LA PRATICA IN PRATICA

 groviglio di liane

Chiedo doppia scusa: una per l’amico a cui ho mandato queste poche righe e una all’amica a cui mandai le righe successive. Qui tutto è criticabile ma ho lasciato intatto ciò che scrissi: ricordatevi che sono frammenti di discorsi fatti con persone reali e che hanno avuto altro di antecedente e successivo.

Quando si tenta di parlare di cose che riguardano la concentrazione, ciò che viene fuori è come un gomitolo arruffato da un gatto.

*

Allora, caro amico, se può, dimentichi tutto gli inutili palazzi di vapore che l’anima ha costruito e, con coraggio, segua il minimo e se desidera un supporto significativo ai “perché” dell’estrema semplicità (povertà) dell’azione interiore, rilegga attentamente i primi capitoli de L’uomo interiore.

Si sieda, se le va bene, ricordando che l’attività interiore non ha nessun bisogno di positure corporee, ed evochi nella coscienza desta un oggetto semplice, comune, comprensibile, facile, banale, ecc. (un chiodo, un tappo di sughero, un bicchiere, ecc).

Cioè costituito da pochissimi concetti e adempiente ad una funzione semplice, chiara, ordinaria, banalissima.

In effetti basta evocare l’oggetto che la sintesi già c’è: evocarlo in un attimo di consapevolezza e sapere tutto di esso è cosa che attraversa la mente. Ma siamo noi a non reggere per un tempo anche minimo questa immediata comprensione che lampeggia come una folgore, per un attimo, nel buio.

La ricostruzione dell’oggetto e del suo uso – voluta con tutta la volontà (determinazione) di cui è capace – con parole e immagini, ci serve come esercizio per dominare il pensiero ordinario ed abituarlo (con la volontà: è tutto questione di volontà) a essere sempre maggiormente attivo e indipendente da ogni supporto fisico (veda le righe con le quali R. Steiner descrive il senso del “controllo del pensiero” nel V cap. della Scienza Occulta).

Inizialmente la coscienza è strapiena di immagini e parole: sembra una giungla: è una giungla. Magari solo con parole predeterminate si apra un varco. Lo riapra di nuovo: molte e molte volte poiché il caos ricresce subito. Ciò potrebbe essere esasperante ma con una decisa indifferenza lei riapra sempre il sentiero. Senza occuparsi di quanto accade a destra o sinistra.

Dominare il pensiero ordinario è un lavoro duro e improbo, spesso vorrà rifuggire da questa innaturale fatica interiore. Qualcuno mi scrive che prova nausea (ha ragione!).

Quando il dominio inizia ad essere raggiunto sul serio (il tempo della pratica è individuale, il risultato della pratica è individuale e non è mai un qualcosa di stabile una volta per tutte), terminato il breve e semplice lavoro di ricostruzione dell’oggetto che è formalmente assai semplice, come un tema di poche righe compitato da un bimbo di II elementare scarso di fantasia, freni e spenga il vizio della parola sub-vocalica che è solo una pessima abitudine: realizzi che non c’è nulla da dire e tanto meno da dirsi. Tenga nella coscienza l’ultima immagine prodotta, o la prima o una qualunque del breve percorso – non ha alcuna importanza – e polarizzi tutta l’attenzione interiore su essa.

Attenzione: non faccia come tanti lo stravagante tentativo di “tenere” nella consapevolezza le immagini che ha prima evocato: tutta l’attenzione deve venir rivolta ad un solo punto di pensiero: è impossibile pensare simultaneamente 5 o 50 pensieri diversi: ciò significherebbe solo che passerebbe velocemente da un’immagine ad un altra e non si concentra. Un altro ircocervo è il tentativo di fondere in una immagine unica tutte le altre: la fantasiosa traduzione personale della parola sintesi usata da Scaligero. La “sintesi” è qualitativa e non un arzigogolo!

Le sottolineo che è solo una questione di sforzo, tant’è che Scaligero indicava, per combattere l’automatismo e lo scemare dell’attenzione concentrata, di rifare il breve decorso dei pensieri ripercorrendoli dall’ultimo al primo.

