Vi è, attualmente, tra i cultori della Scienza dello Spirito, ed anche tra molti appartenenti alla ʽComunità Solareʼ – adopero volutamente questa espressione con la quale Massimo Scaligero volle chiamare la Comunità spirituale di coloro che dovrebbero consacrarsi alla ʽVia del Pensieroʼ, ossia alla più fervida pratica interiore della Concentrazione, della Meditazione secondo il canone rosicruciano – una paradossale sottovalutazione della funzione del pensare nella ʽViaʼ di realizzazione spirituale. Sottovalutazione paradossale – come paradossale è il doverlo ancora rilevare, ancor oggi, oltre quarantadue anni dalla sua dipartita – dopo tutto quanto Massimo Scaligero riversò in libri e articoli, in scritti e in lettere, di Aurea Sapienza. Sottovalutazione paradossale – e colpa non scusabile – dopo tutto quanto Massimo Scaligero espose, in maniera chiara e limpida, in incontri personali e in riunioni, sino a non aver egli più né fiato né parole per quante volte, in innumerevoli forme sempre diverse e, ogni volta, sempre vive, instancabilmente ripeté, sino allo sfinimento, lʼimportanza fondamentale del pensare nella ʽViaʼ iniziatica dei Nuovi Tempi.
Importanza fondamentale, anzi – dovrei dire per maggior chiarezza ed esattezza – ʽfondanteʼ, quella del pensare, perché solo e unicamente il pensare può dare salde fondamenta per lʼedificazione di un edificio spirituale, che possa reggere le tempeste che si abbatteranno – e con sicurezza esse si abbatteranno – sul discepolo che, con tutto se stesso, si voglia consacrare alla realizzazione della Iniziazione ad una più alta Conoscenza, ad una più alta vita spirituale. Del resto, tempeste – tempeste terribili e devastanti – si sono già abbattute, e si abbatteranno siucuramente in futuro, sulla Comunità spirituale, sulla Comunità Solare. Per rendersi conto del fatto che così debba essere, basterebbe leggere dalla La Sacra Bibbia, versione riveduta nel 1924, del testo originale tradotto dal lucchese Giovanni Diodati nel 1607, da parte di Giovanni Luzzi della Facoltà Teologica Valdese di Roma, il Vangelo, ove in Matteo, 7, 24-27, dal Signore vien detto:
«Perciò chiunque ode queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato ad un uomo avveduto che ha edificata la sua casa sopra la roccia. E la pioggia è caduta, e son venuti i torrenti, e i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma ella non è caduta, perché era fondata sulla roccia.
E chiunque ode queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato ad un uomo stolto che ha edificata la sua casa sulla rena. E la pioggia è caduta, e son venuti i torrenti, e i venti hanno soffiato ed hanno fatto impeto contro quella casa; ed ella è caduta, e la sua ruina è stata grande».
Qualcosa di analogo lo possiamo scorgere in quella che nel Buddhismo Mahâyana, nel Daśabhûmikasûtra, nel Sutra delle Dieci Terre (una sezione dellʼAvataṃsakasûtra, o Sûtra della Ghirlanda di Fiori, che descrive le dieci tappe, o stadi, bhûmi, del procedere di un Arya Bodhisattva), dall’Illuminato Asceta degli Shakya viene chiamata ʽacintya sthânaʼ, ossia la ʽincrollabileʼ, la ʽinconcepibile dimoraʼ. Dal Buddha Shakyamuni la ʽdimoraʼ del Bodhisattva viene definita ʽinconcepibileʼ, perché nel suo procedere – procedere compassionevole in quanto egli vuol portare alla salvezza, alla Liberazione, e all᾿Illuminazione tutti gli esseri – il Bodhisattva ha realizzato la ʽGnosiʼ, la folgorante comprensione sovraconcettuale della ʽvacuitàʼ, essenza della Sapienza Trascendente, la Prajñâpâramitâ, dalla quale soltanto nasce la Illimitata Compassione, la Mahâkaruṇâ. Di fronte all᾿idea della ʽvacuitàʼ molti ricercatori arretrano spaventati, perché non la comprendono, anzi, neppure giungono a concepirla, o anche solo vagamente a intuirla. Forse costoro dovrebbero riflettere a quello che il Signore – in Matteo, 8, 19-20, risponde ad uno scriba:
«Allora uno scriba, accostatosi, gli disse: Maestro, io ti seguirò dovunque tu vada. E Gesù gli disse: Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figliuol dell’uomo non ha dove posare il capo».
Questo perché l᾿Io sono non si appoggia su niente, mentre può sorreggere tutto. E – repetita inscientibus semper iuvant, ossia: le cose ripetute giovan sempre agl’ignoranti – una volta di più, occorre porre davanti allo sguardo interiore le già più volte citate parole di Massimo Scaligero, scritte in Magia Sacra. Una via per la reintegrazione dell᾿uomo, Tilopa, Roma, s.d. ma 1966, p. 205: «Chi vuole appoggiarsi, non può reggersi. Chi vuole reggersi, non ha capito».
Quella di sottovalutare la funzione del pensare, e di conseguenza quella di negligere, o addirittura evitare il fattivo, volitivo, intenso, sicuramente faticoso, impegno ascetico nella ʽVia del Pensieroʼ, nella fervida pratica interiore, viene ad essere – e non è affatto un giuoco di parole – una forma di irresponsabile ʽspensieratezzaʼ, che oggi, data la gravità dei tempi presenti, e di quelli ancora più difficili che verranno, nessuno si può permettere: nessuno, oramai, dovrebbe mai più permettersi.
