso scaligeriano, raggiunto un certo livello di “routine” ma comunque la necessità di sforzo rimane sempre alta; non come all’inizio ma comunque sempre alta. Pragmaticamente ho visto che cambiare alcune “condizioni al contorno” è un buon modo per testare il livello di reale concentrazione fino a quel momento raggiunto, esempio aumentare di tanto in tanto repentinamente la durata dell’esercizio, oppure concentrarsi in un ambiente rumoroso o in condizioni fisiche diverse (esempio passeggiando anziché stando seduti), ci si può sbizzarrire; di solito la difficoltà aumenta al punto che si capisce che fino a quel momento si è fatto ben poco e che bisogna riprendere la pratica con un livello di cura e attenzione maggiore. Ma questo mi sembra un modo “quantitativo” di procedere; aumento la quantità del tempo, delle varietà o difficoltà ambientali o situazionali etc., cosa di cui con adeguato “allenamento” e costanza si riesce di solito a venire a capo (almeno fino ad un certo punto). Ma molto più difficile è riuscire a trovare un modo certo ed univoco di percepire i cambiamenti “qualitativi” nella propria coscienza, per cui non sempre si è sicuri di stare facendo bene, specialmente se non si percepiscono mutamenti significativi, almeno in apparenza. Cosa ne pensa? Grazie,
Saluti