PRECISAZIONI

 in the air

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Questa è la risposta ad una domanda che mi è stata inviata. Riguarda fatti obbiettivi, perciò non lede alcun carattere di discrezione personale e può servire a qualche altro lettore di Eco.

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Caro amico, le dirò volentieri quello che posso nel merito e, spero che non le dispiaccia se passo la sua a Ecoantroposophia poiché, per molto o poco, sono certo che comunque potrà interessare qualche altro dei nostri lettori che, obbiettivamente, sono davvero tanti.

Come lei saprà benissimo, il dott. Giovanni Colazza strettissimo discepolo del dott. Rudolf Steiner (lo scrivo non per lei ma per i lettori), alta figura nel manipolo di discepoli di rango – questo al punto che lo Steiner venne a Roma per incontrarlo secondo precise indicazioni fornitegli da esseri dei Mondi Spirituali – poco tempo dopo la scomparsa del Dottore, accettò l’offerta, promossa da J. Evola, di collaborare ad un progetto, rimasto unico in Italia, di pubblicazioni di esoterismo di indirizzo dottrinario ed pratico, con l’apporto di molti tra i migliori operatori dell’epoca.

Date le scuole non omogenee, i fascicoli espressero pur tuttavia il meglio delle diverse tradizioni. E furono sostanzialmente ricchi di indicazioni pratiche. Altre figure importanti del panorama antroposofico furono presenti tra i più validi collaboratori. Tutti figurarono come ignoti al pubblico poiché vennero adottati nomi simbolici e pseudonimi.

Leo è la firma che indica gli scritti di Colazza…che scritti non furono poiché egli seguì per tutta la vita in seno all’antroposofia l’indicazione spirituale di non scrivere. Durante il periodo di vita della Rivista, fu Evola, nella doppia mansione di direttore e collaboratore, che, sedendosi accanto a Colazza, scriveva quanto gli veniva dettato.

Tant’è che ci fu qualche errore nel complessivo di cui si è discusso in altra sede.

Se parliamo dei primi due scritti: Barriere e Atteggiamenti, il problema non sussiste poiché la trascrizione è del tutto corretta (e parimenti corretta rimase anche nelle successive edizioni, parzialmente modificate da Evola).

Se qualcuno legge l’intera produzione di Leo su Ur osserverà un ‘crescendo’ di discipline che porterebbero chiunque sulla soglia dei Mondi Spirituali ma forse osserverà meno alcune cose. Una di queste è il lavoro di correzione compiuto da Leo per controbilanciare tecniche descritte da altri autori, suggestive quanto avventate.

Inoltre, Leo, come spesso accade nell’agire sottile di grandi figure occulte, in un certo senso inganna il lettore o, da un diverso punto di vista, chiama chi vuole lui.

La sua prosa, neutra, senza attrattive, estremamente riassuntiva, priva di riferimenti e alquanto povera di terminologia sembra fatta per allontanare il lettore che scopre sapori e colori forti e gioielleria scintillante da tutte le parti.

Ma non presso Colazza che pare offrire la mercanzia più scipita o meno invitante del mercato.

Detto questo passiamo a “Barriere” dove Colazza insegna al suo speciale apprendista, la modalità che ora sappiamo necessaria: “Bisogna RITMIZZARE; vale a dire, presentare alla propria coscienza, che afferra con un’attitudine volitiva, lo stesso concetto periodicamente e ritmicamente.” Non credo servano spiegazioni per questo. Mentre è piuttosto importante un chiarimento che Colazza non si perita di dare.

Il breve scritto è diviso in tre parti. Diciamo, alla buona, che la prima introduce il problema adombrato dal titolo, la terza indica la retta fenomenologia del lavoro animico e l’indicazione della conseguente esperienza. La seconda parte è il contenuto che andrebbe meditato e realizzato. 20 righe di frasi e nessuna altra indicazione. Può succedere (è successo) che il discepolo zelante le impari a memoria, ma poi a passarle tutte diventa più un rosario che una meditazione e ben presto si forma l’ombra della delusione.

Naturalmente quello è l’approccio sbagliato, la trappola, a dirla brutta. In realtà ogni singola frase è uno spunto meditativo completo. Non un mantra ma uno spunto meditativo. Che come ogni meditazione va pensato brevemente e sentito intensamente. Scelga autonomamente quali frasi usare. Non c’è altra ‘regola’ se non quella che il contenuto suggerito susciti un ”senso di grandezza e di potenza” finché questo diventi, ad un certo momento divenga “presenza di una forza”.