Dopo poco, l’immagine sfugge: la rievochi. Poi la rievochi nuovamente. E ancora. E’ una faticaccia frustrante: si chiama concentrazione: può essere un’agonia perché la continuità cosciente dura poco e, in aggiunta, l’anima si ribella: qui non trova alcun sollievo segreto. L’unica tecnica utile è l’insistenza.

Prima o poi diverrà abile e un minuto senza interruzioni sarà un successo colossale e molte cose cambieranno.

Può sostituire spesso l’oggetto, poi si accorgerà che le medesime difficoltà si ripresenteranno…così si scopre che non occorre nemmeno mutare oggetto: essendo qualsiasi oggetto pensato, non un pensiero ma “il” pensiero: in questo equivalendo a tutti i pensieri pensabili (perché spillo e non Dio?: perché lo spillo è pensabile completamente. Dio no).

Poi un giorno avverte che riesce a “tenere” l’immagine e l’anima inizia a riposare di un riposo speciale. In questa condizione, già eccezionale, vede sottilmente che l’immagine sembra assumere una particolare indipendenza e può rimanere come pura forma, oppure muta, oppure si trasforma in un segno luminoso, oppure…ecc. E’ sempre la volontà che fluisce continua, sottile, ininterrotta, ma è una volontà sconosciuta che non prende più la via del corpo.

Questa è la “sintesi” che continua ad essere contemplata…mentre cambia tutto in lei e in essa: è sostanza di volontà che riempie il pensiero. Una specie di “più che pensiero”.

Come vede, l’itinerario è semplice ma impervio e difficile: passare da un mondo sensibile ad un mondo supersensibile è percorso iniziatico, non certo un gioco della mente.

Anche per questo, scrivo sempre che occorre far molto. Come un garzone a bottega che impiega anni per imparare. Altre vie non ci sono. I venditori di facili illusioni, invece, sono tantissimi.

In effetti, sono stato telegrafico, ma quello che le ho scritto lo pensi e lo confronti. Poi il tentativo, la tenacia, lo sforzo e la continuità sono tutti suoi!

Vale.

Ps: è poco e non è esaustivo ma ho notato che dire poco o molto non cambia granché la situazione, poiché il fare o il non fare dipende da una decisione profonda che parte da un principio dell’Essere: presente ma molto lontano dalla nostra coscienza comune. Lui dà il via, poi il resto può (deve) dipendere da noi.

 Sealed

…Ora che hai, in qualche modo, realizzato che il pensiero è il prius ( né brutto o bello che sia) della coscienza, passiamo a valutare sinteticamente alcune sue caratteristiche.

Quando parliamo di pensiero parliamo di qualcosa che ci rimane un tantino sconosciuto, poiché lo riconosciamo solo attraverso le rappresentazioni che invadono la mente: le riconosciamo, essendo queste come un’eco del sensibile, una sua copia fantasma, ma della forza che dietro esse si nasconde e le aggancia, le une con le altre, al massimo chiamiamo ciò logica e di essa sappiamo che abbisogna di lucidità e di un po’ di volontà.

Morale della storia è che conosciamo tutto con i pensieri, ma non conosciamo il pensare: eppure è questo è la “cosa” da cui promanano i “soliti” pensieri. Tieni presente che ciò non riguarda solo il mondo esteriore ma anche tutto ciò che sale a noi come mondo interiore: il mondo interiore, con tutti i nostri affanni, le gioie e i dolori, il piacere e dispiacere giunge a noi involto di pensiero: conosciamo ogni singolo nostro sentimento poiché è nel pensiero che lo riconosciamo.

Per cui, tragicamente, incolpiamo il pensiero che sembra farci tanto male, mentre in realtà con esso prendiamo solo consapevolezza di quanto sale dal sentimento.

Prima di divenire fragile copia carbone della realtà e come tale sembrare insignificante, il pensiero è potentissimo: se vedi il divano che ti sta di fronte significa soltanto che si è attuato un darsi del pensiero che IMMEDIATAMENTE, più “rapido” della ordinaria coscienza, ha dato forma, colore, distanza, ecc. al divano. Avvenuta questa operazione, in cui non eri presente, tu vedi il divano e solo poi pensi se ti piace o meno e a quello che vuoi fare di esso.

