Avevo deciso di rispondere a Isidoro, Savitri, Marzia, Mir 83, Salibus, in coda allo scritto di Massimo Scaligero, pubblicato della nostra Savitri, ma data l’estensione dell’argomento e delle risposte, si è rivelato necessario affrontare l’affaire Jung più diffusamente in un apposito articolo.
È bene, tanto per togliere subito alquante morbide illusioni a chi ancora le abbia, riportare alcune espressioni di Carl Gustav Jung nei confronti di Rudolf Steiner e della Scienza dello Spirito.
In una lettera del 29 novembre 1935, lo psichiatra zurighese, creatore di una sedicente «psicologia del profondo», che ebbe la mala ventura di sedurre molti nobili spiriti, che non giungevano a scorgerne l’equivoca posizione conoscitiva e le nefaste conseguenze pratiche, terapeutiche ed etiche, Jung così scriveva:
«Cara Frau Patzelt,
io ho letto pochi libri di Rudolf Steiner e devo confessare di non aver trovato in essi la benché minima utilità per me. Dovete capire che io sono un ricercatore e non un profeta. Quel che mi riguarda è ciò che possa essere verificato attraverso l’esperienza. Ma non sono assolutamente interessato a ciò che può essere speculato senza veruna prova di sorta. Tutte le idee che Steiner propone nei suoi libri potete leggerle già nelle fonti indiane. Qualsiasi cosa io non possa dimostrare nel dominio della esperienza umana, lo metto da una parte e se qualcuno afferma di conoscere su ciò più di me, gli chiedo di fornirmene le prove necessarie.
Ho letto pochi libri sull’Antroposofia e un bel mucchio sulla Teosofia. Ho conosciuto pure moltissimi antroposofi e teosofi ed ho sempre scoperto, con mio grande dispiacere, che tutte queste persone immaginano ogni sorta di cose. Che sono affatto incapaci di offrirne prova alcuna. Non ho pregiudizi nei confronti le massime meraviglie, se qualcuno me ne dà le necessarie prove. E nemmeno esiterò ad ergermi per la verità, se riconosco che essa possa essere provata. Ma mi guarderò dal fornire al novero di coloro che adoperano affermazioni non provate per reggere un sistema del mondo, pietra alcuna che si trovi sulla superficie di questa Terra.
Poiché Steiner non è o non è stato capace di intendere le iscrizioni ittite ancora non decifrate, e tuttavia capiva la lingua di Atlantide, della quale non esiste nessuno che la conosca, non vi è ragione di eccitarsi a proposito di qualsiasi cosa che Herr Steiner abbia detto.
Sincerissimamente Vostro,
C.G. Jung ».
[Letters, Vol. I, pp. 203-204]
Bandendo ogni volontà di autoillusione, bisogna riconoscere dall’esame della sua stessa opera, che la concezione del mondo di Jung, malgrado le apparenze, non ha nessun punto di contatto con qualsiasi forma di ricerca spirituale antica o moderna, orientale o occidentale. Non solo si oppone al fatto che le pratiche dello Yoga antico possano essere applicate all’uomo occidentale, cosa che sarebbe ben comprensibile da punto di vista della moderna Scienza dello Spirito occidentale, bensì egli si oppone alle idee del karma, della reincarnazione, dell’evoluzione spirituale dell’individuo e del Cosmo.
In una lettera del 1923, indirizzata a Oskar A. H. Schmitz, Jung non solo si oppone alle concezioni spirituali comuni alle civiltà dell’Oriente e alla occidentale Scienza dello Spirito, ma giunge addirittura a difendere la stessa ideologia razzista e irrazionalista, già allora ampiamente circolante nella Germania degli anni Venti, e fatta poi propria dal nazionalsocialismo. Arriva a contrapporre apertamente le concezioni «primitiviste» germaniche, molto simili a quelle professate dalla Thulegesellschaft di von Sebottendorf, a quelle umanistiche, illuministiche, orientali, e persino cristiane. Ovviamente il rifiuto è anche nei confronti dell’Antroposofia la quale, aldilà della sua impostazione particolare e delle differenze specifiche, ha molte idee in comune con la Sapienza d’Oriente.
Jung bara alla grande nel suo apparente porsi su un piano scientifico di rigorose verifiche sperimentali. Chiunque abbia letto le opere scritte fondamentali di Rudolf Steiner, sa benissimo che Steiner propone un rigoroso metodo di evoluzione interiore e di esperienza spirituale diretta e verificabile. Ma il creatore della psicologia analitica non vuole accedere ad una tale esperienza spirituale oggettiva, né tampoco mettere in atto un’ascesi di trasformazione dei propri mezzi conoscitivi, di trasformazione morale e di formazione di organi animici e spirituali di conoscenza e di azione spirituale. E questo suo rifiuto vale naturalmente tanto nei confronti delle Vie orientali quanto della Via indicata dalla Scienza dello Spirito.
