IL VINO MIGLIORE

18tombari  Tombari

Vi ricordate quando, forse in una incarnazione precedente, vi parlai di uno scrittore italiano di spessore, ora dimenticato. Si chiamava Fabio Tombari. Giacché in un articoletto io inneggiai alla buona birra, ora passiamo al vino di Tombari, con una prosa più felice della mia.

IL VINO DELL’ASTEMIO

Il vino del bevitore è schietto, non adacquato. E siccome il bevitore in genere è un intenditore, quel vino è certamente sincero.

Ma il vino dell’astemio è ancora più genuino.

Il bevitore è di bocca buona, purché il vino sia di suo gusto: amabile o asciutto, abboccato ed asprigno, il bevitore lo manda giù anche se navigato o tagliato.

L’astemio no: esige una purezza, una limpidezza maggiore. Così, per quanti aggettivi si possano appioppare ai vini, tutti più o meno spumanti, nessuno raggiunge l’elogio cui può arrivare l’astemio.

Tutto si può dire di un buon vino: che eccita l’appetito, aiuta la digestione, rallegra il cuore, lo riscalda, lo fa cantare.

Ma per quanti attributi e virtù gli si possano attribuire, compresa quella di essere esso stesso un alimento, arrivati al colmo bisogna fermarsi. Così per gli aggettivi elogiativi: generoso, frizzante, solenne, smagliante, gli aggettivi hanno un termine; più su non s’arriva.

Si può essere Redi, Carducci, si può esilararsi; o come Baudelaire o Verlaine, ammutolire o impazzire; gli stessi Sufi che la sapevano molto più lunga di quanto noi occidentali sappiamo su loro, raggiungono un massimo, e più in alto non vanno.

L’astemio sì: l’astemio arriva al sublime.

Non ci sono alternative: fra il vino e l’astemio non vi può essere altro rapporto  che quello divino. E’ per questo che lo troviamo al centro di tutti i Misteri.

Ma il divino passa per l’umano. Romolo stesso stabilì che non si offrisse altro vino in sacrificio, che quello di vite potata; cioè curata da mano d’uomo; poiché è soltanto attraverso l’uomo che la Terra può ascendere.

Ecco perché ancor oggi lo troviamo al massimo dei sacrifici.

Ma non tutto ci è chiaro.

Per solito si dice: “in vino veritas”. E ci pare di capir molto quando diciamo che il vino fa cantare chi lo beve. Così, per far parere buono un vino scadente, il venditore offriva finocchio al compratore.

Ma quella è una verità buona per chi la beve, non per chi non beve. Qui si tratta di bere la verità, non di darla a bere.

Il vino, dice Goethe, va bevuto in bei calici e il calice cui allude Goethe, di puro cristallo e istoriato, è quello di Faust; così che Faust vi intravede lo spirito della Terra. Non già che lo spirito voglia significare alcool; ma è alcool che vuol dire soffio, alito, respiro. L’alcool sta per etere. E il fatto che Goethe o Faust lo possa ammirare in trasparenza, è certamente una gran bella verità. Ma vi è una verità anche maggiore.

Il calice con cui il sacerdote celebra, non è trasparente; e se fuori è d’argento, dentro è d’oro. Non è il calice che traspare, ma il vino: non è il calice che lascia vedere il vino, bensì il vino che traspare il calice. E cosa traspare?

L’oro. L’oro è l’espressione terrena della somma sapienza. Si potrebbe andare al Soma dei Veda, a Melchisedec, ma a noi basta quel che ce ne dice un astemio.

A proposito delle Nozze di Cana, Rudolf Steiner fa osservare che quanto quel giorno ha operato il Cristo, la vite lo fa naturalmente.

La vite è quella pianta che tramuta l’acqua celeste, l’acqua di benedizione riposta nelle idrie, in vino nuziale. E il Redentore compie lo stesso miracolo della vite: quanto dire prosegue la trasmutazione di sostanze compiute dalla Terra, tramite la vite.

Nessuno che non fosse Dio avrebbe potuto mai fare altrettanto (e nessuno all’infuori d’un astemio avrebbe potuto mai rivelarcelo).

A cosa conduce questo pensiero? Conduce a Dionisio.