Queste cose che ti sto ora dicendo, a tutta prima non sono sperimentabili: puoi solo ipotizzarle o intuirle. Le “vedrai” quando la tua coscienza riuscirà a trasformarsi al punto in cui rimane desta in ciò che chiamiamo sonno.

Occorrerebbe un trattato per dimostrare logicamente ciò: è logicamente possibile, Scaligero è riuscito a farlo…ma in una letterina nemmeno lui, e in un messaggio email probabilmente è anche peggio.

Ora, almeno in via ipotetica, abbiamo: a) un pensare “comune, b) un pensare potente (più che potente) che è inavvertito.

Così, come la chiave della coscienza che conosce le cose è il pensiero ordinario, così la chiave della conoscenza (esperienza) dell’entità umana e del suo rapporto con la realtà (REALTA’) sta nel risalire dal pensiero “normale” alla forza-pensiero che lo determina.

Questa è antecedente a tutto, anche al corpo e a tutto ciò che viene a noi tramite il corpo: perciò un tempo fu chiamata “pensiero puro libero dai sensi”. Non è granché come dizione, ma vedi in essa un’esperienza che sperimenta le radici (il Principio) dell’umano e la sua realtà colta prima che questa cada nell’oscurità che chiamiamo mondo dei sensi. In questo contesto di esperienza si coglie che la realtà dell’uomo è di natura pre-sensibile, cioè spirituale.

L’uomo è una entità duplice: immerso nel sensibile dimentica la propria realtà spirituale: da ciò sgorga gran parte delle sue angosce e contraddizioni. E l’inesausta ricerca di un qualcosa che, in vita, non giunge mai ad appagamento.

E’ possibile la Risalita? Sì: è possibile: strada lunga che si impara a conoscere solo percorrendola. Comunque già il percorrerla è liberatorio: la tenebra, a poco a poco, si scioglie ed esperienza, dedizione e volontà, in preciso ordine crescente, devono accompagnare il viandante.

Dunque si inizia con il dominare l’ordinario flusso dei pensieri: prendi un oggetto che non stimoli alcun sentimento, che sia semplice, che sia prodotto da pochi concetti: bicchiere, ago, chiodo, tappo di sughero, matita, ecc. Prendine uno così semplice e delibera di pensare (i pochi) pensieri che lo riguardano: forma, colore, sostanza, funzione. Per un tempo che va da un minimo di 5 minuti ad un massimo di 15, ricostruisci l’oggetto davanti la tua mente (non fisicamente) con parole e immagini. Siedi con schiena diritta, in una stanza che non sia disturbata da intrusioni per quel tempo. Fa ciò per 2 volte al giorno iniziali. Cambia settimanalmente l’oggetto, ma poi vedrai che puoi lavorare anche molto più a lungo con lo stesso.

Ovviamente l’oggetto/immagine non ha alcuna importanza: è importante essere attenti e VOLERE sempre gli stessi pensieri: pensieri deliberati e voluti. Naturalmente la “natura” non vuole ciò. E’ un lavoro di sforzo, non di raffinatezze: puro, desolato facchinaggio!

Non perder tempo a combattere le distrazioni (interne ed esterne): ciò è un ulteriore distrazione…piuttosto rafforza l’attenzione interiore su quanto stai facendo, tentando il più possibile di non spezzare il filo della continuità (e se lo spezzi – cosa che succede – riannoda e continua).

E’ molto semplice e arido…molti non osano poiché il semplice è difficile, è solo questione di prolungato sforzo d’attenzione!!

Cara amica, per un messaggino è già tanto. Leggi e prova: così, nel sudore dell’anima, inizi a sperimentare la Libertà.