Occorre decisione e coraggio, poiché, come sappiamo sin troppo bene, l’uomo ha paura di sentirsi rinnovato e forte. Eppure Colazza (come poi Scaligero, con forma stilistica diversa) è assai drastico: “Tutti gli esercizi di sviluppo interiore saranno paralizzati se non si rompe il guscio-limite che la vita quotidiana forma intorno all’uomo e che anche a visione mutata persiste nel subcosciente umano.”

Nel secondo scritto di Leo: “Atteggiamenti” ritroviamo il medesimo schema: una densa parte introduttiva, le discipline, e nella terza parte alcune indicazioni che indicano (sempre in maniera semplice e dimessa) la portata delle precedenti discipline: “Gli accenni di pratiche ora esposti ci abitueranno a vivere intensamente nei movimenti interiori astraendo dalle percezioni sensorie, pur con tutta la vivezza e la realtà propria a queste ultime”. Se queste parole paiono indicare un’attività interiore libera dai sensi fisici e però altrettanto intensa, non ci si sbaglia.

Aggiungo solo che gli esercizi indicati da Colazza portano in sé diversi gradini di esperienze, certo culminanti con la liberazione della forza-pensiero dai legami sensibili, ma anche diverse altre conoscenze estrasensibili e gli strumenti per passi successivi sulla Via iniziatica.

Sono due le meditazioni immaginative proposte: il senso dell’aria ed il senso del calore.

Chi le sperimenta ben presto s’accorge che ambedue iniziano con l’aiuto di immagini sensibili (interiorizzate) e procedendo, l’essenza della loro attività contemplativa supera, per attività dell’operatore, ma anche per lo stesso contenuto dei temi, il confine del pensiero legato ai sensi. Detta così, sono consapevole che sembri una operazione abbastanza facile ma le assicuro che non lo è.

I “risultati” descritti da Colazza per i due esercizi dovrebbero essere compresi appieno poiché indicano condizioni “sine qua non” per l’operatore. Anche per chi ha scelto discipline diverse e segue gli esercizi dati da Steiner o Scaligero. Di alcuni aspetti delle esperienze intermedie circa il senso dell’aria e del calore ne ho parlato in anni precedenti (ad esempio ho scritto come il senso dell’aria si rivolti completamente e si sperimenta come si venga respirati dall’aria che ci circonda, che, viva e attiva, vuota e riempie i nostri polmoni).

Per finire sottolineo come le due discipline racchiudano in sé la sintesi di molti esercizi singoli, gli strumenti interiori ma concreti volti alla liberazione del corpo sottile (eterico) ed una inusuale porta per il pensiero libero dai sensi. Per il resto non saprei che ripetere, magari distorcendo, le parole di Leo che, come ho già scritto, possono apparire fin troppo semplici (una manna per la pigrizia semplificatoria dei sedicenti occultisti odierni), mentre in realtà la loro piana semplicità vela, al pensiero superficiale e avido di sconvolgenti rivelazioni, le operazioni interiori più possenti.

Come scrissi ad un altro lettore a cui ho parlato dei 44 esercizi di Tecniche della Concentrazione Interiore di Massimo Scaligero, nulla andrebbe preso come sta: è l’anima che con onestà e liberamente dovrebbe trovare in questi scritti quello che potrebbe servirle per il suo lavoro: questo è solo un consiglio.

5 pensieri su “PRECISAZIONI

  1. Già! I “TEMPI”
    Allora: dobbiamo iniziare dalla Concentrazione. Essa è il fondamento e senza di essa gli altri esercizi non avranno mai speranza di diventare qualcosa di reale. Dunque la Concentrazione non si abbandona. Fatta strenuamente e più volte durante la giornata, le energie per fare altro restano poche e questo è sperimentabile. Perciò sarebbe meglio essere prudenti e non velleitari nell’aggiungere altre pratiche. Occorre provare seguendo le proprie forze.
    Genericamente parlando, le concentrazioni meditative possono prolungarsi per tempi maggiori rispetto alla pura concentrazione. Questo perché se l’immagine meditata dà un corrispettivo sentimento si cerca di mantenerlo il più a lungo possibile. Le concentrazioni meditative hanno successo quando “qualcosa” delle immagini proposte o inventate è come se si liberasse da noi e andasse secondo sue regole e sue forze. Ciò succede anche in mezzo minuto o dopo tantissimi mesi. Secondo la mia esperienza è un po’ più facile l’esercizio dell’aria, ma può essere soggettivo. Ad una PRIMA sperimentazione, forse sarebbe saggio (e pratico) iniziare con poco, non tentando di prolungare artificiosamente la meditazione. Potrebbe valere il principio di intensità: evocare alcune immagini tratte dall’esperienza sensoria, con quanta vivezza ci sia possibile e se nulla avviene, chiudere l’esercizio.
    Fare ambedue nella stessa giornata (già semi consumata con la concentrazione)mi sembra, semplicemente, troppo.
    Tentare altre “combinazioni” è lecito: fa parte del gioco di prove che dobbiamo accollarci personalmente. Con serenità: quando esercizi come questi riescono è vivere un evento intenso, indubitabile.

