FRIEDRICH RITTELMEYER (di F. Giovi)

F R

Nel mio precedente articolo sulla Comunità dei Cristiani avevo ricordato Friedrich Rittelmeyer  (1871-1929), l’uomo che sostenne il rischio e la responsabilità di una simile avventura nella sfera viva dell’elemento religioso dell’anima.

Qual era la dote di questa figura? Possiamo dire che in lui vivevano con forza elementi dell’anima che appaiono a molti come estremamente diversi. Era una natura profondamente religiosa ma parimenti aperta alle esigenze moderne della metodologia, della logica, dell’esattezza scientifica. Ciò lo portava a rimettere in causa la passata tradizione teologica che costantemente vagliava con il severo criterio della veridicità.

Per lui il Vangelo era un nutrimento morale che doveva divenire una esperienza vissuta. L’impegno della sua Fede, l’ampia cultura, la conoscenza dei fenomeni umani, sociali e scientifici e la sua intransigenza morale fecero dei suoi sermoni un faro di luce spirituale nell’Europa di lingua tedesca. È un fatto storico che le sue prediche, stampate in milioni di esemplari, furono inviate ai combattenti durante la Prima Guerra Mondiale.

L’angelo che lo portò a Rudolf Steiner fu una grande figura, ai piú del tutto sconosciuta. Rittelmeyer, cosí attento ai fenomeni umani e sociali, pastore evangelico a Norimberga, chiese ai rappresentanti dei movimenti teosofici documentazioni, cause, origini. E nel suo ufficio si presentò  Michaël Bauer. Alto e snello, con una gran barba nera «poteva passare per un Maestro indiano in viaggio per le grandi città europee».
Scrive Rittelmeyer che per alcune persone «la semplice vista di quest’uomo di alta statura, che andava e veniva tra i fiori del giardino, fu un avvenimento che segnò le loro vite».

Gli occhi di Bauer erano la cosa piú impressionante: in essi l’impressione esotica era cancellata dalla luce del Cristo che attraverso essi si riversava sul mondo. «Giammai ho visto – salvo che in Rudolf Steiner – brillare una simile luce dorata nel profondo di uno sguardo umano».

I dialoghi tra i due si svolsero in un’atmosfera sana e spirituale e costrinsero il Nostro a riprendere pile di testi teosofici in cui trovò soprattutto una mescolanza di antiche tradizioni e di soggettivi sentimentalismi. L’unico autore interessante rimase Rudolf Steiner. Nei “Cicli” (che ora sono volumi) le parole di questi erano in contrasto con la teologia e molto rimase inaccessibile o inverosimile. Per il rigore e l’onestà della sua natura, Rittelmeyer, nonostante tutto, avvertiva l’invito di Steiner a comprendere l’insieme, a portare chiarezza in una visione nuova dello Spirito.
Sul tavolo da lavoro stava la Scienza Occulta: «Essa mi respingeva. Non potevo venirne a capo. La leggevo e dopo poco venivo preso dalla nausea. Quelle “conoscenze” mi pesavano sullo stomaco come cibi indigesti».
Dove i piú avrebbero lasciato (vedi ora con i libri di Scaligero), Rittelmeyer studiò una strategia: leggere poco, leggere imparzialmente, leggere attivamente e infine leggere meditativamente, intercalando lunghe pause in cui riprodurre nell’anima le righe lette, liberi da pregiudizi.

«Prima di tutto devi chiederti: ciò che c’è qui è vero? Non hai il diritto di voler decidere precipitosamente quali verità tu desideri e ritieni utili per il mondo!».

In maniera efficace il pastore delinea i contrastanti stati d’animo che sorgono in personalità già mature ma capaci di lotta conoscitiva.

Rittelmeyer vide Steiner per la prima volta nell’agosto del 1911. Non tesserato, fu comunque ammesso alle riunioni (la tessera quale condizione di presenza è ora piú che mai un paletto che mi pare non del tutto giustificabile, specie se ripreso da alte figure come la von Halle).

Per il pastore l’impressione generale non fu delle migliori: «Una certa forma di passività avida di godimento spirituale mi diede molto da pensare. E quando vidi uomini dai lunghi capelli fui sul punto di darmi alla fuga».