18 pensieri su “LA PRATICA IN PRATICA

  1. Ah! Se piglio l’ignoto che mi ha messo quella orrenda immagine in testata!!

    Quella si configura come un subdolo tentativo di sabotaggio: chi è uso alla concentrazione sa che è come se si aprisse un paesaggio interiore analogo ad un prato fiorito, profumato, illuminato dal Sole, carezzato da primaverile brezza che sostiene il volo di farfalle dai mirabili colori (anche Hugo concorda con ardore, credo)…

    Quella sembra la selva dantesca virata nel raccapriccio 🙁

  2. E chi si sta facendo largo in quell’intrico che si richiude davanti man mano che si procede e’ un rinoceronte, che non si vede perche’ e’ colui che si concentra e la giungla e’ cio che vede davanti, intorno a se’………Coraggio!

    (Non posso mettere l’immagine del rinoceronte perche’ somiglia casualmente a una persona che conosco e sapete, la privacy…….. ciao Rino!)

  3. Credo che per determinati contenuti servirebbe la “pittura antroposofica” leggera, eterea, magica….luce, colori, farfalle, rinoceronti e fiori che si rincorrono nell’indefinito, che ne dite? 😀

  4. Buongiorno a tutti. Ho alcune domande:
    1 poiché l oggetto è semplice (un ago, uno spillo, un bullone ecc) impiego ben meno di 5 minuti nel pensarne la descrizione, le forme possibili, le funzioni, la produzione dello stesso. Mi sembra di arrivare troppo presto ad esaurire i pensieri che posso collegarvi. Sono troppo sbrigativo? Però se scegliessi qualcosa di più complesso mi perderei e finirei sicuramente fuori strada.
    2 ogni pensiero deve essere “voluto” ma ho come l impressione che se “afferro ogni pensiero ricollegabile ad esempio a ‘spillo'” non faccio altro che assecondare un automatismo animico. Non credo sia la strada corretta. Se invece provo a impormi un ordine di pensieri ho la sensazione di andare comunque fuori strada poiché passo attraverso pensieri diversi (passo da “com è uno spillo?” A “come viene fatto?”, il che mi sembrano due cose diverse).
    3 finito l iter di pensieri a quel punto mi trovo presente a una specie di strada chiusa. A quel punto che si fa? Dovrebbe presentarsi una sintesi (come segno, immagine, come un “nulla”) ma dovrebbe arrivare da sola. Ma poiché non arriva cosa faccio? Ripercorrere i pensieri già fatti credo sia un automatismo, mentre se “cerco io una sintesi” (ad esempio l immagine di uno spillo) non faccio altro che imporre un immagine , ma così non credo di fare niente di utile, anzi mi faccio dominare da una “forma”.
    4 una volta, mentre mi imponevo un immagine come sintesi (giusto o sbagliato che sia) ho provato a farla “scomparire” e “riapparire” più volte, provando a fare attenzione alla “forza” cui “attingevo” per richiamarla alla mente. Ebbene, in quel caso ho “percepito” una specie di “forza” ma non so se è stata una semplice suggestione, poiché questa “tecnica” (di far scomparire e rievocare più volte) sinceramente non l ho letta da nessuna parte e quindi è molto probabile che sia sbagliato fare così.
    grazie per chi avrà la pazienza di chiarire i miei dubbi. Sperando di essere stato chiaro nel descriverli.

  5. Allora caro Dario: risponde chi ha fatto la frittata.

    1) Lei non è troppo sbrigativo e fa benissimo a non intorcolarsi in oggetti complicati. Ma perché è così veloce? Il fatto è che lei non fa ancora concentrazione. La concentrazione è atto volitivo, ogni pensiero deve essere voluto dalla testa alla coda. Il pensiero come viene ordinariamente sperimentato passa per la coscienza come un meteorite: viene e scivola via. Il pensiero che sia totalmente voluto e illimitatamente contemplato è “quasi” impossibile, tanto è faticoso. E inanellare dieci pensieri in croce con totale continuità d’attenzione è un’evento.
    Attuando ciò vedrà anche come il tempo si allunga.

    2) Se il pensiero è voluto non sarà mai “automatico”. Dico solo che l’automatismo può essere una invitante deriva a cui occorre opporsi.
    Inoltre, se lei pensa che gli uni siano pensieri diversi dagli altri, sta pensando pensieri che non appartengono né allo spillo né all’esercizio.
    Torni alla seconda riga del punto 1).