In una lettera che Jung, già ultra sessantenne, scrisse nel 1937 a Svami Devatmananda, egli inizia subito affermando che per lui non ha alcun senso la ricerca dell’Infinito:
«Non so perché vi siano persone che hanno la volontà, o un anelito per l’Infinito. Io non sono un filosofo, sono un empirista. Ma ammetto che vi siano persone del genere. […]
So che in Oriente si spiega la particolare forma del carattere individuale attraverso la dottrina del karma. Questa è una dottrina che uno può credere o rifiutare. Non essendo un filosofo, bensì un empirista, mi manca la prova oggettiva. La scienza non ha risposte alle domande che vadano oltre le possibilità umane. Non abbiamo nessuna prova delle funzioni oggettive della psiche a prescindere dal cervello umano vivente. In ogni caso non vi è qualsivoglia possibilità di esaminare una tale condizione psicologica, supposta esistere al di fuori del cervello umano. Noi possiamo pensare ogni sorta di cose a proposito di una tale ipotetica condizione, ma la risposta è una mera presunzione che può soddisfare l’umano desiderio di una fede, ma non il desiderio di conoscenza». (p. 227).
Questo è un chiaro attaccare l’idea del karma, di attaccare altresì quella dell’esperienza spirituale diretta, per incatenarsi, ad onta del proclamato empirismo radicale, ad una concezione materialistica, tutt’altro che scevra di presupposti, di indimostrate ipotesi clandestine, una concezione fideistica, scientificamente insostenibile.
Egli è volutamente ambiguo. In seguito parlerà talvolta, con apparente simpatia, dello Yoga, ma sempre come «fenomeno psicologico», da studiare psichiatricamente o psicologicamente, non come obbiettiva Via spirituale. Come esempio di una tale ambiguità, ben poco scientifica, valga quanto è riportato a p. 294 del primo volume delle sue Letters:
«Allorché io dico ‘Dio’, sto parlando esclusivamente di affermazioni che non ipotizzano affatto il loro oggetto. A proposito di Dio io non ho asserito niente, perché secondo la mia premessa assolutamente nulla può essere asserito circa Dio stesso. Tutte quante simili asserzioni si riferiscono alla psicologia della immagine-Dio. La loro validità perciò non è mai metafisica, bensì unicamente psicologica. Tutte quante le mie asserzioni, riflessioni, scoperte, etc,. non hanno il più remoto rapporto con la teologia, ma sono, come ho detto, unicamente affermazioni circa fatti psicologici. Questa autolimitazione, che è assolutamente essenziale in psicologia, viene generalmente trascurata, donde sorge una confusione disastrosa, con il risultato che appare come se io ardisca di fare giudizi metafisici».
Dietro ad un tale ottuso materialismo, al suo cieco scetticismo, travestito da empirismo, al suo ambiguo agnosticismo, vi è ben chiara la dimensione della paura, addirittura quella del terrore panico di fronte alla dimensione sovrasensibile, che farebbe crollare miseramente tutto il suo edificio intellettuale e psicologico, sul quale aveva fondato la sua vita. In tale paura inconfessata, vi è il vietarsi di accedere all’esperienza dello spirituale, per poter affermare poi che non è sperimentabile, perché lui non lo ha sperimentato. E invece il sovrasensibile, lo spirituale, è sperimentabile. Anche se lui vigliaccamente evita di farlo. È sperimentabile, come lo era negli Antichi Misteri del Mondo Classico, ma ciò è un voler affrontare da vivi l’esperienza – non certo la vuota dialettica discorsiva di essa – del morire prima di morire, senza morire.
Per non confessarsi un tale terror panico di fronte alla travolgenza del Sovrasensibile superumano, Jung sceglie la beffarda negazione e, quando proprio necessario, persino la vera e propria fuga, fisicamente intesa, come fece nei confronti di Ramana Maharshi. Gli anglosassoni chiamano pittorescamente una tale viltà conoscitiva “cool feet”, che può tradursi come “freddo ai piedi”. Infatti nel tardo autunno del 1937, Jung era stato invitato dal Governo britannico in India per partecipare alle celebrazioni della Università di Calcutta, ove gli veniva offerta tra l’altro una laurea ad honorem. Jung aveva conosciuto la figura di Ramana Maharshi attraverso il suo amico, il grande indologo Heinrich Zimmer, che aveva incontrato nel 1930. Addirittura aveva scritto una introduzione al libro, Der Weg zum Selbst, La Via al Sé, che questi aveva scritto sul Saggio di Arunachala. Evidentemente, gli onori accademici solleticavano la vanità del suo ego umano-troppo umano, ma l’incontro con un autentico realizzatore dello Spirito lo terrorizzava.
Ramana Maharshi era considerato a quel tempo un asceta che in maniera esemplare aveva trasceso le limitazioni dell’identificazione col corpo e con la mente e si era immerso nell’Atman, nel Sé. Egli indicava – unico in tutta la storia spirituale dell’India – la realizzazione dell’Atman attraverso la “ricerca dell’Io”. Jung fece il turista in lungo e largo per tutta l’India, visitando addirittura Ceylon, ed ebbe occasione di andare a trovare Ramana Maharshi, quando era a Madras, poco distante da Tiruvannamalai, ove viveva Ramana. Addirittura viaggiò in macchina da Madras alla volta di Tiruvannamalai, ma a circa 30 km dalla meta venne assalito dal più ingovernabile terrore: interruppe il viaggio e se ne tornò a Madras. La cosa fu accolta con disappunto e profonda delusione da Heinrich Zimmer, che gli aveva caldeggiato l’incontro con Ramana, come una svolta spirituale nella vita di Jung. Sarebbe lungo andare a fondo su questo episodio della vita di Jung, ma lo spazio è tiranno. Se necessario, vi ritornerò sopra.
