MINIGONNA, SIMBOLO DEL TEMPO (Uno scritto di Massimo Scaligero)

Riceviamo da un utente di Eco, discepolo di Scaligero. Ringraziando, volentieri pubblichiamo.

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Mary Quant 1965

MINIGONNA, SIMBOLO DEL TEMPO

Non avremmo toccato quest’argomento, di cui ci siamo altra volta occupati, se non avessimo ritenuto doveroso informare i nostri lettori riguardo al giudizio espresso in proposito da uno dei più eminenti saggi dell’India contemporanea: Swami Sabradnanda Sarasvati, da noi incontrato in questi giorni presso comuni amici studiosi di dottrine orientali.

Secondo Sabradnanda, la minigonna può essere veduta come simbolo di una rinuncia della donna contemporanea alla propria missione spirituale presso l’uomo, per il fatto che ella tende a valere al suo sguardo soprattutto mediante l’imposizione dei propri attributi fisici, che aggressivamente sollecitano l’immaginazione di lui verso la nudità non casta ma erotica.

Questa captazione dell’immaginazione toglie di mezzo l’anima, ossia l’elemento vivente del rapporto della coppia umana: lo strumento mirabile mediante il quale la donna può essere la compagna interiore dell’uomo, portatrice sicura della fedeltà e della perennità.
L’anima viene brutalmente eliminata dal momento che l’elemento determinante della relazione diviene l’apparire corporeo, provvisto della sua mitologia e della sua poeticità; persino della sua musica e del suo canto.
Tra uomo e donna invero, l’elemento vivente del rapporto è l’anima, non il corpo: è l’anima che rende magica, vasta, poetica la relazione tra i due.
Per quanto questa magia sembri sopravvivere nelle attuali coppie, essa è fatua, provvisoria: non può raggiungere reali altezze o profondità, perché l’elemento erotico afferra tutta l’immaginazione, distruggendo le sue forze più nobili e più delicate: quelle capaci di creare, di dare significato superiore alla vicenda amorosa, di edificare il mito che solleva il sensibile al sovrasensibile.

La realtà è che l’uomo non possiede più occhio spirituale, non può contemplare il corpo della donna senza subire la Maya, o l’illusione del suo apparire.
Solo un occhio spirituale o casto può comprendere la nudità femminile, ma in quanto vede oltre essa qualcosa come una grazia formatrice che si esprime nel corpo ma non è corporea.
Poiché l’uomo non sa vedere tale grazia formatrice, non può guardare la nudità femminile senza essere obbligato ad un’automatica impressione od eccitazione, che non riguarda la realtà interiore della donna e neppure la sua corporeità.

A proposito di una simile eccitazione, Swami Sabradnanda ha espressioni severe, in quanto essendo divenuta un fatto generale umano, un fenomeno coltivato persino mediante la letteratura ed il cinema, essa distrugge quella parte delicata del sistema nervoso  umano il cui compito è cooperare alla pura attività intuitiva, che per esplicarsi necessita di una particolare indipendenza dai processi fisiologici cerebrali.

La distruzione della più delicata facoltà intuitiva ad opera dell’eccitazione erotica divenuta normale, significa cessazione dell’intuizione scientifica, paralisi della conoscenza, ossia venir meno della possibilità che la scienza governi il processo tecnologico o ne abbia la giusta interpretazione.

Oggi molti confondono progresso tecnologico con progresso scientifico: in realtà la vera scienza, tessuta d’intuizione e pura meditazione, ha cessato di esistere: al suo posto avanza trionfante la tecnologia, che è semplicemente automatismo tecnico, assai pericoloso se non viene guidato da un pensiero indipendente. Ma questo pensiero non c’è più, perché la sua linfa vitale viene ogni giorno divorata dall’impressione sensoria erotica, ossia da un percepire sensorio falsato in partenza.

