DEL MEDITARE ( di F. Giovi)

Il meditante, superato il periodo delle difficoltà più grossolane, inizia a sperimentare due mondi, anche quando ancora ne ha scarsa consapevolezza.
E non sono cose granché segrete: una rumoreggiante giornata nel mondo esteriore e ed una manciata di minuti, spero ripetuta, in un mondo opposto, silenzioso e inabituale.
Quest’ultimo sembra così poco famigliare che viene, anche per molto tempo, confuso con la navetta dell’esercizio: del resto, salvo casi eccezionali nella vita, il mondo interiore è irraggiungibile senza la disciplina interiore.
 Lo so che le teste dure lo negano, In realtà capiscono ben poco di ciò che essi stessi negano poiché è solo reazione contro tutto ciò che è fuori dal piccolo sé stesso (ir)razionalistico, quello che è sostenuto dal cieco furore dell’istinto: iudicium sine intellectu.
Ma ciò non riguarda il tema. Ed è estraneo al mondo interiore.
Il mondo esteriore, quello che appare solido, certo e compatto, quale lo percepiamo e l’intendiamo, è tutt’altro che reale, piuttosto è anima travolta, asfaltata.
La corporeità percepita è solo mediatrice sensoria: colori, suoni, temperatura, liscio e scabroso, durezza e morbidezza, odori, ecc. ci giungono attraverso le vie dei sensi, che hanno un rapporto con l’esteriore come il tubo in cui fluisce l’acqua che gli scorre dentro.
Chi o cosa percepisce tutto questo? La coscienza, che, per così dire, viene colpita passivamente o bombardata.
Il pensiero, i concetti, che fluiscono dall’Ignoto, organizzano (nell’uomo normale) tutto ciò che in forme definite e concluse ci appare come il mondo che conosciamo.
Sembra una burla ben riuscita: dall’esterno un quid che non conosciamo cosa sia in sé, dall’interno una attività a cui siamo ben poco presenti e che ignoriamo da dove venga.
E abbiamo il coraggio di chiamare questo duplice inconosciuto “il mondo che conosciamo”!
Semmai una cosa è certa: che l’incontro tra gli sconosciuti sembra avvenire nella nostra coscienza: da essi nasce la rappresentazione. Non è poi sbagliato affermare che il (nostro) mondo è rappresentazione. E’ un’affermazione che la negazione, la cancellazione che interviene nel sonno, conferma.
Anche da questo punto di vista si può avvertire quanto possa essere (per noi) eccezionale la produzione di una rappresentazione completamente  volontaria.
Formare una rappresentazione che non sia un prodotto passivo, intervenuto sulla scena della coscienza senza la nostra regia, è la prima azione vera che sia possibile all’uomo in quanto dotato da tutti gli elementi che dovrebbero comporlo. Tutto quello che discende dal già fatto, scusatemi tanto, ma in sede conoscitiva è essenzialmente una sciocchezza.
Nel nostro tentativo di entronauti, appena usciti dal porticciolo del fuori, avvertiamo quasi subito che non ci siamo infilati in un “cul de sac” ma che davanti a noi si apre un mare sempre più vasto: realtà stranissima: più limitiamo noi stessi, più lo spazio si dilata.
La coscienza, sempre piena di robe come un ripostiglio stipato, magicamente si svuota, si fa più chiara, illimpidisce. La cacofonia continua dei rumori svanisce nel silenzio.
Vi sono gradi di silenzio: il più elementare viene chiamato mentale ed è connesso con l’esercizio della rappresentazione voluta, ma quando l’immagine assume una speciale mobilità e autonomia voluta senza sforzo, essa ed il silenzio che l’avvolge dinamicamente sembrano svincolarsi e assumere una specie di potenza propria, anzi sono veste di una potenza libera da sedi particolari: di solito essa  viene condotto al cuore oppure può succedere l’eccezionale: che una luce trasmutatoria scenda dall’alto nell’anima e nel corpo.
Comunque, in entrambi i casi, che sono temporanei, l’essere cosciente può assaggiare (sperimentare) qualcosa dell’infinito vivente e avvertire cosa sia la liberazione nel flusso dello Spirito.
Liberata dall’anima personale, sciolta dallo spettro della illusoria corporeità, la coscienza avverte il sentimento della Libertà ed il sentimento della Vita. Essi irraggiano in tutto l’uomo (ben oltre quella che continuamente deduciamo come morto riflesso).
In un mondo che permane ma più chiaro, illimpidito, fattosi cristallo, è il primo alito di forza e di vita che possiamo sperimentare o, per usare i termini della tradizione religiosa occidentale, avvertiamo l’alito delle Virtù che emanano dal paradiso. Il loro “nulla” riempie tutto, le forme ed i vuoti tra le forme. Da tale nulla che illumina come un sole, il cuore si alimenta, si avverte che è ora il centro di ogni cosa.
Il contrappasso consiste, per la coscienza ed il suo sentire il vero, in una maggiore difficoltà ad indossare le vesti di scena sul palcoscenico del mondo ordinario che si avverte insufficiente e talvolta insussistente.
Ciò fu esperienza anche per giganti del pensiero a cui però il destino, tragicamente, non recò le giuste conoscenze di ascesi, e non evento raro, si rivelò per essi fatale.
Del resto, quale acqua di questa terra può dissetare, da quel momento, l’anima di chi riesce ad attingere anche a una sola goccia della rugiada dei Cieli?

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