Se uno vuole chiarirsi bene le idee sull’equivoco della psicanalisi freudiana, ma soprattutto junghiana non ha che da leggersi le pagine limpide scritte i libri e riviste da Massimo Scaligero. Per es. in Zen e psicanalisi, ne Il Giappone, V, 1965, pp. 145-160, riprodotto alle pp. 55-85 di Zen e Logos, Tilopa, 1980.Nello stesso libro, nell’articolo Zen idealismo, «contestazione», riprodotto alle pp. 86-97, Massimo Scaligero scrive:
«Un simile «universale» è stato talmente posseduto nel suo mero nominalismo dalla letteratura psicanalitica, che è stata possibile la presunzione di un rapporto e in qualche modo di un simile «universale» con quello che è al centro delle dottrine Zen: prajna, il tao, il non-mentale, il satori. Si è talora stabilita l’equazione non-mentale = non-cosciente, ossia tao = Inconscio. Una cosa poco seria, probabilmente favorita dal fatto che alcuni espositori dello Zen come Suzuki o Ch. Luk, hanno in buona fede creduto che l’inconscio fosse, almeno nei suoi massimi studiosi europeo-americani un’esperienza conseguente allo stato meditativo».
Un equivoco clamoroso da parte degli sprovveduti pensatori orientali ed una truffa e un inganno intenzionali da parte degli psicologi occidentali, fautori di una psiche mera funzione, senza autonomia alcuna, del cervello e del sistema nervoso, di una psicologia senz’anima. Naturalmente condita con infinita e raffinata dialettica, con la quale si può dimostrare tutto e il contrario di tutto.
Ne L’Uomo Interiore, sin dal primo capitolo, Psicologia, Yoga, Scienza dello Spirito, Edizioni Mediterranee, Roma, 1976, pp. 9-10, il Maestro affronta senza attenuazioni il problema della psicanalisi.
«La Psicoanalisi e la Psicologia analitica hanno presentito in più di una forma questo dualismo della coscienza, ma la loro interpretazione della vita interiore dell’uomo — a chi guardi da un punto di vista non semplicemente psicologico, ma spirituale — risulta espressione essa stessa della coscienza legata a simile dissidio interiore. I rimedi psicoanalitici e quelli affini, in effetto, danno al paziente l’illusione di un miglioramento, che è soltanto temporaneo, in quanto inserisce serie di imagini inusitate nella coscienza. Questa si distrae provvisoriamente dal suo male, per poi ricadervi.
Chi non disconosca la funzione di una reale scienza dell’anima, non può non tener presente che essa, mentre riguarda la vita fisio-psichica in quanto veicolo di manifestazione della psiche, al tempo stesso postula i principi sovrasensibili da cui in realtà questa dipende, ossia l’elemento metafisico puro, senza il quale la psiche non sarebbe nulla. Una tale base di ricerca manca alla Psicologia moderna, la quale certamente neppure con l’estendere il suo agnostico metodo di indagine a campi in cui sia contemplata l’esigenza spirituale, riesce a salire di livello: anzi, giunge a ridurre al proprio limite contenuti di dottrine che essa non ha i mezzi per penetrare. Nella Psicologia analitica, infatti, è cambiata soltanto la forma del limite materialistico proprio alla Psicoanalisi: limite che rimane intatto, come modo di conoscere legato allo strumento fisico che ne è contingente mediatore: l’organo cerebrale.
[…]
La perdita di una direzione interiore, ossia di una dimensione di interna realtà, nella cultura attuale, è in particolare riscontrabile appunto in quella che pretende essere una moderna « scienza della psiche »: secondo la quale il fine ultimo delle esperienze superiori, dalle forme iniziatiche a quelle religiose, non sarebbe altro che il tentativo di liberare l’individualità da uno stato di nevrosi e di soggiacenza ai complessi, in vista di una condizione di normalità.
La confessione di uno dei più autorevoli fondatori di tale scienza [nota di H.d.P.: si tratta proprio di C.G. Jung], a questo proposito, chiarisce il senso di quel suo vasto e ingegnosissimo lavoro d’indagine che ha investito, senza nulla risparmiare, il mondo dei miti e dei simboli, suscitando in tal senso anche in seri studiosi la tentazione di vedere quella esperienza sovrasensibile sotto specie di nevropatia tendente alla guarigione: egli appunto afferma che, se quel mondo di miti e di simboli dovesse essere interpretabile metafisicamente — ossia secondo una visione trascendente che in realtà è l’unica che gli si addice — e non secondo lo schema psico-razionale, egli non sarebbe in grado di comprenderlo. V’è senza dubbio onestà in tale dichiarazione, qualcosa come una subconscia confessione dei limiti di tutto il sistema, che non compensa tuttavia della serie di guasti avutisi non soltanto in sede scientifica, ma anche come conseguenze nella vita psichica di migliaia di individui nei quali in sostanza si coltivano le condizioni di scissione interna e di nevrosi, proprio con il trattamento che pretende guarirle: ciò in quanto si fa appello a un accordo con la natura, con l’« inconscio » atavico e con quello biologico, senza veramente conoscere la struttura estrasensibile della natura e l’ordine delle forze che, in quanto gerarchicamente più elevate, operano all’interno della psiche e della natura. Ma appunto la conoscenza di tali forze prospetta in modo ben diverso il problema dell’uomo e perciò anche quello della « psicologia ».
