L’anima sulla via dell’auto-osservazione
Nel sogno, l’anima coglie se stessa in una forma fugace che è una maschera.
Nel sogno senza sogni, apparentemente, essa si perde del tutto.
Nell’auto-percezione spirituale ottenuta mediante una meditata riproduzione del sogno, l’anima perviene a se stessa in quanto entità creatrice di cui il corpo è l’immagine.
Ma il sogno affiora dal sonno. Chi si propone di sollevare il sogno alla chiara luce della coscienza, deve anche sentirsi spinto ad andare oltre. Lo fa, quando cerca di sperimentare coscientemente il sonno senza sogni. Ciò sembra impossibile. Poiché nel sonno la coscienza, appunto, cessa. E pretendere di sperimentare coscientemente l’incoscienza, sembra una pazzia.
Ma la pazzia appare subito in altra luce, se ci si contrappone ai ricordi che si possono seguire retrospettivamente, da un determinato momento fino all’ultimo risveglio. Allora però bisogna procedere collegando in modo assolutamente vivo le immagini della memoria con ciò che esse rammemorano. Se allora si cerca di risalire all’indietro fino alla successiva immagine mnemonica cosciente, questa è situata prima dell’ultimo sogno. Se si compie realmente il collegamento con l’oggetto del ricordo, sorge una difficoltà interiore.
L’immagine mnemonica successiva al risveglio non si può accostare a quella antecedente al sonno.
La coscienza ordinaria supera la difficoltà effettuando il collegamento debolmente con l’oggetto ricordato, e semplicemente apponendo l’immagine del risveglio a quella dell’addormentamento. Per chi però abbia intensificato la sensibilità della coscienza mediante la ben consapevole riproduzione del sognare, quelle due immagini si scindono.
Per lui, fra le due sta un abisso. Ma, in quanto nota questo abisso, esso anche gli si colma. Il sonno senza sogni cessa di essere un vuoto lasso di tempo, nell’autocoscienza. Ne emerge, come un ricordo, uno spirituale colmarsi del tempo vuoto.
E’ bensì come un ricordo di qualcosa che la coscienza ordinaria prima non aveva affatto avuto in sé, nondimeno questo ricordo porta in sé il richiamo ad una esperienza dell’anima, altrettanto quanto ogni altro ricordo abituale. In tal modo però l’anima guarda realmente entro ciò che, per lo sperimentare ordinario – nel sonno senza sogni – trascorre per lei incoscientemente.
Questa è la via su cui l’anima guarda in sé ancora più profondamente alla sua propria entità che dà forma al corpo. Mediante la cosciente penetrazione del sonno senza sogni essa si vede, nella sua propria essenza, interamente svincolata dal corpo.
Ormai essa guarda non solo alla formazione del corpo, ma, al di là di quello, alla formazione del proprio volere.
L’intima essenza del volere resta altrettanto ignota, alla coscienza ordinaria, quanto gli eventi del sonno senza sogni. Si sperimenta un pensiero che racchiude in sé l’intento del volere. Questo pensiero si sommerge nel mondo indistinto del sentimento e scompare nell’oscurità dei processi del corpo. Riemerge da fuori, poi, come processo corporeo del moto del braccio, ed è di nuovo afferrato da un pensiero. Fra i due contenuti di pensiero sta qualcosa che è come il sonno fra i pensieri che precedono l’addormentarsi e quelli che seguono il risveglio.
Ma come con la prima forma di veggenza dell’anima si può cogliere il lavorio interiore dell’anima sul corpo, così con la seconda forma di veggenza si può cogliere il volere al di là del corpo. L’anima può trovare la via che la porti a contemplare il proprio intimo lavorio sulla struttura organica del corpo: e può anche arrivare all’altro sentiero, su cui le è possibile scorgere come essa lavori sul proprio corpo per estrarne il volere.
E come tra sonno e veglia sta il sogno, così fra il volere e il pensare sta il sentire. Sulla medesima via che conduce ad illuminare il processo volitivo, si trova anche l’illuminazione del mondo del sentimento.
Nella prima veggenza l’anima svela a se stessa il suo interiore lavoro sull’organismo. Nella seconda veggenza perviene al volere. Ma alla manifestazione esterna del volere deve precedere un’attività interiore. Prima che il braccio si sollevi, la corrente dell’attività deve riversarsi in esso in modo che entro i processi del ricambio che hanno luogo quando il braccio è in riposo, se ne inseriscano altri che si manifestano come l’esplicarsi di un sentimento. Il sentimento è un volere che resta chiuso nell’uomo, un volere che è trattenuto nella forma del suo nascere.
I processi inseriti nel corpo per l’esplicazione del sentire e del volere si rivelano alla seconda veggenza come processi opposti a quelli che sostengono la vita. Sono processi che demoliscono. Nei processi costruttivi la vita prospera: ma in essi l’anima si estingue. La vita del corpo che è edificata dall’anima stessa, deve essere demolita affinché la natura e l’attività dell’anima possano esplicarsi per suo mezzo.
Per la percezione spirituale, l’azione dell’anima sul corpo è come un ricordo di qualcosa che essa ha compiuto prima di estrinsecare se stessa nell’azione.
Ma in tale modo l’anima si sperimenta come un’entità puramente spirituale che ha fatto precedere alla propria attività la formazione del corpo, per avere nel corpo stesso il fondamento per la sua propria originaria e puramente spirituale esplicazione.
L’anima, prima dedica al corpo la propria attività creatrice, per manifestarsi poi, dopo aver assolto questo compito, in libera spiritualità.
E questo esplicarsi dell’anima comincia già col pensiero stesso che prende lo spunto dalla percezione sensoriale.
Se si percepisce un oggetto, l’anima entra già in attività. Essa plasma la corrispondente parte del corpo in modo che essa sia atta ad esplicare nel pensiero un’immagine riflessa dell’oggetto. Nello sperimentare questa immagine riflessa, l’anima scorge allora il risultato della sua propria attività.
Non si troverà mai l’essere spirituale dell’anima, filosofando sui pensieri che si presentano alla coscienza ordinaria. Poiché l’attività spirituale dell’anima non sta dentro, ma dietro a quelli. E’ esatto che i pensieri sperimentati dall’anima siano un risultato dell’attività cerebrale. Ma l’attività cerebrale è a sua volta il risultato dell’attività spirituale dell’anima.
Nel misconoscimento di questo fatto sta il malsano della concezione materialistica. Quando, partendo da ogni sorta di presupposti scientifici, essa dimostra che i pensieri sono un risultato dell’attività cerebrale, ha ragione. E una concezione che voglia confutare questa affermazione, dovrà pur sempre fare i conti con quanto il materialismo ha da dire. Ma l’attività cerebrale è risultato dell’attività spirituale. Per vedere ciò non basta volgere lo sguardo entro l’uomo: vi si incontrano i pensieri. E questi hanno solo una realtà riflessa: proprio questo è il risultato della corporeità.
Volgendo lo sguardo su se stessi, bisogna valersi di facoltà animiche rafforzate e potenziate. Bisogna strappare l’anima che sogna all’oscurità crepuscolare del sogno: allora essa non si volatilizza in fantasmi, ma depone la maschera per apparire come un essere che lavora sul suo corpo. Bisogna strappare l’anima che dorme, alla tenebra del sonno: allora essa non scompare di fronte a se stessa, ma si pone di fronte a se stessa come essere puramente spirituale che, nel volere, opera per tramite del corpo al di là di questo.
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Rudolf Steiner