AMOR VERITATIS. PARTE PRIMA.

Un poʼ rapsodicamente, mi riallaccio a quanto da me scritto nel precedente studio, circa il modo a dir poco imprevedibile e stravagante, del quale si servirono il Cielo e i Numi per condurre chi qui scrive, e che allora ancor viveva nella sua totale adolescenziale gioiosa spensieratezza, là dove lo volevano condurre. Ve lo volevano condurre, ovviamente, perché era assolutamente necessario condurvelo. E ciò – come accennato nel precedente studio – senza minimamente richiedergli, per quel chʼio ricordi almeno, nessun preventivo ʽconsenso informatoʼ. Ducunt fata volentem, nolentem trahunt, come affermava venti secoli fa lo stoico romano Seneca nella sue Epistulae morales ad Lucilium, 107, 11, 5, il quale in latino traduceva quanto aveva scritto secoli prima lo stoico greco Cleante, Stoicorum Vetera Fragmenta, ed. von Armin, I, 527, con ciò volendo significare che il destino e i fati con mano dolce conducono chi volontariamente con essi collabora, ma costringono, anche rudemente, chi stoltamente cerchi di contrastarli. E, nel mio caso, che non ero né volente né nolente, bensì beatamente incosciente, fu cosa buona, anzi ottima, che il tutto si fosse svolto così, perché se la faccenda fosse dipesa dagli ardenti slanci e dalla poca o punta saggezza del sottoscritto, sicuramente ne sarebbe scaturita solo una grande confusione, accompagnata da non pochi terrificanti guai, dei quali ero allora tanto abilissimo quanto insano e improvvido facitor.

Sicuramente il Cielo e i Numi, di certo alquanto più saggi di quel giovin adolescente entusiasta ch’io ero, avevano le idee ben chiare circa la mèta da farmi, volente o nolente, raggiungere, ed eziandio quale fosse il sentiero necessario per raggiungerla. Per cui i miei passi vennero condotti su sentieri che, nella mia spensierata inscienza, neppure mi sarei mai immaginato di dover percorrere. Mi ritrovai così a qualche decina di chilometri dalla mia città natale, in una tranquillotta borgata della campagna toscana, che allora contava sì e no (secondo me, più no che sì) mille anime. Occasione ne era stata il fatto che allʼIstituto Nazionale di Ottica sulla collina di Arcetri non avevano più aule sufficienti per la formazione degli allievi, il cui numero non faceva che crescere, e venne di conseguenza deciso di formare una sorta ʽdependenceʼ nella suddetta amena e pacifica borgata del contado toscano. Ivi, vi fu inviato, tra gli altri, anche mio fratello, a quel tempo ricercatore ad Arcetri in forza della mitica “Fondazione Ignazio Porro”, per impegnarsi a fondo nel campo della docenza.

Mio fratello ben conosceva la svolta che vi era stata nella mia vita, e la scelta di un nuovo sentiero spirituale nel quale, abbandonando le Vie dʼOriente da ambedue precedentemente seguite, intendevo asceticamente impegnarmi a fondo. Anzi, poiché lui stesso si era accostato alla Scienza dello Spirito, mi fece una proposta, che davvero ʽnon potevo rifiutareʼ: mi chiese di metter fine al mio spensierato girovagare, e di trasferirmi ad abitar secolui in quellʼamena borgata campagnola, dove avrei avuto tutto lʼagio e la calma necessaria per dedicarmi agli esercizi della Via, nonché allo ʽstudioʼ, ossia, more rosicruciano – alla elaborazione meditativa dei testi sacri della Scienza dello Spirito. Io, tutto contento di una cotale logistica soluzione, mi trasferii armi e bagagli a casa di mio fratello nella suddetta amena borgata del contado toscano.

Quello fu uno dei periodi più felici della mia vita. Avevo moltissimo tempo a disposizione, e me lo potevo gestire come meglio credevo. Dopo qualche mese, mio fratello mi fece una seconda proposta, la quale nel tempo si rivelò – essa pure – feconda di notevoli sviluppi di destino: visto che avevo molto tempo libero, mi chiese di iscrivermi ai corsi che si svolgevano nella scuola che allora si trovava ancora sotto lʼegida dellʼIstituto Nazionale di Ottica di Arcetri, fondato e diretto dal Prof. Vasco Ronchi, personalità scientifica di eccezione. Giacché mi avanzava abbastanza tempo, decisi di dedicarmi anche allo studio dellʼOttica, cosa che feci con molta passione. Soprattutto affrontai lo studio analitico e dettagliato di alcune opere del Prof. Vasco Ronchi, che riguardavano lʼOttica, intesa come Scienza della Visione, e non come un particolare ramo della fisica: concezione ch’io trovavo estremamente interessante. Il Prof. Ronchi aveva una vasta cultura umanistica, conosceva lingue antiche e moderne, conosceva bene la storia della scienza, ed aveva una preparazione filosofica di primʼordine. Era stato proposto ben sei volte come premio Nobel per la fisica.

Lʼandare in profondità nello studio dellʼopera di Ronchi mi tornò molto utile, proprio perché egli rappresentava, a livello scientifico, la posizione più avanzata e logicamente più rigorosa e consequenziale della ricerca sulla natura della percezione. Nei quattro anni nei quali rimasi prima come studente e poi come collaboratore nella ricerca e nella docenza in quella pacifica e sonnolenta borgata campagnola (ma molto anche negli anni successivi), mi dedicai con lena alla lettura intensiva del testo fondamentale del Prof. Vasco Ronchi, Sui fondamenti dellʼAcustica e dellʼOttica, edito allʼinterno della collana Pubblicazioni della Fondazione «Giorgio Ronchi», vol. 9, 1967, cm 17 x 24, 304 pp. con figure n.t., pubblicato a cura della prestigiosa casa fiorentina Leo Olschki, confrontandolo con le opere ʽfilosoficheʼ – o, per meglio dire, ʽfilosofaliʼ – di Rudolf Steiner, ossia La teoria della conoscenza della concezione goethiana del mondo, Verità e scienza, e la Filosofia della libertà

Tra i docenti con i quali ebbi a che fare, dai quali tutti ricevetti moltissimo per la mia formazione scientifica, voglio ricordare con particolare gratitudine lʼIng. Eddo Mario Bartoli, che mi fu ʽmaestroʼ in varie materie, soprattutto per la Matematica, con lezioni indimenticabili sullʼessenza del calcolo integro-differenziale, e per la Geometria della Radiazione Ottica, una delle materie che poi avrei insegnato per decenni. LʼIng. Bartoli, persona amabilissima del quale sia mio fratello che io divenimmo amicissimi sino a star sovente insieme, in maniera conviviale, come allegri commensali, aderiva convintamente alle teorie ronchiane sulla percezione, e nellʼinsegnamento univa un estremo rigore concettuale ad una capacità di semplificazione – e di esemplificazione – di materie scientifiche per molti di ardua comprensione e assimilazione. Il Prof. Ronchi e lʼIng. Bartoli mi fecero amare un mondo di pensieri di estremo rigore: un mondo di pensieri di una rara bellezza e di un nitore stellare.

Fu importante per me educarmi ad un cotale rigore di pensieri, che nulla avevano di collusione con quelle guaste sfere psichiche emotive e istintive, che che di solito ammalano la vita animica della maggior parte degli esseri umani. Molti umani sentirebbero addirittura di ʽnon vivereʼ se venissero separati da una tale avvilente dipendenza, da una simile abietta sudditanza rispetto a quella torbida e deforme ʽnatura inferioreʼ, alla quale essi sono talmente in maniera coatta identificati, da scambiare per propria ʽlibera spontaneitàʼ, quel che da quella infida ʽnaturaʼ viene loro coercitivamente imposto.

Quel che nella mia adolescenza mi aveva fatto innamorare – perdutissimamente innamorare, lo confesso – dellʼinsegnamento del Buddha Shakyamuni, per me eredità di antiche vite, era proprio la sua oggettiva, affatto apsichica, non emotiva, analisi della condizione umana, che al suo risvegliato ed equanime sguardo appariva essere una condizione di ʽebrezzaʼ, di vera e propria ʽubriacaturaʼ, di ʽstordimentoʼ, di ʽoblioʼ, di autentica ʽalienazioneʼ, di ʽagitazioneʼ, di ʽdis-trazioneʼ dalla essenziale natura dell’essere umano. Per il Buddha Shakyamuni una tale condizione umana è patologica, ed egli – seguendo la prassi della savia antica medicina indiana – di una sì esiziale malattia dà una severa e oggettiva diagnosi, ne individua le cause descrivendone con limpida chiarezza lʼetiologia, formula la prognosi della possibile guarigione nel caso che il paziente voglia seguire convintamente le indicazioni del terapeuta, e prescrive nel Nobile Ottuplice Sentiero la terapia che porterà, se fedelmente attuata, alla completa guarigione del malato.

Naturalmente, lʼessere umano dellʼantica civiltà indiana soffriva di un male meno esiziale, meno radicale, molto meno pericoloso, di quello che oggi soffre lʼuomo della presente, sempre più disumanizzante, moderna civiltà tecnologica. Lʼuomo attuale – data lʼestrema gravità del suo male, per di più da questi, nella maggior parte dei casi, neppure minimamente intuito – necessita di una terapia abupta, di una massiccia terapia dʼurto che affronti, senza concessioni o compromissioni ʽpietoseʼ, la condizione di un essere umano che, rispetto ad un uomo antico, orientale od occidentale, è sprofondato molto di più nellʼabisso antispirituale: abisso nel quale egli rischia di perdere senza ritorno la propria umanità. La Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner, e la Via del Pensiero che, come filone aureo, ne scaturisce ad opera di Massimo Scaligero sono nel mondo attuale la necessaria terapia abrupta, la Via diretta allo Spirituale, e al contempo, appunto, il farmaco urgente per lʼuomo di questo tempo – per ogni uomo – per la guarigione dal male che lo affligge e che rischia di distruggerlo. Da questo punto di vista, non posso che rimandare a quanto scrisse con parole limpidissime, che non possono lasciare in proposito a nessuno dubbio veruno, Massimo Scaligero in Guarire con il pensiero, Edizioni Mediterranee, Roma, 1975, p. 51: 

«Il pensiero diviene movimento puro dellʼIo, ove attui il proprio essere indipendente dai veicoli mediante cui si manifesta. Il fatto che il pensiero rimanga inconsciamente legato a tali veicoli – lʼorgano cerebrale e lʼoggetto pensato – spiega la sua difficoltà a intendere come in nessuna direzione debba cercare la l i b e r t à se non nel proprio puro movimento, e spiega di conseguenza le attuali retoriche della libertà. Lʼuso egoico della libertà, presumente il passaggio da una determinazione astratta alla sua realizzazione pratica, è sostanzialmente in funzione degli istinti, in quanto contrasta il rapporto della coscienza con le proprie forze di profondità. Il potere si manifesta con contenuto diverso, a seconda che risponda ad un controllo assunto oppure smarrito dallʼIo: dalla propria sfera esse operano positivamente per la coscienza, nella misura in cui questa realizzi la funzione dellʼIo, che le è propria, e non cerchi altrove ciò che, sul proprio piano, soltanto essa può attuare: lʼautonomia dal sistema nervoso, la reale libertà».

Queste parole dovrebbero essere ampiamente sufficienti per chi – come direbbe il Buddha Shakyamuni – abbia «poca polvere sugli occhi», ossia per chi veramente possa e voglia capire, ma la natura umana è oltremodo infingarda e possiede lʼastuzia dei millenni durante i quali essa è stata dominatrice incontrastata del poco consapevole essere umano. Poco consapevole perché lʼAutocoscienza, la reale autonomia della individuale coscienza umana, è il risultato finale di un lungo, tortuoso e sofferto processo: non è affatto qualcosa da cui, nella sua millenaria storia, lʼuomo sia potuto partire. Ma un tale uomo, non ancora realmente e pienamente autocosciente, viene portato con facilità ad eludere lo sforzo per un autentico risveglio spirituale attraverso una energica Ascesi del pensiero, e a cercare, invece, nel ʽsentireʼ un surrogato meno impegnativo, e più consolante, del faticoso sforzo dellʼimpegno che una volitiva Ascesi del Pensiero, senza fare sconti, imperiosamente esige. Si evita così di compiere lo sforzo di sollevarsi dal livello passivo dellʼanima a quello energicamente attivo dello Spirito. Su questo ʽsentireʼ, che viene sovente proposto – e in taluni casi persino apertamente contrapposto – come strumento di una sedicente ʽvia dellʼanimaʼ che dovrebbe sostituire lʼautentica ʽVia dello Spiritoʼ, molti si fanno alquante pericolose illusioni. Per questo motivo, voglio riportare quel che scrive, sempre nel citato Guarire con il pensiero, alle pp. 54-55, Massimo Scaligero come ʽterapiaʼ urgente per lʼessere umano che voglia guarire dal suo male radicale:

«La guarigione passa attraverso lo svincolamento del ritmo del sentire dal sistema nervoso: per solito ciò si verifica inconsciamente mediante processi di dolore, morale o fisico. In effetto, una coscienza indipendente dal sistema nervoso dovrebbe accogliere il sentimento, o lʼimpulso: allora sarebbe presente, in sostanza, il soggetto conoscitore: quello che normalmente manca, in quanto il contenuto senziente giunge ad esso, avendolo già coinvolto. Lʼuomo è quasi sempre il soggetto preso dal sentimento o dallʼimpulso, piuttosto che il soggetto sperimentatore e conoscitore.