[…]
Una particolare disciplina può dare modo di accogliere in ogni percezione sensibile l’elemento interiore corrispondente, così da far risorgere il limitato e illusorio mondo delle sensazioni dalla sua interna struttura: ciò che esteriormente si presenta frammentario, come mondo della molteplicità, può ricomporsi nella coscienza secondo una essenziale architettura. Ma questa architettura che sembra sorgere in noi, si scoprirà che appartiene invece alle cose, è la forma interiore stessa del mondo.
Si tratta di avere percezioni allo stato puro, in quanto si sappia andare incontro ad esse nelle condizioni del « silenzio ». Perché il contenuto percettivo giunga alla coscienza allo « stato puro », occorre che ogni altra eco di vita, esteriore o interiore, sia estinta. Nell’uomo ordinario, ciò non può verificarsi, perché in realtà non è l’Io che accoglie i contenuti percettivi, ma l’« ego ». Il dato della percezione va a sollecitare il sub-cosciente, o mondo dei vâsanâ, che interviene a reagire a suo modo, ossia nel modo proprio al retaggio familiare o etnico: l’essenza della percezione viene normalmente smarrita. L’errore della Psicoanalisi, qui, è scambiare per contenuti della coscienza, in cui l’individuo possa riconoscersi, ciò che invece andrebbe ravvisato estraneo alla vera individualità, e che, in quanto tale, agisce come supporto di forze cosmiche ostacolatrici. Considerare come propri tali contenuti e assumerli come un tessuto profondo della individualità, in cui ci si debba riconoscere, è quanto di più ingannevole possa essere praticato in forma scientifica: significa far penetrare ancora più l’Avversario nell’ambito della coscienza; laddove il compito consisterebbe nel giungere a dissociarsi da essi, per forza conoscitiva, sino a riassumere pura la forza che si vincolava ad essi: privati della quale essi rivelano la loro natura impersonale e la loro oggettiva funzione. In realtà, dandosi ad una equivoca comunione con forze di ordine sub-conscio, l’uomo, in quanto essere spirituale, non vive, perché non conosce: infatti egli non percepisce veramente l’oggetto, ma solo il modo di rispondere della propria natura (vâsanâ-vritti) alla percezione dell’oggetto. Egli rimane immerso nell’avidyâ, finché la sua conoscenza del mondo, e perciò di se medesimo, viene falsata dal sistematico intervento della « memoria », ossia del gruppo delle abitudini soggettive che vogliono solo se stesse, essendo estranee all’essenza del mondo».
Per questo, nel mio commento allo scritto di Massimo Scaligero su Freud avevo scritto:
«Nella loro funzione di evocatori del guasto mondo subconscio, del quale la vita sana della coscienza deve liberarsi per essere autenticamente se stessa, la psicanalisi freudiana, la psicologia analitica junghiana, la psicosintesi di Roberto Assagioli, la Gestaltpsychologie di Fritz Perls, e affini, sono la moderna forma della stregoneria: evocano l’infero mondo dei samskâra e dei vâsanâ, i demoni e gli spettri del mondo “lunare” astrale-eterico, che nell’essere umano hanno presa attraverso il doppio ahrimanico, che tali “terapie” vanno a rafforzare e vampiricamente a nutrire a spese della vitalità spirituale dell’infelice paziente».
Quanto agli Ordini occulti, di molti dei quali mi parlava diffusamente Massimo Scaligero, si trattava, stando a quanto egli mi disse, (ne faceva allusione pure in scritti come Lotta di Classe e Karma, in Yoga, Meditazione, Magia e altri): «In un caso della cerchia martinista, che a Perugia faceva capo al Dott. Francesco Brunelli e in un altro caso della Fratellanza magica fondata dal Mago di Portici, Ciro Formisano. Tali confraternite occulte, come molte altre, coltivano un rafforzamento ed una sapienza del doppio ahrimanico, e provano una vera attrazione magnetica e un vivo entusiasmo nei confronti dei metodi, spiritualmente deviati, della degenerata psicologia moderna. Nelle sue opere, il Formisano si richiama esplicitamente a Sigmund Freud, ed un suo discepolo, il medico pugliese Giovanni Bonabitacola, fece dei veri disastri nell’applicazione delle terapie freudiane a suoi pazienti, in alcuni casi persino con finalità non limpide. Discepoli più recenti del Formisano, invece, si entusiasmarono per le teorie e i metodi dello psichiatra di Zurigo Carl Gustav Jung, materialisticamente abbinati alle concezioni materialistiche dell’evoluzionismo darwiniano. Il perugino Brunelli addirittura redasse vari quaderni (nota di H.d. P.: si tratta dei Quaderni Alpha) per gli affiliati al suo Ordine, nei quali apertamente si proponevano teorie e metodi della psicologia analitica junghiana, assieme a dottrine e pratiche rituali magico-cerimoniali, e magico-sessuali del Formisano e di vari epigoni, ancor più degenerati del medesimo: pratiche spacciate per alchemica magia trasmutatoria».