Certo, la rosicruciana ʽVia del Pensieroʼ è una ʽViaʼ oltremodo esigente, ed il percorrerla è procedere su un aspro sentiero, irto di ostacoli, di difficoltà. Ma occorre non dimenticare mai – come non lo dimentica mai il Bodhisattva che ha fatto voto di salvare tutti gli esseri senzienti – che la vita di miliardi di persone è ben più difficile, ben più dolorosa, e a volte ben più insopportabilmente straziante, di quella di tanti sedicenti ʽspiritualistiʼ dall’insufficiente coraggio, dal troppo tiepido amore per lo Spirito, dalla troppo fiacca volontà, e dalla troppo grande comodità interiore, e non dimenticare mai, inoltre, che a quei miliardi di esseri umani dal destino è stata negata quella ʽLuceʼ spirituale, che a noi, invece, fu largamente donata, e non sempre da noi nel suo pieno, alto, valore adeguatamente apprezzata e venerata. Anzi vediamo che, ogni giorno che il Cielo manda, miliardi di persone – ed è ben doloroso doverlo constatare – affrontano – ancorché privi della ʽLuceʼ a noi donata – la vita, le sue tragedie, le sue difficoltà, privazioni e prove dolorose, con più coraggio, con più saggezza, con più generosità, con più lealtà, con più gratitudine, con più solidarietà e autentica umanità verso i propri simili di tanti sedicenti ʽspiritualistiʼ. Quel che costantemente, con la parola e con l’esempio, insegnò Massimo Scaligero è che «non si può seguire lo Spirito, ed essere borghesi nell’anima». Ossia. non si può vivere ʽal risparmioʼ, essere ʽavariʼ nell’impegno interiore, procedere in maniera ignave, evitando i pericoli, con la vile ʽprudenzaʼ dei pavidi. Ché vivere a ʽal risparmioʼ non è certo ʽvivereʼ. Pericoli – anche estremi – che, lo si voglia o no, incombono comunque, pericoli che non verranno affatto evitati mediante paura e viltà, le quali non solo non proteggono, ma indeboliscono ulteriormente, e addirittura espongono, sconsideratamente, a maggiori pericoli.
Eppure, per non dimenticare la centralità del ʽpensareʼ, del ʽpensare puroʼ, di quel ʽpensare libero dai sensiʼ, che con troppa disinvolta ʽpre-sunzioneʼ è stato dichiarato essere una «esperienza spontanea, ma non cosciente, e quindi egoistica» – e questa categorica, dogmatica, ʽpre-suntuosaʼ, affermazione è sicurissimamente un attacco allo Spirito, un vero e proprio attacco al Graal – centralità che ha, e deve avere, nella ʽVia dellʼIniziazioneʼ dei Nuovi Tempi, basterebbe rileggere, e più volte ben meditare, quanto Rudolf Steiner scrive nel quinto capitolo, La conoscenza dei mondi superiori. (Dellʼiniziazione), de La Scienza Occulta nelle sue linee generali, trad. di E. de Renzis ed E. Battaglini, rivista da W. Schwarz, Gius. Laterza e Figli, Bari, 1947, pp. 249-251:
«Per chiarire questo punto bisogna riflettere che il pensiero umano, quando si stimola interiormente con energia, arriva ad abbracciare un campo molto più vasto di quello che di solito gli viene assegnato, poiché il pensiero contiene un’essenza interiore, la quale è in rapporto con il mondo soprasensibile. L’anima di solito non è cosciente di questo rapporto, perché è abituata a educare il suo pensiero soltanto per il mondo dei sensi, e giudica perciò incomprensibili le comunicazioni tratte dal mondo soprasensibile; ma queste sono comprensibili, non soltanto per il pensiero educato alla disciplina occulta, ma anche per ogni pensiero, che sia cosciente di tutta la propria forza e desideroso di servirsene. Assimilando continuamente in tal modo gl’insegnamenti dell’investigazione occulta ci si abitua a pensieri che non sono tratti dalle percezioni dei sensi; s’impara a riconoscere che nell’intimità dell’anima un pensiero viene contessuto dall’altro, un pensiero si associa all’altro, anche quando il loro nesso non è determinato dalla forza dell’osservazione sensoria. L’essenziale è il fatto di accorgersi che il mondo del pensiero ha una vita interiore, e che mentre si pensa ci si trova nel campo di una forza soprasensibile vivente. L’uomo dice a sé stesso: «Vi è, in me come un organismo formato di pensiero; Io sono però tutt’uno con esso». Abbandonandosi al pensiero libero dai sensi si diventa coscienti di un’essenza che fluisce nella nostra vita interiore, così come le proprietà delle cose sensibili che noi osserviamo con i sensi fluiscono in noi attraverso i nostri organi fisici. L’osservatore dei mondo fisico dice: «Là fuori, nello spazio, vi è una rosa; essa non mi è estranea, perché mi si rivela, per mezzo del suo colore e del suo profumo». Orbene, quando agisce nell’uomo il pensiero libero dai sensi, basta ch’egli sia spregiudicato per poter dire ugualmente a sé stesso: «Qualcosa di essenziale si rivela a me, ricollega in me un pensiero all’altro e costituisce in tal modo un organismo formato di pensiero». Allora si può dire con ragione: «Agisce in me un alcunché di essenziale»; come pure si ha diritto di dire: «Ricevo un’impressione dalla rosa, quando vedo un determinato colore, o percepisco un determinato profumo.
… Non vi è nessuna contraddizione nel fatto di avere attinto il contenuto dei propri pensieri dagl’insegnamenti dell’investigatore spirituale. I pensieri già esistono quando ci abbandoniamo ad essi; ma non si potrebbero pensare se non si creassero ogni volta a nuovo nell’anima. Si tratta appunto di questo: che l’investigatore dello spirito desti nel suo uditore o lettore dei pensieri, che questo deve attingere anzitutto in sé stesso, mentre colui il quale descrive delle realtà sensibili indica qualcosa che può essere osservato dall’uditore o dal lettore nel mondo sensibile».
Massimo Scaligero, in colloqui che periodicamente avevamo nel suo studio in Via Cadolini a Roma, alcune volte volle rievocare quel ʽmagicoʼ momento, carico di destino, nel quale – era una primavera dei primi Anni Quaranta del secolo scorso – egli aprì ʽcasualmenteʼ – ma per un occultista, ovviamente, il ʽcasoʼ non esiste – la Scienza Occulta di Rudolf Steiner esattamente nel punto nel quale erano scritte le parole sopra riportate. Una volta, volle addirittura indicarci le pagine dellʼedizione di Laterza, del 1932, che, in quei memorabili momenti, egli ebbe la ʽfeliceʼ ventura di leggere. Questi furono i pensieri che fecero sì chʼegli, per la prima volta, riconoscesse la grandezza spirituale di Rudolf Steiner, ossia che lo riconoscesse come il «Maestro dei Nuovi Tempi», e che sulla base di un tale autonomo riconoscimento del ʽMaestroʼ e della ʽViaʼ, che così inaspettatamente gli si apriva, decidesse di abbandonare i sentieri dellʼOriente e della Tradizione, da lui in precedenza seguiti, e di consacrarsi completamente alla Scienza dello Spirito, alla rosicruciana Anthroposophia, da lui in precedenza misconosciuta, criticata, e avversata.
