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Negli anni ormai lontani della mia adolescenza ebbi l’incontro – mediato dall’amico L. – con la Via del Pensiero e con Massimo Scaligero. Gli incontri con Massimo Scaligero si protrassero poi nel corso di tutta la mia giovinezza, e dettero luogo ritmicamente ad una assidua frequentazione oltre che degli appuntamenti individuali, anche degli incontri per il Rito della meditazione in comune con lui ed alcuni amici, e delle riunioni nelle quali Massimo Scaligero, in una irripetibile atmosfera speciale di intensità spirituale, rispondeva alle domande scritte, che gli venivano poste sull’Ascesi e sugli altri temi della Scienza dello Spirito. Fu il periodo più luminoso e felice della mia vita.
Io ero giunto alla Scienza dello Spirito partendo dalla pratica delle Vie orientali. Già nella prima adolescenza ebbe luogo il mio incontro con l’India spirituale, con la Cina, il Giappone, il Tibet. Ciò corrispondeva sicuramente ad una karmica spinta prenatale, ed infatti, immediatamente, ad un tale incontro vi fu per me – vero coup de foudre – amore a prima vista. Le discipline orientali erano “Vie di liberazione”, ossia Vie di realizzazione ascetica, e non l’accumulazione di un sapere erudito. Una realizzazione ascetica, in Oriente, era sempre il frutto di una intensa pratica interiore, e non di intelligenza cerebrale o di un mero studio intellettuale. In Vie come il Taoismo, il Chan cinese, lo Zen giapponese, questi ultimi – intelligenza cerebrale e studio intellettuale – venivano riguardati come i massimi ostacoli alla realizzazione spirituale, e non di rado essi venivano irrisi, persino in termini irrispettosi alquanto pesanti.
Fu grande ventura per me l’aver incontrato prima Massimo Scaligero e non gli antroposofi. È estremamente probabile che se avessi incontrato prima gli antroposofi sarei stato respinto dal loro verboso intellettualismo, dal loro sciropposo sentimentalismo, dal loro inconcludente estetismo. Per mia grandissima fortuna, nell’agosto del 1969 incontrai L., che era un asceta e un mago: un vero occultista, ossia tutto fuor che un intellettuale. Egli riuscì a portarmi oltre le Vie orientali: non negandole – ché egli le aveva, a suo tempo, ben sperimentate – bensì trascendendole in un’esperienza spirituale per me assolutamente nuova. In una di quelle giornate dell’assolata estate romana, mi descrisse una sua particolare esperienza interiore – e fu l’unica volta, che io sappia, ch’egli fece una cosa del genere – e una tale esperienza spirituale, per me assolutamente nuova, mi colpì profondamente. Poco dopo iniziai la pratica degli esercizi.
Fortuna ancor più grande – evento “felicissimo”, nel senso augurale etrusco e romano del termine – fu per me l’incontro con Massimo Scaligero, al termine della primavera del 1970. Un tale incontro basta e avanza a giustificare una intera vita, e ripaga mille e mille volte dei dolori, delle rinunce, delle innumerevoli sconfitte, dei periodi di aridità, dei molti errori, e degli strazi di una intera vita passata a combattere spiritualmente. Fu di estrema importanza il fatto che Massimo Scaligero mi avesse dato, da sùbito, una severa impostazione assolutamente pratica della Via, ossia mi rese immediatamente consapevole che l’essenza della realizzazione spirituale è nell’Ascesi del pensiero, nella Concentrazione.
Qualcosa di simile avveniva e avviene nelle autentiche Arti Marziali estremo-orientali, nate dal Chan, dallo Zen, dal Taoismo, da me allora seguite con grandissima giovanile passione: le si apprendono da un Maestro, praticandole nel Dojo, e non studiandole sui libri. L’incontro con Massimo Scaligero fu per me il portare su un piano più alto ed essenziale quel combattimento interiore, che nella mia turbolente adolescenza era veicolato dalla pratica delle Arti Marziali.
