APPUNTI SULLA RICERCA DELL’IO
di Massimo Scaligero
(Architrave anno I n° 9 Ottobre 1948)
Il compito non consiste tanto nell’orientarsi secondo un nuovo ordine di pensieri, quanto in un agire psichicamente, ossia nel compiere un atto della coscienza mediante l’energia sottile di cui è sostanziato il pensiero: l’io deve poter giungere a sentire se stesso non come una entità che è in quanto si pronuncia nel pensiero riflesso, ma deve potersi sperimentare di qua dal pensiero riflesso, sentire se stesso prima del suo precipitarsi nel pensiero, aver coscienza di sé non soltanto in quanto si pensa, ma in quanto è, non condizionato dalla sua attività pensante. Alla quale assiste come un testimone che non disturba. Il suo precipitarsi in pensieri per sentirsi io, deve realizzarlo come una necessità che in ogni punto gli sottrae la sua vera essenza, traendolo in una coscienza virtuale.
E’ questa coscienza virtuale che poi per la sua presunzione di universalità, pur accogliendo il mondo in una forma che è soltanto il suo apparire, è portata ad affermare come assoluta e definitiva una unilateralità.
Le tradizioni inerenti all’ascesi spirituale oggi non si presentano più con la veste della ineffabilità: ciò non significa che il mistero sia accessibile ai più, ma soltanto che esso retrocede verso il suo senso più intimo, epperò il suo ultimo valore rimane adialettico. Al ricercatore occorre una virtù nuova di esaurimento in sé persino della dialettica iniziatica. Attraverso meditazione e concentrazione e, per alcuni individui, attraverso chiara auto-contemplazione, è raggiungibile uno stato speciale in cui l’io, essendosi sperimentato col dissociarsi dalla caotica attività del pensiero e avendo perciò stesso proiettato un ordine nel proprio mondo mentale, realizza la coscienza di essere in una prima forma di libertà, disancorato dal proprio divenire animico-fisico, pur permanendo con capacità di controllo e di autoconoscenza entro questo divenire.
L’insistenza nella disidentificazione dalla funzione cogitativa può condurre l’io al senso non semplicemente concettuale ma attuale dell’alterità della natura corporea e psichica, come di un mondo a cui esso può restituire la sua originaria armonia, proprio in quanto non sia immerso nella sua necessità, così da farla sua: la dualità ha tuttavia funzione strumentale epperò transitoria, il senso vero dell’esperienza essendo che l’io, svincolandosi dal piano della semicoscienza, si ricongiunga con quella sua originaria essenza all’altezza della quale può veramente compiere la sintesi, venendo a dissolversi nella autocoscienza ogni coscienza di separazione. In questa ricongiunzione con la originaria essenza, l’io si identifica con quella causa sui che è altresì principio del mondo animico-corporeo che temporaneamente nella costruzione della propria autocoscienza gli appare come alterità.
Normalmente l’uomo nella propria natura corporea si trova immerso e concluso entro una serie di forme di “necessità” che giungono sempre ad assumere per la sua coscienza dialettica valori di idealità e di spiritualità, permanendo, comunque, in ogni piano, immutato il rapporto di passiva adesione dell’io a tale necessità. Qualsiasi concezione detta metafisica dall’uomo non può che essere pseudo-metafisica se viene escogitata, nonostante ogni assunzione ideale semplicemente discorsiva, entro i limiti delle determinatezze proprie alla immedesimazione nel mondo vitale-corporeo: limiti entro i quali non è realmente possibile concepire nulla che sia fuori o al di sopra di essi, se non nella forma della indefinita discorsività.
Lo scioglimento della coscienza dell’io dalle determinatezze della natura corporea attive nella psiche – senza che per questo si perda il contatto con la coscienza corporea, il quale anzi verrà energizzato dalla trasmissione di un ordine originario che andrà a ristabilirsi con i caratteri dell’assoluta spontaneità – può avviare l’anima cosciente, per via di graduali interiorizzazioni delle sue funzioni, al contatto e all’unione con la propria essenza, per così dire, trascendente. Nel punto in cui questa essenza trascendente viene riconosciuta dall’anima umana come la propria origine, sì che per essa sparirvi significa in sostanza ritrovare se stessa, essendo essa risalita dal pensiero riflesso al pensiero cosciente, dal pensiero cosciente alla coscienza del pensiero e per ultimo essendosi mantenuta intrepidamente in quell’inconcepibile stato di vuoto, all’altezza del quale o si precipita nell’abisso della consueta semicoscienza o ci si libra tranquilli nell’aria di luce: in quel punto l’uomo può veramente dire di se stesso IO, o meglio, tenendo conto del senso che sino ad allora aveva presentato l’io: “Non io, ma l’Essere solare in me”.