Egli stesso volle descrivere quello che potremmo chiamare lʼ«incontro» per antonomasia – quello decisivo – che significò la svolta radicale nella sua vita e nella sua ascesi in risposta al suo interrogare il Cielo e il destino. Così possiamo leggere nella edizione originale, quella non arbitrariamente alterata, curata da Massimo Scaligero stesso, di Dallo Yoga alla Rosacroce, Perseo, Roma, 1972, pp. 66-67:
«Così avvenne che un giorno io avessi la risposta dalla direzione che meno mi aspettavo. Era un pomeriggio di primavera e stavo seduto su una comoda sedia per leggere qualcosa di semplice – giornale o rivista – prima di rimettermi al lavoro, quando, mancandomi un qualsivoglia foglio o libro di leggera lettura, allungai la mano verso un reparto della libreria in cui raccoglievo i volumi di scarso interesse o di frivola lettura e ne trassi La Scienza occulta di Rudolf Steiner.
… Trassi dunque dalla libreria La Scienza occulta, proprio per leggere qualcosa di semplice come una favoletta o un racconto sensazionale, dato che non avevo altro sotto mano. Aprii a caso il libro verso a metà e il mio occhio andò su una frase che immediatamente mi colpì: mi parve dirmi qualcosa di molto familiare: lessi e rilessi il periodo, lo meditai alquanto, e lʼimpressione di trovarmi dinanzi a qualcosa di essenziale gradualmente si accrebbe in me. Lessi ciò che veniva prima di quel punto e quello che veniva dopo, e mano a mano avevo la certezza di trovarmi dinanzi a quello che mi attendevo da tempo. Sulla scorta di UR, avevo bensì già letto e apprezzato volumi dello Steiner come Iniziazione e Coscienza dʼiniziato, ma in quanto seguivo fedelmente Evola e Guénon, avevo accettato da questi autori una critica severa riguardo allʼinsegnamento dello Steiner. Da anni conosco serie di ricercatori che, in base a tale critica, hanno rifiutato lʼAntroposofia di Rudolf Steiner: non conosco nessuno che, dopo aver accettato tale critica, abbia poi avuto la forza di ricredersi e di riconoscere nello Steiner, per a u t o n o m a revisione critica, qualcosa di più che un Maestro, il Maestro.
Capii dunque dʼun tratto che forse mi attendeva un lavoro nuovo di verifica dei valori sui quali mi ero sino ad allora appoggiato. Mi sprofondai nella lettura della Scienza occulta, per avere conferma di una precisa impressione interiore: di pagina in pagina cominciai a riconoscere il paesaggio a me familiare: da quella esposizione però balzava un significato, come la relazione interna, o lʼessenza, che dava senso al tutto: la idea di cui la serie delle imagini era il linguaggio o lʼalfabeto: e tale significato, nel libro medesimo, rimandava a un metodo di conoscenza, il contatto con il quale cominciò parimenti per me essere come un r i c o n o s c e r e, o un r i c o r d a r e, qualcosa che già avevo realizzato con i miei mezzi, facendo dello yoga il mio yoga.
Ricordo che quel giorno, chiudendo il libro, ebbi per la prima volta lʼidea che dietro la figura e lʼopera di Rudolf Steiner si celasse la personalità del Maestro che molti affannosamente cercano in Oriente o nei recessi della Tradizione».
Dunque, la vissuta esperienza interiore che allora Massimo Scaligero ebbe nel leggere le pagine nelle quali Rudolf Steiner parla – indicandola apertamente come decisiva per lʼintero cammino iniziatico del discepolo dellʼIniziazione – del «pensiero puro», del «pensiero libero dai sensi», fu tuttʼaltro che una «esperienza spontanea, ma non cosciente, e quindi egoistica», come – in maniera davvero insana e improvvida – fu scritto. Anzi, essa fu una esperienza frutto e culminazione di una ʽdeliberata ascesiʼ, di una ʽascesiʼ di una intensità per molti difficilmente immaginabile, e, come tale, essa fu unʼesperienza supremamente ʽcoscienteʼ, che portò Massimo Scaligero alla scelta di consacrare, oltre i limiti dell’ego, l’intera sua vita alla realizzazione della ʽVia del Pensiero Viventeʼ, e – quando gli fu chiesto dallʼAlto – alla generosa, sacrificale, opera di orientamento, e indicazione di tale ʽViaʼ nei confronti dei sinceri ricercatori dello Spirito.
LʼAscesi Solare alla quale Massimo Scaligero – dopo lʼ«incontro» e il «riconoscimento» della figura spirituale di Rudolf Steiner – consacrò, con una dedizione ed una abnegazione senza pari, lʼintera sua vita, sino ai suoi ultimi istanti, fu tuttʼaltro che «una via incompleta e superata», come – in maniera altrettanto insana e improvvida, e persino insolente – fu esplicitamente detto, ventisei anni fa, a me personalmente, in casa mia, e davanti ad una testimone, da chi meno di tutti avrebbe dovuto, non fosse altro che per debito di gratitudine verso il Maestro. Quella Ascesi Solare fu, per parafrasare una mirabile espressione del Śûraṅgamasûtra, uno dei più bei Sûtra del Mahâyâna, il ʽGrande Veicoloʼ dei Bodhisattva, un «procedere eroico», una «marcia eroica». Un tale «procedere eroico» portò Massimo Scaligero allʼincontro con il Logos in totale indipendenza da tutte forme confessionali vigenti, soprattutto da quelle promananti dalla nota potenza straniera dʼOltretevere che, nel suo materialismo spirituale – mi si passi l’ossìmoro – vorrebbe realizzare, come esplicitamente dichiarò Rudolf Steiner, la paralisi, l’oscuramento e la morte dell’anima cosciente, la distruzione totale della Scienza dello Spirito, e a tal fine, oramai da oltre un secolo, con ogni mezzo illecito, immorale e criminale, instancabilmente si adopra.