Di disciplina, in effetti, un selvaggio lupaccio come me ne aveva – per la verità ne ha tuttora – estremo bisogno. E Massimo Scaligero fu oltremodo “generoso” nel porgermela con la parola e con lo scritto. In una lettera del 18 febbraio 1971, così mi scriveva:
«La tua lettera è il quadro di un lavoro organico e sicuro. Ora via via punteggio il tuo discorso. “Ad Rosa per Crucem”: non si tratta di capirlo, ma di realizzarlo: poi si capisce. La realizzazione è l’esercizio della rosa-croce dato da R.S. nella Scienza Occ. – Esercizi: non vanno mai interrotti, neppure un giorno: continuarli, quale che sia la situazione, quale che sia l’impedimento».
E, poco oltre, parlando di una problematica confraternita occulta, di origine americana, sedicente rosicruciana, che era giunta nella mia città ed era stata conosciuta da alcuni amici, così aggiungeva:
«Le dottrine dell’ “Xxxxx” le conosco e debbo dire che per molte assonanze si avvicinano alla Scienza dello Spirito, senza esserlo: è l’esoterismo in cui c’è tutto che soddisfi l’anima razionale e l’anima senziente, persino discipline ben precise, ma manca il nucleo della vita, il fulcro, il punto di uscita dall’individuale, che è il segreto del pensiero: senza cui non si esce dalla sfera dominata dagli Ostacolatori dell’uomo. Questi Ostacolatori oggi favoriscono ogni iniziativa, ogni conoscere dell’uomo che proietti in un sapere, o in un sentimento, o in uno psichismo, lo Spirituale, purché l’uomo non scorga il punto da cui essi lo dominano, il punto da cui è possibile la sua liberazione. Sul piano della “libertà” in quanto possibilità, ogni inganno degli Avversari può irretire il cercatore dello Spirito, anche il più genuinamente deciso: se non afferra il senso verace della “Via del pensiero”, la vera connessione con la Rosacroce. [Gli esercizi debbono attraversare il tempo l’esistenza, debbono passare attraverso tutto: la misura della loro forza, è il loro essere possibili attraverso le situazioni meno favorevoli]».
È evidente, dalle sue stesse parole, come Massimo Scaligero ponga al centro della Scienza dello Spirito la pratica interiore: pratica degli esercizi assidua, precisa, intensa, fervida, ininterrotta. E come tale pratica si identifichi con la Via del Pensiero, ossia con la Concentrazione. Ed è altresì evidente come un qualsivoglia “sapere” spiritualistico, “ortodosso” o meno – guenoniano, evoliano, teosofico, antroposofico, massonico, martinista, ermetico, occultistico, o d’altro tipo che sia – in quanto mero sapere e somma di pensati – dal punto di vista dell’essere del pensare, è relativamente indifferente che tali pensati siano giusti o sbagliati – non esce affatto dal ferreo dominio degli Ostacolatori. All’Oscuro Signore non importa punto se a tenere spiritualmente prigioniero l’uomo sia una rozza catena d’acciaio, oppure una catena d’argento, o anche d’oro, purché essa tenga ben avvinta la preda umana, che non deve avere scampo. E – non dispiaccia ai propugnatori dei mistici languori ad uso delle compunte “anime belle” – neppure con gli afflati sentimentali e moralistici di una stucchevole emotività, sottilmente sensuale, si esce dal dominio dell’Ostile: anzi, è certo che una profumata catena di petali di rosa avvince sovente ben più efficacemente e invita meno a liberarsi che non i ferrami di rozzo acciaio.
Né con i pensati – giusti o errati che siano – dell’anima razionale, né coi moti emotivi – per quanto edificanti e lodevoli – dell’anima senziente, dunque, si esce dalla condizione di abietto servaggio alla propria natura inferiore, dominata senza residui, in ogni sua forma, dall’Oscuro Signore, perché pensiero riflesso e cerebrale, emotività sentimentale, e volontà istintiva sono il frutto della caduta dell’essere originario del Pensiero Vivente, sono l’effetto del morire della vivente Conoscenza-Una nella frantumazione della molteplicità della maya illusoria.