Entrando nella rete nervosa, il contenuto reale del sentire viene alterato: nella psiche e nel corpo domina di esso la sensazione lesiva del piacere o del dolore: cioè la forma gradevole o sgradevole della reazione senziente, connessa alla «rappresentazione» del contenuto. Mediante un simile «rappresentare», contessuto come immediato con la sensazione fisica, lʼelemento soggettivo si estrinseca in piacere o dolore, riguardo a un contenuto interiore in realtà non conosciuto. Di esso infatti il soggetto ha solo la sua reazione secondo quel rappresentare: che, come si è osservato, è il segno del vincolo immediato della coscienza al sensibile: la brama. In effetto, il pensiero riflesso, condizionato dalla cerebralità, e la brama, si corrispondono mutuamente».

Oltre che rivolgersi al ʽsentire misticoʼ, per lʼuomo attuale che cerchi di evitare il sollevarsi dalla passività sognante dellʼanima allʼesperienza cosciente dello Spirito, la tentazione è quella di tentare le vie di un equivoco ʽmagismo della volontàʼ, attraverso le esperienze medianiche della magia cerimoniale, spacciata per Teurgia, o Magia Divina, o di una inevitabilmente sfaldata, ancor peggio che medianica, magia sessuale, spacciata questa, in maniera menzognera, per ʽTantrismoʼ, o addirittura per ʽAlchìmiaʼ. Un lucido pensare scientifico, nella sua oggettiva impersonalità, ha sicuramente un livello di coscienza ben superiore sia al ʽsentire misticoʼ, che ad un tale sfaldato ʽmagismo della volontàʼ i quali, inevitabilmente, oggi, non si sottraggono ad una torbida collusione con le zone torpidamente sognanti e dormienti dellʼanima. Non è alimentando o galvanizzando queste semicoscienti o totalmente incoscienti sfere di quest’ultima, che ci si sottrae ai limiti cogenti dellʼanima, che poi sono i limiti dellʼumana animalità bramosa. E questo lo affermò spesso, e apertis verbis, in scritti e conferenze, lo stesso Rudolf Steiner. Come dice Hegel, riportato da Rudolf Steiner nel primo capitolo della sua Filosofia della Libertà, trad. di Dante Vigevani, Editrice Antroposofica, Milano, 1966, p. 21: «Il pensare fa sì che lʼanima, di cui anche lʼanimale è dotato, divenga spirito».

Devo ringraziare davvero gli anni passati a studiare lʼOttica come Scienza della Visione, così come essa veniva esposta dal Prof. Vasco Ronchi, sia per lʼaddestramento ad un pensare scientifico rigoroso che potei esigere da me, sia perché potei, attraverso un tale addestramento, compiere una sorta di distacco da una antica ʽanima asiaticaʼ, che mi era connaturata. Mi resi presto conto che, per esempio, le ʽformeʼ, di per sé mirabili, attraverso le quali nellʼantica India, lo Spirito si era espresso nei Veda, nelle Upanishad, così come nelle varie manifestazioni che nel corso di molti secoli il Buddhismo aveva assunto, quello Spirito oramai non lo incarnavano più, e all’uomo moderno, oggi, in quella forma, esse non possono donare più nulla. Mi resi conto che la vertiginosa esperienza dellʼAtman, o del Purusha, ossia dellʼIo Superiore, del quale parlano appunto le Upanishad, dovevano essere cercate e conquistate non più, come in antico, in una oramai impossibile trascendenza evadente lʼumano, bensì in una audace immanenza mai prima sperimentata dagli antichi asceti, e che la stessa corrente cosmica del Buddhanon le sue pur affascinanti, ma ormai esaurite, forme esteriori – oggi è congiunta con la coraggiosa esperienza, rigorosamente individuale, dellʼelemento sovraindividuale del Logos nel pensare, che si sperimenti indipendente da ogni mediazione. Sempre Massimo Scaligero, in Graal. Saggio sul Mistero del Sacro Amore, Perseo, Roma, 1969, nel primo capitolo, intitolato La Via Adamantina dʼOccidente, a p. 17, così scrive:

«Il sistema orientale che massimamente sembra sviluppare i temi di un magismo erotico, rispondente allʼesigenza del tipo umano attuale, in effetto manca dellʼelemento radicale imprescindibile alla situazione dellʼuomo caduto: il moto del freddo pensiero astratto che, scaturito come pensiero scientifico, cela in sé il potere di una dimensione trascendente, riconoscibile nel suo carattere di impersonalismo puro. Tale valore metafisico, presente nellʼesperienza scientifica occidentale, sfugge tuttavia allo scienziato come al filosofo. Nellʼaridità dellʼagnostico pensiero matematico, in effetto brilla una fredda luce, segno inavvertito di una invisibile luce di vita, più prossima alle nitide linee della geometria e della logica formale, che non alle tensioni della psiche yoghica o mistica. Tale pensiero, recato a coscienza e afferrato nella sua incorporeità, si rivela scaturente da una corrente di vita, la cui dynamis è appunto ciò che lo yoga tantrico chiama kundalini». 

Il Prof. Vasco Ronchi – che Massimo Scaligero conosceva bene, e che in un colloquio mi definì un «uomo coraggioso» – aveva una profonda onestà intellettuale, che lo portava a trarre le conclusioni più rigorose dalle esperienze scientifiche: sia da quelle sue proprie che da quelle altrui. Non sempre negli autori che coltivano discipline scientifiche, ho riscontrato altrettanto rigore e altrettanta onestà. Ciò portò il Ronchi a dover affrontare per decenni tutta una serie di polemiche per smascherare sia vari errori scientifici in buona fede, nati da una certa trascuratezza e faciloneria di metodo, sia, in altri casi, vere e proprie menzogne, provenienti nella fattispecie da forme di «ideologia», esposte con elaborata dialettica e spacciate mentitamente per «scienza». Lʼaver difeso coraggiosamente, a viso aperto, la verità scientifica contro le facilonerie dei pressappochisti e contro le menzogne ideologiche di una falsa scienza, è ciò che gli impedì di ricevere il premio Nobel per la fisica, malgrado che ad esso egli venisse candidato per ben sei volte. Nei suoi scritti, egli individuava con precisione chirurgica quelle che nelle pubblicazioni di vari autori egli chiamava «ipotesi clandestine», ossia non dichiarate premesse che di scientifico non avevano nulla, e che anzi riflettevano mere opinioni personali indimostrate, o posizioni «ideologiche», che si cercava di fare accettare dogmaticamente come assiomi evidenti. Di tali posizioni Ronchi dimostrava, ogni volta con una serrata argomentazione logica, lʼassurdità, la contraddittorietà dal punto di vista scientifico, e – oserei dire con spietatezza chirurgica – esponeva altresì quali oggettive, sperimentali, esperienze scientifiche apertamente smascheravano quelle disoneste, non dichiarate, «ipotesi clandestine». Ogni volta il suo rigore scientifico, lʼonestà intellettuale, il coraggio e la sua integrità morale, suscitavano in me grande ammirazione, ed erano per me un modello di quella impersonalità che dovevano avere ai miei occhi il pensare e, in generale, il conoscere di un sincero cercatore della Verità. 

Il Prof. Ronchi, nel suo lungo e coraggioso operare per una onesta scienza, ha sicuramente ben meritato dalla Verità. Quel che stupisce è, in molti casi, di non trovare di fronte alla Verità, nel campo spirituale che qui precipuamente ci interessa, altrettanto coraggio, altrettanta integrità e drittura morale, altrettanta consequenzialità sul piano di una ʽlogica dellʼessenzaʼ (come la chiamava Massimo Scaligero), che è pur sempre la logica del Logos, quanto e quanta ne dimostrò, costantemente e coerentemente, il Prof. Ronchi in un campo come quello della fisica, che non ha certo pretese di ʽmagistero spiritualeʼ, tanto meno ʽiniziaticoʼ ed ʽesotericoʼ.

Rudolf Steiner nei suoi scritti ʽfilosoficiʼ, o ʽfilosofaliʼ, descrive e dimostra come sia possibile seguire, con estremo rigore logico, uno sperimentale cammino conoscitivo, audacemente privo di ʽpre-suppostiʼ e a fortiori privo di ʽpre-giudiziʼ, e di conseguenza anche di volutamente non dichiarate, e quindi non oneste, ʽipotesi clandestineʼ. Questo perché lʼessere del pensare non necessita di ʽpre-suppostiʼ di sorta all’atto del proprio essere, ché unicamente il suo essere in atto è, dinamicamente, al contempo, ʽformaʼ, ʽattoʼ, e ʽsostanzaʼ del suo stesso essere, che, appunto, non ha necessità di alcun ʽsupportoʼ ad esso estraneo.

Altrettanta radicale empiria mostra Massimo Scaligero ne La logica contro l’uomo, Tilopa, Roma, 1967, recante come sottotitolo eloquente Il mito della scienza e la via del pensiero, ove nel primo capitolo della prima parte, Il problema a cui si sfugge, pp. 9-16, e nel primo capitolo della seconda parte, La ricerca dellʼIo, pp. 155-161, descrive in maniera rigorosamente razionale il cammino per realizzare operativamente lʼesperienza cosciente, sovrarazionale ed estrarazionale, priva di ʽpre-suppostiʼ, dellʼatto puro del pensare vivente, poggiante unicamente su se stesso e non necessitante di ʽsupportiʼ di qualsivoglia specie. Una tale Via senza ʽappoggiʼasparśa, ʽsenza contattoʼ (come in qualche modo sperimenta chi, inoltrandosi in acque profonde, arriva ʽlà dove più non si toccaʼ) lʼavrebbe definita in India Gaudapada, uno dei padri del Vedânta – invita allʼatto di supremo coraggio del Bodhisattva, descritto dal Buddha Shakyamuni nel Laṅkâvatâra Sûtra, come lʼâśraya-paravrtti, ossia la «revulsione degli appoggi» o «rovesciamento dei supporti»: atto di fronte al quale fugge terrorizzato chi sia bramosamente preda del servaggio corporeo e della visione mondana, necessitante di illusorio appoggio. 

Lʼazione di rinunciare allʼillusorio appoggio è al contempo un atto di coraggio e di conoscenza. Solo da una tale conoscenza può scaturire un coraggio così autenticamente ʽrivoluzionarioʼ da poter esser legittimamente definito, nel senso etimologico del termine, ʽsovversivoʼ, ossia ʽribaltatoreʼ, ʽrovesciatoreʼ o ʽsovvertitore degli appoggiʼ. Giova, perciò, riportare ancora una volta – repetita immemoris saepe iuvant – le parole di Massimo Scaligero, già apparse su questo sovversivo e temerario blog, da lui scritte in Magia SacraUna via per la reintegrazione dell’uomo, Tilopa, Roma, 1966, p. 205, là dove così dice:

«Occorre educarsi a non aver paura di sprofondarsi in sé. Si deve tendere al coraggio di non necessitare di sostegno: di lasciare il sostegno su cui, senza saperlo, ancora ci si sostiene.

Ci si sostiene sempre. Ma a un tratto si scopre che questo sorreggersi è illusorio: che il volersi sostenere è rinunciare a sostenersi: è un rinunciare a essere veramente vivi.

Non c’è bisogno di appoggiarsi a nulla: se l’Io comincia ad essere.

Chi si appoggia, non può reggersi.

Chi vuole reggersi non ha capito».  