Sin nellʼultimo incontro, chʼegli ebbe con alcuni di noi – era la sera 25 gennaio 1980, nel quale, come ogni ultimo venerdì del mese, dalla nostra città venivamo a Roma per il Rito della meditazione con lui – Massimo Scaligero affrontò, come faceva con insistenza negli ultimi anni, il tema del ʽrealismoʼ, che come ʽrealismo materialisticoʼ, ʽscientificoʼ, ʽeconomicoʼ, ʽreligiosoʼ, ʽmetafisicoʼ, persino ʽantroposoficoʼ, vede la realtà come esistente in sé, fuori dellʼatto del conoscere, fuori del quale, invece, nulla è vero, nulla è reale. Egli mostrò come tale ʽrealismoʼ sia la più potente arma antispirituale mediante la quale lʼOscuro Signore domina lʼessere umano, obnubilando la sua coscienza, paralizzandone la volontà, corrompendone la natura, cercando di trascinarlo definitivamente nel subumano. Ad un tale inferiore, antispirituale, ʽrealismoʼ, Massimo Scaligero opponeva un superiore, autenticamente spirituale, ʽrealismo del pensareʼ, il ʽrealismo etericoʼ, chʼegli chiamava anche ʽrealismo christicoʼ, o ʽrealismo del Logosʼ: nulla a che vedere con quel fideismo confessionale, che, nella sua dimensione di impotenza conoscitiva, ne è la pavida, rinunciataria, caricaturale, negazione. Che, persino in un campo che si pretende ʽreligiosoʼ, le cose stiano esattamente così è quanto afferma Rudolf Steiner nella VI conferenza, La legge del destino – tenuta a Monaco il 30 maggio 1907 – de La Saggezza dei Rosacroce, trad. italiana a c. di Iberto Bavastro, Editrice Antroposofica, Milano, 1973, pp. 67-68:
«Il materialismo ha agito sin nella religione. Non sono forse materialisti coloro che «credono» a un mondo spirituale, ma non vogliono conoscerlo? Questo è materialismo religioso, materialismo che desidererebbe veder svolgere davanti agli occhi il mistero della creazione in sei giorni, proprio come la grande evoluzione del mondo è descritta nella Bibbia, lo stesso materialismo che parla del Cristo Gesù come di una «personalità storica», senza badare al mistero del Golgota. il materialismo della scienza è soltanto una conseguenza del materialismo religioso; non esisterebbe se la vita religiosa non fosse impregnata di materialismo. Chi oggi non si sforza di approfondire il fenomeno religioso, contribuisce a produrre il materialismo nella scienza».
Ed oggi, la mondanissima compromissione della confessione, sedicente ʽcristianaʼ, facente capo alla suddetta nota potenza straniera d’Oltretevere, nel suo ʽrealismo sociologicoʼ, ʽpoliticoʼ, ʽpsicologicoʼ, ʽeconomicoʼ, è scesa a forme di ʽmaterialismo religiosoʼ persino più basse, persino più volgari e gravi di quelle prospettate da Rudolf Steiner in quella conferenza e in molte altre, ch’egli terrà negli anni successivi. In quellʼultimo incontro – egli ci lasciò poche ore dopo – opponendosi ad ogni forma di ʽrealismo antispiritualeʼ, pur mascherato dietro mille forme dialettiche, Massimo Scaligero chiese a quelli di noi, che quella sera eravamo presenti nel suo studio, apertamente di essere e rimanere rigorosamente fedeli a questo ʽrealismo del pensareʼ, alla esperienza ascetica – cioè non speculativa o filosofica, ma meditativa – del momento eterico del concetto.
Questo ʽrealismo del pensareʼ portava, inevitabilmente, come istanza ultima della Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner, a sfociare in quello che Novalis avrebbe chiamato «idealismo magico», secondo il quale: «tutto è nel pensiero, e nulla è fuori del pensiero», per cui «il pensiero, essendo unica realtà, è una prigione dalla quale non si può fuggire, perché non ha mura». Rudolf Steiner nel V capitolo, La conoscenza del mondo, della Filosofia della Libertà, trad. di Dante Vigevani, Editrice Antroposofica, Milano, 1966, pp. 71-72:
«La ragione per cui il pensare viene di solito trascurato nella considerazione delle cose, l’abbiamo esposta precedentemente (cfr. pag. 36 e seguenti). Essa consiste nella circostanza che noi dirigiamo la nostra attenzione soltanto sull’oggetto intorno al quale pensiamo, e non contemporaneamente anche sul nostro pensare. La coscienza primitiva tratta perciò il pensare come qualcosa che non ha nulla a che fare con le cose, ma ne rimane interamente in disparte, e in disparte fa le sue considerazioni sul mondo. L’immagine che il pensatore si forma dei fenomeni del mondo, non ha valore come qualcosa che appartiene alle cose, ma che esiste soltanto nella testa dell’uomo; il mondo è completo anche senza questa immagine. Il mondo è lì, completo in tutte le sue sostanze e forze; e di questo mondo completo in sé, l’uomo si fa un’immagine. Ma a chi pensa così, bisogna domandare: «Con che diritto considerate voi completo il mondo, senza il pensare?».
Massimo Scaligero, nell’ormai lontano 1970, mi inviò attraverso la lettera di L. – l’amico che mi fece l’inestimabile dono (un debito per me inestinguibile) di farmi conoscere la ʽVia del Pensieroʼ, e il Maestro – questo pensiero, che mi ha accompagnato per decenni come un aureo tema di meditazione, e che per me è la sintesi dell’«idealismo magico», che sta alla base della Filosofia della Libertà:
«La Via è dominare in maniera cosciente il momento dinamico del pensiero, che dà a se stesso la forma di concetto e nella percezione diviene oggetto».