In ogni sua opera, in ogni sua lettera, in ogni sua comunicazione orale, Massimo Scaligero poneva invariabilmente al centro la fondamentalità della Via del Pensiero, e l’assoluta necessità della pratica della Concentrazione: «il senso verace della “Via del pensiero”», come afferma egli stesso nella lettera che mi indirizzò. Perché l’essenziale non è l’avere pensieri giusti o sbagliati, ma pensieri vivi e non morti. L’essenziale è il risalire la corrente del pensiero sino alla sua scaturigine, lo sperimentare il momento genetico del pensare, nel quale soltanto si inverano i pensieri. E questo è possibile unicamente attraverso la Concentrazione. Solo risalendo la corrente del pensare sino all’originario momento genetico dei pensieri e, ancora oltre, sino all’essenziale forza-pensiero libera di pensieri, sino alla forza-pensiero “vuota”, e “fulgurea”, forma di se stessa, unico supporto a se stessa, l’Io si sveglia, si libera della natura, e accede all’esperienza spirituale cosciente.
Che poi la Via del Pensiero e disciplina della Concentrazione siano una dura pratica è cosa su cui si può esser tutti perfettamente d’accordo. La Via del Pensiero è la Via del sublime coraggio che, come un pesante maglio, colpisce, abbatte, frantuma l’egoismo umano. Appunto la Via del sublime, eroico, coraggio, e non quella del sublime egoismo, come affermano – in perfetta malafede – coloro che strumentalizzano frasi di Massimo Scaligero monche e divelte dal contesto loro proprio e dall’intenzione autentica del loro Autore. È quindi più che naturale che la Concentrazione incontri la ribellione di tutte le forze dell’anima legate al servaggio animale, allo psichismo condizionato dalla vita somatica.
È una Via che mette a dura prova la volontà del cercatore spirituale. Ho visto non poche vocazioni spirituali letteralmente liquefarsi alle prime fatiche dell’Ascesi. Altre, dopo gli entusiasmi iniziali, si sono spente alle prime difficoltà o a quelle successive. Altre, infine, si sono sbriciolate nelle inevitabili crisi – salutari e necessarie per chi ne intenda il senso – che attendono il praticante interiore lungo il sentiero spirituale.
La Via del Pensiero è dura, perché nella ricerca spirituale l’essere umano ha seguito per millenni le vie mediate della tradizione lunare, nelle quali lo spirito operava mediante il corpo fisico e quello vitale, mediante l’anima senziente e quella razionale. La Via del Pensiero è l’elemento assolutamente nuovo, perché è la Via nella quale lo spirito agisce sullo spirito mediante lo spirito, quindi in maniera in-mediata e spirituale. Questa è la Via della Tradizione Solare, e Massimo Scaligero lo afferma in maniera assolutamente esplicita. Con parole che più chiare non potrebbero essere, egli mette in evidenza come il pensare puro sia l’unico elemento spirituale che possa essere da sùbito coscientemente indipendente dall’anima, e che possa quindi portare oltre l’anima, ed eventualmente agire in maniera trasmutatoria sull’anima. Infatti, così scrive Massimo Scaligero nell’edizione originale di Yoga, Meditazione, Magia, Teseo, Roma, s.d., ma 1972, pp. 48-49:
«La via magica dei nuovi tempi ha inizio come esperienza del pensiero puro: come coscienza del movimento in cui lo Spirito per la prima volta ravvisa se stesso operante direttamente nell’anima. Anche se il sentire può concepire spiritualmente più concrete dimensioni, yoghiche o mistiche, o magiche, esso non muove dallo Spirituale: esprimendo comunque la corporeità, esso manca di coscienza del suo sostituirsi al conoscere. Si mostrerà come solo il pensare abbia la possibilità di realizzare l’autonomia cosciente dalla corporeità, mentre il sentire può realizzare la sua incorporeità solo a condizione del risveglio di sé, per consonanza con tale puro pensiero. Certo, esistono personaggi, culturalmente ed esteticamente persuasivi, malgrado pensino soltanto con il corpo, o soltanto con l’anima: il m o v i m e n t o p u r o è ignoto loro, in quanto per impedimento costituzionale, essi non sanno scinderlo dal supporto, che è il corpo , o l’anima, o l’oggetto sacro, anche se si esprimono in termini metafisici».