Questo audace scegliere di esser fondati su nullʼaltro che su se stessi, attuato attraverso una radicale «revulsione degli appoggi», implica quello che – per usare una immagine classica, molto fascinosa, del Chʼan cinese o dello Zen giapponese – può essere chiamato un «lasciare la presa», uno sciogliere, un decontrarre e distendere il crampo interiore che da tempo immemorabile avvince l’essere umano allʼirreale come ad un illusorio supporto. Ma non è il Chʼan cinese o lo Zen giapponese, per quanto seducenti essi appaiano agli occhi di molti, quelli che – oggi – possono aiutare lʼuomo attuale ad attuare questo «lasciare la presa», così come non possono più aiutare le forme e i metodi del Buddhismo storico, perché quelle forme e quei metodi oramai sono stati abbandonati dallʼimpulso vitale-spirituale che un tempo li animava. La corrente cosmica del Buddhismo originario – come mi disse in un colloquio Massimo Scaligero – oggi è congiunta con lʼimpulso e la forza del Logos, segretamente presente, come trascendenza immanente, nella forza e nellʼatto del pensiero che volitivamente pensa. Naturalmente, come non si tratta delle forme storiche, oramai disanimate, dell’antico Buddhismo, non si tratta neppure di quel ʽLogos teologicoʼ, che nelle confessioni sedicenti cristiane ha – salvo sempre più rare eccezioni – solo una spettrale immagine caricaturale. Ma questʼultimo punto è, come vedremo nel proseguo del presente studio, un limite tuttʼaltro che chiaro a coloro che nellʼAntroposofia vorrebbero surrettiziamente ʽsostituireʼ una egoicamente comoda ʽvia dellʼanimaʼ alla eroica ʽVia dello Spiritoʼ, alla impegnativa e faticosa ʽVia del Pensiero Viventeʼ.

La Verità non fa sconti a nessuno, e vuole essere amata in maniera assoluta, incondizionata, e unicitaria. La Verità vuole essere amata in maniera totale, esclusiva, con donazione integrale di sé, e non può concedere di essere accolta solo parzialmente, per così dire a rate o a fette, o accettata sub condicione, con espresse o inespresse riserve, ed opportuni accomodamenti che, in definitiva, lascino intatto il millenario dominio che la natura inferiore, manovrata da intelligenze antispirituali, ha sullʼuomo. Non si può condividere lʼamore per la Verità con quello per le non verità, che la contraddicono e la offendono: questo non sarebbe amore, ma tradimento e adulterio. Quando, il 28 dicembre 1912, per non aver voluto esser complice delle menzogne di Annie Besant e di Charles W. Leadbeater, ed onorare lealmente la Verità, Rudolf Steiner si separò dalla Società Teosofica di Adyar, e dai più fedeli discepoli della Scienza dello Spirito in Germania – Marie von Sivers, Michael Bauer e Carl Unger – venne fondata la prima Società Antroposofica, questa scelse come proprio motto il detto goethiano: «Die Weisheit ist nur in der Wahrheit», che nella lingua di Dante suonerebbe: «La Sapienza, la Sophia, è unicamente nella Verità».

Unicamente nella Verità, dunque, ossia nello Spirito, nel Logos, vi è Sapienza, e non nella menzognera dialettica, nella vuota retorica, nelle ʽveritàʼ di comodo, negli opportunistici accomodamenti per i quali – secondo una concezione della verità a ʽgeometria variabileʼ «a tempi diversi, e in situazioni diverse, si addicono e opportunamente convengono verità diverse». Ovvero, «ogni volta sarà scelto  e/o accettato come vero quel che sarà vantaggioso che sia ritenuto vero».  Il che agli occhi miei, e non solo miei, è ʽadulterioʼ e ʽprostituzioneʼ. Non permetteremo che lʼIside, la divina Sophia, venga profanata da indegne anime mercenarie, da sacrileghi trafficanti dellʼocculto, nonché da quegli astuti ʽinsinuantiʼ che vorrebbero, manoducendola inavvertitamente, trasbordare, con abile operazione ideologica e politica, quella che Massimo Scaligero chiamò la ʽComunità Solareʼ ad un transtiberino ʽpiù sicuro ovileʼ

Una semplice, e difficilissima, operazione interiore, che instancabilmente Massimo Scaligero ci indicava come assolutamente necessaria al ricercatore spirituale, è quella di separare spagiricamente la pura percezione oggettiva dalla indebita mescolanza del suo risuonare soggettivo come sensazione. A sua volta, la sensazione tende a generare una ancor più soggettiva rappresentazione, e ad evocare al contempo, come da una sorta di memoria automatica (una mneme animale la chiama nei suoi scritti Massimo Scaligero), tutta una serie contenuti emotivi ed istintivi, che si mescolano al soggettivo rappresentare alimentandolo e deformandolo ulteriormente. Nella disciplina della percezione pura e in quella del pensiero puro si opera energicamente alla estinzione di tutta questa malata produzione psichica. Lo Spirito opera ad una radicale de-soggettivizzazione dellʼanima. Una tale rettifica dei guasti dellʼanima ed una tale estinzione delle deformazioni della psiche soggettiva non sono certo amate da quelle intelligenze antispirituali, che da millenni dominano lʼessere umano attraverso la sua natura inferiore, e per questo dalle sue profondità incoscienti di questa istigano la poco consapevole anima umana a ribellarsi e a sottrarsi allʼazione dello Spirito, che vuole ordinare il caos umano. Varie sono le forme di elusione e di ribellione alle quali lʼanima umana può venire sobillata al fine chʼessa rimanga schiava e paga delle proprie catene. Si va dalla volgare, rozza, animalesca, reazione istintiva, allʼintellettualizzazione forbitamente dialettica, alle ideologie politiche, alla estetizzazione narcisistica, alla emotiva sentimentalità romantica, al moralismo, al misticismo religioso, alla ricerca della potenza magica, e a molto altro ancora. Poco importa, invero, allʼOscuro Signore se a tener avvinto, mani e piedi, lʼessere umano, e paralizzato il suo Io, siano robuste corde di canapa, o rozze catene dʼacciaio, o preziose, artisticamente decorate, catene dʼoro o dʼargento, o – in maniera ancor più sottilmente insidiosa – catene di profumati e inebrianti petali di rosa, purché egli rimanga schiavo e, possibilmente, giunga financo ad amare le proprie catene e le rassicuranti mura della sua prigione.

Rudolf Steiner, in tutti i suoi scritti, indica come còmpito cruciale per il discepolo dellʼIniziazione quello di sollevarsi dal passivo, soggettivo, livello dellʼanima, a quello oggettivo, attivo, pienamente cosciente dello Spirito, ed indica nella Scienza – naturalmente in quella onesta, seria, non in quella spesso dilettantesca che oramai ovunque circola, e non in quella ideologia scientista che, allora come oggi, taluni, in maniera disonesta quanto interessata, vorrebbero spacciare per autentica Scienza – una buona educatrice allʼoggettività spirituale. Di questʼaddestramento allʼoggettività scientifica egli ne fa una vera e propria forma di Ascesi noetica, mediante la quale lo Spirito, rieducandola, redime lʼanima dalla sua malata soggettività. A tale proposito, pagine esemplari le troviamo nella sua Teosofia. Introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del destino umano, trad. a c. di Ida Levi Bachi, Editrice Antroposofica, Milano, 1994, pp. 141-143:

«Nel mondo sensibile i fatti esercitano sempre la loro rettifica sul pensiero. Se mi faccio una falsa rappresentazione di un fenomeno fisico oppure della forma di una pianta, la realtà mi viene incontro e rettifica il mio pensare. Tutto è diverso, se considero il mio nesso con i campi superiori dellʼesistenza. Questi mi si rivelano soltanto se penetro nel loro mondo con un pensiero già rigorosamente disciplinato. Là il pensiero mi deve dare lʼimpulso giusto, sicuro, altrimenti non troverò la via adeguata, poiché le leggi spirituali che si esplicano in quei mondi non sono condensate fino alla condizione fisicosensibile e non esercitano quindi su di me la costrizione caratterizzata. Sarò in grado di seguire quelle leggi solo a patto che abbiano affinità con quelle che io stesso porto, come essere pensante. Qui devo essere io stesso la guida sicura. Chi persegue la conoscenza deve quindi rigorosamente disciplinare il proprio pensare. I suoi pensieri devono gradatamente perdere del tutto lʼabitudine di seguire il corso usuale. In tutto il loro andamento devono assumere il carattere interiore del mondo spirituale. Egli deve in questo senso potersi osservare e avere il dominio di sé. In lui un pensiero non deve tener dietro a un altro a capriccio, ma solo in modo conforme al rigoroso contenuto del mondo del pensiero. Il passaggio da un pensiero a un altro deve corrispondere alle severe leggi del pensiero. Quale pensatore, lʼuomo deve in un certo senso presentare uniʼmmagine costante di quelle leggi. Tutto quanto non deriva da quelle leggi deve essere da lui vietato al corso dei suoi pensieri. Se gli si affaccia un pensiero prediletto, deve respingerlo, qualora disturbi il corso ordinato della riflessione. Deve reprimerlo se un sentimento personale vuole imporre ai suoi pensieri una direzione che non sia loro inerente.

Platone esigeva da quelli che volevano far parte della sua scuola che prima studiassero matematica. La matematica infatti, con le sue leggi esatte che non si adeguano al corso quotidiano dei fenomeni sensibili, è una buona preparazione per chi cerca la conoscenza. Chi vuol progredire nella conoscenza deve liberarsi di ogni arbitrio personale, di ogni elemento disturbatore; si prepara al suo compito superando con la volontà ogni automatica attività arbitraria del pensare. Impara a seguire unicamente le esigenze del pensiero. Così deve imparare a procedere in tutta lʼattività pensante posta al servizio della conoscenza spirituale. La stessa vita del pensiero deve essere unʼimmagine delle conclusioni e dei puri giudizi matematici. Ovunque si trovi egli deve sforzarsi di pensare così. Fluiscono allora in lui le leggi del mondo spirituale che gli passano davanti senza lasciar traccia finché il suo pensare presenta il carattere abituale, confusionario. Un pensare ordinato lo conduce da sicuri punti di partenza alle verità più nascoste. Questi accenni non vanno però presi in senso unilaterale. Sebbene lo studio della matematica costituisca unʼottima disciplina del pensiero, si può arrivare a un pensare puro, sano e pieno di vita anche senza di essa».

Per questo, provai da sùbito così tanta simpatia per il consequenziale, logico, non istintivo, spregiudicato, assolutamente apsichico, rigoroso e al contempo intuitivo, pensare scientifico del Prof. Vasco Ronchi e dellʼIng. Eddo Mario Bartoli, pensare della cui disciplina, invero, io avevo alquanto bisogno. E mi resi rapidamente conto che lo Spirito, e il Logos, non vivono tanto nei pensati sullo Spirito e sul Logos, i quali in quanto meri pensati sono disseccati, morti, privi di autentica vita, quanto nel momento dinamico del pensiero, nel suo momento genetico, ossia nel volitivo atto del pensare – abbia esso o meno come oggetto pensato lo Spirito o il Logos – che determina se stesso in concetti e idee, oppure, che liberandosi di ogni forma e determinazione, si attua come informale o ʽvuotaʼ forma del suo estraformale essere. Invero, vi è maggiore presenza concreta dello Spirito e del Logos nel lampo del pensare scientifico nel momento in cui esso intuisce una legge matematica o fisica, che non in tutti i sentimentali pensati misticheggianti sullo Spirito e sul Logos, generati perlopiù da una psiche emotiva e istintiva, incapace come tale di affrancarsi dal limite corporeo, dalla mediazione del sistema nervoso, dal giogo della cerebralità. Ovvero, per quel che riguarda lʼasceta della Via dei Nuovi Tempi, vi è maggiore presenza dello Spirito e del Logos nel silente atto  della Concentrazione sul concetto di un insignificante turacciolo di sughero – presenza dello Spirito e del Logos che è concreta, totale, agente e immanente, come segreta, ignota, trascendenza, già sin dai primi momenti dellʼattuarsi della Concentrazione – che non in tutti glʼintelligentissimi e commossi discorsi, filosofici o sentimentali, sullo Spirito e sul Logos. Ma ciò è difficilmente accettabile per quanti, nell’àmbito della rosicruciana Scienza dello Spirito, tendono ad evitare il concreto impegno nella Via del Pensiero, cercando la maniera di sostituire alla faticosa, eroica, ʽVia dello Spiritoʼ, una più comoda, consolante, egoica, ʽvia dellʼanimaʼ

Indubbiamente, per chi voglia permanere nei limiti dellʼanima, ossia voglia non sollevarsi dal livello dellʼanima a quello dello Spirito, eppure desiderare seguire ugualmente un ʽcammino di conoscenzaʼ, possono presentarsi ʽesperienzeʼ dagli aspetti impressionanti, ʽesperienzeʼ la cui fenomenologia può rivestire talora caratteri di grandiosità e di sublimità, tali che a chi in esse sia coinvolto può far credere ad una loro ʽregolaritàʼ, ad una pretesa loro ʽoggettivitàʼ, ed esser, come tali, fonti di certezze in realtà solo apparenti. Se è per questo, anche i sogni possono presentare caratteri di grandiosità così vividi da superare in intensità le abituali percezioni sensorie allo stato di veglia, ma non per questo sogni, e come essi anche le visioni, e le allucinazioni, non restano produzioni soggettive dellʼanima, ed esser talvolta, per la loro natura ingannevole, motivo di molte pericolose illusioni, e persino di deformazioni dellʼanima, nonché causa di comportamenti sociali moralmente non esattamente commendevoli. La storia dellʼOccultismo degli ultimi due secoli è piena di simili aberrazioni, ed io stesso ho avuto modo di constatare vari casi del genere, tuttʼaltro che rari in questa epoca di pretesa asettica e anidra razionalità. Quando, poi, quelle esperienze visionarie vengono comunicate allʼinterno di cerchie a pretese ʽesotericheʼ, nelle quali non vi sia sufficiente senso critico, e talvolta neppure il necessario buon senso, agendo in maniera narcotica nei confronti di un anemico pensare di soggetti dalla debole autonomia, possono ingenerare in coloro che fideisticamente le accolgono stati di forte emotività, fallaci convinzioni, e persino pericolosi fanatismi.