Questa, del resto, fu la culminazione alla quale giunse lʼAscesi del Mahâyâna nella scuola Yogâcâra: la dottrina della Vijñaptimâtratâ, la dottrina della ʽsola coscienzaʼ. Del resto, Massimo Scaligero stesso ci fece più volte presente come il sorgere, oltre le forme del Buddhismo più antico, del Mahâyâna, delle realizzazioni ascetiche della śûnyatâ, della ʽvacuitàʼ, della scuola Madhyamaka di Nâgârjuna, della Vijñaptimâtratâ, della ʽsola coscienzaʼ, della scuola Yogâcâra dei fratelli Asaṅga e Vasubandhu, fosse un evento christico, conseguenza dell’evento del Golgotha, realizzazioni che nulla avevano a che fare con le forme di quel cristianesimo confessionale, che sempre di più andrà involvendo nelle forme degenerescenti del cattolicesimo. Naturalmente, si tratta del ʽpensiero-folgoreʼ, non del mero filosofico pensiero riflesso, ossia si tratta del ʽpensiero viventeʼ, che Massimo Scaligero ci ha instancabilmente indicato – e lo fece altresì in quelle ultime memorabili ore della sua vita – chiedendo a noi, esplicitamente, di rimanere fedeli a questa ʽViaʼ: appunto, a questa ʽViaʼ, e non a unʼaltra.
Potrà forse stupire qualche lettore questo mio ripetuto nominare lʼAscesi, temerariamente audace, del Mahâyâna, di scuole come quella del ʽCammino di Mezzoʼ, del Mâdhyamakamarga di Nâgârjuna, quella della ʽpratica dello yogaʼ, dello Yogâcâra di Asaṅga. Ora, la biografia tramandata di Asaṅga riferisce come, in seguito ad un gesto di commossa compassione, gli si fosse manifestato il Bodhisattva – e futuro Buddha – Maitreya, il quale lo condusse nel cielo di Tuṣita, ove lo illuminò con le dottrine del Vijñânavâda, ʽdella coscienzaʼ, del Vijñaptivâda, ʽdel contenuto della coscienzaʼ, o vijñaptimâtra, della ʽsola coscienzaʼ, o cittamâtra, della ʽsola menteʼ. A questo proposito, è veramente prezioso quanto scrive Massimo Scaligero nellʼVIII capitolo, Il vuoto e la quiete delle Gerarchie, de La Via della Volontà Solare, Fenomenonolgia dellʼUomo Interiore, Edizioni Tilopa, Libreria Rocco, Napoli, 1962, pp. 282-283:
«Il ricercatore può ravvisare nella storia spirituale dell’Oriente, a partire dallʼEra Cristiana, il senso univoco delle diverse correnti metafisiche, soprattutto nel Buddhismo, da quando il grande Nâgârjuna, prendendo le mosse dal pratitya samutpada dissolve il mondo delle parvenze nel “vuoto”, che è ugualmente di là da e s s e r e e n o n–e s s e r e , ma in pari tempo in tale direzione indica il pensiero come funzione capace di liberarsi dellʼattività concettuale in cui ordinariamente si determina, in realtà non viene negato nulla del Buddhismo delle origini: si può dire anzi che esso venga svolto in forme di conoscenza possibili appunto per la presenza di un impulso ulteriore che è la volitiva via verso lʼautocoscienza, riconoscibile anche quando si accende il grande contrasto dialettico tra il Buddhismo e le principaliscuole dellʼInduismo.
… È evidente che tale elemento interiore nuovo converge verso la conoscenza del “vuoto” e si collega con il Terzo Veicolo, o Veicolo Adamantino: è la vocazione di Vasubandhu e Asanga. Secondo la loro biografia scritta da Paramârtha, i tre fratelli Asanga, Vasubandhu, Virincivasta, appartenevano inizialmente alla scuola Sarvastivâdin, che è il realismo del Piccolo Veicolo, ma questa dottrina non era sufficiente ad Asanga, che si elevò per virtù della meditazione al cielo Tushita, ove ricevette dal Buddha Maitreya lʼinsegnamento che poi espose negli scritti consacrati alla dottrina del «nullʼaltro che coscienza» (vijñaptimâtra)».
La sottovalutazione della funzione del pensare allʼinterno della ʽComunità Spiritualeʼ, della ʽComunità Solareʼ, è una forma di superficiale e sciocca ʽspensieratezzaʼ, che può avere conseguenze molto gravi. È una ʽspensieratezzaʼ irresponsabile, che denota lʼappannarsi della lucidità della coscienza e lo sfrangiarsi della tensione della volontà nei confronti dello Spirituale. In tempi così calamitosi, come quelli che stiamo vivendo, in tempi che potrebbero rivelarsi ʽfataliʼ, per lʼuomo, e persino ʽfatali senza ritornoʼ, sarebbe necessario scuotersi, con celere urgenza, dal torpido, e troppo comodo, narcotico sonno che stordisce, obnubila, fiacca, imborghesisce quelli che – per decisione prenatale – dovrebbero essere i ʽguerrieri dello Spiritoʼ, i ʽcombattenti della Schiera di Micheleʼ.
Non si tratta affatto di una mera questione ʽteoreticaʼ, ʽgnoseologicaʼ, ʽfilosoficaʼ, ovverossia di una mera ʽconvinzione intellettualeʼ, una delle tante, troppe, soggettive ʽopinioniʼ, delle quali è da sempre infetto il mondo. Anzi, il nostro ʽintelligentissimoʼ, e, ovviamente, tanto ʽilluminatoʼ, mondo moderno ha persino creato una apposita ʽprofessioneʼ, lautamente retribuita dal ʽpotereʼ: quella degli ʽopinionistiʼ – ʽopinion-makersʼ, ossia ʽfacitori d’opinioniʼ, li chiamano anglofoni ed anglomani – accreditati ed unici autorizzati, che sui giornali, alla radio, in televisione, e in internet, spadroneggiano e, con aria di compunta serietà, si fanno ʽpersuasori occultiʼ – mai nomen fu più eloquente e rivelatore omen – ed ʽeducatoriʼ, abili ʽmanipolatoriʼ delle ingenue, impreparate, incolte, menti delle – ai loro occhi, naturalmente – inintelligenti, stupidissime, masse. Si tratta, invece, di una questione ʽvitaleʼ della Scienza dello Spirito: ʽvitaleʼ per la vita dellʼanima, la quale – senza una salda e sicura base conoscitiva, corrompendosi – facilmente può essere trascinata nel fallace mondo delle soggettive illusioni, delle morbose visioni, della più insidiosa, menzognera e tossica medianità.