E che ci possano essere propugnatori e propugnatrici di una pretesa “via dell’anima” – come, ad esempio, in quel di Roma e nella mia città – che si rivelerebbe mirabilmente superatrice, a loro dire, della Via del Pensiero indicata da Massimo Scaligero, la quale, invece, sarebbe, sempre a loro dire, «incompleta e superata», è cosa che non desta meraviglia più di tanto, perché tale pretesa è il risultato di una diserzione rispetto all’impresa spirituale, di una rinuncia all’assolutezza della Via, il risultato di un cercare tamponarne e di ridurne la dirompenza a livelli accettabili per la continuazione di un indisturbato servaggio dell’anima, per la tetanica volontà di sopravvivenza dell’ego, della personale natura astrale.
Portare a fondo la Concentrazione a molti dà il senso di un venir meno del respiro, di un andare in debito d’ossigeno. Sensazione assolutamente reale, ma – paradossalmente – evenienza oltremodo “auspicabile”, e “felice”: sempre nel senso etrusco e romano del termine. Evenienza auspicabile e felice, perché un tale venir meno del respiro, l’andare in debito d’ossigeno è un morire, un andar cercando la morte. Ma la morte di che cosa o di chi ? La morte del miserabile ego animale, del quale è savio non aver punta misericordia.
Va da sé che l’ego tema massimamente un tale proprio morire, e che si ribelli con sforzi spasmodici – appunto tetanici – all’azione dissolvitrice dell’Io e dello Spirito. Ma è scritto che «qui agnoscit mortem, cognoscit artem», ossia che conoscere l’Arte del risveglio dell’Io dalla paralisi spirituale, l’Arte del risorgere dell’elemento spirituale dallo stato di sonno significa ed esige la conoscenza attiva e coraggiosa del mistero della morte: è – come dice un testo settecentesco – «un cercar la vita tra le braccia della morte».
Ciò esige un’instancabile, ininterrotta, pratica interiore. Perché, come afferma Massimo Scaligero, «il bene è l’idea che si attua, il male è l’idea che non si attua», e non bisogna scambiare l’idea di una realizzazione spirituale con la concreta realizzazione spirituale dell’idea. Può sembrare un giuoco di parole, ma non lo è affatto: è la differenza radicale tra l’intellettualismo dialettico e imbelle, il misticismo sognante e sentimentale, e la concreta realizzazione ascetica.
Un asceta d’altra dottrina d’Oltralpe, grande ammiratore di Massimo Scaligero, anni fa, diceva al mio ottimo amico C., che una Via autentica deve trasformare l’uomo attuale in un miles, in un combattente spirituale. Che sia una questione di ascesi nel senso ellenico del termine – ossia àskesis, addestramento rafforzante – una questione di costante esercizio – per i romani gli exercitia erano quelli che i giovani praticavano al Campo Marzio nell’addestramento militare dell’exercitus – risulta chiaramente da quel che mi scrisse Massimo Scaligero l’8 novembre 1971, dunque qualche mese dopo la lettera precedente:
«[…] occorre sostituire al problematismo dell’anima, la forza. La forza è tutto, salute, equilibrio, moralità, socialità, aiuto al prossimo. La forza si costruisce con la volontà decisa, obbediente a se stessa. Occorre essere in due in se stessi: uno che comanda e uno che obbedisce senza potersi sottrarre. La concentrazione è la chiave: va fatta a freddo, con matematica precisione, con autorità e direi con prepotenza, riguardo a ogni interruzione o distrazione. Occorre farsi un programma giornaliero di esercizi e obbedire: fare veramente l’esercizio fondamentale, quello della concentrazione. Se non è facile, è segno che è proprio quello che va fatto. […]
Ti consiglio il libro INIZIAZIONE: soprattutto, poi, la concentrazione fatta 3 o anche 4 o 5 volte al giorno: simultaneamente ti devi porre còmpiti ed eseguirli: una serie continua che impegni a fondo la volontà. Vedrai che, appena fluiscono forza e sicurezza, i vari problemi dileguano. La sensualità non si supera molto misticamente: occorre la luce trasfiguratrice del pensiero-forza».