Comunque lo trattenne una certa solennità d’atmosfera, di nobiltà umana che traspariva dal fatto della prossimità di un grand’uomo. Ascoltò Rudolf Steiner, non vide traccia di vanità, e anzi, a voler essere pignoli, gli parve anche troppo coscienzioso e intelligente. L’impressione generale restava un quid aperto.

Alla fine della conferenza riuscí ad intercettare Steiner poco oltre l’impenetrabile muro dei seguaci. Gli domandò se poteva ritornare anche alla sera. Steiner lo fissò per un istante, poi volse gli occhi a terra (secondo Rittelmeyer, con le successive frequentazioni, gli parve, in questo comportamento, un modo per andare oltre l’apparire sensibile e percepire piú chiaramente l’essenza spirituale di un essere) e seccamente rispose: «Poiché voi siete stato qui la mattina, potete venire anche questa sera» e si allontanò. Fu la prima conversazione tra i due!

Quattro anni dopo, durante una conferenza, non era la prima volta che Rittelmeyer non si sentiva capace di «dare un’anima alle parole dello Steiner». Alla fine della conferenza fu Steiner che gli si avvicinò, e senza preamboli gli disse: «Parlo cosí di queste cose intenzionalmente e consapevolmente. Se parlassi altrimenti, marcherei troppo direttamente la sensibilità della gente. Attendete che queste cose si sviluppino per una cinquantina d’anni tra gli uomini: allora esse produrranno il loro effetto sulla sensibilità e sulla volontà».

Comunque era impressionante l’autorità che Steiner emanava. E la “mobilità” straordinaria del suo volto: «Appariva giovanissimo, poi d’età matura. C’era tanta potenza mascolina quanto una delicatezza femminile. Pareva un arido professore e subito si trasformava in un Dionisio ispirato. Comparato ad altri oratori, egli aveva una facoltà di trasformazione per lo meno dieci volte piú grande e un campo di possibilità interiori che non avevo mai visto…».

Giunse infine il giorno del primo vero colloquio tra i due. Rittelmeyer non gradiva l’ipotesi che Steiner potesse vedere la sua aura. L’amico Bauer lo confortò con divertimento: «Il Buon Dio la vede bene, non le pare?».

Steiner guardò con estrema attenzione Rittelmeyer che saliva i gradini. Impassibile ma con un grande abbandono di sé, fuso nei movimenti dell’altro. Solo piú avanti Steiner gli confermò che i movimenti di un essere rivelano molte cose sulle sue esistenze precedenti.

Non riporto il colloquio. Nei termini di cortesia e rispetto potete immaginare il pastore sempre all’attacco e il Dottore che rispondeva con disorientante blandezza. Alla fine del colloquio Steiner gli consigliò quattro discipline interiori. Che Rittelmeyer poi modificò per farne una cosa sua propria. Successivamente Steiner approvò tale approccio.

L’avvicinamento era iniziato, ma fu tutto meno che una cosa facile. Passarono anni di vaglio e discordanze (una tra tante, l’idea della reincarnazione: già nei primi colloqui Steiner aveva chiarito che la reincarnazione non era una “dottrina” cristiana: «È un fatto che si rivela all’investigazione occulta. Va accettato per quello che è»).

1915: la Guerra era in corso. Steiner riprese il Nostro: «Non è un bene dire alla gente: voi non dovete odiare l’Inghilterra. Questo snerva le persone e non le aiuta in niente. È molto meglio dire loro: voi non odiate davvero l’Inghilterra se siete dei veri tedeschi! Il tedesco, quando combatte, non odia mai la persona ma la causa».

Il Cristo era il punto focale per l’anima di Rittelmeyer, che chiese a Steiner quale fosse la sua immagine piú reale, la bocca ad esempio: «…Quando io la vidi – rispose Steiner – per la prima volta, ebbi l’impressione che non fosse mai servita per mangiare, ma che da tutta l’eternità essa avesse annunciato le verità divine».

«Ma – chiese il pastore – se sapete com’è il Cristo, non si potrebbe rendere la sua figura accessibile all’umanità?».

Steiner rispose positivamente. Si riferiva alla scultura del “Rappresentante dell’umanità”.