La mancanza di senso critico, e talvolta persino del più elementare buon senso, unita ad una negligente ignoranza di documenti, di opere scritte perfettamente disponibili, e di ripetute comunicazioni orali, chiare ed esplicite, di Rudolf Steiner, può portare, allʼinterno di cerchie che si richiamerebbero – il condizionale in questo caso è d’obbligo – al suo insegnamento e a quello, ad esso strettamente collegato, di Massimo Scaligero, a situazioni veramente paradossali. In taluni casi si giunge non solo a contestare – apertamente o meno – la fondamentalità della Via del Pensiero, come Via ʽscientificaʼ, fondata unicamente su se stessa, priva di ʽpre-suppostiʼ e ʽpre-giudiziʼ ideologici o confessionali, e il metodo di realizzazione che da essa scaturisce, ossia lʼempiria autodimostrativa della Concentrazione, ma addirittura si contrappongono – sempre apertamente o meno – i risultati di una personale, soggettiva, acritica, attività animica, non fondata sullʼesperienza cosciente del momento originario, dinamico, del pensare, ossia si contrappongono ʽpercezioniʼ – ma anche quelle dei sogni sono indubbiamente ʽpercezioniʼ, ma con ciò non sono certo Conoscenza, come non sono e non possono essere Scienzaʽesperienzeʼ o ʽvisioniʼ personali che, ripeto, possono presentarsi anche con caratteri di grandiosità, ma non per questo essere oggettivamente reali, alle comunicazioni di Rudolf Steiner, la cui certezza e oggettività veniva da lui controllata e severamente verificata sulla base dei metodi sicuri della Scienza dello Spirito, talvolta anche per lunghi anni, prima di essere trasmesse al mondo.

È accaduto persino che, di fronte ad esplicite ed inequivocabili comunicazioni di Rudolf Steiner, contraddicenti in maniera plateale personali ʽpercezioniʼ e ʽvisioniʼ, ci si sia rifiutati di esaminarle, o siano state tenute in assoluto non cale, come non fossero mai state da lui pronunciate, o addirittura si è giunti, talvolta, alla calunniosa infamia di accusare il Lascito di Rudolf Steiner – senza avere in mano neppure un minimo straccio di prova – di aver addirittura falsificato la sua parola, là dove io, invece, avevo la prova provata, e scrupolosamente verificata, dellʼesatto contrario. Quando ci si concede, pensando di poterselo tranquillamente permettere, di scivolare su una china così obliqua, si può affermare – come direbbe, con la delicatezza che la contraddistingue, la mia stimata amica Fang-pai, nobile Figlia del Celeste Impero, Maestra del Dharma e di altre cose che taccio – che «si è smarrita o dimenticata lʼintenzione originaria», oppure che, in taluni casi, «non la si è mai avuta», o che sin dall’inizio «non la si è avuta pura, ossia non mescolata ad elementi ad essa estranei»

Mi tocca citare ancora una volta quel che dice il vecchio buon John Ronald Reuel Tolkien, il quale ne Il Signore degli anelli, con sin troppe scontate ragioni, afferma che: «il cuore degli uomini si corrompe facilmente»

Ora, se, pur non volendo o non osando superare i limiti ʽnaturaliʼ dellʼanima dominata dalla natura inferiore, e condizionati da ʽpre-messeʼ e ʽpre-suppostiʼ – frutti di ʽpre-giudiziʼ ideologici o confessionali la cui realtà e consistenza non sʼintende porre in discussione e sottoporre coraggiosamente, per amore della Verità, ad una spregiudicata verifica ʽscientificaʼ – ci si avventura in esperienze estranormali, che si credono sovrasensibili, ci si espone a non pochi pericoli. Anzitutto a quello di scambiare per autentiche ʽesperienze sovrasensibiliʼ quelle che sono invece percezioni allucinatorie, di carattere palesemente medianico, provenienti dalla propria inconsapevole dipendenza dalla corporeità. In questo campo non si è mai troppo o abbastanza prudenti e diffidenti. È stato detto che «una diffidente prudenza è madre della Sapienza». A questo proposito, sono da ben meditare – ripetutamente e profondamente meditare – le parole che Rudolf Steiner pone come Appendice allʼedizione del 1918 del libro LʼIniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?, trad. di Emmelina De Renzis, terza ediz. italiana, Fratelli Bocca Editori, Milano, 1952, pp. 186-187: 

«Nello sperimentare visionario e nelle produzioni medianiche, l’uomo si pone completamente alle dipendenze del corpo. Egli elimina dalla sua vita animica ciò che lo rende indipendente dal corpo nella percezione e nella volontà; e per ciò i contenuti animici e le produzioni animiche diventano semplici manifestazioni della vita corporea. Lo sperimentare visionario e la produzione medianica sono risultati del fatto, che in questo sperimentare e in questo produrre, l’uomo, con la sua anima, è meno indipendente dal corpo di quello che non sia nella vita abituale percettiva e volitiva. Nello sperimentare del soprasensibile, di cui si tratta in questo libro, l’evoluzione dello sperimentare animico procede in direzione opposta a quella dello sperimentare visionario e medianico. L’anima si rende progressivamente più indipendente dal corpo, di quello che non sia nella vita percettiva e volitiva. Essa arriva a quella indipendenza, che si può abbracciare nello sperimentare del pensiero puro, per darsi a una attività animica molto più vasta.

Per l’attività animica soprasensibile, di cui qui è parola, è di straordinaria importanza comprendere con piena chiarezza lo sperimentare del pensiero puro. Perchè, in ultima analisi, questo stesso sperimentare è già un’attività animica soprasensibile; però è tale, che per mezzo di essa non si vede ancora niente di soprasensibile. Si vive col pensiero puro nel soprasensibile; ma è esso soltanto che si sperimenta in modo soprasensibile; non si sperimenta ancora niente altro di soprasensibile. E lo sperimentare soprasensibile deve essere una continuazione di quello sperimentare animico, che può già essere raggiunto nell’unione col pensiero puro. Perciò è tanto importante di potere sperimentare questa unione in modo giusto; perché appunto dalla comprensione di questa unione risplende la luce, che può anche recare una visione giusta della natura della conoscenza soprasensibile. Ma appena lo sperimentare animico dovesse abbassarsi al di sotto della chiara coscienza che si esplica nel pensiero, questa visione si troverebbe, per la vera conoscenza del mondo soprasensibile, sopra una via sbagliata; essa verrebbe afferrata dalle funzioni corporee. Ciò che essa sperimenterebbe e produrrebbe non sarebbe allora una manifestazione proveniente per suo mezzo dal soprasensibile, ma una manifestazione corporea nel campo del mondo subsensibile».

Se ricerchiamo il cosa, il come, e il perché, in una Comunità spirituale – e in particolare nella Comunità Solare, come la pensava e la voleva Massimo Scaligero – si giunga al fatto che taluni tralignino dallʼAureo Sentiero di Conoscenza indicato, scivolando per questo motivo in esperienze soggettive che non possono non rivelarsi patologiche, è inevitabile ricorrere ancora una volta ai metodi dellʼantica medicina indiana, che ci forniranno diagnosi, etiologia, e prognosi di una tale morbosa sindrome animica, anche se, poi, la terapia, oggi, dovrà inevitabilmente essere – come abbiamo visto – ben più ʽabruptaʼ, massiccia e radicale, una vera e propria ʽterapia iperintensivaʼ, di quanto lʼIlluminato, il nobile Asceta degli Shakya, il Gautama Buddha, non ritenesse necessario per un essere umano di 2600 anni fa, ancora immerso in un mondo ed in una società, pur nella decadenza dovuta al progressivo incedere dell’Età Oscura, del Kali Yuga, tutto sommato ancora maggiormente a misura dellʼUomo Spirituale rispetto a quello dellʼuomo attuale.

La diagnosi del male che affligge lʼimprovvido deviante è drammaticamente semplice: colui che traligna dallʼAureo Sentiero Spirituale, lo fa perché è in uno stato ʽstordimentoʼ, di ʽebrezzaʼ, di ʽfolliaʼ, di ʽignoranzaʼ, di ʽoffuscamentoʼ che gli fa smarrire la visione oggettiva delle cose. In sanscrito ʽsapienzaʼ è ʽvidyâʼ, parola che ha la stessa radice del latino ʽvideoʼ, ʽio vedoʼ, e di ʽvisioʼ, appunto ʽvisioneʼ, perché la ʽsapienzaʼ è vedere le cose, gli esseri, gli avvenimenti, la realtà, yathâbhûtaṃ, ʽcosì come essi sonoʼ, senza il filtro distorcente e offuscante della egoica soggettività. Di converso, la ʽignoranzaʼ, la ʽstoltezzaʼ è ʽavidyâʼ, ossia ʽnon visioneʼ, ossia incapacità di uscire dalla propria sognante e delirante soggettività, incapacità di vedere la realtà di ʽciò che èʼ, e lʼirrealtà di ciò che appare essere, ma non è. Se, da una parte, chi al mattino si sveglia, si accorge, è cosciente del risvegliarsi, e si scuote dai sogni, che realizza esser tali, cioè soggettivi ed illusori, dall’altra, chi si addormenta, al contrario, non si accorge del suo perdere coscienza, del suo sprofondare in una condizione che gli fa smarrire lʼoggettività del reale. Condizione ben descritta dal nostro Dante sin dai primi versi di quella Comoedia, che Giovanni Boccaccio volle chiamar ʽDivinaʼ. Così leggiamo nel primo canto dellʼInferno, versi 1-12:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. 

Questo tralignare dallʼAureo Sentiero è cosa che può capitare a chiunque percorra le vie dello Spirito, quale che sia il suo livello. Può riguardare, pressoché inevitabilmente, il novizio neofita; può riguardare il praticante avanzato; può riguardare, infine, lo stesso Iniziato. Su questo non cʼè da farsi illusione alcuna: finché lʼessere umano – quale che sia il suo livello spirituale – è in un corpo fisico, lʼattacco delle ostacolatrici forze antispirituali è incessante, e deve essere fronteggiato tutta la vita natural durante. Come mi disse decenni fa G., persona di elevato rango spirituale, per indicarmi lʼallarmata destità che di fronte alle ostacolatrici forze spirituali deve avere il praticante spirituale, il motto di Christian Rosenkreutz è: «Semper vigilans», ossia esser sempre come una sentinella, vigilante nelle pericolose ore della notte, senza concedersi tregua veruna, sempre allʼerta, senza concedersi negligenza, o distrazione, o sonno, ché di tali cedimenti sùbito approfitterebbe il nemico per aggredire e colpire lui e coloro che, col suo attento vigilare, egli dovrebbe difendere e proteggere. Vengono in mente le parole dellʼIlluminato ne Lʼorma della Disciplina (Dhammapada), Boringhieri, Torino, 1962, mirabilmente tradotte e commentate da quel matematico e asceta dal limpido pensiero che fu Eugenio Frola, troppo presto scomparso a soli 55 anni, che possiamo leggere nellʼAppamâdavaggo, nel Capitolo della vigilanza, a p. 19, ove è detto ai versi 21 e 25: «La vigilanza è la via per non morire, la negligenza strada alla morte: i vigilanti non muoiono, i negligenti sono come morti», e «Attraverso la riflessione, la vigilanza, la restrizione, il controllo, il saggio si costruisce un isola che i flutti non sommergeranno». E vengono in mente altresi le parole, sempre dellʼIlluminato, rievocate spesso da Massimo Scaligero in particolari riunioni, tratte da I discorsi di Gotamo Buddho del Majjhima Nikâyo, per la prima volta tradotti dal testo pâli da K.E. Neumann e G. De Lorenzo, terzo volume, Gius. Laterza & Figli, Bari, 1927, CXXXI, p. 279, chʼegli però citava in questʼaltra sua versione, più volte riportata su questo animoso blog : «Oggi è da dare battaglia! Forse domani non saremo più! Per noi non vi sia tregua contro la Grande Armata della Morte!». Dunque, il discepolo dellʼIniziazione è – deve essere – un ʽdistruttore del sonnoʼ e un ʽlottatore contro la morteʼ.