“Gli uomini di questo tempo – ammonisce Sabradnanda – non suppongono che il processo più distruttivo introdottosi nella cultura ed anzitutto nella costituzione umana, con un’invadenza che viene persino accettata se non addirittura codificata dalle religioni, è appunto l’erotismo senza argine, l’erotismo divenuto etichetta, pubblicità, eccitazione legittima,costume quotidiano, che non ha nulla a che vedere con la reale vita del sesso”.

L’eccitazione erotica regolamentare è distruttiva non solo per le capacità intuitive scientifiche, ma anche per la morale individuale, in quanto la moralità è essenzialmente un fatto intuitivo.
Non v’è scuola di saggezza che non insegni come la moralità sia anzitutto intuizione: dove non lo è diviene fredda regola, ossia finzione.

Questa finzione oggi è sublimemente vissuta dalla donna “perbene” che infine può concedersi a tutti visivamente perché una moda glielo permette. L’esibizionismo regolarizzato dal costume può estrinsecarsi senza limite ma soprattutto senza relazione alcuna con l’erotismo in sé, in quanto la donna costretta ad essere esibizionista e di ciò segretamente soddisfatta, non vive nell’eccitazione che suscita nell’altro sesso ma mediante questa.
Essa vive la propria eccitazione, mediante quella che automaticamente scatta nell’altro attraverso l’impressione visiva indotta.
Ella sente il regolamentare cedimento dell’altro su di un piano al cui livello ormai costringe la relazione, quale che sia la sua eventuale sublimazione: in verità non vi può essere più poesia che abbia il potere di svincolare i due da un simile livello di reciproco condizionamento.

La disgregazione della famiglia – afferma il Sabradnanda – diviene una conseguenza inevitabile, dal momento che la donna ha cessato d’essere la compagna spirituale dell’uomo. Fanno ridere le polemiche contro il divorzio, quando l’unità interiore del nucleo familiare è sostanzialmente in frantumi grazie a motivi che, tralaltro, gli antidivorzisti accettano placidamente.

La donna ha perduto la sua vera forza, quella d’essere ispiratrice ed elevatrice dell’anima dell’uomo. In compenso ne ha acquisita una altrettanto potente: quella di sedurre, per via di sociale regolarità: non più mediante il reale sesso ma mediante l’astratta prammatica eccitazione.

Ma questa forza altrettanto potente, che sostituisce quella spirituale, finirà col ritorcersi contro di lei, perché la distruggerà anche come essere fisico.
Vale la pena di mettere in relazione il continuo scambio erotico quotidiano, mediato dalla minigonna, con l’aumento delle nevrosi di questo periodo.
Non è tanto temibile la follia scatenata, quanto quella regolare, che delle sue espressioni abnormi riesce a fare un cliché di vita, qualcosa di socialmente normale.

E’ questa la sintesi severa di un pensiero che sembra avere più di una giustificazione per assumere la minigonna come simbolo della de-realizzazione interiore della donna e della perdita del livello morale di quest’epoca.

6 pensieri su “MINIGONNA, SIMBOLO DEL TEMPO (Uno scritto di Massimo Scaligero)

  1. Grande (anzi grandissimo) Swami Sabradnanda !

    Sebbene orientale, aveva un’incredibile capacità di comprendere – anche nel particolare – le crepe di sfaldamento dell’anima occidentale.
    Lo conobbi a Roma, nei miei pochi viaggi nella capitale, e riportai di lui impressioni e insegnamenti che sono cresciuti nel corso della vita. Era mite con le persone ma severissimo verso le idee sbagliate o pensate male.
    Silenzioso e discreto, al pari del Sataro Don Marco, fu vicinissimo a Massimo Scaligero, di cui (a differenza di troppi discepolastri) comprendeva il livello
    iniziatico.
    Sapete: vi fu, con Scaligero vivo e attivo, una piccola rosa di “amici” che pretendevano un avvicendamento: cioè loro al posto suo: ecco il misterioso fenomeno di figure colte e intelligenti che, proprio da ciò, dimostrarono platealmente di non capire nulla.
    Eppure ancor oggi i superstiti di questo scellerato gruppetto sono stimati e riveriti.
    Del resto se ora le cose vanno così male è il risultato della pochezza dei tanti che da Scaligero avevano ricevuto uno slancio operativo che ben presto è abortito: perché ponendosi poi, tra moralismo e scolasticismo, al medesimo livello della confusione e del male: ove non esiste soluzione. Senza un superamento non esiste la possibilità di operare per il bene: il vasaio può modificare il vaso ma chi ha scelto d’essere uomo d’argilla non possiede alcuna forza creatrice e risanatrice. E’ solo un occultista in…minigonna.