    3) Niente! Oppure rifaccia l’esercizio. Senza “automatismi” che sono un suo giudizio di pensiero facile su una disciplina che le è ancora poco conosciuta.

    4) E’ sicuramente sbagliato, dato ciò che ha fatto in precedenza. La “sintesi” è più un prodotto che altro. Ma in questo contesto mi pare inutile parlarne.

    Caro amico, perdoni il modo della risposta ma ad assecondarla le farei del male. Premesso che poi ognuno fa le cose un po’ a modo suo, consideri ciò che sta facendo solo come una sequenza di prove. E se questo le sembra assai tombale, si ricordi che il nostro astrale (l’animazza con la quale coincidiamo troppo) NON vuole (con tutte le sue forze) che si vada oltre esso. La vera concentrazione è per tantissimo tempo uno sforzo titanico per andare oltre la sfera fisio-psichica: è una guerra.
    Legga e rilegga L’uomo interiore e le prime pagine del Manuale della meditazione e tenti e ritenti l’esercizio, sbucciando strada facendo il cipollone che avvolge l’operazione interiore, che è semplice…se non si pensa più col pensiero fugace, con le analisi, i criticismi, le osservazioni (di pensiero) su quello che fa il pensiero (voluto). Essendo l’esercizio molto più affine ad un intenso sforzo sportivo che a commenti di qualsivoglia natura.
    Immagini piuttosto che pensare i pensieri determinati, deliberati è simile allo “sforzo di tirar su l’acqua da un pozzo” (Steiner).
    E non molli..la corda!
    Cari saluti.

    • La ringrazio Isidoro per avermi dato questi importanti chiarimenti. Le confesso che sono rimasto un po’ spiazzato nel sapere che ancora non so cosa significhi realmente “volere un pensiero”. Manca, quindi, il gradino più elementare dell esercizio. Ammetto che al momento non sono in grado di capire come “volere un pensiero” in maniera diversa dall’ attuale. Dalla sua risposta ho capito che probabilmente è un qualcosa di volitivamente più intenso da ciò che credevo. Non so ancora come raggiungere lo scopo ma, come lei ben dice, si procede per tentativi. Riprenderò il Manuale e leggeró L’ uomo interiore, come lei mi consiglia. Intanto è bene aver preso consapevolezza del mio limite, per evitare di perdere tempo perpetrando errori. Un caro saluto e grazie.

  6. Caro amico,
    la ringrazio per aver accolto quella che pare quasi una sfuriata al negativo.

    Le assicuro che non lo è. Sapesse come calza il paragone sportivo!

    Da questo ci si può rendere conto di molte cose. Non c’è gesto atletico che non abbisogni di un lungo tirocinio preparatorio. Ad esempio: tutti sappiamo correre…poi invece, per saper correre davvero occorre molto tempo. E inoltre, per dare tutto nella corsa, può servire un tempo ulteriore perché corpo e anima (in realtà è solo l’anima) non sono disposti a caricarsi della sofferenza che l’intensità comporta. Animale da palestra che sono, pur in età non precisamente verde, ho sempre notato che su 100 frequentatori, all’intensità ne arrivano non più di 5 o 6 e, sempre per analogia, a ciò che viene chiamata “esperienza di picco” giunge la metà dei pochi.
    Mi pare chiaro come ciò non sia questione di cultura o di consimili raffinatezze.
    Inoltre, questo non l’avevo sottolineato, l’aspetto “discorsivo” dell’esercizio è propedeutico. Poi l’unica cosa che conti è l’assoluta attenzione continuativa focalizzata verso l’oggetto di pensiero. In ciò, che prende una strada opposta a tutte le cose e le forze a cui siamo abituati, una lunga insistenza ripetuta permette all’operatore di conoscere, per esperienza diretta, i successivi gradini che da sé si svelano: questo il senso della frase di Scaligero che diceva che “la concentrazione è autocorrettiva”. Anche questo è stato capito al ribasso, molto al ribasso.
    Auguri!