Naturalmente, il neofita, il praticante avanzato, e lʼIniziato hanno responsabilità ben diverse, e le conseguenze delle loro azioni, felici o infauste che siano, hanno ben diversa portata. Addirittura si può dire, che gli errori, numerosi e variati, che il novizio neofita in buona fede compie sono, ʽpedagogicamenteʼ, ʽpropedeuticamenteʼ e ʽdidatticamenteʼ, prevedibili e previsti, anzi, per così dire, ʽprogrammatiʼ sin dallʼesistenza prenatale dal nostro Io superiore, e in quanto tali tali necessari a chi con giusto entusiasmo intraprende la ʽViaʼ, ma che fatalmente non ha né saggezzaesperienza, le quali non sono il presupposto del Sentiero da lui non ancora percorso, bensì il risultato del suo faticoso procedere su di esso. Ma, appunto, proprio dai propri numerosi involontari e per così dire programmati errori lʼanimoso neofita trarrà sovente la saggezza e lʼesperienza che gli mancano, ma soprattutto lʼautoconoscenza, e questo rende quei necessari errori ʽpreziosiʼ, e sotto molti aspetti ʽfeliciʼ. Già per il praticante avanzato la richiesta dello Spirito si fa alquanto più esigente, e la tolleranza rispetto allʼerrore sempre più stretta. Questo perché il discepolo praticante a questo punto, è proceduto già di un più lungo tratto nel Sentiero della Conoscenza e, anche se non ancora Iniziato, ha molta maggiore saggezza ed esperienza rispetto al novizio neofita. Anche per lui taluni semplici ʽerroriʼ saranno previsti e fatali, e potranno insegnargli molto. Altri, invece, non saranno dei meri ʽerroriʼ nei quali si sia tratti dalla trama di un per noi inconsapevole destino, bensì saranno ʽscelteʼ ch’egli sa bene essere sbagliate, ma che, in qualche modo, egli comunque intende, magari per un tempo limitato, ʽpermettersiʼ, valutandone male la portata e gli effetti negativi sulla propria vita e su quella altrui. In questo caso, per il praticante avanzato, si può già parlare di un certo tralignamento, in quanto egli, nel suo agire, vien meno alla rigorosa coerenza logica – alla ʽlogicaʼ essenziale del Logos naturalmente, non certo a quella degl’intelligentissimi agguerriti dialettici –  rispetto a quel ch’egli ha intuito, e talvolta intensamente sperimentato, esser vero nei momenti di altezza e di profondità della sua Ascesi. Naturalmente, nel caso del discepolo praticante avanzato, come in quello del novizio neofita, vi è una aliquota di ignoranza, di non conoscenza, che limita – molto per il neofita, molto meno per il praticante avanzato – la responsabilità rispetto allʼerrore, o alla voluta, tralignante, scelta sbagliata. 

Infinitamente più grande, invece, è la responsabilità dellʼIniziato, perché le conseguenze delle sue azioni, attingendo egli direttamente allo Spirito, hanno una portata che si può definire addirittura illimitata. Certo, anche lʼIniziato, come ogni essere umano che dimori in un corpo fisico, può inavvertitamente e involontariamente sbagliare: per mancanza di informazioni, o di particolari, specifiche, conoscenze in un determinato campo, o per motivi di destino. Una tale possibilità è contemplata, ma non è questo, ossia lo sbagliare, il vero e proprio tralignare. Massimo Scaligero diceva, riferito a se stesso: «Io sbaglio trenta volte al giorno!». Al che io, a sentir ciò, – con un calcolo estremamente indulgente, lo confesso – mi dicevo: beh, allora io sbaglio almeno trecento volte al giorno! Ma, per lʼIniziato, ciò che è tragicamente grave, il problema vero, non è lo sbagliare, bensì la possibilità, sempre in agguato, di ʽtradireʼ. Perché una tale possibilità esiste, ed è correlata al mistero della libertà umana. Massimo Scaligero molte volte affermò che per ʽtradireʼ bisogna possedere lo Spirito, perché ʽtradireʼ è, sempre, ʽtradireʼ lo Spirito. Egli, Massimo Scaligero, – un Iniziato, un Maestro, che trascendeva di molte misure il semplice ʽumanoʼ – affermava: «Io posso tradire in qualsiasi momento!». Ma egli non tradì mai: di questo io sono scientificamente, conoscitivamente, e non fideisticamente, per ripetute verifiche attuate, testimone assolutamente certo.  

La differenza tra ʽerroreʼ e ʽtradimentoʼ è analoga a quella che vi è, in altro campo, tra ʽdannoʼ e ʽdoloʼ, ossia consiste in una certa ʽcoscienzaʼ e ʽvolontarietàʼ nellʼagire. Per esempio, nel ʽdoloʼ vi è la coscienza e la volontà di nuocere a qualcuno o a molti. Lʼerrante involontario, per immaturità, per inesperienza, per una qual certa ʽrozzezzaʼ – in questʼultima specialità, in vari decenni di metodici sforzi, io ho raggiunta una davvero poco invidiabile e ancor meno encomiabile eccellenza – può inconsapevolmente provocar danni notevoli, pentirsene a posteriori, e tentar poi di porre riparo, in qualche modo, ai guai eventualmente combinati, ma in lui non vi è mai volontà di nuocere. Nel ʽtradimentoʼ vi è cosciente e volontario ʽdoloʼ: chi in questo caso traligna, sa di compiere una azione ʽobliquaʼ, ʽnon rettaʼ e, di conseguenza, non leale, non onesta, ma egli pensa che una tale azione scientemente dolosa, solo lui, e non altri che lui, possa tranquillamente permettersela. In genere, si tratta di persona che indubbiamente è – e sa di essere – molto ʽintelligenteʼ, e ʽabileʼ, al punto di ritenersi ʽfurbaʼ, e di ritenere che certe norme etiche e regole morali – che dovrebbero esser valide e vigenti erga omnes – vadano benone, come diceva un secolo fa E. F., un mio non cattivo, ma certamente poco avveduto concittadino, «per i piccoli uomini e per i macachi». Ma non è così che le cose funzionano nella sfera autenticamente spirituale. Una tale callida, eticamente – non conoscitivamente, ovviamente – spregiudicata, ovverossia cinica, concezione è, sotto ogni punto di vista, un errore clamoroso. Nel Mondo Spirituale non vi spazio alcuno per i ʽfurbiʼ, per i ʽtroppo intelligentiʼ, per gli ʽabili manipolatoriʼ, per i ʽsimulatoriʼ, per gli ʽinsinuantiʼ, per i ʽpersuasori occultiʼ, per i ʽpoliticantiʼ, per gli ʽintrallazzatoriʼ, per i mascherati ʽtrasbordatori ideologiciʼ, per gli ʽipocritiʼ, per gli ʽopportunistiʼ, per i ʽcalunniatoriʼ, per i ʽladri razziatoriʼ di cose sacre altrui, per gli ʽarrivistiʼ, per gli ʽambiziosiʼ, per gli ʽusurpatoriʼ, per i ʽprevaricatoriʼ, per gli ʽarrogantiʼ, per i ʽmentitoriʼ: ovverossia, per tutti i ʽtraditoriʼ. Davvero una vasta, mala,  genia.

Qualificazioni assolutamente necessarie e sufficienti – come si direbbe in algebra e in geometria – per procedere sul Sentiero dellʼIniziazione sono la ʽsinceritàʼ, la ʽlealtàʼ, la ʽfedeltàʼ: esse sono la ʽtecnicaʼ fondamentale, la verace «Arte» dello Spirito. La Sapienza e la Forza vengono, con grande liberalità, ʽdonateʼ a chi – pur con i suoi molti difettoni e inadeguatezze contro i quali, ogni giorno, lotta faticosamente, e disperatamente – è sincero, leale, e fedele. Lo stesso coraggio, quello autentico – lo si costruisce, ogni giorno, con lʼAscesi, con la fedele, costante, pratica interiore. A questo proposito, potei udire una volta Massimo Scaligero affermare che: «il Logos è generosamente infinito, e infinitamente generoso!».

Coloro che, invece, si ritengono ʽintelligentissimiʼ, e particolarmente ʽfurbiʼ, in realtà sono, anche loro, fossero essi pure degli Iniziati, in uno stato di ʽignoranzaʼ, e sono giuocati più sottilmente – e ben più pericolosamente – da una inconosciuta natura inferiore, che li rende burattini illusi e obbedienti delle avverse potenze antispirituali. Questa ʽignoranzaʼ, questa ʽavidyâʼ, rende impossibile quella che il Buddha Shakyamuni, nel ʽNobile Ottuplice Sentieroʼ, in sanscrito âryâṣṭâṅgamârga, chiama la ʽretta visioneʼ, ʽsamyak-dṛṣṭiʼ, la quale soltanto rende possibile la ʽretta intenzioneʼ, ʽsamyak-saṃkalpaʼ, e la ʽretta azioneʼ, ʽsamyak-karmântaʼ. Per questo motivo, la mia stimata amica Fang-pai, nobile figlia del Celeste Impero e Maestra del Dharma, parlando di chi – praticante avanzato o Iniziato che sia – traligna dal Sentiero, o lo tradisce, afferma ch’egli «ha smarrita o dimenticata lʼintenzione originaria».

Al benevolo e volenteroso lettore può sicuramente giovare leggere, e profondamente meditare, uno scritto di Massimo Scaligero, Che cosa l’Ottuplice Sentiero può ancora significare per l’umanità?, tradotto integralmente da chi qui scrive e apparso su questo temerario blog il 26 giugno 2015, all’interno di un articolo di Hugo de’ Paganis, intitolato L’Ascesi del Risveglio e l’Ottuplice Sentiero del Buddha Shakyamuni. In tale scritto, pubblicato in inglese nel 1957 sulla bella e importante rivista, East and West, dell’Is.M.E.O., l’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente di Roma, Massimo Scaligero indica come la retta visione, la retta intenzione o retto giudizio, e la retta azione del Nobile Ottuplice Sentiero del Buddha per l’uomo moderno mutino l’antica forma, e rinascendooggi, in forma ancor più radicale, si rivelino momenti di un percorso attuale e necessario per chi segua la Via del Pensiero Vivente, la Via della Filosofia della Libertà.  