In quel punto e in quell’attimo che redime il suo valore temporale, in quanto realizza uno stato che non ha un “prima” né un “dopo”, l’uomo sa finalmente chi è, in quanto egli stesso diviene colui che era oggetto della sua ricerca. E due possibilità ormai gli si offrono, inerenti al grado del risveglio cosciente che egli ha saputo trasfondere alla sua individualità inferiore, la quale può aver partecipato sotto forma di conoscenza illuminatrice alla nascita dell’Io nell’anima, senza per questo venir risoluta nella organica profondità delle determinazioni sensitivo-istintive: permanere nello stato di fissa folgorazione dell’Io, in quanto le stesse categorie della natura corporea sono state arse e purificate (ma ciò stesso implica l’assunzione in una a-dimensione che lo fa sparire all’umano o lo può ricondurre all’umano per una missione che è mistero); oppure ritornare, nella misura in cui ciò viene reso necessario dal grado di risveglio; ritornare entro i limiti della individualità per ritentare indefinitamente la prova, ormai possedendo una direzione che è il ricordo di continuo evocabile della esperienza avuta. (diciamo “evocabile” perché non può essere richiamato nell’anima come un qualsiasi ricordo, senza che perda di intensità e di significato, rendendosi necessario ristabilire ogni volta le condizioni animiche richieste, almeno fino a che queste non siano talmente possedute da divenire normali).
Per comprendere il senso sottile della ricerca dell’io giova rendersi conto in quale momento la meditazione, la concentrazione, o l’autocontemplazione, che fin lì erano state un appoggio necessario, debbano venir lasciate in quanto esse stesse, rappresentando una forma individuata di pensiero legata alla coscienza da trasformare, a un tratto si presentino come qualcosa che va trasceso mediante la stessa attività animica messa in atto, sempre più sottilizzata: la meditazione lascia il posto a una direzione interiore, a-concettuale, verso l’origine trascendente – l’Io – mentre la concentrazione si risolve e si illimpidisce in un’attitudine a fissare in ogni passaggio, di là da ogni possibile decentrazione, lo stato di coscienza raggiunto. L’autocontemplazione continua, sino a perdere la sua funzionalità nell’affiorare dell’essenza segreta dell’ascesi che è la forza stessa di Colui che inizialmente si contempla: contemplatore, contemplato e contemplazione divengono uno, per via di trasparente attualità.
In questa fase, dunque, l’uomo acquisisce per propria virtù una rivelazione che opera nella totalità dei suoi complessi psichici come un dissolvente di quanto è cristallizzato: è una forza che penetra in ciò che è denso per scioglierlo e illimpidirlo, in una semplicità assoluta che è diafaneità innanzi alla luce di Colui che è: egli sa, sia pure essendo tornato ad appoggiarsi ai modi semplicemente umani di essere, egli sa che quell’essere sopraindividuale nel quale, per via di segreta ascesi ha riconosciuto la vera essenza di sé (in una “durata” che fuori delle condizioni umane è eternità, ma che per la misura terrestre del tempo può essere soltanto un attimo) era sì, l’oggetto della sua lunga e ritmica ricerca, attraverso Scienza dello Spirito, o il shastra, o la Tradizione rispondente alla sua individualità storica, ma che tale Essere, in verità, era il soggetto che guidava la ricerca. Tale acquisizione ha un valore decisivo per un orientamento ancora più conforme al senso assoluto della ricerca, offrendo al ricercatore un’ulteriore chiave per il compimento dell’opera. Il valore di ogni mezzo dialettico, di ogni meditare, di ogni agire psichicamente, sarà riconosciuto come subordinato non tanto a colui che ricerca, quanto a colui che segretamente dirige il ricercatore, il quale perciò quanto più in un modo di ricercare recante l’impronta umana potenzia la sua empirica individualizzazione, tanto più (nonostante che parli di Iniziazione e si dia un atteggiamento per così dire esoterico, che sarà sempre una forma retorica) si allontanerà dalla identificazione con il Sé che pretende ritrovare, contrapponendo ad esso la sua soggettività e confermando la dualità in una nuova forma.