  2. Isidoro, stando alle testimonianze ripetute da me accolte negli anni in ripetuti colloqui, da Massimo Scaligero, da suo cugino Amleto Scabelloni e da altri discepoli diretti di Massimo, gli scritti di “Leo” nelle Riviste UR 1927-1928 e KRUR 1929, sono sicuramente di Giovanni Colazza. E’ vero ch’egli non amava scrivere, e dagli specimen che ho della sua calligrafia, tipica di un medico, si vede che non amava scrivere – nel senso di mettere direttamente lui, di propria mano, su carta e inchiostro – i suoi pensieri, e che abbia di conseguenza dettato gli scritti apparsi in quelle riviste esoteriche degli anni venti del trascorso secolo. Egli faceva ciò, perché nella parola vivente fluisce una forza e un calore, dei quali egli non voleva privare l’espressione del suo pensiero.
    Tutto questo per quanto mi è stato testimoniato da Massimo Scaligero, da alcuni discepoli di lui e di Giovanni Colazza, e da alcuni «asceti d’altra dottrina» che a vario titolo presero parti agli eventi del Gruppo di UR, da prima della sua nascita, sino al tragico contrasto di Julius Evola – che si comportò in maniera tutt’altro che corretta – nei confronti di Arturo Reghini e Giulio Parise, contrasto che portò allo scioglimento della rivista, e alla continuazione del gruppo operativo in altre forme.
    Mi risulta non corrispondere ai fatti quanto scritto dall’editore nella “Prefazione”, a p. 11, a Giovanni Colazza, “Dell’Iniziazione”, Tilopa, Roma, 1992, ove dice:
    «I merito alla partecipazione alla rivista UR, M. Scaligero ci precisò, in un colloquio personale, che il dottor Colazza non era in realtà l’estensore degli articoli firmati col suo pseudonimo. Egli infatti si limitava ad illustrare gli argomenti al direttore della Rivista, il quale provvedeva poi a redigerli per iscritto».
    Che l’Evola abbia funto da “scriba”, non significa ch’egli abbia redatto la stesura degli scritti dettati da Giovanni Colazza. Del resto chi conosce il modo di parlare di Giovanni Colazza, vede bene che ogni parola è sua, suo è il periodare, suo il modo di fare gli esempi, sua la grammatica, sua la sintassi, suo il lessico, insomma tutto lo stile. Mentre estremamente diverso è lo stile di Evola. Se Evola ha agito – in maniera scorretta – nei confronti di altri partecipanti del Gruppo di UR, “tagliando e cucendo” i loro articoli – e questa fu la causa della “rottura” della concordia del Gruppo – non si sarebbe mai azzardato a farlo nei confronti di Colazza, di fronte al quale – mi è stato molte volte testimoniato – “tremava come una foglia, e si comportava come un cagnolino scodinzolante”.
    In queste cose bisogna essere esatti, per scrupolo di verità. Non si può abbellire o accomodare la verità in un senso o nell’altro, per scopi che sono estranei alla verità. Per es. a p. 8 della medesima “Prefazione”, l’editore afferma che Colazza abbia incontrato Rudolf Steiner solo nel 1911, mentre la sua conoscenza col Dottore risale ad un paio di anni prima, come risulta anche dalle testimonianze di alcuni discepoli non italiani, come l’inglese Harry Collison, che aveva abbandonato a Londra la carriera forense per venire a studiare pittura a Roma e che fu grande amico di Colazza, e che con lui partecipò alle conferenze che il Dottore svolse a Palazzo del Drago. Così come non è corrispondente ai fatti che la fondazione del Gruppo Novalis sia avvenuta nel solo 1913, né risulta che: «Il Gruppo Novalis di Roma fu, peraltro, il primo gruppo antroposofico in Italia» perché vi erano già gruppi in Italia – allora si chiamavano «logge teosofiche» – per es. il “Leonardo da Vinci” fondato e diretto a Milano da Charlotte Ferreri e Ludwig Lindemann: gruppo che nel 1913 si separò dalla Società Teosofica, per aderire alla Società Antroposofica di Steiner. Lindemann – si tratta del grande matematico scopritore della trascendenza di π greco – fondò i gruppi teosofici-antroposofici di Milano e Palermo, e morì nel 1911. Vi sono lettere di Marie Steiner a Colazza, del 1911, nelle quali si parla del lavoro del Gruppo Novalis o Roma II. Il Novalis si chiamava così proprio perché a Roma vi era un altro Gruppo Roma I o Pico della Mirandola, più antico del Novalis e diretto dalla baronessa Emmelina de Renzis e dal duca Giovanni Colonna di Cesarò, che si riuniva a Via Gregoriana, mentre il Novalis si riuniva a quel tempo a Corso Italia, e in seguito a Via Tevere. Sempre a p. 8 della “Prefazione” dell’editore è detto che: «Nel 1922, Colazza tenne in Roma una serie di incontri riservati intorno ai «Quaderni Esoterici» di R. Steiner». Ma nel 1922, i «Quaderni Esoterici» ancora non c’erano, perché i primi due «Quaderni» vennero trascritti, redatti e pubblicati nel 1947 e 1948 da Marie Steiner-von Sivers, e il terzo solo nel 1949, dopo la sua morte. Colazza svolse sicuramente delle riunioni riservate ai suoi più intimi discepoli, ma non sui «Quaderni Esoterici», che ancora non c’erano. E lasciamo perdere il cosiddetto «lavoro redazionale» delle conferenze di Colazza sul libro “Iniziazione”, lavoro che lascia molto perplessi sulla sua modalità e finalità.
    Abbiamo riportato queste precisazioni non perché in maniera filistea ci dilettiamo dell’inutile sport di “rifare le bucce” a chi compie errori storici, bensì perché, per chi ama la Scienza dello Spirito e l’Ascesi del Pensiero, la diligenza e la esattezza nella ricerca della verità sono di rigore. Invece, una certa trascuratezza spesso si accompagna alle affabulazioni di coloro che non amano il rigore dell’Ascesi e talvolta sostituiscono i parti di sentimentali affabulazioni, o talvolta di pretesa veggenza, ai risultati della diretta e certa percezione spirituale. Amicus Plato, sed magis amica veritas!