Quando in seguito Rittelmeyer vide la statua, commentò che alla figura sembrava mancare l’espressione della bontà.

«Avete ragione – rispose Steiner – ma la bontà non si presta ad essere rappresentata in una scultura, è assente dallo sguardo. Per questo ho cercato di introdurre l’espressione della bontà nel gesto della mano sinistra alzata».

Nel lungo cammino di Rittelmeyer verso l’antroposofia, il Dottore fu sempre la pietra angolare: in Steiner egli non trovò mai una, magari leggera, traccia di orgoglio, di compiacimento. Steiner mai si metteva avanti, nemmeno nelle conversazioni personali, e se sorgeva ammirazione nei suoi confronti, si ritirava e attendeva. Un giorno in cui Rittelmeyer gli chiese di convincere una personalità potenzialmente preziosa per il Movimento, Steiner rispose energicamente: «Io non voglio conquistare nessuno!».
Nel 1917, nel fare pochi passi insieme, Steiner disse che, per giungere ai suoi scopi, si limitava all’occulto. Mentre il dominio religioso era il percorso di Rittelmeyer.

Quest’ultimo iniziò a scrivere articoli sull’antroposofia che trovarono riscontri positivi e… negativi. Johannes Müller, ad esempio, scrisse in termini appassionati contro l’antroposofia. Ma replicare ad una replica è la cosa piú ingrata che ci sia. Infatti Steiner sconsigliò indirettamente il Nostro.

Con gli articoli sulla Tripartizione dell’organismo sociale, si levarono contro Steiner le passioni politiche ed economiche. Egli venne svergognato, vilipeso, e l’anatema si estese su tutti i suoi amici. «Il Papa invisibile dell’opinione pubblica si era pronunciato».

Sono molte le cose per le quali Friedrich Rittelmeyer visse e lottò in quegli anni, ma anche scegliendo i fatti piú salienti ci vorrebbe una intera pagina per ognuno di essi, e queste righe non sarebbero piú il modesto cenno che vogliono essere.

Per Rittelmeyer la frase pronunciata un tempo da Steiner: «Il campo religioso è la vostra strada» corrispondeva al suo piú profondo sentimento. Ma pazientemente aspettava ancora di essere assolutamente convinto della giustezza e della necessità del passo ulteriore, attendendo da Steiner tutto quello che avrebbe potuto sentire. Per un uomo di cinquant’anni abbandonare tutto il passato per intraprendere un nuovo indirizzo completamente diverso, è una esperienza che esige un coraggio fuori dal comune!

Venne finalmente il tempo in cui Steiner sviluppò, tra l’estate e l’autunno del 1921, due corsi sulla possibilità di un rinnovamento religioso.

«Malgrado tutto ciò che sapevo di Steiner, non mi sarei mai immaginato tanto approfondimento nel regno della teologia, sia che avesse tanto da dire di nuovo e di grande, non soltanto sulla Bibbia e la scienza biblica, ma anche sulla storia ecclesiastica, sulle diversità confessionali, sulla profondità spirituale e morale del cristianesimo, aprendo anche immense prospettive sull’avvenire …e la maniera concreta e sicura con cui afferrava il campo della pratica religiosa».

Rittelmeyer esaminò a fondo il testo dell’Atto di Consacrazione dell’Uomo e venne afferrato da questa idea: «Non si ha il diritto di privare di ciò l’umanità!».

Tuttavia l’esperienza determinante fu qualcosa di diverso, inatteso: «…l’esperienza che nel Pane dell’Altare ci sia realmente il Cristo vivente che giunge all’uomo. Ciò era presente con una purezza e una limpidezza indicibili. Fu una percezione puramente spirituale: non durante la cerimonia evangelica della Cena – benché l’abbia celebrata percependo frequentemente la vicinanza del Mondo divino – ma nella meditazione su l’Atto della Consacrazione dell’Uomo; fu una percezione spirituale cosí certa ed intensa che su essa si poteva fondare tutta una vita. …Ciò significa un nuovo servizio divino, una nuova azione del Cristo e una predicazione nuova».