Il farsi giuocare dalla ʽignoranzaʼ, dalla ottenebrante ʽavidyâʼ, oscura la ʽretta visioneʼ, la visione oggettiva, yathâbhûtaṃ, ossia ʽcosì come sonoʼ, delle cose, degli esseri, degli eventi, e la sostituisce con il sogno o, talvolta, col delirio, dei parti della propria soggettività. Ciò vale per lʼuomo comune, per il profano, vale per il novizio neofita allʼinizio del Sentiero della Conoscenza, vale in misura maggiore per il praticante avanzato, e vale, in misura massima, soprattutto – potremmo dire drammaticamente e, in taluni casi, tragicamente – per lʼIniziato. Questʼultimo non è affatto automaticamente al riparo da pericoli nel suo procedere nella conoscenza spirituale, anzi egli vi è esposto molto di più che non il profano, o il neofita, o il praticante avanzato. Su questo punto, Rudolf Steiner nei suoi scritti è estremamente chiaro circa le pericolose illusioni alle quali si è esposti nel cammino interiore. Per esempio, nella sua La Scienza Occulta nelle sue linee generali, trad. di Emmelina de Renzis ed Emma Battaglini, terza edizione rivista e aggiornata da W. Schwarz, Gius. Laterza & Figli, Bari, 1947, in un passo nel quale metteremo in evidenza alcuni punti importanti, alle pp. 283-284, possiamo leggere:

«Oltre a questa sorgente di illusioni ve n’è un’altra; questa si palesa quando si dà interpretazione errata alle impressioni che si ricevono. Nel mondo fisicosensibile un esempio tipico di tale illusione si può avere quando, seduti in ferrovia, si crede che gli alberi si muovano nella direzione opposta al treno, mentre invece siamo noi che ci muoviamo col treno. Tali errori nel mondo fisico-sensibile non sono sempre così facili a constatare, quanto quello molto semplice appunto descritto; nondimeno è evidente che in questo mondo l’uomo trova anche i mezzi per eliminare tali illusioni, purché tenga conto con sano criterio di tutti gli elementi che possono servire alla spiegazione del relativo fatto. Ma la cosa diventa diversa appena si penetra nelle sfere soprasensibili. Nel mondo sensibile l’illusione umana non può modificare la realtà stessa dei fatti, e perciò è possibile di rettificare l’illusione per mezzo di un esame spregiudicato di quelli. Ma nel mondo soprasensibile questa osservazione non è senz’altro possibile. Se un uomo vuole osservare un processo soprasensibile e si avvicina ad esso con criterio errato, introduce nel processo stesso un errore, per cui questo viene talmente intessuto con il fatto, che non è facile a tutta prima distinguere l’uno dall’altro. In tal caso l’errore non è più dell’uomo, né il fatto reale è al di fuori di esso, sibbene l’errore stesso è divenuto parte costitutiva del fatto esteriore; la realtà non può perciò essere rettificata semplicemente per mezzo dell’osservazione spregiudicata del fatto. Questo esempio c’indica una perenne sorgente d’illusioni e di fantasticherie per coloro che si avvicinano al mondo soprasensibile senza giusta preparazione». 

Questa deformazione della realtà oggettiva provocata dalla inconsapevole mescolanza della propria arbitraria soggettività nei processi della conoscenza spirituale è cosa da non sottovalutare minimamente, né essa è ostacolo che venga superato una volta per tutte, giacché nella sfera spirituale non esiste il ʽvivere di renditaʼ, ovvero si dà l’attivo ʽattoʼ di essere, e non il mero, passivo, ʽfattoʼ di esistere, talché il ricercatore spirituale, l’asceta operante, e in particolare lʼIniziato, divengono instancabili ʽlottatori contro la morteʼ, ʽlottatori contro il sonno della coscienzaʼ, ʽdemolitori inesorabili dei deliranti sogni della soggettivitàʼ. Infatti, sempre a p. 284, Rudolf Steiner mette in evidenza come «il discepolo acquista ormai la capacità di eliminare tutte le illusioni che provengono dalla colorazione che la propria natura ha conferito ai fenomeni cosmici soprasensibili». Se ciò non avviene, la situazione si fa severa, perché lʼinconsapevole colludere con la sfera dellʼignoranza, può generare non solo un improvviso riattizzarsi dellʼego, il cui travolgente emergere dalla natura inferiore, della quale è espressione, sembra avere il carattere della irresistibiltà, ma soprattutto la cosa può essere fonte di tutta una serie di pericolose illusioni, non riconosciute come tali, per cui chi di tali perniciose illusioni è prigioniero, non si accorge affatto di esser prigioniero, né sente di esser tale, anzi ritiene di aver raggiunto il nec plus ultra, lʼapice insuperabile della personale evoluzione spirituale. Anche su questo punto cruciale, nella sua Scienza Occulta, a p. 288, Rudolf Steiner si pronuncia in maniera da non lasciar dubbio alcuno a chi voglia sinceramente, lealmente, e coraggiosamente ʽconoscereʼ e, annientando ogni illusione, voglia andare a fondo alla cosa. Cedere alla ipnotica seduzione della natura inferiore, strumento delle avverse potenze antispirituali, è entrare in una sorta di ʽfollia spiritualeʼ – naturalmente inconsapevole – a causa della ʽignoranzaʼ, della accecante ʽavidyâʼ, perciò non riconosciuta, non vista, non scorta e non realizzata come tale. Infatti, nel punto citato, leggiamo:

«È importante il fatto, che quest’esperienza non dà al discepolo il senso di essere un prigioniero, anzi, egli crede di sperimentare qualcosa di affatto diverso. La figura evocata dal «Guardiano della Soglia» può essere tale, da produrre nell’anima di chi l’osserva l’impressione, di avere dinanzi a sè, nelle immagini che sorgono a questo gradino dell’evoluzione, l’intiero assieme di tutti i mondi, di essere insomma arrivato all’apice della conoscenza, e che non le occorra progredire più oltre. Invece di sentirsi prigioniero, il discepolo si sentirà in tal caso il ricco possessore di tutti i segreti cosmici. Non c’è da sorprendersi, che egli possa avere un’esperienza così contraria alla verità, ove si rifletta che, quando sperimenta a quel modo, il discepolo già si trova nel mondo animico-spirituale, e che una peculiarità di quest’ultimo è proprio quella, che gli eventi si presentano al contrario di come sono. In questo libro è stato già accennato a questo fatto, nelle osservazioni sulla vita dopo la morte».

Sùbito dopo, alle pp. 289-290, Rudolf Steiner mette in relazione lʼesigenza del superamento – conquistato mediante una rigorosa autoconoscenza – di ogni forma di ʽillusioneʼ con la duplice esperienza dellʼincontro col ʽpiccoloʼ e col ʽgrandeʼ Guardiano della Soglia, sì eliminare ogni sorgente di illusione, sia essa di origine sia luciferica che arimanica.

«La figura che l’uomo vede a tale gradino dell’evoluzione gli palesa un aspetto del «Guardiano della Soglia» diverso da quello con cui la prima volta si era presentato, poiché allora il discepolo poteva vedere in lui tutte le qualità possedute dal Sé abituale dell’uomo, per effetto dell’influenza delle forze di Lucifero. Orbene, durante il corso dell’evoluzione umana, per virtù dell’influenza di Lucifero, un’altra forza è penetrata nelle anime degli uomini, la forza detta di Arimane. Questa è la forza che impedisce all’uomo durante l’esistenza fisica di vedere le entità spirituali animiche del mondo esteriore nascoste dietro alla superficie del mondo sensibile. Quello che l’anima dell’uomo è divenuta sotto l’influenza di tale forza si manifesta nella figura, di cui l’immagine si presenta al discepolo durante l’esperienza descritta. L’uomo che si avvicina a questa esperienza con una preparazione sufficiente saprà darle il suo vero significato, e in tal caso gli si manifesta poco dopo un’altra figura, cioè, quella che si può chiamare il «grande Guardiano della Soglia», la quale lo ammonisce a non fermarsi, ma a lavorare energicamente per progredire più oltre. Questa figura desta chiaramente la coscienza, nell’uomo che l’osserva, che il mondo da lui conquistato diventa una realtà e non si trasforma in illusione, purché il lavoro venga giustamente proseguito. Se un uomo però che ha seguito una disciplina errata dovesse avvicinarsi a questa esperienza senza la necessaria preparazione, alla vista del grande «Guardiano della Soglia» egli si sentirebbe l’anima invasa da un sentimento, che si può qualificare come «di infinito terrore», di invincibile paura.

Come l’incontro col «piccolo Guardiano della Soglia» offre al discepolo l’occasione di verificare, se egli è al riparo dalle illusioni che potrebbero sorgere dall’intromissione della sua personalità nel mondo soprasensibile, così pure egli può mettersi alla prova, con le esperienze che conducono finalmente al «grande Guardiano della Soglia», per verificare se è capace di resistere alle illusioni, che derivano dalla seconda sorgente sopra descritta. Se sa resistere alla potente illusione, che gli presenta il mondo immaginativo da lui raggiunto come una ricca conquista, Mentre egli invece non è che un prigioniero, allora si troverà anche al riparo, nell’ulteriore corso della sua evoluzione, dal pericolo di confondere l’apparenza con la realtà.

Come l’incontro col «piccolo Guardiano della Soglia» offre al discepolo l’occasione di verificare, se egli è al riparo dalle illusioni che potrebbero sorgere dall’intromissione della sua personalità nel mondo soprasensibile, così pure egli può mettersi alla prova, con le esperienze che conducono finalmente al «grande Guardiano della Soglia», per verificare se è capace di resistere alle illusioni, che derivano dalla seconda sorgente sopra descritta. Se sa resistere alla potente illusione, che gli presenta il mondo immaginativo da lui raggiunto come una ricca conquista, mentre egli invece non è che un prigioniero, allora si troverà anche al riparo, nell’ulteriore corso della sua evoluzione, dal pericolo di confondere l’apparenza con la realtà.

Il «Guardiano della Soglia» assumerà, fino a un certo punto, una figura individuale per ogni singolo uomo. L’incontro con esso corrisponde appunto all’esperienza, per mezzo della quale il carattere personale dell’osservazione soprasensibile viene superato e vien data la possibilità di penetrare in una regione, in cui le esperienze sono libere da qualsiasi colorazione personale, e che è aperta ad ogni entità umana».

Di persone che hanno esperienze estranormali, talvolta impressionanti, che – in assoluta buona fede – credono essere oggettive esperienze spirituali, mentre sono solo un mondo di immagini soggettive, partorite da una vita animica che risente di un forte coinvolgimento rispetto alle dinamiche della corporeità, ne ho conosciute molte, e ne conosco tuttora. In taluni casi, tutto ciò rimane nellʼàmbito di una vita e di una convinzione personale, discutibile quanto si vuole, ma che in fin dei conti ha una influenza molto limitata o addirittura nulla sul mondo. Ho incontrato altresì persone, invece, le cui esperienze erano sane, spontanee, quindi non ricercate, frutto di una veggenza atavica, proveniente da vite passate, e non risultato di un qualsivoglia discepolato occulto, regolare o irregolare che fosse. Tali persone possono – ripeto: possono – aver ricevuto (non spetta a noi indagare il perché) speciali ʽdoniʼ dal Cielo e dai Numi, e per la loro semplicità e purezza dʼanimo, per la loro moralità, per il loro totale disinteresse personale, non sono portate ad abusare di tali celesti ʽdoniʼ. In momenti per me veramente difficili, e a volte tragici, della mia vita passabilmente agitata e convulsa, ebbi molto aiuto da alcune persone del genere, ed esse avranno sempre tutta la mia gratitudine e il mio più fervido sentimento fraterno.

Diverso, invece, è il caso di chi abbia tali esperienze in séguito ad un particolare discepolato occulto. Il Sentiero seguito può essere regolare o irregolare, e ciò comporta una notevole differenza nei risultati. Un Sentiero occulto irregolare non può produrre altro che risultati guasti, non può maturare altro che frutti velenosi, che intossicano lʼanima, ne oscurano la visione, e ne deformano gli organi. Ma anche nel regolare Sentiero occulto, nella ʽVia solareʼ non mancano i pericoli, come abbiamo visto, perché un tale Sentiero regolare deve – assolutamente deve – essere pure seguito  in maniera regolare. Il che non sempre avviene. Il Sentiero dellʼIniziazione può essere affatto esente da pericoli per chi lo percorra con ʽumiltàʼ – quella vera, non quella ipocrita e stucchevole, continuamente ostentata dai predicatori della ʽvia dellʼanimaʼ – ed abbiano autentica ʽsinceritàʼ, ʽretta intenzioneʼ, ʽlealtàʼ, nonché quella ʽfedeltàʼ alla Via, che, come abbiamo messo in evidenza più sopra, è la tecnica fondamentale, lʼArte vera dello Spirito. 