È un fatto che, se siamo deboli, siamo inservibili per lo Spirito. E siamo deboli, rimaniamo deboli, finché rimaniamo impantanati nelle problematiche soggettive dell’anima, finché non realizziamo la dimensione spirituale dell’Io oltre l’anima. La dimensione spirituale dell’Io oltre l’anima è alla portata di ogni essere umano pensante, ossia che voglia pensare volendo. Questa è l’istanza, l’esigenza radicale della Concentrazione.
Usando – more pythagorico – un linguaggio aridamente geometrico, oserei dire che la Concentrazione è, nei confronti dell’esperienza conoscitiva spirituale, condizione necessaria e sufficiente. Condizione assolutamente necessaria, perché solo risalendo, mediante Concentrazione, la corrente del pensare dal quel riflesso morto e cristallizzato che è il pensato al vivente momento genetico del pensiero, ci si libera degli innumerevoli inganni della trasognata soggettività dell’anima. E condizione altresì sufficiente, perché nel momento originario del pensiero si ritrova la vita e l’essere: vita vera dello Spirito, non consunta dalla soggezione alla prigione corporea, ed essere vero dello Spirito, denudato dalle apparenze illusorie proprie al conoscere riflesso – se quello si può poi chiamare conoscere – proprio dell’essere umano caduto nell’abiezione di una condizione animale o semianimale.
Che la Via del Pensiero sia una Via più radicale e a sé sufficiente non lo dice quel lupaccio eretico incallito e paganaccio impenitente di Hugo, ma lo stesso Rudolf Steiner, il quale – voglio citare dalla stessa edizione degli anni trenta del trascorso secolo che ebbe tra le mani Massimo Scaligero allorché, agli inizi degli anni quaranta, per volontà del destino ne aprì una pagina che decise dell’ulteriore sentiero spirituale della sua vita: lui stesso mi indicò quale pagina – ne La Scienza Occulta nelle sue linee generali, trad. di Emmelina de’ Renzis ed E. Battaglini, Gius. Laterza e Figli, Bari, 1932, pp. 225-226, così scrive:
«La via che conduce al pensiero libero dai sensi per mezzo delle comunicazioni della scienza dello spirito è completamente sicura. Ve ne è un’altra anche più sicura, e specialmente più esatta, sebbene per molti sia più difficile e sta descritta nei miei libri: «La teoria della conoscenza nella concezione goethiana del mondo» e la «Filosofia della libertà». Questi libri espongono i risultati a cui il pensiero umano può arrivare, quando invece di abbandonarsi alle impressioni del mondo esteriore fisico-sensibile, esso si concentra soltanto in se stesso. Soltanto il pensiero puro, come un’entità di per sé vivente, esplica allora la sua attività nell’uomo. I libri sopra citati non hanno tratto niente dalle comunicazioni della scienza dello spirito; nondimeno in essi viene dimostrato, che il pensiero puro concentrato in se stesso può arrivare a spiegazioni del mondo, della vita e dell’uomo. Quei due libri rappresentano un gradino intermedio molto importante fra la conoscenza del mondo sensibile e quella del mondo spirituale, e offrono ciò che il pensiero può conseguire quando si eleva al di sopra dell’osservazione sensibile, sebbene ancora eviti l’accesso all’investigazione dei mondi superiori. L’uomo che impregna completamente la propria anima con le idee esposte in quei libri già si trova nel mondo spirituale, sebbene questo gli si palesi come un mondo del pensiero. Chi si sente capace di attraversare questo gradino intermedio segue una via più sicura, più pura, e può acquistarsi in tal modo dei sentimenti riguardo al mondo superiore che gli arrecheranno bellissimi frutti per l’intiero avvenire».