Ebbi modo di verificare l’esattezza di quanto più volte comunicatomi da Massimo Scaligero, il quale del resto ebbe modo di parlarne anche ad altri amici e persino in alcune riunioni, delle quali ho delle registrazioni.
Ma per chi volesse formarsi, in maniera autonoma, una opinione basata su documenti accertati, ricerchi in biblioteca l’edizione originale di un libro che dimostra in maniera eloquente i metodi, moralmente alquanto spregiudicati, adoprati da certe confraternite occulte per suggestionare, manipolare, illudere, spogliare di ogni bene, svuotare di ogni vitalità corporea e animica, le loro vittime designate, delle quali esse fanno ricco pasto. Si tratta dell’edizione originale de Il Processo del Mago, Società Editrice del Libro Italiano, Roma – Piazza Poli, 1942, pp. 169, con sottotitolo: Parlano Niccolaj, Polito de Rosa, Di Stefano, De Marsico. Presentazione di Libero Crifo. Si tratta delle requisitorie e delle arringhe al processo nei confronti di Pasquale Pugliese, nipote di Ciro Formisano, il Mago di Portici, che venne pesantemente condannato nel processo, intentatogli dal barone Ricciardo Libero Ricciardelli. In tale processo vennero documentate ampiamente – con prove giuridicamente provate – le malefatte del Formisano, dei suoi discepoli diretti Giacomo Borracci, Giovanni Bonabitacola, Vincenzo Manzi, alcuni, come è detto negli atti del processo, si salvarono da pesanti condanne nei processi di Chieti e di Bari perché defunti prima della sentenza. Il libro espone, in maniera oltremodo eloquente e istruttiva, i metodi psicanalitici freudiani usati dal medico di Sansevero, residente a Roma, il Giovanni Bonabitacola, nei confronti del barone Ricciardo Libero Ricciardelli, e dell’uso abbinato dei metodi occulti, sedicenti «ermetici» della scuola del Formisano, e conseguenti disastri.
Quanto ai metodi adoprati nella cerchia «martinista» perugina, da Francesco Brunelli, tra l’altro grande ammiratore del Formisano, dei suoi metodi magico-cerimoniali e magico sessuali (dei quali nei suoi scritti parla apertamente), è istruttivo andare a leggere quanto ne scrive l’integralista cattolico, grande frequentatore confesso delle varie confraternite occulte più problematiche, Massimo Introvigne nel suo libro Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, SugarCo, Milano 1990, pp. 216-232. Ne descrive, documentandoli, anche i lati più scabrosi. Come sono noti e documentati gli interessi di Francesco Brunelli, neurologo e psichiatra, nei confronti della psicologia analitica di Carl Gustav Jung e della psicosintesi di Roberto Assagioli, le cui dottrine e i cui metodi egli mescolava regolarmente alle pratiche occulte «martiniste» e sedicenti «egizie».
Ora tutti i personaggi di quella epoca sono defunti, ma hanno avuto successori e una certa diffusione del morbo per sporogenesi.
Psicanalisi freudiana, Psicologia analitica junghiana, Psicosintesi assagioliana, Gestalttherapie perlsiana, et similia, coltivano tutte uno stato di grossolana o raffinata medianità nel paziente che ad esse si affida. Se poi si combinano le medesime con pratiche occulte di Ordini occulti decadenti, o deviati, o ahrimanizzati, il disastro interiore ed esteriore è certo.
La via della psicanalisi e degli Ordini occulti deviati è – talvolta esplicita talaltra ben mascherata – una via del «corpo lunare», del «doppio ahrimanico», di quello che gli antichi gnostici chiamavano lo «spirito contraffatto», il «cattivo pilota» del Libro dei Morti degli antichi Egizi. E’ la via nella quale ci si apre spregiudicatamente mediante una cosciente o incosciente «magia di patto» all’ossessione ahrimanica, e in taluni casi addirittura asurica. Sono forme di materialismo magico, nelle quali ci si asserve alle forze antispirituali di un caotico mondo subsensibile e sub materiale.