  7. Isidoro, tu sai che Massimo Scaligero, sia negli scritti che nei colloqui privati o nelle riunioni, si è sempre rifiutato di dare un esempio dettagliato dello svolgimento della Concentrazione nei suoi vari momenti. Egli diceva che il discepolo nella Concentrazione non deve essere aiutato troppo, e che ognuno deve fare i propri personali sforzi, secondo il proprio criterio.

    Infatti, Massimo Scaligero, nei suoi scritti, è estremamente parco di parole nel descriverla: addirittura scarno. E la stessa cosa vale per Rudolf Steiner: nei vari suoi scritti nella descrizione della Concentrazione non va ogni volta oltre poche righe, al massimo un paragrafo.

    Vi è una profonda saggezza in questa scarna laconicità. Il discepolo cerca sempre un pensato, o una serie di pensati, da ripetere secondo uno schema più o meno previsto, e non gli parrebbe vero di poter seguire nella Concentrazione una sequela di pensieri già tracciata, in dettaglio, dal Maestro. Ma questo è un prendersi in giro da solo. E’ il motivo per il quale molti eseguono più o meno sbrigativamente, e magari pure controvoglia, il primo tempo della Concentrazione – che è faticoso più o meno come il dissodare con zappa e vanga un intero campo – per passare al secondo tempo della Concentrazione, che pare invece loro particolarmente aristocratico e… riposante. E’ sempre la natura astrale che sceglie la via della meccanicità, della dialettizzazione, o del minimissimo sforzo: per sopravvivere, e paralizzare il sorgere dell’Io.

    In realtà la Concentrazione non è tanto un esercizio del pensiero – infatti l’oggetto del pensiero è del tutto indifferente – quanto un esercizio del volere: un esercizio del volere nel pensare. Si potrebbe ridurre tutta la Concentrazione, e tutta la Via del Pensiero, a questo: VOLERE UN PENSIERO. Ossia, VOLERE CON TUTTA L’INTENSITA’ POSSIBILE UN SINGOLO, UNICO PENSIERO. VOLERLO IN MANIERA TALMENTE INTENSA CHE L’ATTO DEL VOLERE PENSANTE DIVIENE PIU’ CONCRETO E REALE DELL’UNICO OGGETTO PENSATO. IN TAL MODO L’ATTO DEL VOLERE PENSANTE SI LIBERA DELL’OGGETTO PENSATO ED AFFERRA SE STESSO NEL SUO MOMENTO GENETICO, DIVENENDO UNICO OGGETTO DI SE STESSO.

    Questa, e non un’altra, è la vera Via dei Nuovi Tempi, la Via del Pensiero Vivente, la Via Assoluta, la Via unica, completa e insuperata, la Via eroica, che tanti attacchi ha dovuto affrontare dopo la morte di Massimo Scaligero da parte dei pavidi, dei pigri, degli illusi, di coloro che hanno rinunciato all’impresa spirituale, e che non vogliono che altri tentino ciò a cui loro hanno ormai da troppo tempo rinunciato.

    Hugo de’ Paganis,
    che dopo una concentrazione
    venuta più o meno imperfetta
    si papperà una bella polpetta.

  8. Caro Hugo, probabilmente sai che sono del tutto d’accordo con ciò che hai scritto, specie con le righe che hai messo, giustamente, in maiuscolo: esse sono vere ed esatte in ogni singola lettera!

    Poi, nel reale di chi si appresta al tentativo, le cose possono complicarsi.
    Un esempio: c’era un giovanotto che aveva compreso (nel pensiero ordinario) la fenomenologia dell’atto interiore, però poi proprio nella pratica cercava di metterci davanti la volontà, convinto che, alla fin fine, la volontà veniva prima. Non immagini quanti sforzi per convincerlo che così stava attingendo dai nervi e dai muscoli, che il suo sforzo consisteva in una globale contrattura del corpo fisico e che avrebbe dovuto lavorare di pensiero, che nel nucleo del pensiero determinato e concentrato si ridesta un genere possente ma sconosciuto di Volontà. In casi come questo devi dimenticare Steiner e Scaligero (da lui letti e riletti) ma attenerti al problema come espressione della natura del giovanotto in questione. Devi intuire che lui è il centro del problema. E agire in relazione a ciò.
    Così, per ognuno il modo relazionale può essere molto diverso: dovendo, per così dire, bucare la crosta dialettica: non è facile.
    Figurati, se fossimo in tempi più sani e civili, il bastone ben asseStato sarebbe di sicuro il modo migliore… 🙂