Più volte, su questo animoso blog, è stato messo in evidenza che avere cosiddette ʽpercezioniʼ, o ʽvisioniʼ, pretese ʽspiritualiʼ, di per sé non significa proprio nulla, perché ʽpercezioniʼ e ʽvisioniʼ possono sì essere autentiche, ossia corrispondenti ad obbiettiva realtà, ma spessissimo – molto più frequentemente di quel che molti ingenui ʽrealistiʼ, poco o per nulla pensanti, neppure minimamente sospettano – sono solo sogni, o morbose allucinazioni, patologiche manifestazioni psichiche in conseguenza di alterati stati corporei, di stati medianici di coscienza, anzi dʼincoscienza, provenienti da una equivoca ʽtrascendenza dal bassoʼ. Come ebbi umoristicamente a scrivere anni fa – quis vetat ridendo dicere verum? – con gente che ha ʽpercezioniʼ e ʽvisioniʼ, ossia gente sicuramente in ottima fede, ma che ʽingenuamenteʼ e ʽrealisticamenteʼ credono, con assoluta sincerità, in maniera totalmente acritica, alle più improbabili e infondate ʽesperienzeʼ, ci posso riempire treni interi, bagagliaio e posti in piedi compresi.
Che soltanto attraverso lʼesperienza cosciente del pensare, unicamente su sé fondato, sia possibile raggiungere una totale, assoluta, certezza, e che soltanto su tale cosciente esperienza sia possibile dare base sicura, fondamento incrollabile alla Scienza dello Spirito, e non sul misticismo del sentimento, o sulle soggettive percezioni visionarie, che son sempre in qualche misura medianiche, è quanto Rudolf Steiner apertamente afferma nella sua Filosofia della Libertà, già nella Prefazione alla seconda edizione, del 1918, ove, nella limpida ed esatta traduzione di Dante Vigevani, alle pp. 9-10, leggiamo:
«Quando, a suo tempo, scrissi il libro, mi limitai a non dire più di quanto nel senso più stretto sia in relazione con le due questioni sopra indicate. E se qualcuno dovesse stupirsi di non trovare ancora in questo libro nessun accenno al campo dell’esperienza spirituale di cui ho trattato in scritti miei più recenti,voglia considerare che, a quel tempo, non intendevo dare una descrizione dei risultati che si ottengono con l’indagine spirituale, ma soltanto costruire le fondamenta sulle quali tali risultati possano appoggiarsi. Questa Filosofia della libertà non contiene nessuno di quegli speciali risultati, così come non contiene, nessun particolare risultato, delle scienze naturali; ma di ciò che essa contiene non potrà, a parer mio, fare a meno chi aspiri alla certezza in questo genere di conoscenze».
E nel III capitolo, Il pensiero al servizio della comprensione del mondo, alle pp. 38-39, indica una esperienza interiore del pensare – nella sua interezza e massima intensità sperimentabile unicamente da chi si consacri totalmente alla pratica della Concentrazione – che sola può essere fondamento ad ogni altra esperienza, e dare assoluta certezza alla Conoscenza:
«Ma per chiunque abbia la capacità di osservare il pensare – e con un po’ di buona volontà questa capacità può averla ogni uomo normalmente organizzato – tale osservazione è la più straordinariamente importante di quante egli ne possa fare. Poiché qui l’uomo osserva qualcosa che egli stesso produce: non si trova di fronte ad un oggetto a lui estraneo, ma alla sua stessa attività. Egli sa come sorge quello che osserva, vede i nessi e i rapporti. Vien conquistato così un punto fisso, dal quale si può con fondata speranza muovere verso la spiegazione di tutti gli altri fenomeni del mondo.
Il sentimento di possedere questo punto fisso indusse il fondatore della filosofia moderna, Renato Cartesio, a basare tutta la conoscenza umana sulla frase: «Io penso, dunque sono». Ogni altra cosa, ogni altro divenire, è là senza di me, non so se come verità, o come illusione o sogno. Una sola cosa io so in modo del tutto sicuro, in quanto io stesso la porto a sicura esistenza: il mio pensare … La più semplice affermazione che posso fare riguardo ad una cosa è che essa è, che esiste. Come questa esistenza si debba poi determinare più esattamente, al primo momento non posso dirlo per nessuna cosa che appaia all’orizzonte della mia esperienza. Bisogna prima, per ogni oggetto, esaminare i rapporti che esso ha con altri, per poter determinare in che senso si può parlare della sua esistenza. Un processo sperimentato può essere una somma di percezioni, ma può anche essere un sogno o un’allucinazione. In breve, non posso dire in quale senso esso esista. Questo, potrò anche non dedurlo dal processo, ma lo sperimenterò quando lo considererò in rapporto ad altre cose. Ma anche allora non potrò in fondo sapere se non in quale rapporto esso sta con queste cose. Il mio cercare arriva su terreno solido soltanto quando riesco a trovare un oggetto per il quale io possa ricavare il senso della sua esistenza dall’oggetto medesimo. Ma tale sono io stesso come essere pensante, in quanto do alla mia esistenza il contenuto preciso e poggiante in sé dell’attività pensante. Da qui posso io ora partire, e domandare: «Esistono le altre cose nello stesso senso o in un altro?».
E, poco oltre, a p. 40, per chi abbia sguardo acuto, e – ancora una volta – voglia sinceramente intendere, e non volutamente fraintendere, Rudolf Steiner indica lʼ«atto» interiore che, nella Concentrazione profonda, realizza la «contemplazione», lʼ«osservazione», la «percezione pura» del pensare stesso :
«Quello che con la natura è impossibile – il creare prima di conoscere – col pensare noi lo facciamo. Se volessimo aspettare di conoscere il pensare prima di pensare, non arriveremmo mai a pensare. Dobbiamo risolutamente pensare per poter poi, per mezzo dell’osservazione di ciò che noi stessi abbiamo fatto, arrivare alla conoscenza di esso. Per l’osservazione del pensare dobbiamo noi stessi creare prima un oggetto. Per l’esistenza di tutti gli altri oggetti è stato invece provveduto senza la nostra cooperazione».