Bellissimo!!!
Grazie!!!!!!!
Ulixe, questo articolo mi fu donato, decenni fa, da una cara amica romana, discepola di Massimo Scaligero di antichissima data, assieme alla collezione completa degli articoli che lui aveva pubblicato sull’Architrave. Mi sembrava cosa buona che gli amici di “Ecoantroposophia” potessero avere questi pensieri di Massimo Scaligero, che nella loro sinteticità luminosa hanno già limpidamente delineato quello che scriverà in seguito, nei decenni successivi,nei suoi libri.
In relazione a questo articolo, è importante considerare che Massimo Scaligero aveva allora 42 anni, e che era ancora vivo, e attivo nel suo magistero spirituale, Giovanni Colazza, che leggeva e approvava quanto Massimo Scaligero andava scrivendo su argomenti riguardanti la Scienza dello Spirito, e in particolare sulla Via del Pensiero, in riferimento alla quale – checché ne dica oggi oggi le “anime belle” – Giovanni Colazza disse, con un soprassalto di gioia, a Massimo Scaligero nel corso del loro primo incontro: “Questa è la Via!”. Come è ben descritto in un capitolo di “Dallo Yoga alla Rosacroce”.
Hugo, lupo ribaldo,
sta schiantando di caldo,
e riposando sul guanciale,
aspetta con ansia l’arrivo
prossimo dell’ Era Glaciale.
La ringrazio molto per gli articoli che posta, Hugo.
Volevo sapere se c’è qualche iniziativa editoriale relativa all’articolistica di Massimo Scaligero in programma.
Gradirei inoltre prendere contatti con lei in privato, per chiederle alcune cose.
Saluti e grazie ancora ^__^
Per ora non c’è nessuna programmazione specifica circa gli articoli di Massimo Scaligero. Ci muoviamo dantescamente, ossia “come Amore va dittando”.
L’amministrazione del “blog”, mi dice che la e-mail che Le inviano, torna indietro perché quell’ indirizzo di posta elettronica non è forse più attivo. La pregano di scrivere una e-mail a admin@ecoantroposophia.it, Le invieranno la mia email. Poi mi scriva e Le risponderò
Hugo de’ Paganis
Salve,
Probabilmente la mia mail è finita nella sezione spam, visto che il dominio è abbastanza particolare 🙂
Mi faccia sapere se l’ha ricevuta, sig. Hugo, così come la redazione, a cui ne ho inviata un’altra.
Sarà mia premura lunedì controllare, appena mi sarà possibile, le vostre risposte.
Saluti
Ciao Iagla. Noi abbiamo ricevuto una tua mail, con nuovo indirizzo tuo a settembre, poi piu’ nulla, nello spam controllo sempre, nulla, e nemmeno Hugo ha ricevuto nulla. Noi naturalmente abbiamo risposto alla tua ultima mail con nuovo indirizzo tuo. Non so come risolvere questa situazione. Che proponi, sempre cercando di rispettare le varie privacy qui sul blog? Comunque prova a scrivere di nuovo alla nostra redazione admin@ecoantroposophia.it, e avvisaci ancora dopo averlo fatto, a me risulta che la casella funzioni bene. Ma faro’ nel frattempo dei nuovi controlli sul nostro box. Grazie.
Ti confermo che la nostra casella riceve regolarmente. Devi assicurarti che funzioni anche la tua, se hai un ulteriore indirizzo mail fai dei controlli da te. Altrimenti puoi considerare la possibilita’ di crearti una nuova mail…… ( Anche la mail di Hugo funziona regolarmente )
Caro Jagla,
l’Amministrazione del Blog mi ha comunicato di averLe trasmesso sulla sua nuova e-mail la mia e-mail personale. Quando vorrà scrivermi Le risponderò volentieri
Hugo de’ Paganis