
Certi quesiti non sono ovvi e non lo saranno mai: sono, per così dire, il centro di tutto.
Non nel senso sapienziale ma in pratica. Che la pratica sia abissalmente distante dalla teoria, è forse il fenomeno più grave che l’antroposofia ha trovato sul suo cammino: l’inciampo gravido di conseguenze. Convengo da subito che, essendo nella sua natura di un’esperienza umana intima e individuale – anche quando venga svolta correttamente secondo le proprie leggi che in pratica sono diverse da quanto l’anima sperimenta di solito – è praticamente impossibile dare in parole il modello. O meglio, questo è stato fatto da Massimo Scaligero.
Ritengo sia un dovere di alto rispetto ricordare a tutti gli amici come Scaligero sia stato, ai nostri giorni, l’individualità più limpida, qualificata e autorevole nel comunicare, con logica adamantina, il senso del pensiero e della sua ascesi. Consiglio caldamente la lettura completa e alla presenza di tutta l’anima (come quando si affronta un pericolo mortale) di almeno qualche suo scritto. Sottolineo inoltre che, per avvicinarsi alle nostre teste dure, con il Manuale pratico della Meditazione o con le Tecniche della Concentrazione interiore, Scaligero ha fatto l’impossibile: condensando il nucleo dell’Insegnamento già in poche, iniziali pagine.
In chi questo continua a non voler comprendere, c’è da ritenere come pregressa una tragica subordinazione a un danno cerebrale o a una straordinaria forza d’odio (lasciando un po’ in pace il karma che, come il ferro, se riscaldato, si rimodella). Dovrei citare anche la curiosa categoria dei negatori del giorno dopo: genía di squallor cortese che non merita una virgola tra spazi vuoti.
Nessuno tra questi esseri comprenderà mai che ‘tradire’ Scaligero è tradire la Scienza dello Spirito e con essa Rudolf Steiner.
Dove qualcuno pensasse ad una acritica subalternità capitatami per infauste e indefinite cause, sbaglia alla grande. Il destino mi portò allo studio serrato della Filosofia della Libertà e, dopo tre anni di lavoro costante, ai primi testi di Scaligero: un binario e due rotaie che attraversarle per lungo mi triturò un decennio, combattuto giornalmente con spirito critico perché ero pienamente cosciente che era la mia vita e non chiacchiere la posta in gioco per cui stavo lottando pensando quei pensieri.
Spesi dieci anni tra confronti, dubbi, giudizi critici espressi con la massima autonomia possibile, e non fui solo ma confrontavo ogni pensiero che spremevo (soffrivo) con alcuni amici, incredibilmente leali.
Questo al punto che, finalmente connessomi con Scaligero direttamente, gli incontri con certi suoi ‘devoti’ mi lasciavano un sentimento di forte estraneità, come fossi…“un marziano a Roma”, non incontrando a quell’epoca nessuno che vivesse nel pensiero di Scaligero.
E su quanto ho scritto con piena sincerità, poi, come al solito, ognuno giudichi come vuole.
Allora: pensiero e concentrazione. Il pensiero abituale è il passivo involucro o strumento di tutto meno che di se stesso. La minima sensazione di vitalità che pare giustificarlo come esso appare, è data dalle emozioni, dai ricordi e dalle brame. Liberare il pensiero da questa passività è l’operazione per cui si realizza la forza-pensiero che, nella zona metafisica simboleggiata spazialmente dalla testa, è parte del mondo di forze creatrici chiamato “mondo eterico”.
Il passo essenziale, eluso dal sapere, rifiutato da tanti, respinto da molti, incompreso dai più, è quello di trasformare il pensiero da scopo sufficiente della vita interiore comune a strumento o veicolo dello Spirito. Al ricercatore si aprono due vie: rimanere sul terreno ordinario in cui si giudica, si correla e si deduce su ogni cosa, anche sullo spirituale – pensato come un dato più nobile o più segreto – oppure praticare con coraggio e dedizione un’opera continua e concreta attraverso la quale giungere a realizzare l’inutilità del giudizio, delle deduzioni ecc. Insomma l’inconsistenza di tutti i propri pensieri, azzerandoli per percepire il valore potente della forza-pensiero. Della quale il silenzio profondo è l’annunciatore.
Il pensiero, totalmente sottratto ai significati, viene percepito come una corrente viva di forza/luce. Tale corrente apre la strada del cuore eterico (è la via d’incontro del Logos eterico) che permette di percepire/sentire il pensiero macrocosmico, attivo universalmente e operante nella nostra intera struttura. La concentrazione è l’asse portante delle esperienze indicate, ove l’assunzione di testi o generiche disponibilità animiche o pratiche armonizzanti sono soltanto burle inutili. Per l’operatore essa si presenta organizzata su molti livelli. In effetti l’operazione è semplice ma l’uomo è complicato, e con queste complicazioni sue deve fare i conti. Magari evitando da subito le ulteriori dialettiche che non finirebbero mai.