D’altra parte, lo stesso Rudolf Steiner, nella Seconda aggiunta alla seconda edizione (1918) alla sua Filosofia della libertà, trad. di Dante Vigevani, Ed. Antroposofica, Milano, 1966, pp. 216-218, così scrive:
«L’esposizione fatta in questo libro è costruita sul pensare intuitivo sperimentabile solo spiritualmente, per mezzo del quale, nel conoscere, ogni percezione viene inserita nella realtà. Nel libro non si doveva dire più di quanto si potesse abbracciare con l’esperienza del pensare intuitivo. Ma occorreva pure rilevare quale struttura di pensieri venga richiesta da tale pensare sperimentato. Esso richiede di non venir rinnegato nel processo conoscitivo come esperienza poggiante su se medesima, e di non vedersi contestata la facoltà di sperimentare, insieme con la percezione, anche la realtà, in luogo di dover cercare quest’ultima soltanto in un mondo giacente al di fuori di questa esperienza, in un mondo chiuso da disserrare, di fronte al quale l’attività pensante dell’uomo avrebbe un valore puramente soggettivo.
Con ciò si è indicato nel pensare l’elemento per mezzo del quale l’uomo si immette spiritualmente a vivere nella realtà. (E nessuno dovrebbe veramente confondere con un mero razionalismo questa concezione del mondo costruita sul pensare sperimentato). D’altra parte, però, da tutto lo spirito di queste esposizioni segue pure che l’elemento percettivo, per la conoscenza umana, consegue un valore determinativo di realtà solo quando viene afferrato nel pensare. Fuori del pensare non c’è possibilità di riconoscere alcunché come realtà. Non si può dunque sostenere che il modo sensibile di percepire ci sia garanzia dell’unica realtà. L’uomo deve assolutamente aspettare, nel cammino della sua vita, ciò che sorge come percezione. Ci sarebbe soltanto da domandarsi se, partendo dal punto di vista che risulta unicamente dal pensare intuitivamente sperimentato, sia giustificato il fatto di aspettare che l’uomo possa percepire, oltre a ciò che è sensibile, anche lo spirituale. Sì, questa aspettativa è giustificata; perché, se pure l’esperienza del pensare intuitivo è, per un verso, un processo attivo che si svolge nello spirito umano, per un altro è allo stesso tempo una percezione spirituale, conseguita senza l’aiuto di alcun organo fisico. È una percezione nella quale è attivo lo stesso percipiente, ed è in pari tempo un’autoattività che viene percepita. Nel pensare, intuitivamente sperimentato, l’uomo viene trasferito in un mondo spirituale anche come essere percipiente. Ciò che, quale mondo spirituale del suo proprio pensare, gli viene incontro entro quel mondo come percezione è riconosciuto dall’uomo come un mondo di percezioni spirituali. Questo mondo percettivo avrebbe col pensare il medesimo rapporto che, dal lato dei sensi, ha il mondo delle percezioni sensorie. Il mondo di percezioni spirituali, non appena sia sperimentato dall’uomo, non può essergli per nulla estraneo, perché nel pensare intuitivo egli ha già un’esperienza di carattere puramente spirituale. Di questo mondo di percezioni spirituali parlano numerosi miei scritti che sono stati pubblicati dopo il presente libro. Questa «filosofia della libertà» è la base filosofica di tali miei scritti posteriori. In questo libro si è infatti tentato di mostrare che l’esperienza del pensare, giustamente compresa, è già un’esperienza spirituale. Sembra perciò all’autore che chi può con tutta serietà accogliere il punto di vista dello scrittore di questa Filosofia della libertà non si tratterrà dal penetrare nel mondo della percezione spirituale. Certo, quanto è esposto nei libri posteriori del medesimo autore non può essere dedotto logicamente, per via di ragionamenti, dal contenuto del presente lavoro. Ma dalla comprensione vivente del pensare intuitivo, quale qui è inteso, risulterà naturalmente l’ulteriore vivente ingresso nel mondo della percezione spirituale».