Che poi è lʼesperienza ascetica da compiersi volitivamente, liberamente, e non imposta dalla natura, che Massimo Scaligero indica nel Trattato del Pensiero Vivente. Una via via oltre le filosofie occidentali, oltre lo Yoga, oltre lo Zen, III ediz., Tilopa, Roma, 1979, ove nel capitolo VII, pp. 21-23, ove scrive:
«Il pensiero pensante può essere obiettivato, così come per ora ordinariamente si giunge ad obiettivare il pensiero astratto. Questa operazione è la concentrazione del pensiero mediante un tema. Occorre sul filo stesso del procedimento del pensiero avvertire la necessità logica dell’ascesi pensante.
… Lʼobiettivazione del pensiero pensante, o del pensiero in quanto sintesi dinamica, comporta il sorgere dellʼIo fuori delle condizioni della riflessità. Ma è già lʼazione dellʼIo. Per essere, ora esso non ha bisogno di riflettersi nellʼastrattezza che lo riduce al sensibile: comincia a vivere in quanto ha come supporto il moto sintetico del pensiero, in cui lʼastrattezza è dissolta.
Nella meditazione, o nella concentrazione, non coinvolto nel sensibile, lʼIo vede esterno a sé il pensare, ma, parimenti, non viene coinvolto dal sensibile, in quanto può vedere obiettivamente il pensiero: comincia a essere indipendente dalle condizioni della natura, la quale normalmente per via del pensiero può astringerlo a sé.
LʼIo può volersi nell’esistere, secondo libertà: può creare oltre il già creato, in quanto comincia a conoscere terrenamente un vivere che prima gli era estraneo: un vivere oltre quel passato che obbliga lʼuomo sotto forma di natura, tradizione, cultura, ed è errore se diviene condizione dell’esistere, fuori del principio dell’Io da cui sostanzialmente origina.
LʼIo può vedere il pensare libero nella sua oggetti vita: il pensare che pensa il mondo, onde può penetrare il segreto del mondo. Normalmente, lʼaderire dell’uomo al mondo dei sensi non è un penetrarlo, ma un essere afferrato dalle correnti della natura.
Innanzi allʼIo libero, il mondo dei sensi sorge come mondo sovrasensibile, perché penetrato nel fondamento: quello che erroneamente si cerca oltre il conoscere, fuori dellʼIo».
Questa è ʽVia oltre lo Yoga, oltre lo Zenʼ, insuperata, e superatrice di ogni antica ʽViaʼ, che Massimo Scaligero, dopo il riconoscimento della figura di Rudolf Steiner come Maestro dei Nuovi Tempi, con tutto se stesso praticò durante tutta la sua vita, la realizzò con una Ascesi senza uguali, e incitò noi a realizzarla a nostra volta. Questa, veramente, è – malgrado quel che, in casa mia e davanti ad una testimone, fu detto da chi maniera sciocca, presuntuosa, calunniosa e insolente, accusò Massimo Scaligero di essere ʽorientaleʼ, ʽyoghicoʼ, ʽbuddhistaʼ, di ʽmancare di rapporto con il Logosʼ, ʽcon il Graalʼ – e, non solo lo è, ma lo sarà sempre, la «Via perfetta», la «Via completa» e «insuperata», che due vecchi Iniziati – asceti di altra dottrina, a me infinitamente cari, che moltissimo ammiravano Massimo Scaligero, e che ora sono nei Campi Elisi – definirono essere la «Via Regia», la «Via Numero Uno», la «Via senza supporti», la «Via senza appoggi», la «Via senza mediazioni», la «Via diretta».
Naturalmente, questo «risolutamente pensare» è un «atto» della volontà che va a colpire, come un maglio pesante, la reazionaria natura inferiore, avida di statica e passiva inerzia, dellʼessere umano, e quindi per nulla gradito a tale ìnfida e infìda natura, da troppi millenni dominata da avverse potenze antispirituali. Non vi è da farsi illusione alcuna: questo attivo «atto» della volontà, che contrasta, e tende a dissolvere, la passiva, statica inerzia di questa asservita e asservente natura, costa moltissima fatica, e richiede – esige – grandi sforzi, instancabilmente ripetuti, e tenacia, volontà risoluta di persistere in tali ripetuti sforzi per tempi talvolta molto lunghi.
Chi si consacra, con dedizione totale, con sacrificale abnegazione, alla costante pratica della Concentrazione – «lʼesercizio a sé sufficiente» lo definiva Massimo Scaligero – affrontando ricorrenti, frequenti, e per nulla gratificanti, periodi di aridità, che possono essere ogni volta non brevi, porta avanti una durissima lotta interiore contro la decadente, traditrice natura, lotta che va condotta con energia, senza sentimentalismi, senza misericordia, senza mai abbassare la guardia. Gli esseri umani che non cercano la liberazione dai lacci di questa natura, che si adeguano al degradante e abietto servaggio verso di essa, sono – come dicono in Oriente – «bestiame utile agli Dèi distruttori», i quali, ovviamente, non hanno affatto piacere a perdere «capi di bestiame».
Lʼantica, infida natura inferiore, reazionaria nemica di ogni mutamento della condizione di abietto servaggio dellʼuomo, ha facile giuoco nel tentare di persuadere molti a desistere anche solo dal tentare la difficile, aspra, faticosa ʽVia del Pensiero Viventeʼ: unica possibilità di liberazione – e non ve n’è un’altra – dalla schiavitù rispetto al tirannico dominio, che su gli esseri umani, tramite la natura inferiore, hanno le antispirituali avverse potenze ostacolatrici. La millenaria ʽabitudineʼ dellʼanima – ché nullʼaltro è se non una tenace, ostinata, ottusa, ʽabitudineʼ, della quale sarebbe savio disfarsi prima possibile – a rimettersi passivamente alle dinamiche della vicenda corporea, a far della ʽpsicheʼ, ossia della parte dellʼanima coinvoltà nella vicenda somatica, un impotente epifenomeno della vita corporea, fa sì che facilmente lʼessere umano si faccia convincere a scegliere un mero, e ben scadente, illusorio, ʽsurrogatoʼ della autentica ʽViaʼ spirituale. La ʽcomodità interioreʼ – che Marie Steiner, la fedele ʽcompagna dʼarmiʼ spirituale di Rudolf Steiner, definiva, assieme allʼambizione, al sentimentalismo mistico, come uno dei peggiori nemici dello Spirito – fa sovente preferire ad una scomoda ʽVia eroicaʼ una più comoda, torpida, ʽvia egoicaʼ, nella quale – permanendo lʼabietto servaggio – si possa tranquillamente continuare a ʽdormireʼ, e a ʽsognareʼ. I ʽsogniʼ, certamente, possono anche essere bellissimi, e presentarsi con caratteri di impressionante grandiosità, ed essere, proprio per questo motivo, pericolosamente illudenti.