Chi può, coltivi un sentimento di fondo: la concentrazione non è uno tra i tanti esercizi, ma è il più possente Rito che l’uomo di oggi possa officiare. È l’Arte della più alta magia dei tempi nostri.
È la via di Michael: discorsivamente rimuginabile e che perciò rimane segreta: nel pensiero cosciente si desta l’elemento puro della volontà. La volontà pura, senza oggetto (senza brame) diviene un auto-volersi del Volere: è il veicolo di Michael e della Forza di cui esso è veste.
Contro la Concentrazione esiste un esercito, sempre rinnovato con truppe fresche, di figure il cui tratto comune è la totale carenza di esperienze metadialettiche: magari se ciò fosse solo effetto di un’impotenza personale, potrebbe venir parzialmente sostituita da assenza di pregiudizi, onestà e logico rigore. Non è così. Anzi maggiore è la brama di ‘essere qualcuno’ con il codazzo biforcuto di discepolume e di responsabilità spiritual-organizzative, minima o nulla è una seria disciplina che porti ad uno straccio di obiettiva esperienza.
In parole povere è necessaria una scelta fondamentale tra la vanità personale e la ricerca trascendente: trascendente nel senso che deve trascendere i soggettivismi e le traduzioni volte al basso che i castrati spirituali portano volentieri con sé.
Tra i falsi indicatori, tra ipocrisia, menzogne e parole vuote, regna una gran confusione: parlano di controllo scambiandolo per concentrazione e viceversa, indicano pericoli per il sentire e il volere, e se poi leggo opinioni del tipo “si provi prima a volere e dopo a pensare”: qui osservo un caos in cui il minimo epistemologico è finito in fondo alla fossa delle Marianne. A questo punto di non ritorno è impossibile comprendere come la concentrazione sia già volere in atto e come il sentire arresti (finalmente) la sua funzione inferiore. Al punto, scrive il Dottore in un mantra fondamentale per l’asceta, che “l’umano sentire quieto svanisca”.
È semplice: l’ordinario pensiero è l’unica attività che contrasta lo Spirito, falsificando quelle forze che chiamiamo sentire e volere. La reintegrazione del pensiero al proprio principio originario riabilita tutta l’anima (e il corpo) alla sua realtà spirituale. In pratica significa attivare un impeto straordinario che porti il soggetto pensante alla estinzione di sé e oltre essa. Chi è capace di tanto? Verrebbe da rispondere: “Nessuno”. Ma non sarebbe del tutto vero.
Il soggetto può accrescere forza illimitatamente, ed è con questa forza in eccesso che la ‘natura’ può venir superata. Tecnica, allenamento e rafforzamento progressivo sono ciò che occorre. Poi, come ho già detto, i livelli di realizzazione sono tanti e variano per ogni operatore, ma sono anche ignoti e incomprensibili per i venditori di antroposofia, i ciarlatori ed i ciarlatani.
Le modificazioni della coscienza sono le tappe della Via, e soltanto presso ognuna di esse acquista significato qualche ulteriore esercizio per il quale, sia detto per inciso, quello che trovi scritto nei testi è solo una conferma di quanto si è già compreso per esperienza: un’occhiata alla cartina stradale durante il viaggio.
Di più: la lettura sbalordisce poiché, sebbene l’indicazione scritta permanga esatta alla virgola, ora si comprende che quello che si era compreso era del tutto diverso da ciò che credevamo fosse una indicazione compresa: come la strada è diversa dal segno tracciato sulla cartina. Cosa: si comincia dominando il pensiero che ci domina… ed è un lavoro lungo e faticoso.
La gente ama i separé terminologici, ma pure questi sono autolimitanti: col coraggio del santo o del ladro, appena possibile si tenti la concentrazione, focalizzando l’attenzione tutta su di un oggetto di pensiero e basta. Non giudicare poi che il meglio è stato assai breve: in effetti la totale continuità dell’attenzione è breve per tutti. Poi, durante la giornata si ritenti. Quanto? Il più possibile. Mica è una passeggiata! Però dopo subentra con chiarezza la sensibilità per il quanto che riesce dallo sforzo sterile.
Nemmeno questa è una regola assoluta, poiché nessuno ci obbligherà a non tentare, talvolta, il ‘molto di più’, magari su base infrequente. Che venga usata la quantità o l’intensità il senso è lo stesso: superare i limiti, quasi sempre auto inflitti energicamente. Lo si sappia o meno.
Grazie Isidoro, con molta fatica sono riuscito a intuire il significato nascosto nel Trattato del Pensiero Vivente. Quel senso profondo lo conservo gelosamente nel mio cuore, la sua fiamma arde flebile ma costante anche se troppo spesso offuscata dalla routine quotidiana. Le sue parole mi hanno aiutato a vivificarla!