    Hugo, che quando la gioia gli sprizza,
    prima si cuoce e poi si mangia la pizza:
    naturalmente sempre al pomodoro
    per rendere onore al possente Isidoro.

  3. Caro amico, già alcuni anni addietro commentai/commentammo con un po’ di tristezza e indignazione l’uso, alquanto disinvolto, di scritti e registrazioni che, in primis, riguardavano la parola di Scaligero.
    Rispondendo a quanto scrivi deduco che vi furono due Scaligeri e forse due vie Cadolini. Questo perché a me Scaligero (uno) confermò l’immagine di Evola che scriveva quanto Colazza dettava. Solo aggiungendo che c’era un errore nel terzo scritto di Leo su Ur (Avviamento all’esperienza del “corpo sottile”).
    Solo “pensare” che siano articoli in qualche modo elaborati da Evola è una cretinata da buttare nell’immondezzaio.
    Ti confermo anche che, su base documentale, il Novalis non fu certo in primo Gruppo Antroposofico italiano (ma forse l’entusiasmo gioca tiri mancini).

    Del resto è vizio, imperizia o cinismo cieco la scorrettezza filologica che permette la stampa, mutilata e riadattata, delle conferenze di Scaligero a cui, per esigenze editoriali, senza alcun ordine temporale (che è il minimo per un lascito documentale), si sforbicia via quello che ad arbitrio, sembra inadatto alla stampa. Nessuno che abbia (in questo caso ci vorrebbe) la sensibilità morale, la grande responsabilità, di AMMINISTRARE conferenze che non sono proprie ma appartengono allo spirito di Massimo Scaligero?

    Del resto sono quelli che sbavano amore cosmico come scuotono la testa… Su ciò andrebbe a fagiolo un articolo intitolato: “Il coraggio della vergogna”.
    Però sarebbero solo parole…mentre l’azione pura e santa sarebbe la indialettica occasione che energiche bastonate sul groppone possono fornire, come occasione di immeritata fortuna per la salvazione dell’anima!

    Su una cosa non siamo in accordo: tu parli di “tragico contrasto” riferendoti al diverbio tra Evola e Reghini. Certo è amaro vedere “cosa” si dissero i pezzi forti dell’Epoca. Ma l’ampiezza, la profondità e la sfrenata fantasia delle contumelie (anche crudeli) è roba da Biennale di Venezia: artisticamente inarrivabili!

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