Osiride, portato a Nysa, nell’Arabia Felice, era figlio di Zeus, e venne chiamato come suo padre (nominativo Zeus, genitivo Dios) Dio-nysios, o Giove di Nysa: Dionisio. Non a caso Bacco era stato allevato nella grotta di Nysa. Nysa, Nissa, sarebbe il Sinai. E secondo il mito, Dionisio, sotterrati con la barbatella di vite tre ossi, di uccello, di leone, di asino, allude ai tre gradi dell’ebrietà: nel bere vino infatti, dapprima ci si sente leggeri come uccelli, quindi forti come leoni e infine stolti come somari.

Ma passiamo alla Genesi, Cap. IX 20-21. Noè che era agricoltore, piantò la vigna. E avendo bevuto del vino, s’inebriò e si spogliò dei panni in mezzo al suo tabernacolo.

La trovata dei volgarizzatori non poteva essere più geniale. Non per niente verità e virilità si assomigliano: perché Noè si è visto quale era. E’ un’interpretazione gustosa e rusticamente salace.

I primi assaggi infatti, si fanno quando il Sole entra in Scorpione; e lo Scorpione ha che vedere col sesso, cui si fa risalire ogni origine. Ma la creazione,  cioè la generazione dal nulla non deriva dal sesso, dallo Scorpione, bensì da Dio, dalla Verità: è questa che a noi preme.

La vera Genesi. Vediamo pertanto di leggerla nella versione letterale. Fabre d’Olivet ce ne offre una più genuina anche se più recondita: “Ed Egli liberò Noah, l’Uomo intellettuale, esaltò il suo pensiero e si rivelò al centro più segreto del tabernacolo suo”.

Qual è questo centro più segreto? Vogliamo scoprirlo insieme? E’ semplice, perché è già racchiuso nella sola parola veramente intima.

Come spirito per alcool adombra il soffio divino, jin, per vino, adombra l’essenza spirituale, la quinta essenza degli Alchimisti.

Cosa fa la foglia di vite su Eva? Copre, cela il mistero della vita, il mistero della creazione.

L’idea di adombrare nella sbornia di Noè una verità così nobile con un sentimento di pudore, è stata saggia, lungimirante: basti pensare alla folle esaltazione di Nietzsche e alle sue fatali conseguenze.

Così la Chiesa, più che previdente, è stata materna, poiché nessuno di noi è tanto maturo alla verità, da non avere bisogno di esservi condotto per mano come un bambino. Così San Paolo. Ma oggi l’importanza che si dà al sesso, non è meno pericolosa.

Noè rivela ciò che vi è di più intimo in ciascuno, cioè l’Io.

E il mistero dell’Io (che è poi il mistero dell’Uno quale numero più piccolo se inteso fisicamente, e più grande perché riflette l’unità) è il mistero della creazione dal nulla. Nei tempi remotissimi, quando l’uomo non aveva la possibilità di autodeterminarsi, era col vino che si esaltava e usciva di sé, fino a ricongiungersi con la Divinità.

La verità che sta in fondo al vino, lo jin, è l’Io universale.

Fuori di Santa Maria in Cosmedin vi è una pietra rotonda: la Bocca della Verità. E’ fuori della chiesa, ma sempre dentro il suo ambito. Guardiamo bene cosa rappresenta.

Il Sole, il volto stesso del Sole. Quanto a dire la fonte di ogni verità. La vite infatti trae i succhi dalla terra per congiungerli con la luce del Sole. Ed è il Sole che produce la transustanziazione in succo. Non per niente col suo sangue Cristo si immedesima con la Terra. Caterina da Siena vedeva la Chiesa come la cantina del Signore, in cui i sacerdoti mescono alle anime il vino eucaristico, che è il sangue dell’agnello senza macchia, perché il vino è sangue del nuovo Adamo.

Non dice la tradizione che va assaggiato con tutti e cinque i sensi? Dal rumore quando spilla e casca nel bicchiere (e non scivoli); dalla vista, che sia chiaro e trasparente, che frizzi e spumeggi e subito si rassereni; dall’odore, che sia profumato e non guasto; dal gusto, che stimoli e non dispiaccia; e infine dal tatto: che non abbia avuto la calda e non sia febbricitante? Il vino è l’uomo intero.