Quanto detto da Rudolf Steiner in questa Seconda aggiunta alla seconda edizione (1918) alla sua Filosofia della libertà riporta all’essere della Concentrazione come atto o esercizio a sé sufficiente, in quanto nel risalire la corrente del pensare sino al momento genetico del pensiero, il pensare non poggia che su se stesso, è unico veicolo di se stesso, ed è forma di se stesso. Nella Concentrazione profonda, nella contemplazione pensante, cessa ogni dualità tra soggetto e oggetto: nell’atto pensante il soggetto conoscente, l’oggetto conosciuto e l’atto del conoscere sono uno.
La Concentrazione è l’esercizio a sé sufficiente, in quanto riunisce in un solo atto : volontà pensante, atto pensante e percezione pura dell’oggetto del pensiero. Che la Concentrazione – da sola – possa condurre sino alla Iniziazione, lo affermò più volte Massimo Scaligero in varie riunioni, ed io sono testimone – ma non solo io – di questa sua esplicita e risolutiva affermazione. Auribus meis ex ore suo haec suis ipsissimis verbis audivi.
Il problema non è se la Concentrazione possa essere da sola sufficiente alla realizzazione spirituale, bensì se vi siano praticanti interiori e asceti sufficienti ad un atto così assoluto, ad una pratica interiore così esigente. Il problema è se in coloro che hanno avuto il dono aristocratico e il privilegio raro di incontrare la Scienza dello Spirito vi sia tanto amore per l’Incondizionato, tanto slancio per l’Assoluto, da portare alla totale consacrazione di sé ad una disciplina così ardua e straordinariamente esigente come indubbiamente è la Concentrazione, e alla Via del Pensiero dalla quale essa sorge. Lo stesso Massimo Scaligero affermava che molto pochi erano coloro che si innamoravano del pensiero puro e della Concentrazione. Infatti, così scrive nelle prime parole premesse al Trattato del Pensiero Vivente :
«II presente trattato, anche se logicamente formulato e accessibile, propone un compito attuabile forse da pochissimi. La sua concatenazione di pensieri è congegnata in modo che il ripercorrerla comincia a essere l’esperienza proposta: esperienza che, in quanto si realizzi, risulta non una tra le varie possibili all’uomo, ma quella della sua essenza interiore, che lo spirito esige da lui in questo tempo».
E poco oltre, nella stessa pagina, aggiunge:
«Chi percepisca la distinzione tra il seguire logicamente un discorso e il muovere nel pensare che ne tesse la struttura logica, può verificare l’esperienza proposta: vivendo i pensieri di queste pagine, può sperimentare la potenza della «concentrazione», o la tangibile presenza dello spirito: la via al pensiero vivente, la trascendenza comunque presente, ma sconosciuta, in ogni pensiero che pensa».
Una volta di più è necessario dire che – e non dispiaccia alle “anime belle” e agli abili insinuatori di una pretesa “superata incompletezza” della Via del Pensiero – che più esplicito e chiaro di così Massimo Scaligero non poteva essere. Ed è tragico che proprio all’interno della “cittadella” – come lucidamente aveva profeticamente annunziato Massimo Scaligero stesso – si attuino oggi i più velenosi attacchi alla Via del Pensiero, alla Concentrazione, e che – cosa ancor più vilissima e indegna – proprio coloro che maggiormente dovrebbero essergli grati, tentino di insozzare la sua figura spirituale, calunniandolo, diffamandolo, deformandone l’insegnamento, falsificandone in taluni casi, come abbiamo avuto modo di vedere e di far notare, la stessa opera scritta.