Nel caso in cui il regolare Sentiero dellʼIniziazione non venga rettamente e regolarmente seguito tenendo conto di tutte le indicazioni operative e le chiare avvertenze, che con generosa abbondanza – per esempio, nei più volti citati libri scritti, LʼIniziazione. Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori?, e La Scienza Occulta nelle sue linee generali – e in innumerevoli cicli di conferenze da Rudolf Steiner – di ʽpericoliʼ ne sorgeranno di troppi. Altre, preziose e numerose, indicazioni operative il sincero ricercatore spirituale le può trovare negli scritti di Massimo Scaligero. In ambedue i casi, possediamo un vasto materiale col quale il discepolo può lavorare per molte vite. Ma vi sono molti ʽintelligentissimiʼ sedicenti seguaci della Scienza dello Spirito – che invariabilmente si ritengono particolarmente ʽfurbiʼ e ʽnavigatiʼ – i quali fanno ʽarrangiamentiʼ, ʽpersonali variazioniʼ, alle suddette semplicissime, chiarissime, e soprattutto esplicite, indicazioni operative del Maestro dei Nuovi Tempi, nonché a quelle comunicate da Massimo Scaligero, e non di rado le suggeriscono, o addirittura le impongono, a propri ingenui e fidenti seguaci, allontanandoli così dal retto Sentiero. Rudolf Steiner è esplicito a proposito della natura illecita di cotali ʽarrangiamentiʼ e ʽpersonali variazioniʼ. Egli affermò sempreapertis verbis – che gli esercizi da lui indicati non erano affatto sue escogitazioni e invenzioni, bensì erano o esercizi antichi e fedelmente trasmessi per secoli allʼinterno della Fraternitas Rosae+Crucis, o direttamente comunicati dal Mondo Spirituale, così come comunicati sempre dal Mondo Spirituale furono gli stessi esercizi antichi. Ed aggiungeva che il discepolo deve – assolutamente ʽdeveʼ, non che ʽpuòʼ – eseguirli wortwörtlich, ossia ad litteram, senza permettersi variazione alcuna rispetto alle indicazioni prescritte. A volte – ne ho potuto per decenni constatare casi eclatanti, anche recentissimi – gli ʽintelligentissimi innovatoriʼ cercano di spacciare – mentendo e ben sapendo di mentire – le loro discutibili personali invenzioni per indicazioni autentiche di Rudolf Steiner o di Massimo Scaligero: la totale malafede di costoro è patente.

Si è non di rado presentato il caso che talune persone sulla base di tali ʽesperienzeʼ irregolari, di natura ambigua, quando non palesemente di origine medianica o patologica, contraddicenti in maniera totale ed evidente lʼinsegnamento sia di Rudolf Steiner che di Massimo Scaligero, si sentissero ʽmissionateʼ a trasmettere il proprio insegnamento  allʼinterno della Comunità Solare, cercando di sostituirlo, abilmente o brutalmente, a quello dei Maestri, e a quello ʽregolareʼ, verificato, ed invariabilmente identico e conforme alla sana esperienza, innumerevoli volte sperimentata, di fedeli discepoli della Via. A chiunque guardi – con ʽocchio rischiaratoʼ, direbbe il Buddha Shakyamuni salta agli occhi come, ad un esame sereno ed equanime, un tale ʽmirabileʼ insegnamento, che si vorrebbe introdurre sostituendolo a quello regolare donatoci, confligga – sia nel metodo, sia nei risultati, sia infine nella maniera in cui viene trasmesso – con quello di Rudolf Steiner e di Massimo Scaligero.

Siffatte ʽrivelazioniʼ sono ʽirregolariʼ rispetto al metodo, in quanto non sono ottenute attraverso una lucida sperimentazione scientifica, scevra di ʽpre-suppostiʼ e ʽpre-giudiziʼ ideologici e soprattutto confessionali, basata sullʼesperienza del momento originario del pensiero poggiante unicamente su se stesso. Sono ʽirregolariʼ per quanto riguarda i risultati, in quanto le ʽrivelazioniʼ risultanti da tali ʽesperienzeʼ irregolari, di natura patologica, o visionaria, o medianica, contraddicono in maniera aperta – affermando lʼesatto contrario – i risultati della Scienza dello Spirito, ogni volta severamente verificati per anni, e solo dopo comunicati da Rudolf Steiner. Sono ʽirregolariʼ per quel che riguarda la maniera di trasmissione, in quanto essa agisce mediante un forte coinvolgimento emotivo, e in taluni casi istintivo, nei confronti di ascoltatori, ricettori passivi dallʼattenuato senso critico e dal pensiero poco o punto autonomo. Lʼautentica Scienza dello Spirito non agisce mai per via di suggestione, o sollecitando emozioni, o agendo magicamente sulla sfera della volontà. Essa non impone mai – se abilmente o brutalmente, poco importa – ʽrivelazioniʼ che debbano essere credute, bensì offre contenuti di pensiero che devono essere ripensati, verificati, profondamente meditati, rigorosamente sperimentati risalendo sino al momento originario del loro scaturire dal pensiero vivente.

A volte, nel caso di queste persone deiderose di assumere un ruolo magistrale e di trasmettere un proprio personale insegnamento, vi sono ʽpre-suppostiʼ non dichiarati, abilmente e accuratamente celati – vere e proprie ʽipotesi clandestineʼ, come le definirebbe il Prof. Vasco Ronchi – frutto di ʽpre-giudiziʼ ideologici o confessionali, che si sanno essere in contrasto, nel metodo e nel merito, con la rosicruciana Scienza dello Spirito, con la rigorosa Via del Pensiero. Si preferisce che tali ʽpre-suppostiʼ rimangano celati, che le ʽipotesi clandestineʼ non vengano esaminate o poste in discussione, che le patenti ʽcontraddizioniʼ rispetto alle esplicite comunicazioni di Rudolf Steiner non vengano scorte e rilevate. Chi tentasse di farlo verrebbe accusato di presunzione, e invece di esaminare serenamente la consistenza delle obbiezioni sollevate, ci si sottrarrebbe con sdegno ad un tale esame, e si si procederebbe alla demolizione della credibilità del temerario, nonché gli si farebbe attorno terra bruciata, attuando nei suoi confronti uno spietato ostracismo. Valuti ognuno il più serenamente possibile quanto possa essere onesto, morale, e soprattutto leale nei confronti della Verità un tale modo di procedere.

Nel corso del presente studio – al quale le presenti considerazioni vogliono essere la premessa metodologia – sarà necessario esaminare alcuni temi – uno dei quali, nella misura in cui il Cielo e i Numi me ne concederanno le forze, sarà quello del Graal – rispetto ai quali sarà necessario e doveroso fare chiarezza su quanto provenga dalle comunicazioni, verificate rigorosamente esatte, della Scienza dello Spirito, provenienti dalle investigazioni di Rudolf Steiner, e quanto, invece, provenga da fonti diverse, confliggenti nel metodo e nel merito con le suddette comunicazioni. Un tale esame potrà creare non poche difficoltà a chi sia immerso in una sorta di sonno dogmatico, ovverossia a chi – in assoluta buona fede, sia ben chiaro – abbia accolto, senza preventivo esame e sulla base della sola fiducia, ʽrivelazioniʼ che, se non corrispondenti al vero, possono portare molto fuori strada, e in situazioni non poco pericolose.

Il più grande onore, la maggiore venerazione, sono e saranno per noi da tributar sempre e solo nei confronti della Verità, verso la quale è spiritualmente vitale mantenere una lealtà senza compromessi. E, come dice la mia amica Fang-pai, sapiente Figlia del Celeste Impero e Maestra del Dharma, è fondamentale «procedere sulla Via senza mai smarrire, o dimenticare, o peggio tradire la propria intenzione originaria, essendo anzi sempre fedeli ad essa a qualsiasi costo».

7 pensieri su “AMOR VERITATIS. PARTE PRIMA.

  1. Salve Hugo, nel suo libro “La genesi del mondo apparente” Vasco Ronchi riferisce di esperimenti effettuati con sistemi ottici in grado di far arrivare sulla retina un’immagine dritta e non ribaltata che hanno causato negli sperimentatori il ribaltamento di tutto il mondo percepito; continuando ad utilizzare questo sistema ottico per un certo tempo, se ben ricordo una settimana, ad un certo punto gli sperimentatori avrebbero riferito di un contro ribaltamento, un aggiustamento spontaneo dell’immagine del mondo visto di nuovo come dritto. Un aggiustamento che mi sembra chiaramente non dipendente quindi dall’apparecchio ottico utilizzato sia prima che dopo l’aggiustamento spontaneo della percezione, aggiustamento avvenuto nonostante l’apparecchio ottico. Inoltre, dopo aver tolto l’apparecchio ottico gli sperimentatori per un po’ di tempo avrebbero continuato a vedere il mondo ribaltato (il che a mio parere confuta decisamente l’idea che la percezione dipenda esclusivamente dall’apparecchio fisico tramite cui avviene), ma dopo 2 o 3 giorni (se ben ricordo, in ogni caso un tempo inferiore alla prima settimana) è intervenuto l’ulteriore aggiustamento spontaneo, ancora una volta a mio avviso chiaramente non dipendente dall’apparecchio ottico, che avrebbe raddrizzato di nuovo tutto il mondo percepito. Questo esperimento notevole mi sembra di grandissima importanza, in quanto a mio parere proverebbe in modo decisamente spettacolare che la percezione non dipende solamente dal sistema ottico che ci porta l’informazione ma soprattutto ed anzi in modo preponderante dall’azione (nell’uomo comune inconscia) effettuata dal soggetto percipiente sul dato offerto dal sistema ottico. Un’azione autonoma non sensibile, non riconducibile al nervo ottico fisicamente inteso. Il che, se da un lato ricorda l’affermazione “il mondo è una mia rappresentazione” dei filosofi idealisti ed in particolare di Schopenhauer, dall’altro riporta alle affermazioni di Scaligero sulla natura pensante che si nasconde dietro l’atto percettivo. Insomma, questo tipo di esperimenti sono proprio ciò che sarebbe necessario per mostrare ad un livello accessibile a tutti (gli uomini di buona volontà) l’importanza e la preminenza di un soggetto soprasensibile rispetto al dato sensibile, cosa che viene comunemente negata dalla cultura attuale che di massima identifica ancora oggi (anzi forse oggi più che mai nonostante le apparenze) il pensiero con gli elettroni che si muovono nel cervello e nega la possibilità di un pensiero distinto dal puro e semplice apparato cerebrale. Lei cosa pensa di questo esperimento? Inoltre le volevo chiedere, se lo conosce, qualche riferimento bibliografico in più su questo specifico esperimento. Da chi sarebbe stato compiuto e quando? Grazie,
    Saluti.

    • Gentilissimo Lemar, grazie di cuore per la Sua bella domanda. Domanda importante, oltre che simpatica. La cosa mi tocca personalmente in quanto la frequentazione mia col Prof. Vasco Ronchi si protrasse ben oltre i quattro anni nei quali restai, prima come studente e poi come ricercatore e collaboratore nella docenza, nella struttura che era parte integrante di quell’Istituto Nazionale di Ottica, che il Prof. Ronchi aveva progettato, fondato, finanziato, costruito e diretto per alquanti decenni. Per cui, in certo qual modo, sono come epigono, a lui a lungo sopravvissuto per motivi anagrafici e no per meriti scientifici, testimone diretto di non pochi eventi che lo riguardavano. E mi è grato dovere ricordare quanto io – ma anche la Scienza italiana e mondiale – gli devono.

      Prima di rispondere alla Sua interessante domanda, devo fare una premessa, per me al contempo melanconica e istruttiva, per la quale non potrò rispondere completamente alla Sua richiesta informativa. Il Prof. Vasco Ronchi era uno scienziato puro, per il quale esistevano come esclusivo valore solo la Scienza e la Verità, e non certo i sordidi interessi della politica, con i relativi intrallazzi, compromessi, le alleanze prima tessute, poi alla bisogna tradite, e poi cinicamente riallacciate, e ritradite. Questo mondo di di spregevoli “vermiciattili” – come li avrebbe chiamati zio Arturo – era lontano da lui, che voleva essere uno scienziato puro, all’antica, fuori e moltissimo al di sopra di tali sozzi giuochi cortigiani. Naturalmente il mondo della politica gliela fece pagar cara. Non solo non gli fu mai concesso quel premio Nobel, che pur ampiamente meritava, e per il quale era stato proposto da amici scienziati ben sei volte, ma addirittura venne estromesso dalla direzione della Istituzione, ch’egli stesso aveva creata, venne demolita la Sua opera, venne dispersa la stessa preziosa biblioteca dell’Associazione Ottica Italiana, cancellati attraverso una vera e propria “damnatio memoriae”, che ancor dura dopo oltre tre decenni dalla sua dipartita, i molti contributi teorici e sperimentali, le scoperte da lui fatte, la riflessione scientifica e filosofica da lui portata avanti, relativa alla storia della Scienza. La livida persecuzione della quale il Prof. Ronchi fu oggetto, venne estesa con cinica arroganza alle persone e all’opera delle due sue figlie, Lucia Ronchi Rositani e Laura Ronchi Abbozzo, ambedue valide scienziate nel campo della fisica, delle quali sono stato e mi onoro tuttora di essere amico. Per cui avrei non poche difficoltà a darLe oggi riferimenti bibliografici su esperimenti, molti dei quali realizzati quando io ero ancora faniullo o acerbo adolescente. Non possiedo la collezione degli Atti della Fondazione che il Professore aveva intitolato a suo figlio Giorgio morto bambino durante la seconda guerra mondiale, ed oggi non saprei ove reperirla. Ma tutti quegli esperimenti, alcuni dei quali veramente curiosi, li conosco molto bene, e all’interno della cerchia che col Ronchi collaboravava furono discussi a lungo. Ogni volta che ho iniziato un nuovo corso di Ottica, ho sempre voluto rievocare allo sguardo animico dei miei allievi le figure, a me sommamente care, di Vasco Ronchi, di Eddo Mario Bartoli, di Sergio Villani, di Silvio Guidarelli, di Cesare Morais: i miei “Maestri nell’Arte”, ai quali tutto devo. Ma passiamo alla Sua domanda.