A tale proposito Massimo Scaligero scrive parole severe e chiare, parole ammonitrici, nella presentazione del libro di Angelo Pitoni, L’Incognito, Edizioni Mediterranee, Roma, 1973, pp. 11 e segg.:
«L’uomo carente di «Io», ma psichicamente vigoroso, è il vero produttore della Sub-materia, ossia della Materia la cui potenza urge anche geologicamente da un grado inferiore a quello in cui essa è arrestata nella caduta. Questo grado appartiene al mondo infero, delle forze demoniache e magiche, sub terrestri, «lunari»: che conferiscono il potere dell’autentica Magia a chi è capace di conoscerle e dominarle. Non si possono dominare senza conoscerle. La Materia della Luna è anch’essa arrestata nella propria fissità, ma strutturalmente è in sé sub terrestre: a un grado di materialità che l’uomo ancora non può sopportare. Tale grado tuttavia urge in lui mediante il «corpo lunare», o astrale inferiore: che nell’epoca presente ha il massimo della possibilità di dominarlo, in quanto il Principio solare dell’Io non può entrare in funzione nell’anima di lui, mediante il debole pensiero riflesso: l’attuale pensiero logico-dialettico, per sua costituzione perciò asservito alla natura umano-animale. […]
L’asceta di questo tempo, per superare il grado della Materia, deve anzitutto sperimentare le forze interiori che in lui si estrinsecano mediante essa , nel percepire e nel pensare: questa esperienza è fondamentale come disciplina preparatrice alla Operatio Solis. […] L’impresa dell’asceta moderno è superare la condizione dell’Antimateria, per realizzare il grado reale di veglia, rispetto al quale la Materia è il vuoto: il vuoto attraverso al quale può passare il Pensiero, come veicolo del Principio solare che vince lo stato lunare della psiche. L’immagine della Vergine che ha ai piedi la falce della Luna e schiaccia il Serpente, è simbolo dell’anima purificata, ossia della sua vittoria sull’elemento lunare, o sul mondo dal quale urge la Potenza dell’Antimateria.
Questa è in sostanza la Potenza magica che l’asceta solare riconquista, ritrovandola a un grado più elevato della coscienza, proprio in quanto egli è penetrato in un grado più basso, scendendo da vincitore in quella sfera lunare, che per l’uomo incapace di realizzare il normale stato di veglia al livello della Materia, è il mondo della magia infera, medianica, che lo domina mediante brama, necessità, istintività inevitabilità della Morte, e le correlative codificazioni dialettiche. Perciò il Potere del Logos solare è in realtà il Potere di Resurrezione dallo stato di morte della Materia e della sua dialettica».
Difficile, faticoso e arduo è cercare autocoscienza, e libertà autentiche: liberare la coscienza dell’Io progressivamente e attivamente dal supporto fisico, e dai condizionamenti sottili operati dalle oscuranti potenze antispirituali, ostacolatrici di autocoscienza e libertà. Eroico è scegliere di consacrarsi alla disciplina sacra della Concentrazione, al Rito della liberazione del pensiero, all’impresa di affrontare da vivi la prova del morire prima di morire, senza morire.
Tutto ciò non piace: cioè non piace all’ego, al corpo lunare, alla natura manovrata dall’ente ahrimanico. Più facile, più comodo e gradito all’ego, il rifugiarsi nelle «vie dell’anima», nel misticismo, nel klingsoriano Chastel Marveil della moderna psicologia e dell’antigraalico e medianico magismo «lunare», ambedue verae ancillae principis huius mundi. Ma dietro tale scelta “facile” vi è sempre la paura, lo stesso incoercibile terror panico, che spinse Carl Gustav Jung a fuggire in maniera precipitosa a pochi kilometri da Tiruvannamalai, per evitare l’incontro con Ramana Maharshi, l’annientatore del mentale egoico, della vanità dialettica: l’annientatore della stessa paura dello Spirituale, che fa sì che l’uomo stordito si avvinghi all’effimero, all’illusorio, a ciò che lo conduce a perdizione.
La Via del Pensiero Vivente, il Rito della Concentrazione, sono la Via eroica della Libertà e del Coraggio.
Hugo, dunque l’asceta solare, per risolvere la mineralità, ha bisogno delle forze della sottonatura o mondo quantico? Qual’è la differenza tra la sua azione e quella del fisico quantistico?
Grazie
Francesco,
l’asceta solare per risolvere la mineralità NON ha affatto bisogno delle forze della subnatura, perché nell’atto pensante vi sono le tutte le forze delle quali ha bisogno per la concreta realizzazione dello Spirito. L’asceta solare non ha bisogno delle forze della subnatura, proprio perché attinge a forze spirituali più alte di ogni natura, forze che tuttavia sono interne e non esterne all’essenza del pensare Tali forze dissolvono il potere infero della subnatura. Si può dunque dire che non l’asceta necèssita delle forze della subnatura, bensì sono tali forze che attendono la loro redenzione dalle forze della sopranatura, interne al pensare vivente, al pensare-folgore: sono esse a necessitare della libera azione redentrice dell’asceta pensante votato al Rito della Concentrazione, non viceversa.
La fisica quantistica è una scienza del tutto ipotetica, basata sulle teorie della meccanica quantistica: non sono evidenze – nel senso goethiano del fenomeno puro – basate su una rigorosa pratica empirica di laboratorio. Vi sono in essa troppe “ipotesi clandestine”, indimostrate e indimostrabili, ed un realismo primitivo, che dal punto di una rigorosa teoria della conoscenza fa acqua da tutte le parti. Che poi dia luogo persino ad una sorta di raffinato misticismo materialistico, come nella cosiddetta “Gnosi di Princeton” o nel “Tao della fisica” di Fritjof Capra, è cosa preoccupante dal punto di vista spirituale.