«Mi trovai allora in presenza di questo problema: se è possibile penetrare direttamente in Cristo, quanti tra gli uomini ne sarebbero capaci? Non può essere necessario, per la maggioranza degli uomini, di poter avere una celebrazione che possa condurli a tale esperienza, che li conduca alla realtà della presenza del Cristo?».

Da questo punto di vista, il rapporto tra il movimento antroposofico e la Comunità dei Cristiani si fa chiaro.

«Se un culto venisse instaurato all’interno della Società Antroposofica, esso potrebbe appoggiarsi ad uno spazio piú ampio e in modo piú dettagliato sulla nuova concezione del mondo che si fa luce con l’antroposofia. Ma per il momento questa visione del mondo è lontana dal riconoscimento nella vita generale, e il suo compito è nella lotta, nell’aprirsi un varco spirituale. L’umanità nel suo insieme non può attendere che questo fine si realizzi. A gran parte della gente non interessa la lotta di questa concezione che cerca d’affermarsi. Ma per molti si può concepire l’importanza di un culto che sia in perfetta armonia con la conoscenza spirituale antroposofica; senza essa non si potrebbe vivere, ma nella vita cultuale sí: senza insegnamenti, senza il presupposto di questa conoscenza spirituale: un tale culto comunica all’uomo in modo immediato ciò che lo unisce alla realtà suprema».

Infatti quando fu chiesta a Steiner la distinzione tra il movimento antroposofico e la Comunità dei Cristiani, egli rispose: «Il movimento antroposofico si indirizza al bisogno di conoscenza e apporta conoscenza; la Comunità dei Cristiani si indirizza al bisogno di resurrezione e apporta il Cristo».

Deve essere però chiaro che anche la vera conoscenza può condurre pienamente al Cristo! Il movimento antroposofico abbraccia il pensiero in tutti i suoi interrogativi piú radicali. La Comunità dei Cristiani è una Chiesa che può abbracciare tutti gli uomini per la loro salvezza.

Per motivi di lavoro e di salute personale, le conversazioni tra Rittelmeyer e Rudolf Steiner, negli ultimi due anni di vita del Dottore, furono meno frequenti.

Circa un anno dopo la fondazione della Comunità, Rittelmeyer scrisse un forte articolo in difesa di Steiner, che rimproverò redazione e comitato per averlo pubblicato. Sappiamo però che soffrí manifestamente di non essere stato protetto dagli antroposofi. Egli vedeva bene che gli attacchi alla sua persona avevano lo scopo di soffocare la sua opera. Cosa che gli antroposofi non vedevano proprio!

L’ultima conversazione tra i due ebbe luogo nel maggio del 1924 e fu, con la comprensione di poi, l’incontro di commiato. Quando Rittelmeyer ricordò quanto potentemente fosse stato aiutato da Steiner durante la sua lunga malattia, questi, con un’espressione di immensa bontà, fermò il pastore: «No, caro Herr Doctor, siete voi che io ringrazio per avermi dato l’occasione di aiutare». Furono queste le ultime parole che Rudolf Steiner indirizzò a Rittelmeyer su questa terra.

Sei mesi piú tardi, su richiesta di Marie Steiner, Friedrich Rittelmeyer celebrò il servizio funebre secondo il rituale della Comunità dei Cristiani, con l’involucro mortale del Dottore ai piedi della possente e spirituale scultura lignea del Rappresentante dell’Umanità.

Franco Giovi

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Nota: tutto il virgolettato proviene dal volume Meine Lebensbegegnung mit Rudolf Steiner (Verlag Urachhaus, Stuttgart). E avverto subito i gentili lettori che le mie zoppicanti traduzioni non sono letteralmente fedeli. Il senso, spero, sí.

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per gentile concessione: http://www.larchetipo.com/2012/dic12/

2 pensieri su “FRIEDRICH RITTELMEYER (di F. Giovi)

  1. Primo pensiero che si affaccia alla coscienza dopo la lettura di queste righe: Arriveremo mai, -incarnati,dico- ad intuire anche solo lontanamente le altezze sideree dalle quali discese l’individualità spirituale che si incarnò in Rudolf Steiner??? (Lo stesso vale, credo, anche nel caso di Massimo Scaligero…)

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