      Il Prof. Vasco Ronchi, come da me messo in evidenza nell’articolo, aveva una preparazione culturale di prim’ordine, sia storica, sia letteraria, sia filosofica. Dal punto di vista filosofico aveva una visione del mondo di tipo “idealistico”, molto vicina all’idealismo trascendentale di Eduard von Hartmann, la cui opera egli conosceva bene. Infatti nell’analisi della percezione, egli riportava molti esempi fatti, per illustrare la loro filosofia, descritti nelle opere di Eduard von Hartmann, di Johannes Volkelt, ed altri più o meno connessi alla scuola neo-kantiana del secondo Ottocento, ma conosceva bene anche l’opera di Arthur Schpenhauer. Ma per quanto insistesse nell’attingere alle loro opere, egli non si fermava alle loro idee. Conosceva bene, infatti, l’opera scientifica di Goethe: in particolare quella sulla luce e sul colore, nonché l’antagonismo che oppose Goethe alle teorie di Isaac Newton proprio su luce e colore. In colloqui, Ronchi arrivò a dire che Newton in questo campo aveva fermato il progresso scientifico per duecento anni. Oggetto dell’ultimo colloquio che io ebbi col Prof. Ronchi negli anni 80 del trascorso secolo, nella sua casa sulla collina di Arcetri, in cima al Poggio Imperiale della mia città, fu proprio sulla teoria goethiana della luce e del colore. Il Professore, che si avviava ai 90 anni, era lucidissimo, e discutendo della “vexata quaestio” delle ombre colorate, mi descrisse un esperimento che in lontani egli egli stesso aveva condotto.

      Un elemento interessante della concezione ronchiana, è ch’egli sulla base di una spregiudicata e coraggiosa analisi dello svolgimento dinamico della percezione, giunse non solo a dubitare della realtà materiale, ma addirittura a dubitare fortemente della realtà di un mondo esterno all’anima percipiente. Egli non era affatto un materialista. Su questo punto egli scrisse un paragrafo ben esplicito nel suo Critica ai fondamenti dell’Acustica e dell’Ottica. Naturalmente, è comprensibile quanto egli fosse prudente nell’esprimere i suoi pensieri in proposito, almeno in forma scritta. Oralmente la cosa era diversa. I suoi libri sono esauriti da decenni, e non sono facili da trovare. Ma una sintesi diffusiva e abbastanza completa, Lei la può trovare proprio nella sua ultima opera intitolata “la Genesi del mondo apparente”.

      Ricambio il crodiale saluto!
      Hugo de’ Paganis

    • Gentile Lemar,

      L’esperimento indicato potrebbe essere quello effettuato da George Malcom Stratton e da lui descritto nei due report ‘Some preliminary experiments on vision without inversion of the retinal image’ e ‘Vision without inversion of the retinal image’ pubblicati nella rivista Psychological Review nel 1896 e nel 1897.

      Può trovarli ai seguenti indirizzi:

      http://wexler.free.fr/library/files/stratton%20(1896)%20some%20preliminary%20experiments%20on%20vision%20without%20inversion%20of%20the%20retinal%20image.pdf
      https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Stratton.1897a.pdf
      https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Stratton.1897b.pdf

      Un cordiale saluto.

      Angelo Di Stasi

  2. Salve Hugo e grazie per la risposta e le informazioni in essa contenute. Un vero peccato che gran parte di questa opera sia andata perduta, un vero dramma; cosa non infrequente in Italia, l’aver avuto personalità eccellenti e lavori scientifici di primissimo piano praticamente misconosciuti quando non apertamente ostracizzati, infine perduti in parte o in tutto. Queste cose mi hanno sempre apportato una grande tristezza, perché so che è tutto vero.
    Ho letto il libro “La Genesi del mondo apparente” da lei suggerito due anni fa e devo dire che le osservazioni ivi contenute, tratte da esperimenti molto concreti, mi hanno colpito molto, soprattutto per le conseguenze che potrebbero avere sulla visione del mondo moderna qualora queste linee di ricerca venissero davvero portate avanti. Ma come dice lei sembra proprio che non ci sia più spazio per queste cose oggi.

    Circa 25 fa tentai di approcciare la teoria dei colori di Goethe, ma quanto era presente allora in italiano era molto poco e credo, ma forse potrei sbagliarmi, che l’intera opera scientifica di Goethe non sia stata totalmente tradotta in italiano, in particolare per parte di ottica, che è la più interessante per me. Mi interessano gli esperimenti proposti o desumibili da quella teoria. In definitiva mi sono avvicinato a Steiner principalmente per questa strada, ossia la fisica.

    La questione relativa al percepito e fino a che punto esso possa dirsi reale è di grandissima importanza, a mio avviso. Aprire una breccia sperimentale qui significa aprire una breccia nella concezione materialistica che de facto (nonostante molte apparenze e suggestioni facciano credere il contrario) governa oggi più che mai la nostra civiltà, stringendola in una ferrea morsa arimanica secondo me senza precedenti (i tempi in cui Steiner scriveva erano rose e fiori rispetto ai nostri, io credo).

    A questo proposito le volevo chiedere, naturalmente se ne avrà possibilità, voglia e tempo, in futuro un approfondimento sull’arte del percepire puro così come indicata da Scaligero, perché questo è un tema almeno per me di più difficile inquadramento concettuale rispetto al tema del pensare puro e alla relativa tecnica della concentrazione; non sto dicendo che quest’ultima all’atto pratico sia più facile ma solo che se ne capiscono meglio a livello concettuale la dinamica e lo scopo. Mi sono sempre fatto invece l’idea che l’esercizio della percezione pura, per essere efficace, dovesse presupporre una qualche forma di esperienza meta razionale, insomma l’aver in qualche modo preventivamente sperimentato l’elemento vivente nel pensare; ma forse appunto mi sbaglio. Ad esempio quando lei dice “separare spagiricamente la pura percezione oggettiva dalla indebita mescolanza del suo risuonare soggettivo come sensazione” dubito che si possa fare in primis senza una qualche forma di controllo del pensiero preventivamente raggiunta; inoltre il poter separare il pensare dal puro dato percepito presuppone che si conosca già effettivamente cosa sia il pensare, altrimenti come si potrebbe separarlo efficacemente dal puro dato percepito (mi limito qui ad una percezione sensoria per semplicità)? Ma forse mi sbaglio. Cosa ne pensa?
    Grazie,
    Cordiali Saluti.

    • Gentile Lemar, ben ritrovato!
      Per farLe comprendere con un aneddoto come siamo messi in Italia anche a livello scientifico per effetto di una deprecabile faziosità, nonché degl’inconfessati ed inconfessabili interessi di talune cerchie, Le racconto un particolare di un colloquio tra il Prof. Vasco Ronchi e mio fratello. Mio fratello andò a trovare il Professore nella sua casa sulla collina di Arcetri, dopo che sozze macchinazioni politiche lo avevano estromesso dalla direzione dell’Istituto Nazionale di Ottica, da lui fondato, costruito materialmente, finanziato di tasca propria, fatto conoscere e apprezzare in tutto il mondo scientifico. Ma non solo tale Istituto deve la sua paternità a Ronchi, ma gliela deve la stessa facoltà di fisica, fatta progettare persino come edificio da lui, e rifornita di tutti gli strumenti necessari per gli esperimenti, nei quali allora l’Italia era all’avanguardia.

      In quel memorabile colloquio con mio fratello, il Professore mostrò due alberi di alto fusto, che si ergevano maestosamente davanti alla sua dimora, e poi disse: “Vedi, R., questi alberi? Li feci piantare io, e ci son voluti oltre 50 anni a farli diventare così alti. Con una motosega in dieci minuti li puoi abbattere. ma dopo non è che li rimetti su in soli dieci minuti!”. Questa è la situazione della Scienza nel nostro paese: lungo, faticoso, difficile è costruire: opera che richiede dedizione, abnegazione e sacrificio. Distruggere, invece, è opera facile e rapida. Ma non altrettanto rapido è ricostruire ciò che coscienze ignoranti e malvagie velocemente distruggono.

      Lo stesso, purtroppo, può dirsi per quanto riguarda le vicende della Scienza dello Spirito, dell’Essere angelico Anthroposophia e della Comunità Solare – come amava chiamarla Massimo Scaligero – che doveva incarnarla, in oltre un secolo di tragiche vicende. Anche limitandosi ad osservare soltanto quel che è accaduto – e che MAI avrebbe dovuto accadere – dopo la dipartita di Massimo Scaligero, allo sguardo perspicace di chi – adoperando una volta di più l’espressione del Buddha Shakyamuni“abbia poca polvere sugli occhi”, si può scorgere come quanto da Massimo Scaligero fu edificato con immani sacrifici, indicibili sforzi, dedizione e abnegazione assoluta, in 40 anni, sia poi stato tentato di diluire, adulterare, “inavvertitamente trasbordare ideologicamente”, con una progressiva surrettizia sostituzione di contenuti, in modo da manipolare e manodurre i singoli e l’intera Comunità spirituale verso un ambiguo sentiero, che MAI avrebbe dovuto essere calcato, e l’esiziale mèta finale di tale problematico percorso. Il tutto per inconfessate e inconfessabili finalità ideologiche, politiche e confessionali, che la rosicruciana Scienza dello Spirito, l’Antroposofia, apertamente ripudia. Per fortuna, vi furono e vi son tuttora alcuni pugnaci e riottosi seguaci della Scienza dello Spirito, i quali – in maniera spesso indisciplinata, tumultuosa, passionale, e poco elegante, ma meglio agire e reagire così piuttosto che assistere inerti e amorfi alla turpe opera di distruzione progettata con deliberato calcolo e subdolamente tentata! – non hanno accettato il tentativo di realizzare un cotal machiavellico intrigo (per usare una parola decente…), e, dopo averlo “sgamato”, hanno fatto di tutto per smascherarlo, e contrastarlo. Spesso riuscendovi egregiamente.

      Circa l’opera scientifica di Goethe, in italiano vi sono pochissime traduzioni. Se uno conosce il tedesco, ne può affrontare proficuamente lo studio, giovandosi delle indicazioni e dei commenti di Rudolf Steiner. Ma la conoscenza del tedesco non è molto diffusa e il padroneggiare una tale lingua non è cosa che s’improvvisa dall’oggi al domani.

      Sulla questione della percezione, Le consiglio vivamente la ripetuta e ben meditata lettura della “Logica contro l’uomo” di Massimo Scaligero, il capitolo “Lineamenti di una nuova scienza della percezione”, che offre un percorso meditativo sull’essere dinamico della percezione. Una sola forza del Pensiero Vivente si manifesta nel pensare puro solo su sé fondato, e nell’atto del percepire. La pratica della percezione pura presuppone e si alimenta della Concentrazione. Nell’atto del pencepire è già presente un pensare a-concettuale, normalmente in-percepito perché è un pensare più profondo, che sfugge alla coscienza riflessa, mediata e legata ai sensi e al sistema nervoso. Ma un tale pensare più profondo, presente nel percepire come forza formante la forma formata del percepito, e luce imaginante l’imagine percepita, può diventare cosciente per l’asceta che si consacri alla Via della liberazione del pensiero da ogni mediazione che non sia il suo stesso essere originario. Un tale pensare è l’atto attivo di cui il percepito è il fatto passivo,il risultato creato, dal quale è possibile risalire al momento dinamico creante. Questa è l’Arte.

      L’ascesi della percezione pura non può fare a meno di una intensa e fervida pratica della Concentrazione: “l’esercizio a sé sufficiente”, come lo definiva Massimo Scaligero.
      Di nuovo un cordiale saluto!
      Hugo de’ Paganis

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