Ciò produce negli ingenui, nei pigri, negli sprovveduti quel dis-orientamento al quale da decenni si opera coscientemente in maniera voluta e pianificata, al fine di attuare il più volte da me citato “trasbordo ideologico inavvertito”. Gli effetti – era facile prevederlo – si sono chiaramente manifestati. A mo’ di mero esempio, potrei riportare il caso di due persone della mia città, che pure ebbero la ventura di conoscere Massimo Scaligero, delle quali una, dopo circa venticinque anni di Scienza dello Spirito, in una riunione disse ad Alfredo Rubino: «Io non ho capito perché devo fare la concentrazione», mentre un’altra persona, dopo 40 anni di Scienza dello Spirito, più recentemente così si è espressa: «Non capisco a cosa serva la concentrazione». Massimo Scaligero in questi casi avrebbe causticamente commentato: «E meno male che sanno cucinare! Almeno quello! Sennò poveri noi!».
Che Massimo Scaligero considerasse molto difficile la situazione è facile arguirlo da quanto egli disse ne La logica contro l’uomo, Tilopa, Roma, 1967, ove alle pp. 15-16 scrive:
«Si pensa perché il momento autonomo del pensiero è ogni volta perduto, in quanto riflesso. Il pensare è il segno della conoscenza perduta, ma simultaneamente del percorso della reintegrazione. Infatti, occorre sperimentare il processo del pensiero, per risalire al momento in cui ancora non è. E per lungo tempo occorre insistere per portarsi, mediante un volere prima ignoto, a quel punto. Ma il pericolo di questo tempo è che una tale possibilità divenga inconcepibile ad opera del pensiero stesso che, filosoficamente, codifichi l’estraniamento al proprio principio».
Il problema è che oggi, proprio all’interno della “cittadella”, si opera da parte di taluni – in tempo di guerra una cotale loro azione verrebbe chiamata “disfattismo”, “intelligenza col nemico”, “sabotaggio” e “alto tradimento” – a rendere inconcepibile la possibilità di liberazione del pensiero, di azione dell’Io nella corrente del pensiero puro oltre e malgrado l’anima.
Infatti, così prosegue Massimo Scaligero a p.16 de La logica contro l’uomo :
«Ciò che urge come mutamento nel pensare viene ostacolato proprio da coloro che oggi appaiono specialisti dell’indagine del processo pensante e della conoscenza. Il pensiero, perdendo la possibilità di accordarsi con la propria scaturigine, cessa di essere il motivo di un agire libero anche nel campo dell’indagine riguardante la propria attività.
Un’ascesi del pensiero urge al nucleo fattivo della cultura umana, come l’obbiettiva disciplina che essa, per assumere secondo verità le sue specifiche forme, richiede. Ma ad una simile ascesi il più serio ostacolo, fuori della sua possibilità di essere coltivata individualmente, in silenzio ed in solitudine, è la logica stessa della cultura che invale nelle forme attuali: come ispirazione e come metodologia».
Oggi, dopo che sono passati cinquanta anni da che Massimo Scaligero scrisse queste parole, viene da fare l’amara considerazione che, ai nostri giorni, ad una simile ascesi il più serio ostacolo non siano più, come mezzo secolo fa, i logisti, gli adepti della filosofia analitica anglosassone, i corifei dell’empirismo logico, ma proprio quegli esoteristi che combattono surrettiziamente la Via del Pensiero e la pratica della Concentrazione in nome di una “via dell’anima”, di un misticismo sentimentale, di una dissimulata e travestita visione confessionale, ispirata da una istituzione che da venti secoli combatte col ferro, col fuoco, con la tortura, con la calunnia, la diffamazione, la disinformazione, ed eziandio la falsificazione delle opere scritte dei Maestri, ogni forma di Conoscenza spirituale che possa rendere libero l’essere umano da quella condizione di minorità spirituale, alla quale quella istituzione confessionale vorrebbe astringerlo e costringerlo come animale temente e obbediente in un gregge – il vulgus pecus degli Antichi – disciplinato e bene ordinato.
Ma nulla potrà impedire che la Concentrazione – l’esercizio spirituale completo e a sé sufficiente – venga coltivata in silenzio e in solitudine da quegli audaci, che con ardore ardiscono amare la libertà e osare realizzare lo Spirito. Massimo Scaligero disse che noi siamo condannati a vincere perché noi abbiamo il pensiero.
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