In taluni casi, poi, comodità interiore, sentimentalità mistica, e ambizione, possono presentarsi tra loro unite in una sciagurata, empia, ʽalleanzaʼ, e questa loro ʽalleanzaʼ porta – presentandosene lʼoccasione – allʼemergere prepotente di una egoica volontà di autoaffermazione, ad una violenta brama di potere, di incontrastato dominio, che a sua volta può portare tragicamente al disastro – come più volte è avvenuto già un secolo fa, ma anche in anni più recenti – intere Comunità spirituali. Lʼincapacità – o la non volontà – di sollevarsi dal soggettivo, passivo, poco cosciente, sognante, livello dellʼanima a quello oggettivo, attivo, pienamente autocosciente, sveglio dellʼIo, dello Spirito, è la causa del sottrarsi, spesso camuffato, al faticoso, risoluto, impegno nella ʽVia del Pensieroʼ, nella intensiva pratica della Concentrazione.
Quando, poi, egoica autoaffermazione, divorante brama di potere personale, scaturite da comodità interiore, sentimentalità mistica, e ambizione, crescono sino a dar luogo ad una sorta di sciagurata ʽinflazione dellʼegoʼ, in taluni casi, può verificarsi una corruzione tale delle forze dellʼanima, che – malgrado ogni forma di autoillusione, anzi proprio a causa di essa – può manifestare inaspettate, pericolose, forme di cinismo e di malvagità. Un tale ʽegoʼ enfiato può sentirsi legittimato – spacciando la cosa come una forma di ʽfantasia moraleʼ – ad azioni niente affatto ʽpuliteʼ, ma giustificate – a loro dire – da un preteso ʽnobile fineʼ, dimenticando che Massimo Scaligero, citando il sapiente cinese Lü-tzu, affermava che «lʼignobile mezzo ingiusto perverte il fine che si pretende esser nobile e giusto».
A chi, poi, pur preso da quelle tre male figlie della inferiore – corrotta e corruttrice – natura, sempre dominata e mossa da antispirituali avverse potenze ostacolatrici, voglia esercitar ʽspiritual magisterioʼ, e nella condizione di chi, evitando o persino avversando la radicale ʽVia del Pensieroʼ, si dia anima e corpo – è proprio il caso di dir così – come ad un sostitutivo ʽsurrogatoʼ, ad una passiva, semicosciente, sognante ʽvia dellʼanimaʼ, non sovvengano sempre le disiate ʽvisioniʼ e ʽcelesti rivelazioniʼ, vi è la tentazione – come, purtroppo, si è dovuto spesso obbiettivamente constatare – di ʽaffabulareʼ, ossia di ʽinventareʼ, di ʽimmaginareʼ, di ʽmentireʼ, sostituendo al ʽVeroʼ – alla ʽVeritàʼ, in quelle condizioni, non sperimentata, né sperimentabile – quel che si ritiene ʽverosimileʼ: ossia mera apparenza del ʽVeroʼ: e, in quanto tale, comunque menzogna.
Conciosiacosaché dalla soggettiva ʽillusioneʼ si scivola sciaguratamente nella ʽsuperstizioneʼ, e nella sfacciata ʽciarlataneriaʼ. E se qualcuno si permettesse di far notare le inevitabili incongruenze, le palesi, stridenti, contraddizioni, le assurdità, le non verità che scaturiscono da un cotal indegno modo di procedere, allora si scatenerebbe la più violenta avversione nei confronti di chi, volendo unicamente difendere la ʽVeritàʼ, avesse l’ardire di sollevar dubbi circa l’ambiguo, preteso, ʽspiritual magisterioʼ e sugli ʽerroriʼ che da esso fossero scaturiti. Si accuserebbe lʼincauto, il temerario suscitator di dubbi, di ʽspudorata presunzioneʼ, di ʽirriverenzaʼ, di ʽmeschinitàʼ, di ʽesser mosso da oscuri finiʼ, di ʽseminar discordiaʼ, di ʽessere paranoicoʼ, ʽmalatoʼ, di ʽesser posseduto dagli Ostacolatoriʼ, ʽbisognoso di severa correzioneʼ, e gli si farebbe attorno ʽterra bruciataʼ, lo si calunnierebbe, lo si infamerebbe nel peggiore dei modi. Il tutto, naturalmente, ʽa fin di beneʼ, in definitiva per il ʽsuo stesso beneʼ, e per quel ʽbene di tuttiʼ, ʽbeneʼ da costui – sempre a loro dire, ovviamente – messo in serio pericolo. Evenienze queste – provocate tutte da una soggettiva deviazione dall’autentico Sentiero della Conoscenza, dall’aver smarrita, o dimenticata, o addirittura mai veramente avuta, ʽl’intenzione originariaʼ come direbbe, con la delicatezza che la caratterizza, la mia sapiente amica Fang-pai: evenienze dalle conseguenze tragiche, purtroppo, sin troppo spesso viste.
Prima di andare avanti, prima di immergerci nella visione della ʽViaʼ data da Rudolf Steiner. e rimessa al centro da Massimo Scaligero, prima di esporre – per quel che le poche e deboli forze del qui scrivente consentono – attingendo al tesoro di Aurea Sapienza comunicato da Rudolf Steiner, quanto di più delicato vi è dei contenuti della Scienza dello Spirito, ossia ciò che riguarda il ʽMisteroʼ – inteso proprio nel senso ʽmistericoʼ – del Graal, è bene provvedere prima a ripulire il terreno da quanto indebitamente, insozzandolo, vi è penetrato. Prima di accingersi a principiar la Grande Opera, è necessario, assolutissimamente obbligatorio, come direbbero gli Elleni, far come Ercole, l’antico Eroe Solare, ossia ʽripulir le stalle di Augiaʼ. È quel che, appunto, necessariamente faremo nel proseguo del presente studio.