  2. Eppure a volte mi ritrovo perplesso… Insomma gli ormoni ed il sesso sono parti fisiche ed emotive del nostro corpo. Davvero riescono a danneggiare lo spirito al pari di alcool ed empietà? Magari cerco di autogiustificarmi ma una parte di me vede in queste cose anche un riflesso di quel bigottismo cattolico che tanto odio. Ringrazio chiunque vorrà aiutarmi a capire. Per me è importante.

    • Posso dire che in una riunione registrata di Massimo Scaligero che ascoltai anni fa in via Pindemonte lui diceva che quando si è davvero innamorati di una persona si dimentica totalmente il “feffo” che è il nome medioevale del “sesso” in quanto i monaci amanuensi scrivevano le esse come le effe, lo chiamava così scherzosamente in quanto, cito testualmente dal suo libro “Dell’Amore Immortale”: lo spirito che si presenta nell’altro non ha nella forma la sua espressione ma la sua negazione, ma c’è più di un capitolo dedicato all’illusione del sesso in quel libro.

  3. Dai, nessuna perplessità! L’illuminato Swami, per bocca di Scaligero, non mette alla berlina il sesso QUANDO QUESTO E’ ricondotto nella sfera dove trova la sua collocazione. Direi (scandalizzando qualcuno) che il sesso, come ogni capacità e funzione naturale, fa persino bene (qualsiasi medico specializzato, come l’urologo, può confermarlo con validità scientifica).
    Il danno principia dall’erotizzazione oltre la sua pertinenza, cioè quando “batte in testa”. Quando permea l’intelletto: cosa che succede, che è già successa con la complicità furfantesca di tutti i media e della decadenza sociale e dei costumi. La rappresentazione erotizzante è ciò che dovrebbe venir cancellata dalle funzioni della mente.
    Fuori di ciò il sesso non è “peccato” e non distrugge nulla, anzi in una certa misura è sano e liberatorio.
    Vi sono pure esseri naturalmente casti…ma queste eccezioni poco hanno a che vedere con i buffi tentativi degli spiritualisti che sono ECCITATI dalla castità (pensata o parlata). In cui si vede soltanto un erotismo ancora più deviato o un tentativo insano di autocastrazione.

    Si dimentica quasi sempre il senso non banale di quella frase di Scaligero che, in quattro parole ha saputo riassumere un’opera interiore in cui c’è molto, sul tema: “Fatelo ma non pensatelo”.

    Non impossibile a mettere in pratica e che apre ad una forma non lesiva l’esperienza del sesso e a percezioni conoscitive “nuove” tale esperienza.

  4. Scaligero?: “Nel corpo dell’altro si crede di trovare l’IO, che è il proprio IO, ma, se è autentico, in verità è l’IO dell’altro. Come nel vincolo che lega a qualunque essere amato, congiunto o amico, allo stesso modo nell’amante si tende a trovare se stessi incontrando il suo corpo; ma non si trova mai, perché si crede di afferrare la sua forma.
    Forma che è soltanto imagine e, come imagine, moto interiore, inavvertito.
    Il segreto è conoscere la luce da cui nasce la forma.”
    Grazie Scaligero

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