  9. E.C.: perdonatemi. Ho perso una esse nell’ultimo rigo.
    E’ davvero difficile che i bastoni siano “assetati”…mentre è arte usare il bastone per indurre fior di illuminazione nel discepolo con colpi “ben assestati”.

    (Del tutto possibile che il mio errore sia stato causato da Hugo, che mi fa la “macumba” ogni santo giorno)

    • Isidoro,
      circa terapia pratica – visto che si tratta della pratica in pratica – nulla di meglio dell’Arte del bastone, Boken, come viene praticata nel Bushido, e in forme particolari nell’Aikido. Per chi prediliga le arti Marziali del Celeste Impero, troverà in una delle molte branche del Kunfu, specialmente nel Wing Chun Chuan, proveniente dal Monastero di Shaolin-Szu, quanto di meglio vi sia.

      Se poi, andando oltre la necessità terapeutica, si osi temerariamente inoltrarsi nella funzione “illuminatrice” del bastone le nobili Schuole Chan e Zen, la Scuola Lin-tsi o Rinzai e la Scuola Tsao-tung o Soto, hanno avuto Maestri molto abili nell’uso “compassionevole” del Kyosaku o bastone risvegliatore da ogni torpore. La “abilità di mezzi”, upaya, del Maestro di Dogen Zenji, in mancanza di bastone ad immediata disposizione, si volgeva eziandio all’uso di scarpe, ciabatte e zoccoli lignei, usati energicamente sui deraglianti o torpidi discepoli.

      Massimo Scaligero parlava anche di un’arcana, antichissima, Arte romana, nella quale veniva usato in funzione illuminatrice un bastone di particolare foggia, detto “tortore”, e la “tortorata” data da un Maestro dell’Arte, come usano dire i discepoli figli del Trismegisto hermete, Padre dei Filosofi, era sempre tale da suscitare folgoranti illuminazioni e radicali mutamenti di visione.

      Hugo de’ Paganis,
      che della mistica agricoltura or posa la zappa,
      e si dirige veloce al luogo della sacra pappa.

    • Isidoraccio imperdonabile lupaccio,
      ma se nella tradizione estremo-orientale si parla di spade magiche “assetate”, che una volta sguainate devono “bere” il sangue, vi possono benissimo essere altrettanto magici bastoni, compassionevolmente assetati di “illuminazione”, che una volta branditi, devono attuare quella che il Buddha Shakyamuni chiamava la “rottura della testa”, alla quale è pure dedicato un mirabile sutra del Sutta Nipata della Scuola Theravada.
      Conciosiacosaché un bastone può benissimo essere “assetato”, prima di essere “assestato”, e produrre così il suo mirabile effetto, del tutto equivalente ad una potentissima concentrazione.

      Hugaccio, terribile lupaccio,
      che giammai dai dialettici
      venne preso al laccio.

  10. Isidorooooo, farti la “macumba” ioooooo?!?!?! Ma che dici, io sono solo un bravo lupaccio appenninico, un orso osco-umbro-sannita, che si è avviato alla ricerca della Insuperata, Perfetta Completa Illuminazione, e sulle orme del Sublime a tal fine coltiva la Mahaprajna, la Sapienza Trascendente, e la Mahakaruna, l’Illimitata Compassione.

    Ti assicuro, caro Isidoro, che lavorando di buona lena sono diventato molto “compassionevole”, veramente molto MOLTO “compassionevole”. a beneficio di tutti gli esseri senzienti, naturalmente! La cosa deve preoccupare?

    Hugo, che non fa macumba né tira la lancia,
    ma quando arriva l’ora si riempie la pancia.

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