La Via del Pensiero e la Scienza dello Spirito, che su essa si fonda, nascono da una rigorosa esperienza diretta, che non sfocia negli ipotetici “quanta” della fisica moderna, bensì nella percezione diretta, lucida, sperimentabile, delle Entità spirituali sovrasensibili, che si manifestano nello sperimentale sensibile umano. La Scienza dello Spirito non parte da provvisorie ipotesi di lavoro e non dà luogo a teorie, bensì dà luogo alla concreta azione ascetica di trasformazione dell’anima, alla prassi sperimentale di formazione di organi animici e spirituali di conoscenza, ai quali va incontro la percezione di un concreto, e non ipotetico, Mondo Spirituale. La Scienza dello Spirito descrive con rigore logico e scientifico metodi e risultati di tale sperimentazione sovrasensibile. La base di tutto è la pratica della Concentrazione.
Grazie ancora Hugo de Paganis!
Ah, Hugo! Che delusione mi hanno dato le pesanti critiche a Bonabitacola…
E’ lo stesso che su UR scrisse col nome di Abraxa, vero?
Mi è sempre stato simpatico per il suo modo guascone di scrivere e perché Massimo riporta che “trattava a male parole” chi andava a fargli visita: un ottimo metodo per selezionare quelli che superavano l’oltraggio alla propria presunzione personale!
Peccato 🙁
Uhm a me risulta che Abraxa in UR era Ercole Quadrelli, kremmerziano ed ermetista 🙂
No, Isidoro, questa volta sbagli identificazione!
“Abraxa” era Ercole Quadrelli, che in Ur si firmava altresì con l’eteronimo di “Tikaipos”, ed era una persona profondamente onesta. Ercole Quadrelli era un grande amico di Massimo Scaligero, col quale usava incontrarsi regolarmente, – quando Massimo era un po’ più giovane di come lo abbiamo conosciuto noi – al “Caffè Rosati” di Piazza del Popolo a Roma, per colloqui non filosofici e intellettuali, bensì ermetici e filosofali. Pur provenendo dalla Fratellanza di Miriam, fondata da Ciro Formisano, il Mago di Portici, e appartenendo al romano e miriamico “Circolo Virgiliano”, diretto dal Dott. Giovanni Bonabitacola, Ercole Quadrelli aveva una posizione autonoma, che lo portò poi in conflitto con la “Fratellanza”, i cui membri ne parlano tuttora con non equanime e ingiusto livore. Dottrine e pratiche, esposte e descritte da Quadrelli sui fascicoli di Ur-Krur, per la maggior parte non provengono dalla Miriam del Formisano, bensì hanno altra origine.
Quanto al Dott. Giovanni Bonabitacola, basta leggere qualcosa della requisitoria, pubblicata nel “Processo del Mago”, del P.M. Francesco Polito-De Rosa per rendersi conto con chi, al di là dei discorsi umanitari, si abbia in realtà a che fare. Trascrivo semplicemente alcune frasi dal suddetto libro:
“Spetta al barese dott.. B…, filosofo esoterico, cultore di metapsichica e presidente di un “Circolo Virgiliano” di occultismo, non meglio specificato: a colui, cioè, che venne dinanzi a voi, in borioso contegno didattico, per farci stupire delle proprietà che acquista il chimico, su cui si reciti il XXIX salmo di Davide; spetta a lui, benché non mostri di gradirlo, il merito dell’iniziazione del Ricciardelli ai misteri della magia kremmerziana. Fu lui che trasse nell’ermetica ragna il gorgoglione dorato, da salassare e mungere esotericamente” p.62-63.
Risparmio per brevità al candido lettore molti passi citabili, e faccio breve resoconto del fatto, p.65, che il Bonabitacola spinse il barone Ricciardelli a finanziare con 300000 lire dell’epoca -somma enorme – una operazione economica di Vincenzo Manzi, “compagno di merende” del Bonabitacola, con la promessa della restituzione della somma magicamente moltiplicata. Restituzione mai avvenuta. Poi, p.67, l finanziamento fallimentare di una Società Anonima Oleifici Laziali e poi Tiburtini, per oltre 8 milioni dell’epoca. Cifra folle! Altri soldi finiti nelle tasche dell’Avv. Giacomo Borracci di Bari, discepolo come tutti i precedenti del Formisano. Il Manzi, p.77, visto il fallimento dell’impresa si eclissa, non prima di essersi sbafato una liquidazione di altre 500000 lire dell’epoca! Altri svariati milioni dell’epoca furono “munti” da Pasquale Pugliese, nipote ex filia, di Ciro Formisano: soldi in gran parte dilapidati in donne, champagne e roulette del Casinò di Venezia! Il tutto ampiamente condito con occultismo deviato a indirizzo magico-cerimoniale e magico-sessuale.