A queste verità da sensale si arriva bevendo. Ma alla verità che sta dietro, e cioè che il vino, jin, riportava all’Io primigenio, ci si arriva non bevendo, né vino né sicera.

Oggi, attraverso l’Ente per la tutela dei Vini Tipici, si vuol tornare alla genuinità. E’ giusto.

Non è più tempo di mezzi vini o di mezze verità. Il vino deve essere schietto, generoso, sincero. E così l’uomo.

Fabio Tombari

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6 pensieri su “IL VINO MIGLIORE

  1. Che drittone era Fabio!
    Qui noi eravamo, più o meno, gran bevitori: quando Scaligero, senza se e senza ma, ci disse di non toccare alcol, ci avvolse una cupa tristezza. Ma come soldatini obbedimmo all’ordine (sommesso e perentorio). Per fortuna, le gustose immagini di Tombari e le sagge indicazioni di chi, ora, capisce come stanno le cose, tolto il calicione prandiale, ci offrono il “via libera” alla stupenda bevanda. Per sicurezza mia, solo vino da Messa: da mane a sera: l’unica via diretta – freccia rossa – per giungere al vero Io in un battibaleno: settimo del quarto tempo dei cinque esercizi!

    • Che drittone? Io direi “che drittoni!” Insieme a te Isidoro.
      Vino da Messa……da mane a sera??
      E va be’……. non tutti sono capaci di staccarsi dalle gonnelle dei vari papi, antipapi, preti e spretati! …….. Magari nella prossima incarnazione dai!

      Queste due fotine di Tombari sono piccoline ma comunicano il giusto umore e quindi le ho trovate piu’ adatte di altre all’articolo!

  2. Spiritosissimo Isidoro – in tedesco i forti alcolici si chiamano tuttora “Spirituosen” ed un tempo anche in Italia si parlava di “bevande spiritose” – di che ti stupisci, e perché sì mesti rimpianti? Vi son coloro che adacquano o annacquano il vino, e vi son coloro che annacquano e adeguano Scienza dello Spirito e Ascesi Iniziatica!
    Fanno bene a far così, perché allo stato puro la Via del Pensiero è una bevanda troppo forte, che può far girar la testa, conciosiacosaché essi opportunamente, o opportunisticamente, la diluiscono alquanto, rendendola gradevole allo stomachino e sollazzevole allo spirito (sit venia verbo). Per cui, dovendo render efficace e impegnativa la disciplina della volontà, viene consigliato di fumare solo una sigaretta ogni ora (che fanno 24 sigarette al giorno: oltre due pacchetti, che rendono felice il Monopolio di Stato per le consistenti entrate che i volenterosi benemeriti gli forniscono con la loro costante ascesi della volontà) e di non bere un bicchiere di vino ad uno dei tre pasti quotidiani (agli altri due pasti, o tra un pasto e l’altro, ci si può abbondantemente rifare…). Questa sì, caro Isidoro, che è “ascesi creativa”: più che “annacquare” l’impegno ascetico, si dovrebbe parlare di “avvinazzare” il medesimo. Per cui, spiritosissimo Isidoro, non aver mesti rimpianti, e “adegua”, o “adacqua” o “annacqua”, la tua via e il tuo sentiero: troverai così quella verace ed attuale iniziazione dionisiaca ove un mirabil ierofante ti mostrerà come col voler si trasmuti l’acqua in vino!

    Hugo, ch’ognor lieto si mangia
    il bel raviolo col tartufo,
    si beve acqua fresca di fonte,
    e poi, come un lupaccio disumano,
    si fumerà con somma goduria
    un puzzolentissimo sigaro toscano.

    • Irsutissimo Hugo,

      prego: il primo, coraggioso passo, di tale magistrale iniziazione, audacemente fu compiuto a tre anni e qualche mese, assumendo di rapina il contenuto (vermouth) di tutti o quasi i bicchierini disposti sul tavolo di un banchetto nunziale in quel di Varese.
      Fu illuminante! Anche se – pur dotato di eccezionali capacità interiori – non riesco (né riuscii) a ricordare il pranzo ed il lungo viaggio di ritorno da Varese a Trieste. Però sono certo che impresse nel corpo sottile il marchio del dio 🙂

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