Quanto a Ciro Formisano, “signore e donno”, col suo magistero sedicente “ermetico-alchimico” di tutti costoro, leggiamo di lui e di un suo “famulo”, p. 63:
“Se qui non v’è che solo il Pugliese da giudicare, tutti sappiamo che un altro processo s’istruisce presso il Tribunale di Chieti; […] E se in quel processo, che sorse per un’accorata e tarda denunzia della signora Ricciardelli, forse già sospettosa, ma ancora ignara dell’attività e della persona stessa del Pugliese, due tra i fondatori – Il Formisano e il candela – si sono salvati nella morte, c’è sempre luogo per aumentare il numero dei correi che ancora ” bevono per gli occhi la luce”.
Sarebbe troppo lungo riportare i molti fatti accertati e riportati negli atti del processo di Bari. Basti dire che la “combine” miriamica Formisano-Candela-Bonabitacola-Manzi-Borracci-Pugliese volatilizzò l’intera ricchezza del barone Ricciardelli, che ammontava a 20 milioni di lire di allora e proprietà che si estendevano su quattro province dell’Italia di allora.
Tuttavia, è istruttivo riflettere come un occultismo deviato, basato su una equivoca sapienza del “corpo lunare”, ossia del doppio ahrimanico, porti alla corruzione morale, alla distruzione della vita animica e della salute fisica delle vittime designate, o di coloro che incautamente e ingenuamente cadono nella malefica rete. Se si considera, inoltre, che è lo stesso mondo di infere forze ahrimaniche alle quali attingono le varie correnti della psicanalisi – freudiana, junghiana, assagioliana, perlsiana, maslowiana etc. – per evocare l’ambiguo mondo dell’inconscio e del subconscio, vi è davvero di che preoccuparsi. Se, infine, gli stessi individui fanno parte di confraternite occulte deviate, mescolano psicanalisi e politica, più o meno illecita e deviata, frequentazioni curiali e piduiste, allora il “cocktail” diventa davvero esplosivo sotto tutti i punti di vista!
Attualmente, l’inquinamento, attraverso scaltra penetrazione surrettizia, ben mascherata, è in opera anche in comunità spirituali dalle origini ineccepibili, e persino nella Comunità solare. Nunc quid est agendum? Che fare ora che siamo ormai nella tempesta? Tenersi il più possibile lontanissimi da simili degenerazioni rituali e magico-erotiche, curare la purezza del pensiero e del cuore, e fare tanta, davvero tantissima Concentrazione.
Hugo, che per compiacere Isidoro,
si è sbafato pappa al pomodoro.
Okappa! Mi sono confuso di brutto.
Però qualche potere il Bonabitacola doveva averlo per poter estrarre al buon Ricciardelli la somma (enorme come giustamente rimarchi), di trecentomila lire.
Alla notizia, pensa quanti paraguri che ben conosciamo, diverranno verdi per l’invidia!
A parte maghi, materialisti, sette e piedi freddi… a me rimane però un dubbio, che ho da tempo e ancora non sono riuscito del tutto a chiarirmi.
Prendendo in esame soprattutto quanto scritto da Massimo da “L’errore della Psicoanalisi, qui, è scambiare per contenuti della coscienza, in cui l’individuo possa riconoscersi” fino a “laddove il compito consisterebbe nel giungere a dissociarsi da essi, per forza conoscitiva, sino a riassumere pura la forza che si vincolava ad essi”.
Posto che la mia formazione psicologica è principalmente rogersiana (e quindi più Counseling che Psicoanalisi), ma che ho almeno un’infarinatura di Gestalt, e qualche vaga nozione sul Freud, trovo che in molti interventi di supporto psicologico l’intento è di “evocare il guasto” nell’ambito del colloquio psicologico proprio per permettere all’altro di obiettivare un comportamento, un’emozione, un giudizio, un ragionamento, che egli subisce in maniera inconsapevole.
Forse però tale conclusione nasce da un mio pregiudizio che tenta di vedere il buono lì dove non c’è. Forse quei momenti di disincantamento animico dei quali ho creduto esser stato testimone e che avevo ascritto ad un momento di risveglio di forze dell’Io che permettono al soggetto di comprendere la sua situazione rappresentandosi le forze istintive di cui è stato vittima e, partendo da tale disidentificazione, di trovare la forza di svincolamento. Mi è chiaro che sarebbe comunque un sollevarsi della coscienza di poco, però quel tanto che basta per rompere un piccolo incanto… magari il primo gradino rispetto alla scalinata che può percorrere colui che, ridestando il Pensiero Vivente, può far esperienza diretta e obiettiva delle forze in gioco.
In tutta sincerità temo di non riuscire a vedere il punto e mi resta un sospetto: che la conoscenza a cui accenna Massimo è di natura completamente diversa da quella a cui ho fatto cenno qui sopra.
Se qualcuno ha capito cosa voglio dire e vuole provare a tendermi una mano per uscire dal guado… gliene sarò ben grato!
Caro Lapprendista,
avevo cominciato a risponderti, vista la portata del tema, preferisco risponderti con un articolo organico, che dà la possibilità di affrontare taluni aspetti della questione in maniera più completa.
Hugo,
che stasera si mangia pane e pera.
Intanto ringrazio… e attendo.